"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
IN UN libro ormai quasi dimenticato, Autodizionario degli scrittori
italiani (1990), Elémire Zolla, lo studioso di archetipi e simboli spentosi
a fine maggio a 76 anni, tracciò un preciso ritratto di se stesso. Accanto ad
annotazioni che già erano di dominio pubblico, rivelò, in due scarne paginette,
anche tratti intimi, privati. Apprendemmo, allora, che suo padre, nato in
Inghilterra, aveva studiato pittura dedicandosi alla maniera di Whistler e
dipingendo dame in kimono. Si era poi stabilito in Italia, a Torino, dove aveva
insegnato a un gruppo di allievi, fra i quali Giulio Carlo Argan. La madre,
Blanche Smith, melanconica, ma non triste, prediligeva le ombre delle chiese e
dei chiostri e suonava molti strumenti.
Zolla nacque nel capoluogo piemontese il 9 luglio 1926, quando imperversavano la
retorica populista e la demagogia autoritaria. Crebbe isolato, parlando
naturalmente inglese, francese e italiano, e studiando, in seguito, il tedesco e
lo spagnolo. Dipingeva e suonava il pianoforte. Mandato a scuola, imparò l'arte
di occultare i sentimenti e concesse poco di sé ai compagni. Vedeva, tutt'attorno,
docenti fascisti e scolari figli di fascisti. Lo sollevava l'espatrio frequente,
il soggiorno in Inghilterra o a Parigi.
Durante gli anni di guerra, Zolla notò che a poco a poco la gente diveniva meno
fascista. Salutò l'arrivo degli Alleati a Torino senza farsi eccessive
illusioni. Viveva raccolto, passeggiava, pensava. Giunto il tempo della
ricostruzione, si iscrisse alla Facoltà di legge, dove conobbe qualche
professore stimabile, lontano dalle risse ideologiche, ma anche non pochi
propugnatori di sciocchezze storicistiche. A 22 anni si ammalò di tisi e fu per
morire. Durante la malattia, appartato, scrisse un romanzo edito nel 1956, Minuetto
all'inferno (Einaudi), con cui vinse il premio Strega opera prima. Aveva
pubblicato parecchio, negli anni precedenti, sulle riviste Letterature
moderne di Francesco Flora e Il pensiero critico di Remo Cantoni.
Erano saggi sui maggiori autori del Novecento, che egli tentava di riunire in
una specie di luogo ideale, distante dalle contaminazioni politiche. Da quel
luogo bandì la presenza di James Joyce. Gli scrissero, solidali, Eliot e Thomas
Mann
.
Nel 1957 si trasferì a Roma, dove lavorò, per pochi mesi, nella redazione di
Tempo presente. Apparve allora un nuovo romanzo, Cecilia o la disattenzione
(Garzanti), mai più riedito.
La raccolta dei suoi saggi, in parte ispirati alla Scuola di Francoforte (Eclissi
dell'intellettuale, Bompiani, 1959), ebbe, invece, numerose ristampe e
traduzioni. Era una negazione, destinata a non poter essere generalmente
accettata, di tutto il sistema dell'industria culturale. Rifiutato il
positivismo e il marxismo, fugata la dialettica di matrice hegeliana, l'opera
formulava il sottinteso invito ad abbandonare le dottrine e le pratiche conformi
al mondo industriale. Partiva da una concezione apodittica: i maggiori autori
degli ultimi secoli sono stati capaci di questo rifiuto.
L'anno di uscita di quel libro si dimostrò cruciale: Zolla fu chiamato a
insegnare all'Università di Roma, specie per intervento di Mario Praz, e
incontrò Cristiana Campo, con la quale visse fino alla morte di lei, nel 1977.
Venne quindi il fecondo periodo di altre opere, fra le quali va soprattutto
ricordata l'antologia I mistici dell'Occidente (Garzanti, 1963; riedito
da Rizzoli, in sette volumi, nel 1980), dove la tradizione mistica era
documentata come l'area segreta in cui si era affermata, nei millenni,
l'uniformità permanente di una metafisica assoluta. Dal rifiuto dello
scientismo e del progressismo nacquero poi due saggi, Storia del fantasticare
e Le potenze dell'anima, apparsi presso Bompiani. Zolla vinse il concorso
a cattedra e andò a insegnare prima a Catania, poi a Genova, dove rimase fino
al 1974. Pur rivisitandola nella prospettiva della mistica, la materia delle sue
lezioni divenne, allora, la letteratura anglo-americana. Egli inoltre si permise
alcune dottissime digressioni nella filologia germanica.
Nonostante successo e fama internazionali, in Italia fu però isolato e aborrito
dal mondo culturale egemonizzato dagli intellettuali marxisti e ignorato dagli
uomini della politica al potere.
Zolla fu un viaggiatore curioso e quasi 'professionale'. Nel 1968, dopo un
viaggio nel Sudovest degli Stati Uniti, scrisse una storia dell'immagine
dell'Indiano (I letterati e lo sciamano, 1969). Questo libro ebbe una
risonanza notevole oltreoceano, e anche da noi costituì una tappa
imprescindibile negli studi di neo-anglistica. Si dedicò anche a viaggi in
India, in Indonesia, in Corea e in Iran.
Parte di questa esperienza si riflesse nel fondamentale Che cos'è la
tradizione (1971), ancora un rifiuto del modello di cultura occidentale,
anche ricercando nella metafisica del Medio e Estremo Oriente la possibilità di
sottrarvisi, sempre alla ricerca degli archetipi culturali, 'traditi' dalla
civiltà moderna dell'Occidente. A poco a poco, si andavano intanto allentando i
suoi rapporti con la Bompiani, che cessarono dopo la pubblicazione della
raffinata dissertazione alchemica Le meraviglie della natura (1975).
Rimase però viva la sua collaborazione al Corriere della Sera. Seppure con
notevoli opposizioni, nel 1974 Zolla tornò a insegnare all'Università di Roma.
Risale a quel periodo la sua decisione di scrivere in inglese, di 'saltare'
l'editoria nazionale. In Inghilterra e in America usciranno Archetypes
(1980), seguito da The Androgyne (1981), nelle cui pagine si addensò una
cultura senza confini, un'immensa erudizione. Trascorso il 1980, la situazione
politica parzialmente mutò e in Italia l'opposizione a Zolla sembrò via via
dissolversi. Egli riprese a scrivere nella nostra lingua e pubblicò quattro
libri presso Marsilio (Aure, L'amante invisibile, Archetipi e Verità segrete
esposte in evidenza). Nel frattempo, dal 1969 al 1983, aveva diretto una
rivista, Conoscenza religiosa (La Nuova Italia), cui fece collaborare gli
scrittori che gli parvero sottrarsi a ciò che egli definiva 'la generale
decadenza'. Poi giunsero, da Adelphi, Uscite dal mondo (1992), Lo
stupore infantile (1994) e Le tre vie (1995); da Mondadori, La
nube del telaio (1996); da Einaudi, Il dio dell'ebbrezza (1998).
Adelphi, inoltre, annuncia la prossima pubblicazione di un nuovo libro: Discesa
agli inferi e resurrezione.
Recuperando i tesori culturali di popoli vicini e lontani, scavando nel giardino
sotto casa o in territori sperduti del pianeta, Zolla seppe indicarci, dopo aver
liquidato le trasgressioni moderne e post-moderne, la via di una conoscenza 'giusta',
insieme ardua e luminosa.