"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
René Adolphe Schwaller de Lubicz,
"Il tempio dell'uomo", introduzione e note di Paolo Lucarelli (2
volumi), Edizioni Mediterranee, Roma 2000, pagg. 1.022 (complessive),
s.i.p.
La conoscenza pitagorica mai non si estinse, troppi vantaggi infatti prodiga
a chi ci si impegni. Basta calcolare le proporzioni e commentarle come hanno
insegnato i tanti maestri. In Italia poi era la sapienza italica, che dettò al
Vico il giovanile Antiquissima Italorum sapientia, prezioso esame
etimologico della parola chiave per intendere la realtà alla maniera
tradizionale. Meno ci seduce nel romanzetto del Cuoco
dove sfilano i maestri della Magna Grecia. In Germania spicca il trattato di von
Thimus,
ammirevole, dove erano riunite al sistema pitagorico le filosofie dei
geroglifici egizi; ma in Italia non poteva fiorire qualcosa del genere, dopo che
un avo del Croce
aveva raccomandato di cacciare dall'attenzione il ricordo del pitagorismo,
raccomandando di sostituirlo con Hegel.
Ci sarebbero voluti alcuni decenni perché rinascesse l'impegno pitagorico, col Reghini,
che negava Euclide,
ricostruendo con perizia mirabile tutto l'antico sistema, calcolando e
disegnando con perizia sovrana. Ebbe una sua parte notevole nel fornire simboli
antichi a Mussolini, finché costui cominciò a lavorare per stabilire un'intesa
col Vaticano: sdegnato, tradito, Reghini si ritirò a fare il professore di
matematica in una scuola media emiliana. Morì dimenticato attorno alla fine
della Seconda guerra mondiale. C'era stato in precedenza soltanto un fedele del
pitagorismo antico, il Rossetti,
emigrato dal Regno delle sue Sicilie a Londra, autore dello stupendo e
lunghissimo Il mistero dell'amor platonico nel Medioevo. Suo figlio,
Dante Gabriele, doveva imporre le sue idee, con un'opera poetica e pittorica che
sconvolse l'Inghilterra; ma ormai apparteneva alla letteratura inglese! C'era
stata altresì, una letteratura pitagorica francese, che arricchì un giovane
alsaziano nato nel 1880, René Adolphe, adottato quindi dal nobile lituano
Schwaller de Lubicz. Sposò una donna devotissima e fertile scrittrice di
romanzi d'ambiente egizio, Isha. Ebbero una. bambina Lucie Lamy, e vissero a
spese del governo egiziano a Luxor, misurando accuratamente il tempio sulle rive
del Nilo, a partire dal 1936 fino al 1952, quando la rivoluzione dei colonnelli
repubblicani e socialisti fece crollare l'ambiente politico, loro ospite
generoso. Di ritorno in Francia, morì nel 1961. La sua opera principale,
l'esame pitagorico del tempio di Luxor, è stata ora tradotta da Paolo Lucarelli
presso le Edizioni Mediterranee.
Schwaller de Lubicz tentò di riesumare la sapienza faraonica, alla quale
avevano attinto Pitagora
e Platone.
Commenta Lucarelli: mancano informazioni precise su conoscenze scientifiche
egizie "anche se piramidi, tempi, gestione del territorio, oggetti d'uso,
calendari e altro ancora stanno a testimoniare l'esistenza certa di tale valore
da stupire i contemporanei e ancora le civiltà più tarde".
Esistette un'egittologia anteriore a Champollion, che interpretava i geroglifici
filosoficamente e aveva avuto un maestro nella Roma secentesca col gesuita Athanasius
Kircher; purtroppo dopo le dimostrazioni ineccepibili di Champollion, ci si
illude di saper leggere documenti che non presentano un senso chiaro. Ci si
ostina a tradurre neter con "divinità", mentre denota il
"fuoco segreto", che agevola la corporificazione particolare dello
spirito. Così ba si traduce per lo più con "anima" mentre è
il secondo elemento accanto al ka, di natura più mobile. Schwaller de
Lubicz rifiuta quasi tutto il ciarpame vario intorno all'antico Egitto. Capitò
anche a me negli anni settanta di andare a Luxor e di accanirmi sulle rovine del
tempio, ma la conclusione fu che al suo interno c'era una cappellina islamica,
sede di un gruppo sufico. Ebbi preziosi contatti con il capo del gruppetto, che
allora già stava la massima parte del tempo in Svezia. Ma all'anniversario
della morte del capo della setta, si ripresentava in città e, avvolto in un
velo candido, a cavallo guidava la processione festosa. Bastava ascoltare la
confessione sua delle idee che l'ispiravano per disporre di una traduzione
fedele delle strutture ideali che avevano dettato l'erezione dell'antico tempio.
Se debbo giudicare questa opera immensa di Schwaller de Lubicz, debbo partire da
una censura preliminare: è uno schema gnostico arbitrario che egli tira in
campo. E' un abuso partire dall'idea d'una trinità incorporata all'Uno, idea
cristiana che Israele o l'Islam respingono. Ancor di più accettare di esaminare
come modello fondamentale il corpo dell'uomo immaginato, come detta l'evoluzione
darwiniana, come suprema meta dei corpi di tutti gli animali, di mare, cielo e
terra. Le civiltà sciamaniche credono che l'uomo debba imparare dagli animali,
le scienze più recenti ritengono che molti pesci e uccelli siano dominati da
una sensibilità minuziosa, che percepisce le correnti magnetiche di terra e
mare. Per il resto l'occhio di Schwaller de Lubicz è pronto e raffinato: sa che
tra passato e futuro c'è un momento presente che evidenzia l'essenza del tempo
sia pure sul piano esoterico o subconscio. E' anche veridico che l'annullamento
di più e meno, lo zero, designa un carattere esoterico positivo: esiste. Il
fondamento che Schwaller accetta è l'antropocosmo, definendolo con la
dichiarazione che non abbiamo nulla da conoscere che si situi fuori di noi. Ma
indagare sulle operazioni matematiche complesse di Schwaller sarebbe esasperante
e superfluo, molto più prezioso è attenersi all'idea che il sonno è il modo
di affondare nella realtà ignorandone i sistemi percettibili di ordinamento
generale, restaurando così l'energia per aver eliminato la conoscenza cerebrale
sì da conoscere i misteri della vita, sapendo orinai guardare a ciò che
"a forza di vedere non si constata più". Ogni istante di ogni giorno
si applicano conoscenze segrete che, se le riconoscessimo, mostrerebbero senza
velo tutte le potenze che racchiude l'uomo dell'antropocosmo. Le fronde degli
alberi ne spiegano le radici.
L'assenza di mobilità e creatività simboleggia la preghiera come vittoria
della personalità mortale, Nicodemo è colui che si dipartì dal Sinedrio per
interrogare Gesù sulla rinascita e perciò secondo Schwaller è raffigurato
nelle cattedrali con nelle mani la calotta cranica, come nell'arte bizantina i
santi sono effigiati, rimossa la calotta, a testa piatta. Questa amputazione
indica la pura intuizione che fa parlare la conoscenza innata del neter
ossia della funzione cosmica. Fuor del Tempio l'uomo è simboleggiato da quello
specchio d'inganni che inverte alto e basso, sinistra e destra: San Paolo, in
partenza per combattere la cristianità. fu gettato faccia a terra e si sollevò
nella visione della verità. Nell'Egitto faraonico la calotta cranica è sempre
denotata da una corona o benda o fessura, essendo la chiave del pensiero
faraonico. In genere presso i popoli antichi il sempliciotto, al quale fa
difetto la calotta cranica, era venerato sempre. Il sempliciotto è privo della
cima cranica, somigliante allo scarabeo stercorario.
Ciò che consente di discernere è in primo luogo l'odorato: polarizza il fuoco
che separa (Seth), contiene il fuoco che unifica (Horo): come Satana e Lucifero.
L'essere umano è l'atlante sul quale si leggono le zone del cosmo e le loro
influenze dettate dal cielo astronomico, laboratorio di tutti i miracoli del
mondo.