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Elémire Zolla, Il dio dell'ebbrezza: Antologia dei moderni DionisiaciEinaudi, Torino 1998, pagg. 426, lire 26.000.di Walter Catalano
La competenza di Zolla nel compilare e commentare antologie di testi altrui, oltre che nel comporne magistralmente di propri, è cosa nota e indiscussa. Il suo classico I mistici dell'Occidente resta una pietra miliare sull'argomento, così come storica è la sua requisitoria Che cos'è la Tradizione? (entrambi i volumi sono stati recentemente ristampati da Adelphi). In anni più recenti lo scrittore si è però distanziato dalle originarie convinzioni tradizionaliste e cristianeggianti come dalle seduzioni estetizzanti della liturgia preconciliare condivise con la compagna Cristina Campo, per approdare al mondo variegato e fascinosamente ambiguo delle celebrazioni esotiche e delle estasi sciamaniche (accompagnate o no dall'uso di sostanze psicotrope). A questa realtà multiforme Zolla ha dedicato vari e notevoli studi che gli hanno attirato spesso contro strali velenosi da parte di molti ex compagni di viaggio per i quali il termine "gnostico" suona ancora come un'imputazione che necessiti di un autodafè. Se dunque negli anni '60 e '70 egli poteva attraversare, con cognizione e discernimento, l'impervio territorio del misticismo occidentale, oggi, a buon diritto, può soffermarsi sulle ctonie profondità da cui promanano gli ultimi messaggi degli eredi del dio dell'ebbrezza. Con tali premesse alle spalle, dovrebbe risultare dunque quasi scontato collocare questa sua ultima fatica, dedicata a Dioniso ed alle sue tortuose revivescenze nel mondo moderno, nell'analoga posizione epòptica ed epònima nei riguardi dei fenomeni presi in esame delle altre sue opere. In realtà, e vedremo come e perché, questa volta le intenzioni vengono realizzate solo in parte. Il volume di cui stiamo parlando, è
introdotto dal saggio La figura mitica di Dioniso dall'antichità a oggi
che intende ripercorrere gran parte dei principali temi del dionisismo, fra i
quali: l'identità fra Sciva e Dioniso, le analogie e le differenze fra India e
Grecia, l'indole e i nomi del dio, la diffusione universale del culto, il
rapporto con il cristianesimo, il suo riaffiorare nella pittura dal Rinascimento
all'Ottocento, e molti altri. Il testo, condotto con l'abituale prosa
smagliante, risente però di una certa sgradevole tendenza a suonare come la
lezione, forbita ma impassibile, dell'accompagnatore di un tour guidato che,
in una città troppo ricca di monumenti e di tesori, non abbia il tempo o la
voglia di fornire, di ognuno di essi, più che un accenno o una rapida menzione,
inutile per chi non sa e insoddisfacente per chi sa. È ovvio che non si possano
concentrare in poche pagine temi e problemi che hanno riempito intere
biblioteche, ma la toccata e fuga zolliana fa più che altro l'effetto
di uno sfoggio di erudizione, refrattario sia alla divulgazione che
all'approfondimento. La maratona prosegue con la terza e ultima parte, dedicata all'uso sciamanico e voluttuario delle droghe antiche e recenti ed alle sue implicazioni estetiche, psicologiche e farmacologiche. Dato il calibro dell'autore è naturale che il risultato resti comunque di alto livello, ma si insinua il sospetto, vago ma persistente, di una certa routine letteraria e la legittima impressione che Zolla, negli ultimi anni, scriva troppo e meno bene di un tempo. L'eccessivo enciclopedismo o l'intenzione di completezza dell'introduzione inoltre non vengono poi confermati dalla parte antologica del volume, in cui, a nostro avviso, si evidenziano certe lacune ed omissioni non del tutto giustificate. Zolla puntualizza in appendice al suo saggio di aver voluto, per motivi che definisce "autobiografici", accatastare i contributi letterari insieme a quelli semplicemente documentari attinti dall'antropologia. Il contenuto finale si rivela un non sempre equilibrato ma per altro piacevole cocktail fra i principali testi della letteratura della e sulla droga, dalla seconda metà dell'Ottocento ad oggi, ed una serie di testimonianze etno-antropologiche, comprese fra gli anni '70 e i nostri giorni, sull'uso sciamanico delle maggiori sostanze psicoattive: in particolare l'ayahuasca o yagé, il peyote e l'iboga, localizzate tra i popoli della selva Amazzonica, degli altopiani del Messico Centrale e delle foreste del Gabon. Veniamo ora ad esaminare più in dettaglio
inclusioni ed esclusioni: si parte giustamente dai Ditirambi di Dioniso
di Nietzsche e dall'Alcyone di D'Annunzio, ma si dimenticano i
Simbolisti russi, Valerij Brjusov in particolare, che Zolla conosce assai bene
ma che è praticamente ignoto al lettore italiano. Si include il saggio
"proibizionista" di Tolstoj o l'apologia della cocaina di Freud, ma si
tace dello scritto di poco anteriore di Maupassant sull'etere. Si dà sacrosanto
spazio a Matgioi (ed all'affascinante e misconosciuto scritto sull'oppio del
medico indocinese Nguyen-Te-Duc-Luat), ma si ignorano le esperienze
psichedeliche di Ouspensky descritte nel suo Un nuovo modello dell'universo. Questo dovrebbe dare un'idea breve ma precisa delle indiscutibili carenze della selezione. Quanto detto a proposito della troppo affrettata ed affollata introduzione zolliana vale anche per l'arbitraria antologia successiva: la lettura è comunque piacevole ed il valore complessivo del libro alto, ma da Zolla è lecito aspettarsi di più. Per gli insoddisfatti ed i curiosi vogliamo consigliare un volumetto che, partendo con meno pretese, realizza perfettamente le esigenze informative del lettore: Piante, droghe e sciamani (Oriss Colibrì, Milano 1998), scritto dall'anestesiologo e tossicologo Antonio Bianchi. L'autore conosce ciò di cui parla, ha sperimentato i riti e le sostanze e ne sa offrire un panorama preciso e semplice. Ovviamente l'opera di Zolla nasce con altri propositi ed altre ambizioni; una lettura parallela dei due volumi però fa uno strano effetto: in mezzo a droghe e sciamani, spiriti e riti, il raffinato saggista torinese, con tutta la sua snobistica erudizione, il nitore adamantino dello stile, la sottile intelligenza, finisce per apparirci come un turista, certo di altissimo livello, ma turista sempre.
Da: http://www.estovest.net/letture/dioebbrezza.html
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