|
|
Quelle divinità immortalate nel
sacro pino di Elémire Zolla
Stephen
Little ha curato Taoisym and the Ars of China presso The University
of California Press e The Art Institute of Chicago riunendo saggi di Kristofer
Schipper, Wu Hang,
Patricia Ebrey e Nancy
Steinardt. E' la prima volta che si esamina con accuratezza il problema e,
in caso strano, vorrei aggiungere al volume una pubblicazione italiana, Avori
e tesori d'oriente dalla collezione Canepa a cura di Enrico
Perlo, uscito a Torino presso Allemandi, ma ha come casa editrice Kiwanis
Club di Biella, 1977. Vi figurano fotografie preziose di statue che offrono
tutti gli dei del daoismo raccolti nel tronco d'un pino sacro piantato nella
roccia, nella quale in Cina si dice che, dopo tre migliaia d'anni, si converte
in polvere e quindi si riaddensa in roccia, a formare il rigetto del pino, in
uno scambio eterno. Il pino raccoglie tutti gli dei del daoismo. La base della
statua cinese esposta a Biella è esagonale e vi sono raffigurati gli Otto
Immortali, i personaggi delle, fiabe daoiste che offrono il passaggio alla
perfezione mistica; in cima c'è una triade, dove figurano l'imperatore di Giada
e la Seconda Stella del Timone dell'Orsa Maggiore, più al centro un personaggio
irriconoscibile. Perlo presenta la sua ipotesi, che sia un'ipostasi del Dao. Il
trattato americano contemporaneo incomincia con una presentazione di Little,
dove primaria importanza è assegnata al testo del Daodejing di Laozi, del quale
si trovò il testo originario nel 1973 dentro una tomba del IV secolo a.C. nello
Hubei. Ma il daoismo come culto è precedente: si staccò dalle sciamanesimo
originario della dinastia Han, alla fine dell'età del bronzo; il culto
essenziale ai primordi fu delle montagne come stazioni nell'ascesa al cielo,
sparse di caverne templari: tanto il corpo umano come l'altare del tempio sono
montagne. Di qui il culto del corpo come costellazione di stelle nei daoismo più
tardo. Uno dei maggior testi è un commento al Daodejing, Xiangerzhu,
manoscritto della dinastia nordica Wei scoperto a Dunhuang, risalente agli inizi
del primo secolo VI, adesso parte della collezione Stein alla British Library. I
primi rituali talvolta tuttora in uso, figurano già in un manoscritto della
dinastia nordica Zhou, Wushang biyao, «I supremi segreti essenziali».
Ma uguale eminenza va attribuita alle «Sei Leggi della Pittura» di Xie He,
dove è sviluppata l'idea della pittura come rispondenza ai flussi di energia
che avvolgono e compongono il corpo. Soltanto nel decennio 1920 s'incominciò a
studiare per davvero il canone daoista (Daozang) con la ristampa d'un blocco
ligneo del XV secolo d.C. al quale avevano avuto accesso dianzi soltanto cinesi,
coreani e giapponesi. Negli anni 60 quegli studi vennero a maturazione e si
impostò per la prima volta la conoscenza seria del daoismo in Occidente.
Oggigiorno c'è una rifioritura degli studi nel mondo, specie negli Stati Uniti
e in Francia con una ripresa del culto specie a Taiwan e Singapore oltre che
nella Cina vera e propria. Si è scoperta l'attinenza alla religione daoista
della calligrafia (daojao), spesso fatta dall'emersione di tracce scritte dal
nulla: di qui l'importanza del sommo calligrafo Wang Xizhi, di famiglia daoista,
autore della Scrittura della corte gialla, che precede la fioritura
dell'alchimia interiore.
Da: http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010304d.htm
|
|