| |
Elémire Zolla, Simbologia (Enciclopedia
del Novecento)
sommario:
1. Definizione e caratteri della simbologia. 2. Eclissi e rinascenza della
conoscenza simbologica. 3. La Scuola di Lipsia. 4. Leo Frobenius e la scuola
morfologica. 5. La griglia simbologica astrale. 6. La riscoperta del
pitagorismo. 7. Marius Schneider. 8. Simone Weil e René Guénon. 9. Ananda
Coomaraswamy. 10. Da Griaule a Lévi-Strauss. 11. Georges Dumézil e Mircea Eliade.
12. La psicanalisi. 13. Henry Corbin. 14. Altre fonti di conoscenza simbologica.
15. Simbolismo letterario. □ Bibliografia.
1. Definizione
e caratteri della simbologia
La simbologia del Novecento, in quanto distinta dalla semiotica,
considera il simbolo quale modo di conoscenza non discorsivo che ha per oggetto
ideale la realtà metafisica. Si dice conoscenza ‛non discorsiva', cioè distinta
dall'organizzazione dei segni linguistici (anche se questi possono essere usati
per indicare un simbolo o trasformarsi in simboli quando siano assunti nella
sfera del rito o della poesia) e si aggiunge: eccedente rispetto a ogni
enunciazione discorsiva, il che distingue il simbolo dall'allegoria, la quale
può essere formulata in modo adeguato ed equivalente in termini discorsivi. Il
secondo carattere del simbolo si esprime nel fatto che, mentre le varie realtà
sensibili possono essere simboli l'una dell'altra (il leone può simboleggiare il
sole e viceversa), esse rinviano tutte alle realtà non sensibili, le quali sono
l'oggetto simboleggiato per eccellenza: simboleggiabile e non simboleggiante.
Queste realtà metafisiche non sensibili sono le forme formanti rispetto alle
cose sensibili e transitorie (e il celebre detto di Goethe insegna che ogni cosa
transitoria è solo un simbolo), cioè alle forme formate; cosi l'oro, il leone,
il re, il sole sono forme formate (del mondo minerale, animale, umano, celeste)
analoghe fra loro, simboleggiabili l'una mediante l'altra, ed esse implicano
tutte una forma formante comune, ovvero un archetipo, l'idea della preminenza e
della maestà. Le forme formanti rinviano a loro volta a una causa ulteriore, il
principio ontologico, che è l'oggetto ultimo di ogni simbologia (v. Zolla,
1981).
Data questa definizione generale, si possono elencare sette
attributi del simbolo, riconosciuti per lo più dagli esponenti della rinascenza
simbologica del Novecento.
1. Gli oggetti che si simboleggiano l'un l'altro sono fra loro
analoghi; la simbologia non è perciò arbitraria, ma fondata su rapporti
oggettivi. La realtà, in una prospettiva simbologica, è situata dunque in una
griglia o rete di corrispondenze analogiche, che rimane invariata pur mutando
con il variare delle civiltà i termini di riferimento. Si è altresì definito
questo carattere dicendo che la conoscenza simbolica è un aspetto della ‛tradizione'
(v. Guénon, 1931 e 1962; v. Corbin, 1969).
2. I singoli oggetti possono appartenere a diverse filze
analogiche contemporaneamente, a seconda delle loro diverse funzioni (il
serpente, in quanto si rinnova cedendo le squame, è da porre nella stessa filza
della fenice e della stella mattutina, mentre, in quanto avanza strisciando,
sarà da allineare accanto alle bassure, alle seduzioni insidiose; così il lupo,
in quanto vede al buio, è analogo all'aquila che spinge lo sguardo a distanze
straordinarie e al sapiente che ‛vede lontano', mentre, in quanto vive di preda,
è analogo al demonio). Si suole esprimere questo aspetto del simbolo dicendo che
è plurisignificante.
3. I vari oggetti visibili sono analoghi fra loro qualora siano
analoghi, sul piano acustico, a uno stesso ritmo (cioè abbiano tutti una
consimile organizzazione del loro tempo specifico) e siano pertanto
riconducibili a un'identica proporzione, che si può ricondurre a un caso
particolare di combinazione a base binaria, ovvero di vibrazione
(battere-levare, lunga-breve, sistole-diastole, moto centripeto e centrifugo).
La conoscenza simbolica genera dunque linguaggi che possono anche diventare
sistemi di comunicazione (così il linguaggio africano dei tamburi, il sistema
divinatorio binario della varia geomanzia africana o delle linee unite e
spezzate nell'I Ching cinese,
che il Leibniz studiò sotto questo profilo), ma che non hanno come fine
essenziale la comunicazione, bensì la rivelazione, di là dalle forme formate,
delle forme (o, facendo un passo ulteriore, degli esseri) formanti, e di là,
ancora, dell'‛origine' (o dell'‛originatore'), che è la chiave di volta,
l'assioma e la postulazione del sistema. Gli archetipi coincidono perciò con i
ritmi fondamentali, che spesso sono quelli dei principali movimenti celesti, e
con i rapporti numerici che li definiscono.
4. La conoscenza simbolica può cogliere istantaneamente, senza
bisogno di formularsi discorsivamente, tutta una trafila di analogie; come un
lampo, svela tutto un campo di analogie, un'area della griglia simbologica.
Quando ciò avviene, chi lo percepisce prova un senso di liberazione dai limiti
consueti dello spazio e del tempo.
5. In virtù di questa sua possibilità di largire folgorazioni e
della sua indipendenza dal discorso (e quindi dall'autocoscienza), la conoscenza
simbolica può mettere in rapporto con strati della persona inibiti alla comune
comunicazione discorsiva, trasponendone i conflitti su un piano analogico
distinto, dove si possono risolvere. Inoltre, dando accesso alle modalità
superiori dell'essere (alle forme o esseri formanti), può portare a stati
estatici.
6. L'esplorazione discorsiva delle possibilità semantiche d'un
simbolo, essendo inesauribile, spezza la dominazione esclusiva della conoscenza
discorsiva, poiché la mostra incapace di cogliere tutte le potenzialità d'un
simbolo. Allorché si passa vorticosamente di significato in significato
contemplando un simbolo, si può giungere a una sorta di vertigine, ovvero di
estasi.
7. Si può prospettare l'etica come imitazione d'un simbolo, come
riduzione della propria esistenza a un simboleggiamento. L'uomo arcaico spesso
porta quest'etica all'estremo: re ed eroi imitano stelle, in ispecie l'Ariete o
Agnello del cielo primaverile.
2. Eclissi
e rinascenza della conoscenza simbologica
La conoscenza simbologica di questo secolo riprende il filo di
quella che subì in Europa un'eclissi dopo il XVI secolo e fu tacciata di
costruzione arbitraria e superata. Ancora oggi un Eingestein (v., 1970) esprime
un'opinione diffusa asserendo che essa sarebbe una ‟via pericolosa", imboccata
dall'uomo fin dal Paleolitico e capace di conferire sì una più accesa
attenzione, ma anche di portare alla schizofrenia (egli s'appoggia alle teorie
psicanalitiche di E. Bleuler e di O. Roheim). Più acutamente seppe rievocare il
momento dell'eclissi simbologica nel XVII secolo M. Foucault (v., 1967),
mostrando come fino ad allora l'idea di somiglianza avesse organizzato i
simboli, precisandosi in convenienza (o rapporto fra cose aventi un sito
comune), in emulazione (rapporto fra cose distanti che si combattono o
riflettono o rispondono, come gli occhi umani, il sole e la luna, il naso e
Giove o Ermete, la bocca e Venere, onde le stelle sono modello alle erbe e il
sole è nei semi), e infine in somiglianza, che è l'emulazione il più possibile
estesa. Nel Don
Chisciotte i
segni cessano di corrispondere alle cose, e a Francesco Bacone cessano
d'interessare le somiglianze oggettive: la sua attenzione va tutta ai tipi
d'illusione cui gli uomini sono proni; Cartesio infine scioglie le somiglianze
in identità e differenza. Già Alquié (v., 1960) aveva mostrato la scomparsa del
simbolo nella filosofia cartesiana, per la quale soltanto più l'uomo, e non la
natura, resta simbolo di Dio.
H. A. Fischer-Barnicol (v., 1968)
stabilisce invece una data assai più remota come inizio dell'eclissi: ‟la
percezione della trascendenza nella presenza simbolica" fu impedita a suo avviso
dall'aristotelismo medievale, anche se la filosofia di san Tommaso avrebbe ben
potuto fornire le premesse per una sua riattivazione; Hildegarde di Bingen
sarebbe stata l'ultima capace di conoscenza simbologica in Occidente.
Stabilire quale sia il momento in cui nel Novecento l'eclissi si
dirada e si riprende il filo interrotto della meditazione sui simboli è
altrettanto arduo.
Non si può propriamente parlare di conoscenza simbologica per il
movimento iconologico, che pure contrastò le estetiche antisimbologiche (le
quali per nemesi dialettica dovevano condurre a estetiche anti realistiche);
esso nacque, se si vuole fissarne un genetliaco, con l'incontro fra Aby Warburg
ed Erwin Panofsky, nel 1915. La Scuola di Amburgo che essi promossero continuerà
la sua opera a Londra, nel Warburg Institute e nella sua collana di studi,
incardinando sui simboli ogni indagine figurativa: memorabili rimangono lo
studio di Panofsky (v., 1927) sulla prospettiva come simbolo della
trasformazione dell'ontologia in fenomenologia, del teocentrismo in
antropologia; sull'architettura medievale e il pensiero scolastico; la ricerca,
in collaborazione con Dora Panofsky, sul simbolo del vaso di Pandora; il saggio
di Warburg sul Durer simbologo; l'opera dei seguaci di Warburg, F. Saxl ed E.
Wind; l'indagine sulla malinconia saturnina condotta da Panofsky, Saxl e
Klibansky (v., 1965), cui è parallela l'altra sui ‛saturnini', condotta da R. e
M. Wittkower. Fra le opere della scuola interessa, in ordine al problema della
data dell'eclissi simbologica in Europa, Architectural
principles in the age of humanismdel
1952, di R. Wittkower: nel 1683, vi si rammenta, Cl. Perrault osò affermare che
le proporzioni ‛sacre' in architettura sembrano belle soltanto perché a esse
siamo avvezzi (non perché simboleggino l'idea formante della bellezza), e del
pari O. Guarini dichiarava in quel secolo che l'occhio solo è giudice; nel 1792
a tal punto si era spinto il processo dissolutivo, che W. Gilpin dichiarava
smarrito il segreto delle proporzioni. Come si vedrà, la simbologia è la chiave
della scienza delle proporzioni.
Nonostante l'operosità encomiabile, gli iconologi non sono
simbologi perché i simboli sono per loro indici, esclusivamente, di
modificazioni storiche, ed essi volentieri denunciano come superstizione ogni
concezione metafisica. Non a caso il filosofo a loro più prossimo è Ernst
Cassirer, la cui vasta opera sulla filosofia delle forme simboliche uscì dal
1923 al 1929. Egli affermò che il linguaggio, il concetto, la cultura in genere
dipendono dalla facoltà di simboleggiare; la vitalità grezza o ‛natura' ha dei
fini, operanti però in maniera immediata, laddove lo spirito se li pone
distanziandosene, prendendone coscienza, rappresentandoli in simboli. Quando
questa funzione spirituale sia turbata (nell'afasia, nell'aprassia,
nell'agnosia), l'uomo regredisce allo stato animale. La genesi del simbolo nella
psiche infantile formerà il tema delle esemplari ricerche di Piaget (v., 1941).
Contro Bergson, che tacciava ogni simbolo di reificare lo slancio vitale,
Cassirer identifica quello slancio con lo stadio meramente biologico
dell'evoluzione.
Il simbolo mitico separa il sacro dal profano, ma possiede
altresì un'intrinseca suggestione magica; quello estetico ha viceversa un
significato in se stesso. Il simbolo è un elemento indissolubile della
percezione anche nel linguaggio scientifico, che è sempre un simboleggiamento,
cioè una designazione dei dati empirici entro una prospettiva. Ma se così
Cassirer rivaluta la funzione del simbolo, d'altro canto esautora la conoscenza
simbologica per eccellenza, che chiama ‟mitica". Cassirer comprende la
complessità del sistema simbolico babilonese (che era stata ricostruita dalla
Scuola di Lipsia), ma è talmente soggiogato dal dogma illuministico del
progresso, da confondere inciviltà e simbolismo non discorsivo; secondo le
parole di O. de Santillana e H. von Dechend (v., 1969, p. 327), ‟merito di
Cassirer fu di rintracciare forme simboliche del passato nel cuore della cultura
storica. E chi se non lui sarebbe stato in grado di discernere i lineamenti del
mito arcaico? Rimase però accecato dalla condiscendenza. L'evoluzione, brillante
idea biologica del nostro passato, ridotta a banalità universale, lo tenne in
soggezione".
La più adeguata correzione del concetto di forma simbolica
affermato da Cassirer fu operata da H. Sedlmayr, il cui metodo estetico è
altresì una correzione dei limiti propri agli iconologi: rifacendosi a Fr. von
Baader (v. Sedlmayr, 1968), egli ricondusse il simbolo a rapporti di analogia
oggettiva corrispettivi, come aveva già notato il Placzek (v., 1954), al
sillogismo, perché quando due cose sono analoghe a una terza, lo sono anche fra
loro ed esiste pertanto per ogni coppia di analoghi un analogante, e in cima
alla piramide delle analogie sarà logico porre l'analogante massimo, Dio. Le
analogie simboliche sono ontologiche, e la coppia rosso-rivoluzione ne è un
esempio, perché il rosso è una luce schermata da un velo fosco, dunque è
oggettivamente e non per convenzione una passione che vuole deflagrare;
d'altronde è anche ontologicamente giustificata l'uguaglianza rosso=maestà,
essendo il rosso altresì un lume velato, inaccessibile (v. Sedlmayr, 1958).
Cassirer rappresenta il tentativo della filosofia tedesca ‛classica'
di tener ferme le sue dicotomie di natura-cultura (nel linguaggio di Cassirer:
biologia-simbolo) e il suo dogma d'uno sviluppo storico dello spirito, pur
includendo in piccola misura in questi suoi schemi le scoperte che in Germania
si erano compiute intorno alla facoltà simbolica dell'uomo; solo rifacendosi a
premesse baaderiane, Sedlmayr poteva evadere da questa dogmatica filosofica
tedesca.
3. La
Scuola di Lipsia
Le scoperte intorno alla funzione simbolica e al linguaggio
mitico-simbolico avevano prodotto un trauma nella cultura accademica tedesca
agli inizi del secolo. Fra i maggiori responsabili di questa rinascenza
simbologica fu H. Winckler, che pubblicò i testi di Tell el-'Amārna ed ebbe gran
parte negli scavi di Boǧazköy che fecero riemergere la civiltà ittita. Dallo
studio filologico del mondo mesopotamico Winckler risalì alla concezione
simbologica che ne formava il traliccio. Lo stesso percorso fu seguito da A.
Jeremias, studioso della Bibbia, e da E. Stticken, che si proponeva di
rintracciare il fondamento comune ai miti, alle favole di ogni popolo. Nel 1906
nacque la Gesellschaft für vergleichende Mythenforschung, che promosse la
collana Mythologische
Bibliothek di
Lipsia; anche le Mitteilungen
der vorderasiatischen und aegyptischen Gesellschaft ospitarono
i lavori della scuola. Jeremias nel suo Handbuch
der altorientalischen Geisteskultur e,
più succintamente, Winckler in Die
babylonischen Geisteskultur fissarono
le varie conoscenze acquisite, dando un compendio delle scienze tradizionali
accertate sul modello babilonese. Winckler celebrava la liberazione, mercé
l'etnologia e la filologia, dalle chiusure del mondo moderno, i cui inizi egli
poneva nel pensiero classico greco, nonché il riscatto della memoria d'una
civiltà religiosa basata non sulla spada, bensì sulla sapienza e sulla scienza
dei sacerdoti, fiorita segnatamente attorno al 4000 a.C. in Mesopotamia,
variamente diffusa nel mondo, e venutasi via via, nel tempo, degradando. Essa
deduceva dal divino gli enti, considerandoli un materializzarsi (Stoffwerden)
di Dio. Fra Dio e il mondo creato, concreto, mediano le misure fondamentali,
fornite dal moto degli astri, cioè degli dei-numeri che sono le rivelazioni
celesti di Dio. Tutto ciò che è terrestre rispecchia, in quanto soggetto a
misura, il divino, e il culto sottolinea questa semplice verità: i templi sono
riproduzioni del cosmo e sono orientati verso un luogo dei cieli. Le coppie di
opposti si specchiano tutte quante nei due luminari luna e sole: luce e tenebre
(il sole spegne le stelle), i cui numeri sono 5 e 7, le cui figure sono il
pentagramma e l'eptagramma. I pianeti sono simbolicamente uguagliati alle
quattro direzioni: Marte a settentrione, Giove a occidente, Saturno a
mezzogiorno, Mercurio a oriente. I numeri-simboli fondamentali denotano
suddivisioni dello zodiaco: per 4 (esso ritornerà nei tetramorfi di Ezechiele,
nei quattro evangelisti della simbolica medievale), per 5 (Venere è considerata
lo zenit), per 6 (più raro, presente nella cabbala e nella cultura messicana,
ottenuto aggiungendo alle direzioni precedenti il nadir); per 7 (i sette pianeti
nelle loro case zodiacali, quali si vedono già su una tavoletta di Khabaza e che
danno lo schema della settimana; l'eptagramma fornirà un modulo architettonico
medievale). Per 8 (e 16) è la divisione fondamentale etrusca e cinese.
Le note musicali rispondono ai pianeti; i colori altresì, essendo
il nero saturnino, il giallo gioviale, il rosso marziale, il purpureo solare, il
bianco venusiano, l'azzurro mercuriale, il verde lunare; i metalli del pari, al
punto che nell'antichità l'oro e l'argento avevano un rapporto di valore 1: 131/2,
uguale al rapporto del giro lunare di 27 giorni e dell'anno solare di 360.
La terra dei miti e dei riti risponde allo zodiaco: è un monte a
sette balze o climi, a due cime, con una valle nel mezzo: infatti sullo zodiaco
si disegnano i circoli del sole e della luna, che tagliano l'equatore in punti
distinti, sicché i loro punti più alti, ai due solstizi, formano la duplice
vetta.
Sulla terra le passioni umane simboleggiano questi dei celesti, e
nell'aria li simboleggiano i demoni, potenti soprattutto nella valle fra le due
cime, cioè ai pericolosi solstizi, tempo di stelle cadenti. Ogni
rappresentazione umana risponde a celesti passioni; gli archetipi sono la
tragedia, o morte del dio luminoso (o il conflitto fra le due metà della luna,
il cui animale è il caprone, τράγος e la commedia, storia del sole infero,
comico, del carnevale in cui il male vuole impiccare o crocifiggere (sulla croce
equinoziale) il dio di luce. I giochi del circo, ancora a Bisanzio, sono
imitazioni di vicende astrali e i balli originano da prototipi simili a quella
danza di cui un'iscrizione assira dice che raffigura un movimento circolare di
dei sopra un prato o paradiso dove si ergono due alberi, della vita (luna) e
della conoscenza e morte (sole), simbolo analogo alla montagna a due picchi. I
giochi hanno consimili avvii: in quello della salita al cielo, che celebra il
solstizio, tempo di stelle cadenti, si deve saltare fra 5 o 7 o 12 settori di
un'area, evitando l'inferno. Nei giochi di carte, di dadi e negli alfabeti
riappaiono simboli dei cieli, come anche nel ciclo medesimo dell'esistenza, che
è generata dai due opposti (settentrione-mezzodì, fuoco-acqua) e culmina
all'equinozio della giovinezza e al matrimonio solstiziale, tempo di luna piena,
di miele (v. Jeremias, 1913 e 1916; v. Winckler, 1907).
E. Siecke (v., 1907-1908 e 1908-1909) rintracciò la simbologia
lunare nei miti indogreci e Hüsing in quelli iranici, onde la luna nelle sue
varie funzioni appare come pastore, eroe, cacciatore, fabbro, teschio; come
orco, donna del sole, vergine, strega, vegliarda; come aquila, cinghiale, toro,
caprone, vacca, lepre; come palla, falce, sciabola, arco, pietra, dente,
coltello, caldaia, staccio, martello, scarpa, mulino, ruota, zoccolo, palazzo,
veste d'oro, armatura o scudo, pettine, corona, cuna, nave, corbello, fontana di
gioventù. La luna nuova è l'eroe neonato in culla (o nel guscio), che sarà fatto
a pezzi o decapitato o strozzato: l'ultima falce di luna è la sua decapitazione
con una sciabola lunata o la sua cottura nella caldaia, o la sua prova del fuoco
nel sole ardente, o l'estrazione del suo cuore o del suo fegato, cui segue la
rinascita. La lotta fra lucentezza e tenebra è un combattimento di draghi, ogni
dualità richiama le falci calanti o crescenti, ogni triade la luna nuova o
piena. La luna crescente è un serpente o un caprone cornuto o un toro o un
fantolino raggiante che rapidamente cresce e da giovinetto s'accoppia con la dea
solare o con Venere, va a caccia notturna per i monti, con la sua verga ricurva
e dorata regge le greggi di astri, fa crescere ogni seme e così porge, medico,
le erbe risanatrici. Sarà ferito da un mostro, cinghiale, orso od orco, scenderà
negl'inferi, sarà dio delle anime trapassate, ma tre giorni dopo riascenderà ai
cieli. F. Ehrenreich mostrò la concordanza di queste simbologie lunari e di
quelle solari, che sono parallele, poiché la debolezza notturna o invernale del
sole risponde alla luna nuova. La congiunzione del sole e della luna risponde al
matrimonio, alla fuga e al ritrovamento, o alla gemellarità, allo svelamento e
denudamento; Venere è spesso cuore, dito, arma, anello della luna (v. Ehrenreich,
1915).
E. Stücken esplorò i vari miti e le favole proponendo come
griglia simbolica universale le situazioni degli astri, ravvisando nel
protogenitore l'Acquario, nella protogenitrice Aldebaran, nel pargolo divino
fatto a pezzi il rapporto fra Toro e Scorpione, nell'albero cosmico la Via
Lattea. Egli suddivise ogni narrazione mitica o favolosa in motivi, giungendo
così a stabilire l'unicità di una serie di miti, da quello cosmologico
giapponese, alla discesa di Istar negli inferi, alla fuga di Hagar nel deserto e
alla leggenda di Orfeo, di Dioniso-Zagreus, di Medea e degli Argonauti, di Amore
e Psiche, alle storie di Mosè, di Lot, di Giuseppe e dei suoi fratelli, di
Osiride. Tutti rispondono infatti alla successione di undici motivi o simboli:
il pargolo fatto a pezzi, la separazione dei genitori, la fuga nell'aldilà della
genitrice, che dura 40 dì (il periodo di occultamento di Aldebaran), la
traversata dell'acqua giallastra, la calata negli inferi del genitore per
riprendervi la genitrice, l'errore di guardare ciò che non si dovrebbe, la
pianta della vite, il pettine, la veste, la contesa se sia meglio vivere o
morire, il denudamento. La versione giapponese è completa, in altre mancano
certi episodi, o si presentano con deformazioni più o meno cospicue. La psiche
tenderà a immettere in questo seguito di motivi archetipici ogni vicenda umana e
storica (v. Stücken, 1896-1907 e 1913).
E. Böklen seguiva lo stesso metodo nel decifrare i miti di Adamo,
di Caino e di Biancaneve; di quest'ultimo trovò 82 varianti, tutte riducibili a
trenta motivi o archetipi, fra i quali: la nascita soprannaturale; il nome
dell'eroina (Biancaneve, Rosa, Albero d'oro, Sole, Luna); la sua persecuzione
causa lo specchio; i tentativi di ucciderla o sacrificarla; la sua fuga presso
giganti o nani o trapassati, dove la persecutrice travestita la raggiunge e la
uccide con un frutto o un beveraggio o un ago o un vestito avvelenato; seguono i
motivi del lutto, del corpo incorrotto e messo a sedere, della bara trascinata
via da un animale, gettata nell'acqua, destinata al fuoco, e della salma
trasformata (in statua, in colomba) o ritrovata da un salvatore che se ne
innamora, la ridesta in vita, la sposa; dopo le nozze la persecuzione
ricomincia, Biancaneve sarà mutilata, ma infine la persecutrice sarà degnamente
punita (v. Böklen, 1910-1915).
Altre ricerche memorabili della Scuola furono quelle di W.
Schultz sul numero 8 e sul calcolo del tempo, e di C. Fries su Odisseo. La
tradizione della ricerca dei motivi sarà continuata da altre scuole fino a
redigere repertori esaurienti (v. Aarne, 1928; v. Liungman, 1938 e 1941).
L'accoglienza a queste riscoperte di così vasti lembi della
tradizione simbologica fu deleteria, la polemica si immeschinì concentrandosi su
questioni secondarie (come le modalità difficilmente documentabili
dell'eventuale diffusione del sistema cosmologico e dei simboli da Babilonia
alle altre plaghe del mondo) o sulla unicità della ‛rivelazione'. Il tentativo,
in larga parte riuscito, di soffocare questa rinascenza, rammenta quello
perpetrato un secolo prima contro l'opera di Creuzer.
4. Leo
Frobenius e la scuola morfologica
Il metodo comparativo e la capacità di afferrare la forma delle
civiltà attraverso i sistemi simbolici informarono anche l'opera di Frobenius,
che fu tra i primi europei a rendersi debitore di certe intuizioni simbologiche
a un'iniziazione indigena africana (si affiliò nel 1910 a una confraternita
yoruba). Grazie alla sua conoscenza della simbologia arcaica poté ricostruire il
senso del sacro che genera i diversi ‛paideumi', cioè le forme della civiltà che
sono venute via via degradando rispetto a un mondo arcaico in cui, nel III o nel
IV millennio, la conoscenza simbologica improntò l'intera esistenza. Frobenius
intuì che la persona umana in quei primordi dovette risolversi senza residui
nell'assunzione del simbolo, talché il re-luna restava fra il suo popolo finché
il suo segno celeste cresceva, e celebrava una grande festa al culmine dello
splendore astrale, per quindi velarsi e sparire con la luna calante, riemergendo
infine al primo profilarsi della falce. Le sue nozze con la prima moglie erano
una ierogamia con Venere e forse materialmente egli si lasciava uccidere quando,
sul declinare dell'anno di Venere, la luna entrava in congiunzione con una
costellazione disastrosa.
Frobenius (v., 1923, 1931 e 1933) classificò le civiltà in base
ai loro valori simbolici, identificando come atlantidee quelle che ripartiscono
cielo, città, fegato per 16, che tengono per maschio il sole e per femmina la
luna e fanno sprigionare tutto da un uovo.
L'Istituto Frobenius di Francoforte ha continuato l'opera del
maestro attraverso la rivista ‟Paideuma", sotto la guida, dal 1946, di A. Jensen,
studioso di popoli indonesiani e africani, che identificò il mitologhema o
plesso simbologico di Hainuwele o di Kore, in cui l'essenza del cibo, nella
persona di una vergine o di un eroe, si sacrifica per gli uomini (v. Jensen,
1948). Anche K. Kerényi trasse spunto dall'opera di Frobenius e dalla concezione
di monadi culturali o paideumi che mediano fra l'uomo e gli archetipi o
mitologhemi. Così il ‛fanciullo divino' si presenterà in molte rifrazioni, in
molti distinti simboli, ma sempre significherà l'archetipo d'una sintesi fra la
vita in germe e la mezza morte; così l'archetipo di Hainuwele o Kore indica un
evento che sarà simboleggiato come luna, grano, vergine-madre, e l'assunzione di
questi simboli, dall'Indonesia alla Grecia, porterà a sentire come proprio un
destino sopraindividuale: come propria esistenza l'Essere (v. Jung e Kerényi,
1941; v. Kerényi, 1969).
Analogamente R. Otto elaborò una teorica del sacro e una dottrina
del simbolo: il sacro non è un sentirsi elevati ad alti pensieri o spinti verso
opere commendevoli, ma è il senso della propria creaturalità accompagnato da
panico sgomento, dalla percezione di un'energia o urgenza colma di maestà, onde
si inorridisce per la dissimiglianza e si ardisce per la somiglianza fra sé e
l'ente che così si manifesta. Solo il simbolo può fermare quest'esperienza del
nume ineffabile, ed esso si accompagna a una ratio
aeterna o
filosofia perenne. Nella prefazione all'edizione inglese della sua opera, del
1923, Otto diceva che, riconoscendo la portata del non razionale nella
metafisica, non si rinuncia alla precisione e all'analisi accurata del
‟sentimento che perdura allorché il concetto vien meno, perché si introduce una
terminologia la quale, per il fatto di valersi di simboli, non è affatto più
vaga o indeterminata".
5. La
griglia simbologica astrale
L'altro impulso impresso dalla Scuola di Lipsia, la
determinazione della griglia simbologica astrale, fu seguito da una varia
pleiade di studiosi. V. Sinaiski (v., 1923) applicò questa griglia oltre che al
diritto, ai gesti simbolici fondamentali dell'uomo: ogni atto solenne, di
benedizione o di esorcismo, egli prospettava sullo sfondo dello zodiaco, mentre
ogni istituzione inquadrava in uno schema della città quale mappa celeste (dove
il luminare notturno sarà Lunus o Luna a seconda del campo di funzioni sociali,
dunque del settore cittadino, dal quale si consideri).
Ph. Ackerman svolse negli Stati Uniti studi analoghi a quelli
della Scuola di Lipsia. Prese l'avvio dall'iconologia e redasse un indice di
simboli con 6.000 schedature per l'Asia Institute di New York. La sua griglia
astrale poggia sulla dicotomia delle due costellazioni, quella che annuncia
l'estate (che è simboleggiata da un agricoltore o un musico) e l'altra che
prelude all'inverno (simboleggiata da un rozzo cacciatore o guerriero, Orione).
Nel Genesi le
due opposte figure sono Jabal e Jubal. Per lo più il cacciatore nomade uccide il
gentile agricoltore e musicista, che però risorge. In origine la primavera fu
segnata dallo Scorpione, dalla stella rossa Antares e si celebrava con la festa
del fuoco, ma col procedere dei millenni Orione diventò primaverile e lo
Scorpione invernale.
Al di sopra di queste tenzoni zodiacali sfolgora la costellazione
polare (anch'essa però soggetta alla precessione) e sarebbe la montagna dei due
picchi (come l'Olimpo o l'Ararat) o le mammelle dalle quali sprizza la Via
Lattea, simboleggiata da due contrapposti leoni o tori (e l'eroe che fra essi o
sopra di essi s'incontra così spesso sarebbe la stella polare). L'asse terrestre
che prolungandosi attinge la stella polare può a sua volta essere simboleggiato
da una montagna o da una piramide o da cinque montagne (le quattro direzioni più
il centro) circondate da un oceano che è la Via Lattea, cioè un oceano di latte,
rappresentabile anche da una ‛vacca che dà le misure' o dal seme che feconda la
vacca o, ancora, dall'utero o vaso, mentre la stella polare può essere
simboleggiata da un fallo, da un albero, da un anello (circolo circumpolare)
attraversato da una verga (asse cosmico) o da una ruota della fortuna o da due
gemelli in lotta.
La ripresa di tutta questa materia fu dovuta negli anni settanta
a una discepola di Frobenius, H. von Dechend, e allo storico della scienza G. de
Santillana, i quali ricostruirono il sistema insieme simbologico e scientifico
astronomico su cui si basava la civiltà fiorita attorno al 7000 a.C., per la
quale ‟le cose sono segni e segnature l'una dell'altra, inscritte nell'Ologramma
[...] e il Numero le regge tutte" (v. de Santillana e von Dechend, 1969).
Per intendere la simbologia arcaica occorre rammentare che la
terra è il piano dell'eclittica, che è inclinata di 230 rispetto all'equatore,
sicché la parte settentrionale dello zodiaco è la terra secca e la meridionale
(che va da Capricorno ad Ariete) è il mondo delle acque profonde. La terra sorge
dunque dalle acque con l'Ariete, riaffonda con la Bilancia, ma nel 5000 a.C. i
due transiti avvenivano nei Gemelli e nel Sagittario e fra questi due cardini
s'inarcava la Via Lattea, la quale era allora un coluro equinoziale e tagliava
l'intersecazione dell'eclittica e dell'equatore; di qui il linguaggio simbolico
che parla dei tempi in cui la via fra cielo e terra era aperta e che significa
il periodo in cui gli incroci fra eclittica ed equatore coincidevano con quelli
fra eclittica e Galassia. Gli altri due cantoni dello zodiaco erano la Vergine e
i Pesci. Al di sopra splendeva la stella polare e al di sotto Canopo.
Quando l'eclittica s'inclinò rispetto all'equatore, si disse che
Urano era stato castrato da Crono-Saturno, il signore delle misure, il
Tempo-Morte (in sanscrito Kâla). Ancora Milton nel Paradiso
perduto simboleggia
la caduta con l'inclinazione dell'eclittica rispetto all'equatore e il frutto
indebitamente mangiato col sole che si allontana. Allo scadere dei cicli cosmici
muta il coluro equinoziale, detto anche ‛fuoco' (nelle scritture vediche Agni,
il dio del fuoco, circonda gli altri dei zodiacali, come un cerchione attorno ai
raggi di una ruota), donde i miti simbolici imperniati sul furto del fuoco; il
mutar dei cicli è segnato dallo spostamento del polo settentrionale del cosmo e
simboleggiato da un ruotare di macina (il cui manico è in sanscrito manth-, donde
Pramantha, il greco Prometeo, cui corrisponde in Messico Quetzalcoatl). Si parla
simbolicamente del mondo che è distrutto e ricomposto secondo misure fissate dai
‛sette saggi', i sette astri dell'Orsa, e questa simbologia, che vige in India,
la ritroviamo anche presso i Dogon africani. Sono nozioni già fondamentali nel
linguaggio simbolico del tardo Neolitico e i numeri che le denotano si ritrovano
nelle civiltà più disparate: il grande anno babilonese conta 432.000 anni (40 ×
10.800), la tradizione nordica insegna che 540 sono le porte del Valhalla e che
alla fine del ciclo ne usciranno 800 guerrieri (540 × 800 = 432.000), nel ṚgVeda ci
sono 10.800 stanze di 40 sillabe, Eraclito attribuisce 10.800 anni all'eone, ad
Angkor 540 statue di dei e di demoni sono in atto di frullare l'oceano
primordiale o Via Lattea, cioè di cagionare la precessione.
Il tempo si volge secondo misure fisse e simboleggia così il ‛medesimo',
imitando l'eternità; i pianeti si muovono in direzione opposta sull'eclittica,
che simboleggia il ‛diverso'. I moti celesti avvengono in virtù dei numeri
corrispettivi, le vicende dei mortali in virtù degli astri, onde simbolicamente
si dice che i mortali sono seminati dagli astri e macinati dal mulino del tempo.
Il principio da cui parte la ricerca di Hamlet's
mill suona:
‟Ogni schema che appare nei miti dall'Islanda alla Cina, all'America
precolombiana, per il quale si trovino allusioni in Platone, vacilla sotto il
peso dell'età e si può accettare per moneta autentica. La regola vale fin da
quando H. Baumann riconobbe il mito narrato da Aristofane nel Simposio nei
miti sulla bisessualità in Africa" (v. de Santillana e von Dechend, 1969, p.
311).
6. La
riscoperta del pitagorismo
Se questa griglia astronomica cominciò a essere delineata con la
Scuola di Lipsia, un'altra era stata individuata nell'Ottocento da A. von Thimus,
che in Die
harmonikale Symbolik des Altertums precorreva
la simbologia attuale, distanziandosi dagli studi d'un Creuzer o d'un Bachofen.
La sua opera è stata ripresa in questo secolo da H. Kayser. La griglia di Kayser
e von Thimus è probabilmente la stessa dei pitagorici antichi, cioè un sistema
binario in cui rientra ogni corrispondenza simbolica, che si può rappresentare
graficamente come un angolo (a forma di L, donde il nome ‛lambdoma') sul cui
lato destro si segnino i valori 1/1, 2/1, 3/1 → ∞ e sull'opposto i valori 1/1,
1/2, 1/3 → 0. A questi valori si possono far corrispondere le note della serie
delle armoniche sul lato destro e la serie stessa rovesciata sull'opposto (do,
do′, fa′ ecc.; do, do′, fa, ecc.). A partire da ogni valore si traccia una retta
e lo spazio dell'angolo sarà quadrettato: si avrà una griglia basata sul sistema
binario delle due serie di numeri, quella tendente allo zero o ‛limitante', e
quella tendente all'infinito o ‛illimitante', e poiché ogni nota e numero sono
punti di partenza per identificazioni simboliche, ogni cosa rientrerà in questo
pleroma, in un luogo determinato dalla sua ‛quantità'. Kayser applicò questo
lambdoma alle proporzioni architettoniche, alla crescita delle piante e alla
cristallografia, e in base alla reversibilità dei simboli dedusse che, se vigono
le note uguaglianze pitagoriche fra porzioni di corda vibrante e intervalli
musicali (per cui 1 : 2 corrisponde all'ottava, 2 : 3 alla quinta, 3 : 4 alla
quarta), si può affermare che una medesima realtà è simboleggiata da numeri sul
piano aritmetico, da suoni su quello acustico, e che si possono udire pertanto i
numeri e le proporzioni architettoniche, così come le armonie musicali si
possono vedere pietrificate, cristallizzate, divenute piante o edifici. Dovunque
lo sviluppo formale non sia turbato, risulta armonico: negli anfratti, dove sono
scongiurate erosioni ed eruzioni, lo dimostra la cristallizzazione (v. Kayser,
1937, 1938 e 1950).
J. Schwabe (v., 1951) riportò sulla griglia del lambdoma quella
astronomica: gli bastò semplicemente incurvare i due lati del lambdoma stesso sì
da comporre un cerchio, congiungendoli all'altezza della settima misura (7/1 e
1/7 così coincidono) e trasponendo su questo cerchio lo zodiaco. Grazie a questa
griglia Schwabe spiegò un ingente numero di simboli, specie caduceiformi e
spiraliformi. La rivista di Schwabe, ‟Symbolon", divenne il punto d'incontro
degli studiosi di simbologia degli anni cinquanta e sessanta. C. von
Korvin-Krasinski vi espose una riduzione alla griglia zodiacale di Schwabe della
cosmogonia indotibetana con tutto il correlativo sistema di classificazione
universale, nonché delle dieci categorie aristoteliche (la ‛sostanza'
corrisponde quindi al piano delle ‛energie caloriche' indotibetane, che sono la
forma formante delle rocce, degli scheletri, dei muscoli e del sistema
linfatico; il ‛sito' alle nubi, all'epidermide e alle mucose, ai denti, ai
becchi, ai petali dei fiori e ai cristalli; l'‛abito' alla terra, agli strati
cornei, alle piume e ai peli; il ‛dove' alla forma formante dell'aria, che
plasma le ghiandole sebacee, sudorifere, lacrimatorie, e al petto; la ‛quantità'
alla forma formante delle piante, che regge stomaco, reni, intestino, nonché le
radici; la ‛passione' al sesso; il ‛quando' alla forma formante degli animali,
donde originano i venti, le oscillazioni cardiache e polmonari e quelle fra
veglia e sonno, coraggio e paura; la ‛qualità' alla forma formante dell'umanità,
donde i frutti, le lingue e le mammelle; l'‛attività' alla forma formante degli
‛spiriti', donde gli sguardi, il cervello, i grani, le noci e i loro oli
essenziali; la ‛relazione' all'udito, al canto e all'intuizione dei primi
principi). In ulteriori studi Korvin-Krasinski (v., 1953 e 1960) fece
corrispondere i giorni della creazione biblica, nell'ordine, alle categorie
aristoteliche della relazione, del sito, della quantità, della passione, del
quando, della qualità e dell'attività.
R. Haase (v., 1966 e 1969) continua l'opera di Kayser e ha
fondato nel 1967 un Istituto di ricerche armoniche presso l'Accademia di musica
e arti figurative di Vienna.
7. Marius
Schneider
L'opera maggiore nata dalle premesse gettate da Winckler agli
inizi del secolo è quella di Schneider. Schneider trasse spunto sì dalle
indagini di K. Sachs (v., 1929) sulla simbologia degli strumenti musicali ma,
come Frobenius presso gli Yoruba, apprese da maestri Duala i principi della
conoscenza simbolica.
Egli partì dal principio che l'origine dei simboli figurativi,
rituali e mitologici è sempre acustica e ritmica: il ritmo simbolo è la forma
formante comune alla serie di realtà analoghe scaglionate nei vari piani del
cosmo; gli sono propri un'idea, un sentimento, un motivo architettonico,
pittorico, un colore, una pianta, certe persone e posizioni; mentre la
morfologia distingue orizzontalmente i vari oggetti secondo i loro caratteri
fenomenici, la simbologia statuisce le loro analogie verticalmente (collega ad
esempio l'uomo al suo animale totemico): si espresse originariamente in
urli-simboli, in seguito fu articolata in un'ottava di ventidue intervalli (in
sanscrito shruti o
divine rivelazioni). Lo schema simbologico primitivo, preagrario, mostra i
seguenti isomorfi sulla linea orizzontale e isoritmi sulla verticale (v.
tabella).
Tabella
Nei primordi i manufatti sono polivalenti e perciò manifestamente
simbolici: il vaso serve a bere, a battervi un ritmo, a raccogliere il sangue
sacrificale; i proiettili sono anche rombi. I sistemi successivi, delle alte
civiltà, complicano lo schema sovrapponendo alle quattro filze il ‛circolo delle
quinte' (fa-sole, sol-Giove, la-Venere, si-luna) e via via altri elementi, fino
a comporre un gioco di corrispondenze complesso, sempre però radicato nel piano
acustico (il do materializzandosi diventa nel cielo Marte, fra gli animali il
caprone, nell'anno la primavera, ecc.). Riportando in questa griglia delle alte
civiltà i dati intorno al problema della musica delle sfere, specie quelli
riferiti da Platone, Schneider ne ha fornito la soluzione. Altra riprova
sperimentale fu la spiegazione che egli diede della simbologia dei chiostri
catalani (le figure sui capitelli del chiostro di San Cugat tradotte in note
forniscono la melodia dell'inno gregoriano a san Cacufane). La griglia musicale
si può infine trasporre punto per punto sull'astrolabio e coincide così con la
griglia astronomica; i bronzi del Luristan in particolare, ma anche molti altri
schemi figurativi tradizionali sono ricalcati sull'astrolabio, mentre lo schema
narrativo corrispondente è l'ascensione sciamanica. L'astrolabio simboleggia
altresì le fasi della cosmogonia, la quale è la storia del calarsi del
simboleggiato nei simboli, dapprima sonori e poi materiali. Il mondo che sta di
là da ogni forma è lo spazio puro, cioè un puro ritmo inaudibile, che si rende
quindi percepibile mercé l'aria, il respiro, dando origine così ai ‛nomi' delle
cose: il Verbo è il linguaggio originario che attua creativamente la forma
dinamica delle cose nominandole, ovvero emettendo un puro suono ritmato,
compiendo un sacrificio di suoni. Questa energia fluida e acustica nei miti è
simboleggiata dalle ‛acque primordiali' donde scaturisce il ‛suono-luce'. Il
trapasso da questo piano a quello concreto è simboleggiato dagli strumenti
musicali e dalla caverna. Il simbolo da un verso è qualcosa di dato all'uomo
(nel tuono si coglie il dio della tempesta) e dall'altro è qualcosa che l'uomo
si foggia (inscenando un rito); ‟esperienza simbolica vuoi dire: prestare
ascolto, adattarsi, ubbidire e rispondere imitando" (v. Schneider, 1955 eNatura
e origine..., 1971).
Questo schema cosmogonico si riflette anche nella struttura del
linguaggio, come hanno dimostrato le ricerche filologiche condotte sulla
falsariga delle indicazioni di Schneider e per l'ambito indoeuropeo e per quello
semitico (v. AA. VV., 1972). In modo del tutto indipendente e in diversissime
temperie vari altri autori hanno riscoperto la conoscenza simbologica.
8. Simone
Weil e René Guénon
L'abbrivo per Simone Weil fu lo studio delle fiabe nonché della
matematica e geometria simboliche dei Greci. La ‛giustizia' dei Greci era un
quadrato, cioè un numero di cui esiste una media geometrica fra esso e l'unità;
dati 13-9, 1 è Dio, 3 il mediatore e 9 l'uomo, che sta al mediatore come questo
a Dio: si compie nel mediatore l'unione del limitante e dell'illimitante
(appartengono al ‛limitante' la creatura, la natura, la materia). La croce,
ovvero l'intersecazione di due diametri perpendicolari, rappresenta l'unità come
media proporzionale di se stessa (1/1 = 1/1) e quindi la mediazione per
eccellenza, nonché la base d'ogni applicazione simbologica: un frutto sul ramo è
tirato verso l'alto dal sole (che nutre l'albero) e verso il basso dal peso:
rispettivamente dunque dal fuoco solare e dall'acqua lunare, dal Padre e dal
Figlio, e la forza dei succhi e dei semi è lo Spirito. L'eclittica è l'‛altro',
i ‛Titani' sono i suoi segni; l'asse terrestre è il ‛medesimo'; gli equinozi
sono l'armonia dei due opposti. La colonna vertebrale è l'asse, l'albero del
bene (ascendente) e del male (discendente).
Queste riscoperte simbologiche della Weil le consentirono di
connettere la riflessione teologica trinitaria con la matematica, la geometria,
l'astronomia e il ciclo clorofilliano: ‟leggere nel polo l'unità di Dio, nella
rotazione delle stelle fisse l'atto eterno della Trinità, nell'incrocio
dell'equatore con l'eclittica, il cui punto d'incontro è l'equinozio di
primavera, la Croce - non si tratta con ciò di simboli, ma di un contatto, come
l'eucaristia. Il ‛mediatore' è nato al punto in cui il cerchio dell'‛altro' è
più lontano dal cerchio dell'‛identico', ed è morto al punto dove si incrociano"
(v. Weil, 1951-1956, vol. II, p. 399).
Queste riscoperte della Weil avvengono contemporaneamente, ma
quasi senza contatto con quelle di René Guénon. La griglia che egli prescelse fu
la metafisicavedānta quale
teoria gerarchica dell'essere, secondo la quale ogni esistenza, procedendo da un
principio metafisico che è la fonte della sua realtà, manifesta il principio,
appunto, secondo una modalità specifica sicché, da un ordine di realtà
all'altro, tutte le cose sono concatenate e si corrispondono, creando cosi
l'armonia, la gerarchia del tutto, la quale, nella molteplicità della
manifestazione, è come un riflesso della stessa unità principiale. In tali
termini Guénon enunciò, in
limine alla
sua analisi simbologica della Croce, i sommi criteri ermeneutici della
simbologia. I simboli sono polivalenti perché possono indicare, piano dopo
piano, tutto ciò che li connette al Principio supremo, cioè tutta la trafila
delle cause seconde che li collegano alla Causa prima. La funzione del simbolo è
di far sentire e di far consentire alle realtà superiori, che sono inesprimibili
nel linguaggio discorsivo, e simboli per eccellenza - si insegna in Aperçus
sur l'initiation -
sono quelli ‟trasmessici di epoca in epoca senza che si possa assegnare a essi
un'origine storica" e che formano la Tradizione primordiale. Una vita conforme a
questa ‛tradizione' è un tessuto di atti simbolici e ogni mestiere tradizionale
simboleggia la cosmogenesi. Uno dei massimi repertori di simboli tradizionali è
la raccolta postuma Les
symboles fondamentaux de la science sacrée. L'insegnamento
di Guénon fu ripreso da Fr. Schuon (v., 1953), il quale ribadì che il simbolo è
la realtà simboleggiata nella misura in cui questa è limitata dal piano su cui
si manifesta: il sole non è Dio, ma non è nemmeno pura materia incandescente,
perché, così dicendo, lo si separerebbe dalla Causa prima.
T. Burckhardt richiamò la dottrina indiana per cui il simbolo è pratika, cioè
un mezzo per un'attuazione spirituale, e quella coranica, per cui la realtà
sensibile è sempre un cenno. Il simbolo manifesta l'archetipo in virtù d'una
legge ontologica e questo è il suo profilo verticale, mentre orizzontalmente si
pongono in rapporto le forme situate sullo stesso piano, per cui sole e folgore
sono entrambi coordinati verticalmente allo Spirito, ma l'uno ne svela l'aspetto
creativo, l'altro quello distruttivo. Simboli fondamentali sono il cerchio
(l'unità, il cielo, la generazione) e il quadrato (la legge, prima
manifestazione, la terra, la concezione). A Burckhardt si deve altresì un
equilibrato esame della simbologia alchemica, campo dove ha dominato il massimo
arbitrio. Sulla rivista guénoniana ‟Études traditionnelles" sono comparsi via
via vari studi simbologici (come quelli di J. L. Grison sulle pietre preziose,
le zucche, la pietra e la caverna).
9. Ananda
Coomaraswamy
Accanto alla scuola guénoniana improntata al Vedānta operarono
anche i pensatori tradizionali indiani, fra i quali somma eminenza spetta a
Coomaraswamy, che dal 1917 diresse l'Istituto di arte islamica e indiana del
Museum of Fine Arts di Boston, fino alla morte, nel 1947. Egli procurò di
spiegare agli Occidentali come nelle civiltà tradizionali non esista
decorazione, poiché ogni ornamento ha un valore magico e metafisico, sicché i
simboli solari sui finimenti dei cavalli rendono sole il cavallo, e sono congrui
sopra un bottone perché al sole ogni cosa si riattacca. Egli propose l'idea d'un
museo come griglia simbologica, onde andrebbero posti l'uno accanto all'altro
cocci neolitici, coni indiani e figurazioni medievali dei sette doni dello
Spirito Santo: sono infatti affermazioni concordi dell'universale dottrina dei
sette raggi del Sole. Così una porta del sole egizia, il Pantocratore di
un'abside bizantina, il buco nel tetto della capanna sciamanica, l'apertura del
tempio di Giove Termine sono tutti la medesima porta per la quale si evade dal
mondo. Aquila e leone ‛sono' il sole in una delle sue manifestazioni: ogni casa
tradizionale è il cosmo in piccolo e questo ci sconcerta soltanto perché siamo
abituati oramai a interessarci soltanto di ciò che le cose sono, a scapito di
ciò che esse significano. Mirabili analisi di simboli, come quella dell'arco o
della fonte di gioventù, sono sparse nell'opera di Coomaraswamy (v., 1977).
Tra gli Indiani che procurarono di risuscitare la conoscenza
simbolica celata neiVeda, oltre
a Shri Aurobindo va menzionato Vasudeva Agrawala (v., 1963) che additò il
carattere vertiginoso della proliferazione vedica dei simboli; esempio di tale
proliferazione è la vacca, che è il principio creativo, è nutrita dall'acqua
piovana, da questa trae il latte, purché fecondata, sicché il latte è simbolo
d'amore, e lo rende diverso dall'acqua il burro, infiammabile, dunque fuoco, e
fuoco è anche il seme, il maschio, ma vacche sono i Veda, se
la mente li munge e ne trae un fuoco intellettuale.
10. Da
Griaule a Lévi-Strauss
La tradizione esoterica africana, dopo i suggerimenti forniti a
Frobenius e a Schneider, diede l'avvio alla nuova etnologia, nata il giorno in
cui M. Griaule fu convocato da un iniziato dogon per riceverne una parte delle
conoscenze tradizionali. L'insegnamento simbologico dogon porta a quella stessa
vertigine che dà la lettura appropriata dei Veda. All'inizio
fu Dio, esso insegna, un uovo diviso in quattro ovoidi o ‛clavicole': semi
dell'aria, del fuoco, della terra, separati dalle quattro direzioni dello
spazio, e i segni tracciati nell'uovo sono le idee fondamentali del cosmo. Ce ne
sono 266, due segni guida, di Dio, e 264 distribuiti in 22 categorie di ‛cose
regie' con 12 segni ciascuna. Questi segni intemporali generano le cose
temporali e corrispondono ai 266 astri maggiori; ogni cosa regia ha 12 elementi
e ciascuno d'essi comporta 22 coppie: 11.616 sono i segni dal punto di vista del
maschio; altrettanti dall'opposto. In dogon si dice: ‟Soltanto il simbolo (la
parola del mondo) è la testa (la cosa importante)". Per l'iniziato dogon fra
Sino e il sacrificio, il matrimonio e la prugna, l'arpa e la tessitura, l'abito
e il Verbo, il demiurgo e il detrito il nesso è lampante, immediato.
Da Griaule presero le mosse i suoi discepoli, da G. Dieterlen
(per la tradizione dogon e bambara) a D. Zahan (il quale applicò la teoria
dell'informazione alla dottrina delle corrispondenze, mostrando su esempi
africani che i simboli celesti acquistano valore opposto sul piano terrestre
grazie all'opera di ambigui mediatori), a S. de Ganay (fra i suoi studi di
simbologia bambara va rammentato quello di un oggetto ipersimbolico, l'asse di
legno affilato con cui si scalca la carne, che è un'ara, un oracolo, il Libro,
il turbine primordiale, una compendiosa planimetria del cosmo, la serie degli
archetipi e l'Unità). Allievo di Griaule fu anche J. Servier, che rintracciò
l'affinità dei simboli mediterranei attraverso lo studio del mondo berbero. Gli
si deve la critica dello strutturalismo di Lévi-Strauss come acefalo, in quanto
amputa il linguaggio rifiutando di proporne un destinatario non umano,
invisibile, il cui simbolo sia l'origine dei segni comunicativi.
Lévi-Strauss raccoglie l'eredità della scuola di Mauss e di
Granet, il grande storico del pensiero cinese e dei suoi sistemi simbolici, e
non osa perciò disfarsi del vecchio dogma sociologistico per cui ogni conoscenza
simbolica ha come causa (finale ed efficiente) la società, supremo analogante.
Tuttavia egli riconosce al simbolo una funzione terapeutica in quanto provoca
un'abreazione. Lo sciamano come lo psicanalista è oggetto d'un transfert e
mercé le rappresentazioni simboliche del malato diventa protagonista del
conflitto. Questa funzione terapeutica del simbolo è ribadita anche da metodi
psichiatrici come quello della Séchehaye (v., 1947), in cui il terapeuta deve ‛attuare'
il simbolo liberatore mercé più atti discontinui che simboleggino ciascuno un
elemento della situazione; altro metodo di cura che indusse Lévi-Strauss ad
approfondire la valutazione del simbolo fu il sogno di veglia del Desoille. La
teoria del mito come rapporto di equivalenza che si statuisce fra situazioni in
conflitto fra loro, sviluppata da Lévi-Strauss con un apparato di simboli
algebrici, è una conferma della potenza liberatrice del simbolo; i vari simboli
di soverchianti, onnivori vincoli di sangue (Cadmo cerca Europa, Edipo sposa
Giocasta, Antigone seppellisce Polinice) sono posti in rapporto con altri
simboli-motivi che denotano viceversa il rifiuto dei vincoli (sterminio dei
consanguinei, Edipo uccide Laio): se si afferma che equivalente a questo
rapporto è l'altro, che si stabilisce fra i simboli dell'autonomia umana (Cadmo
uccide il drago, Edipo la sfinge) e quelli opposti, dell'umana infermità (Labdaco
padre di Laio è zoppo, Laio sbilenco, Edipo piè-gonfio), si sarà risolto il
primo antagonismo, trasferendolo su un piano distinto e omologo. Nonostante la
messe di analisi simbologiche memorabili (fra tutte quella dell'opposizione tra
miele e tabacco), Lévi-Strauss permane fermo alla dicotomia di natura-cultura
quanto Cassirer ai suoi tempi.
11. Georges
Dumézil e Mircea Eliade
Del pari G. Dumézil, senza giungere a una teoria del simbolo, ha
fornito una sua griglia triadica per l'interpretazione dei simboli grazie ai
vasti studi sulla tripartizione dei popoli indoeuropei; sul piano più alto sono
i sacerdoti - brāhmani,flamines,
druidi -, la coppia divina Mitra-Varuna, Romolo-Numa o Giove, Odino-Tyr: il
color bianco; sul piano intermedio i guerrieri, in India i Marut o Indra, a Roma
Tullo Ostilio e Marte, nel Nord Thorr: il color rosso; sul piano inferiore gli
agricoltori, in India gli Ashvin e Sarasvati, a Roma Quirino e Ops, nel Nord
Njordhr e Freiya: il verde. La tripartizione fu estesa dai discepoli ai simboli
corrispettivi delle leggende germaniche (l'anello, la spada, il pane, secondo L.
Gerschel), alle tre medicine (secondo Benveniste, in contrasto però con Dumézil,
le cure per incantamento, per chirurgia e con pozioni).
Mircea Eliade ha dato come chiave d'interpretazione simbolica la
tematica universale del ‛ritorno all'Origine': i vari simboli sono per lui
aperture su un mondo transtorico, sono ierofanie, rivelazioni di verità
altrimenti inesprimibili, onde il Cristo si può dire il simbolo
dell'Incarnazione. Usando il gergo jaspersiano egli chiama ‛cifra' il simbolo in
quanto svela un modo dell'essere (così l'acqua è tutto ciò che c'è di caotico e
potenziale) e ne mostra il carattere polivalente (la luna è acqua, periodicità,
crescita vegetale, donna, tessitura) quanto unificante (il ritmo lunare intesse
tutte queste cose), paradossale e transideologico. Deduce due regole: il simbolo
che in una certa epoca ha avuto un valore trascendente, lo avrà avuto anche in
precedenza; dalla gamma di significati che assume nel suo sviluppo più vasto si
può partire per accertare quelli minori.
I casi nei quali si illustra meglio il tema del ritorno
all'origine furono forniti a Eliade dall'opera di H. Schärer sulla tribù del
Borneo dove ogni atto e oggetto lo simboleggiano (la casa ha il tetto ripido
perché è la montagna cosmica; lo sono anche l'ombrello e l'albero che gli sposi
toccano per ripristinare il pleroma precosmico), e dagli studi di T. G. H.
Strehlow sugli Aranda australiani e sui loro oggetti simbolici privilegiati, i tjuringa (oggetti
rituali che rappresentano gli esseri primordiali dai quali provengono i vivi, e
che consentono agli iniziati di rammentare il paradiso originario).
12. La
psicanalisi
Mentre nel sistema freudiano non c'è traccia di conoscenza
simbolica (il simbolo denota per Freud un desiderio represso: la sua griglia
interpretativa è una sorta di gioco di equilibri psichici, che vale soltanto
nella misura in cui sia esclusa un'esperienza del trascendente), Jung, che
rimproverava appunto a Freud di confondere i simboli con i segni o sintomi,
ravviso in essi il fattore unificante, conscio e inconscio, e la possibile
prefigurazione dello sviluppo psichico di chi ne sia colpito. Il simbolo
pertanto ‛genera vita' e ha una funzione ‛trascendente' (che però significa per
Jung soltanto che esso aiuta a superare uno stadio di squilibrio per dare
accesso a uno più integrato). ‟Vivi simbolicamente" - insegna Jung - intese dire
il Cristo invitando Nicodemo a rinascere. Insieme col fisico W. Pauli, Jung (v.,
1952) delineò la teoria dell'unus
mundus, ovvero
del campo unico in cui tutti i fenomeni sincronistici sono correlati, e da essa
prese le mosse per sostenere che un fatto esterno, per coincidenza
significativa, può essere simbolo di un fatto interiore, segnando una nevrosi o
una guarigione; egli riabilitò così le pratiche divinatorie e il loro
simbolismo. Il simbolo inoltre incarna un archetipo, e questo è un campo
magnetico che turba la psiche la quale vi si accosti, colpendola sotto forma o
d'impulso o di immagine-idea, cioè di simbolo; se l'archetipo è in parte
riconosciuto e vissuto coscientemente, non si produce nevrosi (ma è necessario
che l'archetipo resti parzialmente in ombra, altrimenti dal simbolo si scadrebbe
nell'allegoria), viceversa se la psiche rilutta ad accettarlo, il simbolo
diventa ossessione o allucinazione. Per lasciar emergere l'archetipo Jung
suggeriva un allentamento della coscienza che facesse affiorare le immagini fino
al costituirsi di un simbolo adeguato.
Da Jung prese l'avvio l'iniziativa degli ‟Eranos Jahrbücher",
alla quale collaborarono variamente Kerényi, Radin e altri; nella sua scuola,
ancora attivissima, va segnalata l'opera simbologica di M. L. von Franz e quella
di J. Hillman, il quale ha approfondito sia il metodo che i concetti
fondamentali di archetipo e di simbolo, rinnovando lo junghismo ed evitando la
sua degenerazione in una ‛scolastica'. Testimoniano di quest'opera
incessantemente innovativa le annate della rivista zurighese ‟Spring".
Parzialmente sulla scorta di Jung, G. Durand ha ordinato i
simboli fondamentali secondo le categorie della distinzione (o regime diurno),
dell'unione e della confusione (o regime notturno). Il regime diurno ha come
schemi le antitesi, separare-mescolare, salire-cadere, e come rispettivi
archetipi puro-impuro, chiaro-scuro, alto-basso, i cui simboli sono
luce-tenebra, aria-miasma, arma-nodo, battesimo-sporcizia e dall'altro lato
cima-abisso, cielo-inferi, capo-inferiori, eroe-mostro, alato-rettile. Il regime
notturno dell'unione ha per schemi maturare-tornare, come archetipo
avanti-indietro, come simboli fuoco-ruota, figlio-croce, albero-luna,
germe-androgino. Il regime notturno della confusione è retto dallo schema della
discesa e penetrazione e ha per archetipi la profondità e l'intimità, e per
simboli il microcosmo, la dimora, il bambino e il centro, la notte e il fiore,
la madre e il cibo.
Ch. Baudouin creò fin dal 1924 a Ginevra una scuola di impronta
junghiana, l'Institut international de psychagogie, pubblicandovi la rivista
‟Action et pensée", dove comparve la prima diagnosi simbologica, dovuta a R.
Meignez (v., 1963), delle tecniche di gruppo come ambienti inferi dominati da un
animatore che impersona il Dio dei nodi o Varuna. Ispirata a Durand e a Eliade è
l'opera della Société de symbolisme, che, fondata a Ginevra da M. Engelson, è
venuta stampando i ‟Cahiers internationaux de symbolisme" a Bruxelles. Della
medesima tendenza sono altre ricerche recenti (v. Chevalier e Gheerbrant, 1969;
v. de Champeaux e Sterckx, 1966). Presso l'Università di Grenoble è ora attivo
il Centre des recherches de l'imaginaire, che ha per organo la rivista ‟Circè".
Vi si è affiancato, dopo il suo secondo convegno del 1970, un gruppo di ricerca
dell'Università di Genova.
13. Henry
Corbin
Di recente questi vari centri hanno subito in misura sempre
maggiore l'influsso dell'opera di H. Corbin, che ha riesumato la simbologia
della scuola shī′ita iraniana di Sohrawardi e la sua dottrina di una facoltà
autonoma dell'uomo, l'‛immaginale', che ha come suoi corrispettivi oggettivi il
‛mondo intermedio', nel quale si colgono gli ‛archetipi luminosi', e il corpo ‛sottile'
dell'uomo. Nel mondo intermedio ovvero immaginale si schiudono le rivelazioni
profetiche, si compiono gli eventi della storia sacra, i fatti narrati dai
visionari, e si avvera la risurrezione, si stagliano le forme di cui le figure
terrestri sono riflessi, ovverossia ‛gli angeli signori delle specie' (delle
acque, delle piante, del fuoco, ecc.) i quali impartiscono coesione, destino
agli esseri materiali. Essi proiettano come per sortilegio la loro figura (o
aura o talismano o verbo imperativo) sul mondo materiale, che di per se stesso,
senza tali riflessi, sarebbe mera notte. Il tempo del mondo intermedio è ‛sottile',
un giorno e un millennio vi sono tutt'uno, il prima e il poi sincroni. In esso
ogni creatura ha il suo angelo-idea.
Grazie a queste dottrine riesumate da Corbin, rivive una
concezione del simbolo simile a quella dantesca, che Corbin espressamente
contrappone come tradizionale allo storicismo e allo strutturalismo.
14. Altre
fonti di conoscenza simbologica
Come Corbin dalle dottrine dei sufi, Guénon dal Vedānta, Griaule
dalla sapienza africana, altri trasse da fonti tradizionali consimili una
conoscenza simbologica analoga, segnatamente dalle civiltà indigene d'America
(v. AA. VV., 1970; v. Schwabe, 1951). I documenti figurativi della preistoria
imposero, d'altra parte, di contemplare i loro simboli e le loro sequenze come
un autonomo linguaggio, e va segnalata la rivista berlinese ‟Ipek" che, dal
1925, opera sotto la guida di H. Kühn, per il quale il simbolo preistorico è una
liberazione dall'hic et
nunc, una
visione cioè del trascendente quale centro del tutto: ai primordi il simbolo non
fu inciso ma vissuto e consistette in un sacrificio, per poi articolarsi,
attorno al 40000 a.C., in simboli femminili, di nascita, e maschili, di morte,
cui s'aggiunse col Paleolitico il simbolo del ritorno ciclico, la spirale (v.
Kühn, 1929). Tra gli studiosi della simbologia preistorica spicca A.
Leroi-Gourhan, preoccupato soprattutto di far parlare i simboli stessi. Egli
applica la statistica alle frequenze delle collocazioni rispettive, in tratti
specifici delle caverne, di due classi di segni: allungati (bastoncini, punti,
ramificazioni) e pieni (ovali, rettangoli), aggregando ai primi il cavallo, ai
secondi la donna, l'uro, il bisonte. Ne risulta che i secondi sono sempre al
centro delle sale e nelle strozzature che vi sbucano. Si giunge così a stabilire
delle costanti tematiche che dimostrano il carattere articolato di questo
linguaggio simbolico, pari a quello delle cattedrali, e testimoniano che ‟l'uomo
non può apprendere e assimilare che attraverso i simboli della creazione".
Aggiungendo alle testimonianze della preistoria i primi documenti
figurativi dell'area estremorientale, polinesiana e americana, anche C. Ph.
Hentze ha saputo far parlare i simboli stessi, allineandoli in sequenze
intuitivamente significative. Ritrova anche lui il sistema binario (che diverrà
nella filosofia cinese la teoria delloyin-yang)
nei gufi (yin)
con occhi solari (yang);
la triade (cielo-terra-tenebra) nei meandri e labirinti; l'idea della tradizione
nelle spirali, negli angoli in serie; il rinnovamento spirituale e l'idea del
custode celeste nel motivo dell'uomo vomitato dalla belva, della dea con testa
turrita o recante un vaso cui si dissetano serpenti, o delle belve dalla cui
spina dorsale sorgono colonne o vasi o steli in boccio, a calice. Fra coloro che
su documenti arcaici hanno compiuto letture simili vanno almeno segnalati J.
Strzygowski, che scoprì nella cattedrale il motivo della montagna a due picchi;
A. Salmony, cui si deve la dimostrazione del nesso fra luce e voce nelle
figurazioni di teste cornute con la lingua pendula; M. Riemschneider che,
partendo dalle figure ittite, stabilì la omologabilità della città, del fegato,
delle tavole da gioco, degli animali sacri; L. Charbonneau-Lassay, l'esoterista
cristiano che allineò i vari simboli del Cristo; R. Eisler, che ravvisò fra
altre la costante simbologica dell'omologabilità fra l'adescamento delle belve o
dei pesci mediante musiche o vino e la sottomissione, l'esorcismo delle proprie
passioni mediante l'estasi; H. Rahner, che mostrò la continuità, sulla scia
dell'Eisler, fra la simbologia pre- e postcristiana.
La riscoperta dei valori simbolici del cristianesimo medievale
fu, per gran parte, opera di É. Màle, e a lui si rifà M. M. Davy, la quale
definisce assai bene il simbolo come ciò che rammenta all'uomo ‟ciò che egli può
diventare": in quanto egli attiva infatti lo stato di coscienza suscitato da un
simbolo, giunge al corrispettivo gradino della scala cosmica.
15. Simbolismo
letterario
Dal Mâle trasse ispirazione K. J. Huysmans per La
cathédrale, cui
si ispirò anche Proust, mentre da fonti agnostiche nacque l'approfondimento
simbologico di un Villiers-del'Isle-Adam. Si tocca, facendo tali nomi, il
problema del simbolismo letterario, un movimento che mirò a sbalzare le
intuizioni simbologiche mercé una rettorica fondata sull'assonanza,
l'allitterazione, l'ossimoro, l'ipallage. Nella letteratura inglese Yeats,
attratto dagli archetipi della migrazione dell'anima, dell'uovo, del cigno,
promosse una consimile consuetudine rettorica e conoscenza simbologica
sfruttando la tradizione popolare irlandese e quella ermetico-cabbalistica,
mentre Th. S. Eliot, attratto dal Graal, dal re ferito e dalla terra desolata,
si fonderà soprattutto sulla simbologia medievale studiata dalla Weston (v.,
1920) per poi far rivivere i simboli della rosa e della fiamma secondo i moduli
della mistica cristiana. Così J. R. R. Tolkien si fonderà sulla tradizione
germanica e celtica e sul tema dell'anello; R. Graves sull'archetipo della dama
bianca e sulla personale riscoperta dei simboli ogamici. In James Joyce prevarrà
l'influsso di Jung. Nella letteratura angloamericana, la cui tradizione
simbologica è fra le più ricche, Ezra Pound (v., 1970) si ispirerà alla dottrina
dell'ideogramma suggeritagli da E. Fenollosa: l'ideogramma è il simbolo di un
passaggio di energia fulminea. In ogni frase avviene un passaggio di potenza
dall'agente all'oggetto, che è del tutto immateriale benché sia simboleggiato da
cose materiali, ma alla frase difetta la fulmineità. Anche Frobenius e la
teorica medievale dell'Eriugena entrano nella composizione dei Cantos poundiani.
Nella letteratura iberoamericana campeggia l'opera sostanziata di conoscenze
simbologiche sufi e cabbalistiche di J. L. Borges.
Va accennato altresì al simbolismo russo, specie a Solovïe′v, che
si rifà alle fonti gnostiche, a Florenskij, che trae spunto dalla tradizione
ortodossa dell'icona, e fra i poeti, eminentemente, a Pasternak.
La poesia di R. M. Rilke e di H. von Hofmannsthal ha una forte
connotazione simbologica; l'opera della Scuola di Lipsia traspare nella trilogia
biblica di Th. Mann, e in Kafka la simbologia cabbalistica è evidente. La
conoscenza simbologica di E. Jlinger non soltanto informa la sua opera ma lo
porta a dirigere, con Eliade, una delle maggiori riviste di simbologia del
secondo dopoguerra: ‟Antaios".
Ma se in questi autori si hanno reviviscenze della simbologia, il
simbolismo letterario spesso è cosa del tutto distinta e perfino incompatibile,
specie nella codificazione che ne diede Mallarmé in Divagations: esso
consisterebbe, infatti, secondo Mallarmé, nel piacere di suggerire senza mai
nominare, nell'uso di simboli per infondere aloni di mistero e incertezza e non
già per comunicare una conoscenza di piani superiori alla semplice sensazione.
Mallarmé prescriveva di evocare a poco a poco gli oggetti con una tecnica di
adescamento, mediante stillicidi di allusioni e rinvii, mediante fantasticherie
deliberatamente coltivate: si è agli antipodi della conoscenza simbologica.
Nelle propaggini di tale simbolismo l'incompatibilità con ogni simbologia è
ancor più manifesta, specie nell'ermetismo italiano (che così sfrontatamente
usurpa il nome di una precisa scuola mistica e filosofica) o nel surrealismo,
che è propriamente una distruzione della simbologia.
Bibliografia
Aarne,
A., The
types of folk-tale (tr.
e ampliamento di S. Thompson), Helsinki 1928.
AA.VV., Civiltà
indigene d'America,
in ‟Conoscenza religiosa", 1970, n. speciale 2.
AA.VV., La
linguistica e il sacro,
in ‟Conoscenza religiosa", 1972, n. speciale 1.
AA.VV., Numeri
e figure geometriche come base della simbologia,
in ‟Conoscenza religiosa", 1979, n. speciale 1-2.
Ackerman, Ph., The
dawn of religion,
in Forgotten
religions (a
cura di V. Fermi), New York 1950, pp. 3-24.
Agrawala,
V., Sparks
from the vedic fire,
Varānāsi 1963.
Alquié,
F., Conscience
et signes dans la philosophie moderne et le cartésianisme,
in Polarité
des symboles,
Bruges 1960, pp. 221-226.
Baudouin, Ch., Psychanalyse
du symbole religieux,
Paris 1957.
Baumann,
H., Das
doppelte Geschlecht: ethnologische Studien zur Bisexualität in Ritus und Mythus,
Berlin 1955.
Beigbeder,
O., Lexique
des symboles,
Paris 1969.
Beit,
H. von, Symbolik
des Märchens,
Bern - München 1952.
Böklen,
E., Schneewittchenstudien,
Leipzig 1910-1915.
Burckhardt,
T., Vom
Wesen heiliger Kunst,
Zürich 1955.
Burckhardt,
T., Alchemie,
Sinn und Weltbild,
Freiburg im Br. 1960.
Burckhardt,
T., Scienza
moderna e saggezza tradizionale,
Torino 1968.
Calame-Griaule,
G., Ethnologie
et langage: la parole chez les Dogons,
Paris 1968.
Cassirer,
E., Philosophie
der symbolischen Formen,
3 voll., Berlin 1923-1929 (tr. it.: Filosofia
delle forme simboliche,
3 voll., Firenze 1961-1966).
Champeaux,
G. de, Sterckx,
S., Introduction
au monde des symboles,
Paris 1966.
Charbonneau-Lassay,
L., Le
bestiaire du Christ,
Bruges 1940.
Chevalier,
R. J., Gheerbrant,
A., Dictionnaire
des symboles,
Paris 1969.
Coomaraswamy,
A., Selected
papers,
Princeton 1977.
Corbin,
H., Terre
céleste et corps de résurrection,
Paris 1961.
Corbin,
H., Che
cosa significa ‛tradizione'?,
in ‟Conoscenza religiosa", 1969, n. 3, pp. 225-241.
Corbin,
H., En
Islam iranien,
5 voll., Paris 1971.
Corbin,
H., L'homme
de lumière dans le soufisme iranien,
Chambéry 1971.
Davy,
M. M., Essai
sur la symbolique romane,
Paris 1955.
Deonna,
W., Le
symbolisme de l'acrobatie antique,
Bruxelles 1953.
Deonna,
W., Deux
études de symbolisme religieux,
Bruxelles 1955.
Deonna,
W., Le
symbolisme de l'oeil,
Paris 1965.
Dumézil,
G., Mithra-Varuna,
Paris 1940.
Dumézil,
G., Jupiter,
Mars, Quirinus,
Paris 1941.
Dumézil,
G., L'idéologie
tripartie des Indo-européens,
Bruxelles 1958.
Dumézil,
G., Mythe
et épopée,
3 voll., Paris 1968-1973.
Durand,
G., L'imagination
symbolique,
Paris 1964 (tr. it.: L'immaginazione
simbolica,
Roma 1977).
Ehrenreich,
F., Die
Sonne im Mythus,
Leipzig 1915.
Eisler,
R., Weltenmantel
und Himmelzelt,
München 1910.
Eisler,
R., Orphisch-dionysische
Mysterien-Gedanke in der christlichen Antike,
Leipzig-Berlin 1925.
Eisler,
R., Orphisch-dyonisische
Mysterien-Gedanke in der christlichen Antike,
Leipzig-Berlin 1925.
Eliade,
M., Traité
d'histoire des religions,
Paris 1949 (tr. it.: Trattato
di storia delle religioni,
Torino 19722).
Eliade,
M., Images
et symboles,
Paris 1952.
‟Eranos Jahrbücher", vol. II, Gestaltung
des Erlösungsidee in Ost und West,
Zürich 1934: voll. IV-V, Gestalt
und Kult der Grossen Mutter,
Zürich 1936-1937; vol. VII, Die
Symbolik der Wiedergeburt,
Zürich 1939; vol. VIII, Trinität,
christliche Symbolik und Gnosis,
Zürich 1940-1941; vol. X, Das
hermetische Prinzip in Mythologie, Gnosis und Alchemie,
Zürich 1942; vol. XI, Alte
Sonnenkulte und Lichtsymbolik in der Gnosis und im frühen Christentum,
Zürich 1943; vol. XII, Zum
Problem des Archetypischen,
Zürich 1945: vol. XVIII, Aus
der Welt der Urbilder,
Zürich 1950.
Fingestein,
P., The
eclipse of symbolism,
Columbia, S. C., 1970.
Fischer-Barnicol,
H. A., Die
Präsenz in der symbolischen Erfahrung,
in ‟Symbolon", 1968, VI, pp. 107-136.
Florenskij,
P., Stolb
i utverždenie Istiny,
Moskva 1914 (tr. it.: La
colonna e il fondamento della verità,
Milano 1974).
Florenskij,
P., Il
simbolario,
in ‟Conoscenza religiosa", 1977, n. 2, pp. 103-111.
Foucault,
M., Les
mots et les choses,
Paris 1967 (tr. it.: Le
parole e le cose,
Milano 1978).
Fries,
C., Studien
zur Odyssee,
in Mitteilungen
der vorderasiatischen und aegyptischen Gesellschaft,
1910-1911.
Frobenius,
L., Das
unbekannte Afrika,
München 1923.
Frobenius,
L., Erythräa,
Länder und Zeiten des heiligen Königsmordes,
Berlin, Zürich 1931.
Frobenius,
L., Kulturgeschichte
Afrikas,
Zürich 1933.
Ganay,
S. de, Aspects
de mythologie et de symbolique bambara,
in ‟Journal de psychologie normale et pathologique", 1949, II, pp. 187-201.
Goodenough,
E. R., Jewish
symbols in the Graeco-Roman period,
New York 1953.
Granet,
M., La
pensée chinoise,
Paris 1934 (tr. it.: Il
pensiero cinese,
Milano 1971).
Griaule,
M., Die
d'eau,
Paris 1948 (tr. it.: Dio
d'acqua,
Milano 1968, 1978).
Griaule,
M., Dieterlen,
G., Le
renard pâle,
Paris 1968.
Guénon,
R., Le
symbolisme de la croix,
Paris 1931 (tr. it.: Il
simbolismo della croce,
Milano 1973).
Guénon,
R., Les
états multiples de l'être,
Paris 1932.
Guénon,
R., Le
règne de la quantité et les signes du temps,
Paris 1945 (tr. it.: Il
regno della quantità e i segni dei tempi,
Padova 1950).
Guénon,
R., Aperçus
sur l'initiation,
Paris 1946.
Guénon,
R., La
grande triade,
Paris 1946 (tr. it.: La
grande triade,
Milano 1980).
Guénon,
R., Les
symboles fondamentaux de la science sacrée,
Paris 1962 (tr. it.:Simboli
della scienza sacra,
Milano 19782).
Haase,
R., Grundlagen
der harmonikalen Symbolik,
München 1966.
Haase,
R., Geschichte
des harmonikalen Pythagoreismus,
Wien 1969.
Hentze,
C. Ph., Mythes
et symboles lunaires,
Anversa 1930.
Hentze,
C. Ph., Bronzegerät,
Kultbauten, Religion in ältesten China der Shang-zeit,
Anversa 1951.
Hentze,
C. Ph., Die
Tierverkleidung in Erneuerungs- und Initiationsmysterien,
in ‟Symbolon", 1960, I, pp. 39-86.
Jacobi,
J., Complexe,
archétype, symbole,
Neuchâtel 1961 (tr. it.: Complesso
Archetipo Simbolo nella psicologia di C. G. Jung,
Torino 1971).
Jensen,
A. E., Das
religiöse Weltbild einer frühen Kultur,
Stuttgart 1948.
Jeremias,
A., Handbuch
der altorientalischen Geisteskultur,
Leipzig 1913.
Jeremias,
A., Das
Alte Testament im Lichte des Alten Orients,
Leipzig 1916.
Jung,
C. G., Symbole
der Wandlung,
Zürich 1912 (tr. it.: Simboli
della trasformazione,
Torino 19733).
Jung,
C. G., Psychologie
und Alchemie,
Zürich 1943 (tr. it.: Psicologia
e alchimia,
Roma 1950).
Jung,
C. G., Aion.
Untersuchungen zur Symbolgeschichte,
Zürich 1951.
Jung,
C. G., Mysterium
coniunctionis,
Zürich 1955-1957.
Jung,
C. G., Franz,
M. L. von, Hendernson,
J. L., Jacobi,
J., Jaffé,
A., Man
and his symbols,
London 1964 (tr. it.: L'uomo
e i simboli,
Milano 1964).
Jung,
C. G., Kerényi,
K., Einführung
in das Wesen der Mythologie,
Amsterdam-Leipzig 1941 (tr. it.: Prolegomeni
allo studio scientifico della mitologia,
Torino 19723).
Jung,
C. G., Pauli,
W., Naturerklärung
und Psyche,
Zürich 1952.
Kayser,
H., Vom
Klang der Welt,
Zürich 1937.
Kayser,
H., Grundriss
eines Systems harmonikalen Wertformen,
Zürich 1938.
Kayser,
H., Lehrbuch
der Harmonik,
Zürich 1950.
Kerényi,
K., Gesammelte
Werke,
München-Wien 1969.
Kitagawa,
J.M., Long,
C. H. (a cura di), Myths
and symbols. Studies in honor of M. Eliade,
Chicago-London 1969.
Korvin-Krasinski,
C. von, Tibetische
Medizinsphilosophie,
Zürich 1953.
Korvin-Krasinski,
C. von, Die
geistige Erde,
Zürich 1960.
Kramrisch,
S., The
Hindu temple,
Delhi 1976.
Kühn,
H., Kunst
und Kultur der Vorzeit Europas. Das Paläolithikum,
Berlin 1929.
Leroi-Gourhan,
A., Les
religions de la préhistoire. Paléolithique,
Paris 1967 (tr. it.:Le
religioni della preistoria,
Milano 1970).
Lévi-Strauss, Cl., Anthropologie
structurale,
Paris 1958 (tr. it.: Antropologia
strutturale,
Milano 1966).
Lévi-Strauss, Cl., La
pensée sauvage,
Paris 1962 (tr. it.: Il
pensiero selvaggio,
Milano 19797).
Lévi-Strauss, Cl., Mythologiques,
vol. I, Le
cru et le cuit,
Paris 1964 (tr. it.: Il
crudo e il cotto,
Milano 1966); vol. II, Du
miel aux cendres,
Paris 1966 (tr. it.: Dal
miele alle ceneri,
Milano 1970); vol. III, L'origine
des manières de table,
Paris 1968 (tr. it.: Le
origini delle buone maniere a tavola,
Milano 1971); vol. IV, L'homme
nu,
Paris 1971 (tr. it.: L'uomo
nudo,
Milano 1974).
Liungman,
W., Traditionswanderungen.
Euphrat-Rhein,
Helsinki 1938.
Liungman,
W., Traditionswanderungen.
Rhein-Jennissei,
Helsinki 1941.
Mäle,
É., L'art
religieux de la fin du Moyen-Âge en France,
Paris 1908.
Mâle,
É., L'art
religieux du XII siècle en France,
Paris 1922.
Marchianò,
G., La
parola e la forma,
Bari 1977.
Meignez,
R., Quelques
aspects mythologiques du groupe restreint,
in ‟Action et pensée", 1963, I-II, pp. 21-34.
Onians,
R. B., The
origins of European thought about the body, the mind, the soul, the world, time
and fate,
Cambridge 1954.
Otto,
R., Das
Heilige,
Breslau 1917 (tr. it.: Il
sacro. L'irrazionale nell'idea del divino e la sua relazione al razionale,
Milano 1966).
Panofsky,
E., Die
Perspektive als symbolische Form,
Leipzig-Berlin 1927 (tr. it.: La
prospettiva come ‛forma simbolica' e altri scritti,
Milano 19737).
Panofsky,
E., Saxl,
F., Klibansky,
R., Saturn
and melancholy,
London 1965.
Pelayo,
M. G., Mitos
y símbolos políticos,
Madrid 1964 (tr. it.: Miti
e simboli politici,
Roma 1970).
Piaget,
J., La
formation du symbole chez l'enfant,
Neuchâtel 1941 (tr. it.: La
formazione del simbolo nel bambino,
Firenze 1972).
Placzek,
E. W., Von
der Analogie zum Syllogismus,
Paderborn 1954.
Pound,
E., Opere
scelte,
Milano 1970.
Radin,
P., Kerényi,
K., Jung,
C. G., Der
göttliche Schelm,
Zürich 1954 (tr. it.: Il
briccone divino,
Milano 1965).
Ragland, lord, The
temple and the house,
London 1964.
Rahner,
H., Griechische
Mythen in christlicher Deutung,
Zürich 1957 (tr. it.: Miti
greci nell'interpretazione cristiana,
Bologna 1971).
Riemschneider,
M., Augengott
und heilige Hochzeit,
Leipzig 1953.
Riemschneider,
M., Der
Wettergott,
Leipzig 1956.
Sachs,
K., Geist
und Werden der Musikinstrumenten,
Berlin 1929.
Salmony,
A., Antler
and tongue,
Ascona 1954 (tr. it.: Corna
e lingua,
Milano 1968).
Santillana,
G. de, Dechend,
H. von, Hamlet's
mill,
Boston 1969.
Schneider,
M., Die
historischen Grundlagen der musikalischen Symbolik,
in ‟Die Musikforschung", 1951, IV, pp. 113-144 (tr. it.: Il
significato della musica,
Milano 1970).
Schneider,
M., Singende
Steine,
Kassel 1955.
Schneider,
M., La
coppia simbolica musica e pietra,
in ‟Conoscenza religiosa", 1971, n. 3, pp. 201-213.
Schneider,
M., Natura
e origine del simbolo,
in ‟Conoscenza religiosa", 1971, n. 4, pp. 313-336.
Schuon, Fr., Perspectives
spirituelles et faits humains,
Paris 1953.
Schwabe,
J., Archetyp
und Tierkreis,
Basel 1951.
Scott Littleton,
C., The
new comparative mythology,
Berkeley-Los Angeles 1966.
Sebeok, Th.
A. (a cura di), Myth,
Bloomington 1955.
Séchehaye,
M.-A., La
réalisation symbolique,
Bern 1947.
Sedlmayr,
H., Idee
einer kritischen Symbolik,
in Umanesimo
e simbolismo,
Padova 1958.
Sedlmayr,
H., Der
Gedanke der Mitte bei Franz von Baader,
in Festgabe
A. Vetter,
Freiburg-München 1968.
Servier,
J., Les
portes de l'année,
Paris 1953.
Servier,
J., L'homme
et l'invisible,
Paris 1956 (tr. it.: L'uomo
e l'invisibile,
Roma 1967).
Siecke,
H., Drachenkämpfe,
Leipzig 1907-1908.
Siecke,
H., Hermes
der Mondgott. Pushan, Studien zur Idee des Hirtengottes,
Leipzig 1908-1909.
Sinaiski,
V., Rome
et son droit théocratique et laïque,
Riga 1923.
Strzygowski,
J., Spuren
indogermanischen Glaubens in der bildenden Kunst,
Heidelberg 1936.
Stücken,
E., Astralmythen,
Leipzig 1896-1907.
Stücken,
E., Beiträge
zur orientalischen Mythologie,
in Mitteilungen
der vorderasiatischen und aegyptischen Gesellschaft,
1902.
Stücken,
E., Der
Ursprung des Alphabets und die Mondstationem,
Leipzig 1913.
Testa,
P. E., Il
simbolismo dei giudeo-cristiani,
Jerusalem 1962.
Thompson,
S., Motif
index of folk-literature. A classification of narrative elements in folk-tales,
balads, myths, fables, mediaeval romances, exempla, fabliaux, jest-books and
local legends,
Bloomington 1933-1936.
Weil,
S., La
connaissance surnaturelle,
Paris 1950.
Weil,
S., Intuitions
pré-chrétiennes,
Paris 1951 (tr. it.: La
Grecia e le intuizioni precristiane,
Torino 1967).
Weil,
S., Cahiers,
5 voll., Paris 1951-1956.
Weil,
S., La
source grecque,
Paris 1953.
Weil,
S., Écrits
de Londres,
Paris 1957.
Westohn,
J. L., From
ritual to romance,
Cambridge 1920.
Winckler,
H., Die
babylonische Geisteskultur und ihre Beziehungen zur Kulturentwicklung der
Menschheit,
Leipzig 1907.
Zahan,
D., Mythes
d'origine de la mort: le message manqué,
in Eternità
e storia (a
cura dell'Istituto Accademico di Roma), Firenze 1969, pp. 235-240.
Zolla,
É., Le
potenze dell'anima,
Milano 1968.
Zolla,
É., (a cura di), Il
superuomo e i suoi simboli nelle letterature moderne,
3 voll., Firenze 1971-1973.
Zolla,
É., Storia
del fantasticare,
Milano 19732.
Zolla,
É., Le
meraviglie della natura. Introduzione all'alchimia,
Milano 1975.
Zolla,
É., I
letterati e lo sciamano,
Milano 19782.
Zolla,
É., I
mistici dell'Occidente,
Milano 19802.
Zolla,
É., Archetypes,
London 1981.
Da:
www.treccani.it/enciclopedia/simbologia_(Enciclopedia-del-Novecento)/
|