Era un pensatore ai bordi delle ideologie e delle
appartenenze. Questo è il tratto, aristocratico e contraddittorio, di Zolla
che a 76 anni è morto ieri nella sua "mitica" casa di
Montepulciano.
Anni fa, nel 1990/1 capitò che assieme a Matteo Guarnaccia, straordinario
pittore visionario e finanche psichedelico della scena postbeat italiana, ci
trovassimo a parlare improvvisamente di pensiero siberiano, di misticismo, di
viaggi nella coscienza; com'era giusto che fosse, d'altronde...
Poi il discorso non poteva che cadere sui pensatori, gli scrittori che a vario
titolo ci avevano colpito. Uno di questi (tra i tanti innominabili reazionari)
era proprio lui, Zolla, che in modo differente (con letture diverse) avevamo
entrambi apprezzato negli anni passati.
E decidemmo di fare una cosa assurda per noi all'epoca. Di mandargli un libro,
un libro che avevo appena pubblicato: Cyberpunk. Antologia di testi politici
(ShaKe). Così, perché dentro si parlava di Timothy Leary, di viaggi nella
coscienza, del suo neoplatonismo, del neoplatonismo insito nel concetto di
virtuale eccetera.
Incredibilmente, dopo un paio di mesi arrivò la risposta di Zolla. Lui, il
grande santone. Ci rispose con una cartolina postale, con la sua grafia
minuta, ringraziandoci della nostra gentilezza e delle idee contenute nel
libro, che nel frattempo aveva letto.
Poi, un paio di anni dopo avrebbe fatto un libro proprio sulla fuga nel
virtuale, per l'editore del suo ex allievo universitario Calasso, la Adelphi,
la casa editrice che in anticipo sui tempi aveva sdoganato in Italia la
cultura neognostica e antimaterialista.
Quindi parlare di Zolla, significa anche dover fare i conti con gli esiti di
un pensiero che contribuì a scalzare in modo forte l'egemonia culturale
marxista dalle pagine culturali dei quotidiani (basti pensare alla pagina
culturale di "repubblica"), accompagnando in modo colto la fuga nel
privato, che avrebbe attraversato in modo arrembante tutti gli anni ottanta.
Ma Zolla andava al di là di questo.
E un po' la sua biografia lo spiegava.
E forse il libro suo che ho apprezzato di più è stato un libretto che nessun
coccodrillo apparso oggi sui giornali si è preoccupato di citare. Della fine
degli anni cinquanta, La piccola storia del fantasticare, è un libro
prezioso, quasi oracolare, nonostante la struttura argomentativa da saggio
serio con cui era stato steso.
In esso c'era tutta la sua lettura di "destra" della Scuola di
Francoforte, la polemica contro le avanguardie artistiche letterarie storiche
del Novecento, contro Joyce, contro l'Ulisse e il monologo di Molly Bloom,
contro il disvelamento del lato interiore della coscienza, che in quel saggio
leggeva inopinatamente come tratto caratterizzante della modernità. Con Joyce
andava colpiva anche il freudismo, che aveva eretto una vera e propria
ermeneutica del disvelamento dei percorsi interiori e quindi
dell'immaginazione e del suo imbarbarimento.
Una polemica che poi Zolla avrebbe provveduto a perseguire con un viaggio
lungo nelle mitologie del sogno sciamanico.
Come imparare a controllare i sogni, a guidarli, a strutturare un'etica
dell'immaginazione... tanti piccoli, preziosi, ma soprattutto inattuali libri,
pubblicati ora qui ora là (Marsilio, la collana di Eco per Bompiani, la
Rizzoli).
Il fatto di essere borderline talvolta faceva sì che non fosse sempre
rigoroso nelle sue scelte filosofiche, ma era un costo che doveva pagare per
essere sempre a lato delle cose. Certamente, La storia dei mistici
dell'Occidente presenta una serie di pecche interpretative notevoli che non
sono di certo sfuggite ai medievisti, ma che importa, voleva stupire, anzi
fantasticare...
E c'è riuscito. Spero tanto che abbia un buon viaggio adesso, e che il Libro
dei morti, di tibetana memoria, che così bene conosceva, gli possa essere
utile in questo importante momento.