"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Elémire
Zolla, "Il dio dell'ebbrezza: antologia dei moderni dionisiaci
", Einaudi, pp. 421, L. 26.000
Pochi, fra i numerosi recensori - il volume non è
recentissimo - hanno colto l'implicito rilievo politico del libro di Elemire
Zolla, Il dio dell'ebbrezza: antologia dei moderni dionisiaci (Einaudi, pp. 421,
L. 26.000).
Sebbene non sia assolutamente presente nel volume di Zolla un'opzione politica
antiproibizionista, la laicità e il respiro culturale con i quali è affrontato
il problema delle droghe spostano obiettivamente il livello, alquanto modesto,
del confronto intellettuale su questo tema.
"Oggi, dove tutto vi è confuso e disatteso, si può tuttavia ancora
avvertire che ogni comparsa dionisiaca è un evento glorioso e una voragine che
squarcia l'esistenza". E' questo il tono malinconico e appassionato del
libro, che è costituito in gran parte da una riflessione nostalgica sul culto
dionisiaco e sull'elaborazione culturale del tema "ebbrezza"
all'interno della tradizione occidentale.
Il pensiero di Zolla si sviluppa in modo radicalmente autonomo rispetto alla
tradizione egemonizzata dal cristianesimo o dal razionalismo positivista: in
opposizione sia alla demonizzazione clericale che vetero scientista
dell'ebbrezza.
"La teologia cristiana è in buona parte esoterismo dionisiaco"
afferma perentorio lo scrittore, argomentando la tesi attraverso la comparazione
fra la ritualità cristiana e quella dionisiaca. Zolla però non isola il
fenomeno mistico-religioso, al contrario lo collega all'analisi della nascita e
della diffusione degli stupefacenti nel mondo. E' un passaggio culturale
importante che ci consente di non scomporre ipocritamente il trinomio
ebrezza-piacere-droga.
"La storia degli stupefacenti è la storia intima dell'uomo": questa
espressione di Zolla potrebbe anche essere utilizzata come uno slogan contro il
pensiero proibizionista e perbenista che gravita intorno alla problematica della
droga. Certo la visione decisamente anticonformista di Zolla è anche fortemente
aristocratica: il suo è uno sguardo rivolto al passato, per esempio alla Parigi
ottocentesca di Baudelaire.
Quest'ultimo, secondo l'intellettuale torinese, aveva capito "l'importanza
dell'intuizione infantile" che ci dischiude le porte di una "pienezza
sensibile". Infatti, "il bambino vede tutto come una novità perché
è immerso nell'ebbrezza".
Anche la cultura anglosassone del secolo scorso è un riferimento importante: Poe
e De Quincey
sono gli esponenti della "letteratura drogata", ma anche uomini la cui
vita è stata caratterizzata tragicamente dall'uso di alcool e oppiacei. Siamo
insomma di fronte a una posizione dichiaratamente elitaria, che non sfocia però
nel moralismo ("è l'ora di inebriarsi", egli afferma) e nemmeno nella
banale retorica della trasgressione.
Il libro, in sé, mira essenzialmente all'approfondimento culturale e persegue
questo scopo anche attraverso i pareri più discordanti, come quelli contenuti
nei brani di Huxley
("L'isola") e Tolstoi
("Perché la gente si droga?"). Si tratta di approcci culturali
radicalmente diversi, ma comunque funzionali per sostenere una tesi: "L'uso
consumistico degli stupefacenti adottato dai giovani nel chiasso delle
discoteche allontana l'ebbrezza dionisiaca perché Dioniso liberava, quel
chiasso soffoca e vincola". In sintesi: la diffusione di massa degli
stupefacenti ha comportato l'eliminazione delle componenti mistico-culturali,
che sono state fagocitate dal consumismo e dalla filosofia dello sballo.
E' una visione per certi versi apocalittica, quella di Zolla, solo in parte
condivisibile. "Ernest
Jünger tranquillamente provò ogni droga e varcò i cento anni, le masse ne
sono avvilite e uccise in gioventù": così il filosofo torinese. Noi forse
diremmo, più semplicemente "leggere attentamente le avvertenze e le
modalità d'uso".