"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
La “Piccola Biblioteca Adelphi” s’è appena
arricchita di una riedizione di un saggio di Elémire Zolla del 1971: Che cos’è
la tradizione, che essendo un saggio sulla Tradizione, è metatemporale, quindi
attualissimo.
È organizzato in due parti (di complessivi sette capitoli) e un epilogo
(in forma di fiaba), 370 fitte pagine di storia, requisitoria revisionistica,
teologia negativa, antropologia dell’homo metropolitanus contrapposto
all’homo metaphysicus dell’antichità greca, del medioevo cristiano e
dell’Estremo Oriente…
Parti davvero misticamente ispirate si alternano diuturnamente ad altre più
discutibili, ad esempio quelle, confuse e pretenziose, sulla cabala ebraica; ma
in sostanza il libro è godibilissimo, profondo ed edificante, ed il suo
nocciolo è riconducibile al titolo di uno dei paragrafi centrali: Il gran
criterio della Quiete. Cioè: se siete attivisti, progressisti, edonisti e/o
scientisti, questa lettura non fa per voi, senz’altro avete già la vostra
“consolazione” e perdereste solo il vostro “prezioso” tempo
fenomenico…
Una volta individuato ed essotericamente analizzato, questo “perno”
trascendente viene ripetuto ed esemplificato nelle forme più diverse: la
politica, ad esempio, può frequentemente rappresentare un serio turbamento ed
allontanamento dalla quiete, così come il satanismo, la magia, la superstizione
sono altrettanti modi di distrarre l’attenzione dell’individuo e di
indicargli la strada sbagliata per investire le proprie potenzialità
spirituali.
Zolla dissemina le argomentazioni con copiose citazioni dagli autori più
disparati: Guénon (naturalmente), san Tommaso, Rosmini, Manzoni, Dante,
Shakespeare, Goethe, Dostoevskij, Bernanos, Kafka, Melville, Flaubert, i mistici
carmelitani, Hegel, Marx, e decine d’altri, più o meno conosciuti nel mondo
filosofico, religioso e letterario di tutti i continenti e di tutte le epoche!
Tutto può servire ad identificare meglio l’obiettivo o, comunque, a sgombrare
preliminarmente l’orizzonte dai residui anitimetafisici postilluministi.
La seconda parte si apre col capitolo intitolato: L’odio della
contemplazione; ebbene, proprio da questo si può riconoscere subito Satana, i
cui tre dogmi, i tre “imperativi categorici”, sono: progresso! uguaglianza!
attivismo! L’uomo accorto (in effetti Zolla ne fa più una questione
individuale che un discorso di destini collettivi, di “macrostoria”…) deve
“ritornare alla contemplazione”, deve preferire Maria a Marta, tanto che la
stessa azione è compiuta sempre in vista del godimento finale dei suoi frutti,
quindi di una “tranquillità”!
Zolla condivide appieno le prese di posizione dei quietisti spagnoli
dell’età barocca, e questo, ricordiamolo, va contro i limiti concessi dallo
stesso Guénon a dottrine già considerate “eretiche” dai censori
controriformistici e senz’altro parecchio temerarie da un punto di vista
strettamente “teistico”. E l’unico bene sociale finisce per essere quello
di favorire chi desideri vivere orientato a questo centro, alla quiete: vi sono
società nella storia che vi si avvicinano spontaneamente, dove l’amore
popolare va al romito, al recluso innanzitutto. A queste dobbiamo tendere, ma
senza preoccuparci troppo, giacché cancellare la Tradizione è strutturalmente
impossibile e tale rimarrà nei secoli.
Una posizione rilevante occupa il Taoismo, che vuole negare importanza
all’azione e distruggere ogni “volontà”! Il principe Han-fei tzu scriveva
intorno al 280 avanti Cristo: “Riposa in alto nell’assenza di ogni attività!
Contempla i motivi altrui! Aspetta che ogni cosa si sveli per come è in realtà!”,
e siccome questi sono consigli rivolti ad inesperti colleghi, ben si comprenderà
l’abissale distanza che intercorre tra il nostro Machiavelli rinascimentale e
questo ieratico sovrano orientale, molto più coraggioso e spregiudicato!
Infine, la fiaba conclusiva, che possiamo chiamare più correttamente
L’incantesimo della casina nel bosco, vero e proprio “horror-movie” ante
litteram, presenta una punta polemica rivolta contro Maistre, non così
stranamente avvicinato allo stoicismo di Nietzsche: “Non ci si può affatto
lamentare! Bisogna accettare tutto! Dir di sì! Essere ottimisti!”; “Vuoi
vivere? Devi soffrire! Alla quiete preferisci le novità, la vitalità, la
gioventù…? Allora devi anche soffire!”. Lucida laconica stringente logica,
avvicinabile al mito platonico di Er, che esortava a chiedersi: “A quale
spirito appartengo?” per dare l’unica vera libertà di scelta all’uomo,
quella iniziale tra la schiavitù della volontà e la “nolontà”, una scelta
e una libertà ancor oggi alla portata di ciascuno.