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TRA PSICOLOGIA E SPIRITUALITÀ:
2) CARL GUSTAV JUNG
(Giovedì
14 Novembre, ore 18.00)
di Gianfranco Bertagni
È nota a tutti l’associazione di Carl Gustav Jung alla psicoterapia o meglio
alla psicologia analitica, ovvero quella terapia e soprattutto quella pratica di
indagine del profondo che da lui sono state pensate come via per la
realizzazione del percorso terapeutico. E a molti sono noti i vastissimi campi
di indagine del grande pensatore svizzero in ambito spirituale ed esoterico:
dall’alchimia alla mistica, dall’astrologia alle filosofie orientali, dallo
gnosticismo alla ricerca dei significati profondi dei simboli
universali.
Non è un caso allora che spesso ci si sia chiesti, anche in modo critico
rispetto alla sua indagine, se Jung dovesse essere visto come uno psicologo
scientifico o se non uscisse da questo tipo di impostazione nel suo fare
ricerca, scadendo nell’ambito – appunto – del misticheggiante, vago,
spiritualista.
Ma in realtà è proprio qui che sta la sua grandezza. Se Freud propone la strada
del tornare indietro, quella di Jung è la via del salire in alto. Se per Freud
il normale non ha necessità di alcuna cura, per Jung siamo tutti – o tutti
dovremmo esserlo – in una prospettiva di crescita continua, perché nessuno di
noi si possiede totalmente, nessuno di noi può dire di sé di aderire
completamente alla propria verità. E allora via psicoterapeutica e spiritualità
– una spiritualità al di là delle religioni dogmatiche - si danno la mano, si
intrecciano.
Non è un caso che quella che Jung considerava la realizzazione somma dell’uomo e
l’esito conclusivo di qualsiasi reale psicoterapia (il cosiddetto principio di
individuazione) sia – sono parole di Jung stesso – un “diventare se stessi,
attuare il proprio sé”, scopo che incontriamo più e più volte in tante vie
mistiche, soprattutto d’oriente. L’opera umana – come l’opus alchemica – è
divenire consapevoli di ciò che ci è dato e trasformarlo in pura coscienza:
questo sarebbe il contributo dell’uomo nell’universo, per Jung. La coscienza
dell’io allora va oltre alla sua condizione usuale, prodotta dalla cultura e
dalla biologia, verso un orizzonte più impersonale, oltre il ‘me’ personale
appunto, verso il mondo dell’archetipico, e che non a caso più volte Jung ha
paragonato all’anima mundi. Qualcosa che capiamo bene quanto sia accostabile
alla dimensione spirituale. Basti leggere queste sue parole: “Pur rifuggendo
dalla parola «Eterno», posso descrivere la mia esperienza solo come beatitudine
della condizione non-temporale, nella quale presente, passato e futuro sono una
cosa sola”, “La domanda decisiva per l’uomo è questa: è egli rivolto
all’infinito oppure no? Questo è il problema essenziale della sua vita”.
Presso
Il Centro del Cerchio (via del Cerchio, 21 Ravenna)
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