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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Elémire Zolla: parole di luce ritrovate

 

La scoperta del "Tao Te Ching", l'amicizia con Bazlen, il fascino dell'infanzia

Un'intervista inedita all'autore de "I mistici dell'Occidente", morto la settimana scorsa

 

di Alessandro Mezzena Lona

Mille chilometri, tutti d'un fiato, per fare un'intervista. Trieste-Montepulciano andata e ritorno, partendo ben prima dell'alba e ripercorrendo i propri passi a notte fonda, per non mancare all'appuntamento con Elémire Zolla. Forse l'unico intellettuale italiano che si è sempre sottratto ai riti collettivi e a quel fastidioso chiacchiericcio su tutto e su tutti. Un uomo appartato, uno scrittore a parte. Un personaggio da andare a cercare, per ascoltare dalla sua voce quel lungo viaggio da lui intrapreso verso la fonte della conoscenza.

L'idea di un'intervista a Zolla, sul finire del 1997, non era nata a caso. Partendo dalle suggestioni di Giulio Camillo, e del suo "teatro della memoria", Cesare Piccotti della Cooperativa Bonavventura di Trieste si era messo a costruire il progetto per una rassegna che esplorasse i territori della conoscenza arcana. L'ospite ideale per una serata di parole e di illuminazioni sarebbe stato proprio lui, l'autore di quel poderoso lavoro che è "I mistici dell'Occidente". Lo scrittore di libri come "I letterati e lo sciamano", "Verità segrete esposte in evidenza", "Uscite dal mondo", "Lo stupore infantile".

"Quando sarebbe questo appuntamento con i "Fluidi magici"?", chiese Zolla al telefono. Gentile, disponibile, eppure si capiva anche da lontano che non lo animava il desiderio di spostarsi dalla sua Montepulciano. L'invito era per un gelido giorno di febbraio. E la risposta arrivò scontata: "No, vi ringrazio, ma non amo viaggiare quando fa freddo. Venite voi a trovarmi qui, a casa mia. Così possiamo parlare con un po' di calma".

Il tempo di trovare una telecamera digitale, e di scovare una giornata completamente libera nel rincorrersi degli impegni di lavoro, e Piccotti era già al volante. Lanciato su un'autostrada che sembrava non finire mai verso Montepulciano, con chi scrive al suo fianco. Impazienti, tutti e due, di arrivare a quell'incontro che prometteva molto.

Qualcuno ha scritto che intervistare Zolla, morto la settimana scorsa, era un po' come incamminarsi sui sentieri dell'onirico. Aveva perfettamente ragione. Perchè quel giorno, neanche la modernissima telecamera azionata da Piccotti è riuscita a inquadrare Zolla in maniera nitida. Dell'intervista, ambientata nella casa dello scrittore in una Montepulciano splendente e magica, rimane soltanto l'eco di due voci che dialogano in una sorta di nube purpurea. In una penombra solcata da interferenze di colori.

Il pubblico di "Fluidi Magici" non ha mai visto questo video al Teatro Miela. Ma adesso che Zolla non c'è più è interessante rileggere le sue parole. Fermarsi a riflettere sulle tante storie da lui raccontate in quell'intervista.

"I Mistici dell'Occidente" si ferma molto lontano dal nostro tempo...

"Si ferma alla Rivoluzione Francese. Non che non ci siano mistici posteriori, per carità: viviamo in Italia, un Paese in cui se ne possono segnalare moltissimi, specie donne, nel Ventesimo secolo. Ma: dopo il 1789 - data della Rivoluzione Francese, ma per me soprattutto data dell'acquisizione dei Veda nella Biblioteca Britannica - non si trova più mistico che parli con l'autorevolezza innata, con la solennità sovramondana, con l'intensità metaforica dei mistici anteriori. Non abbiamo più la prosa straordinaria, quasi sovrumana, di Santa Teresa o di San Giovanni della Croce. Non possiamo illuderci e dire: il certo Santo del tal paese del 1800 ha il tono del grande mistico antico, perchè non è vero. È per questo che, nonostante il desiderio di continuare il percorso dei "Mistici dell'Occidente", dovetti fermarmi".

Altri piccoli casi li avrebbe potuti trovare?

"Ci sono ovviamente dei casi, dei piccoli lembi d'Europa, dove il sommovimento della Rivoluzione non fu così deleterio come in Francia, in Italia, Inghilterra e Germania: mettiamo l'area tra Bolzano e Innsbruck, che è rimasta abbastanza segregata. Eppure, anche le mistiche diciamo bolzanine o di quella regione non hanno toccato la stessa intensità. Non ci sono vite totalmente assorbite dall'Uno. Parlo dell'Uno perchè il mistico è colui che si mette in contatto con l'Unità, che è un mistero, che è l'origine di tutti i numeri, quindi l'origine di ogni cosa. A differenza del metafisico, il quale, invece, è in contatto con lo zero. Questa suddivisione fondamentale, tra mistica e metafisica, è già chiara nei testi cinesi arcaici".

Nel Novecento ci sono personaggi illuminati da una conoscenza "alta"?

"Posso fare due nomi: il giapponese Isuzo e l'indiano Koomaraswami. In Koomaraswami c'è la capacità costante, in ogni cosa che scrive, di capire in profondità sia il sistema metafisico indù, sia la metafisica cristiano-medioevale, sia il sistema neoplatonico greco e anche quello taoista. Prendiamo un poema medioevale inglese, uno dei testi più profondi dell'esoterismo, se vogliamo: lui riesce a interpretarlo fino in fondo proprio perchè lo inquadra in questo sistema generale. Punti di riferimento che emanano una luce abbagliante e spiegano tutto".

E Isuzo?

"Purtroppo non è stato tradotto in italiano. Lo trovo quasi altrettanto geniale di Koomaraswami, prima di tutto perchè, giapponese, profondamente giapponese, è stato capace di spiegare la tradizione nipponica come ben pochi. Aveva anche una cognizione del'arabo e del persiano: non soltanto tradusse il Corano in giapponese, ma dominava perfettamente tutto il sistema sufico e lo metteva in connessione col taoismo. Tant'è che il suo libro più bello, "Sufismo e Taoismo", che sembrerebbe un'assurdità a prima vista, invece è un'esemplificazione taoista di ogni verità enunciata dalla metafisica arabo-iraniana, dalla quale finalmente si ottiene una visione perfetta, speculare e dell'uno e dell'altro mondo".

Si sente estraneo all'Occidente?

"Da quando avevo sette anni. Allora mi capitò di leggere il "Tao Te Ching". Fu una lettura inebriante, che mi rivelò tutto in quelle parole. Non lo so cosa avvenne poi, perchè evidentemente non avevo una preparazione filologica, eppure la trasmissione ci fu. E fin da allora capivo che quella era la voce che poteva insegnarmi. Da ragazzino ho iniziato a scrivere poemi sul Budda e cose di questo genere, quindi la vicinanza a questo mondo, e la lontananza dall'Occidente, l'ho sempre sentita".

Crede che nell'adolescenza ci sia concesso di avvicinarci al mistero?

"Credo che tutte le verità fondamentali, in qualche modo, le intuiamo fra i tre e i quattro anni. Dopo, è offuscata quella chiarezza di cui si può godere in quegli anni. Forse non tutti i bambini hanno certe aperture magiche sul mondo che, però, non sono infrequente. Fondamentale è che non siano tormentati dai genitori. Bisogna avere rispetto per loro: non intervenire, non tentare di forzare la loro mente, lasciarli a queste connessioni che possono sconcertare, che sono sondaggi nella Verità. Se si riesce a trattenersi, ad ascoltare i ragazzini, le verità emergono. La meraviglia che può suscitare un bambino è un fenomeno ancora intoccato".

Un'educazione errata preclude le vie che portano alla conoscenza?

"Certo è l'educazione generale di oggi (non da oggi) che inibisce di vedere l'esoterico".

Nella cultura italiana trova sintonie?

"No, la cultura italiana quale la conobbi da ragazzo era una mostruosità indicibile, era la cultura fascista. Subito ho provato un odio furibondo, che oggi mi fa sorridere. Da allora non ho mai avuto la presunzione di trovare in Italia qualcosa di vero, di significativo, anche perchè, poi, l'ossessione comunista che seguì al fascismo era equivalente".

Ha conosciuto intellettuali come Roberto Bazlen, Roberto Calasso...

"Bazlen non l'ho conosciuto negli ambienti universitari. Anzi, guai ad accostarlo all'università: lui la disprezzava. Era un vecchio signore che abitava in una stanzuccia dietro casa mia, quando vivevo in via del Babbuino a Roma. Era un personaggio da frequentare, assolutamente. Aveva estratto l'essenza da quel turbine di incontri e di scontri che poteva essere la società triestina".

Come lo ricorda?

"Era perfettamente libero. E quindi valeva la pena ogni tanto andarlo a visitare, sentire di quali letture parlava, quali accostamenti inediti poteva evocare. Un giorno portai il giovane Roberto Calasso a trovarlo e, da allora, prese forma la casa editrice che forse valeva la pena di istituire: Adelphi".

Cosa pensa di personaggi come Carlos Castaneda?

"Carlos Castaneda non è facile da giudicare. Colui che incominciò scrivendo quella lunga teoria di libri su Don Juan è una figura molto importante. Il personaggio che negli ultimi anni della sua vita si presentava contornato da quattro o cinque donne, sue allieve, e che faceva dei cd per insegnare i movimenti che servono per uscire dall'uomo... beh, questo non mi interessa proprio per niente. Non vale la pena prenderlo in considerazione. E mi chiedo: come mai, fino a un certo punto, è stato un personaggio esemplare per la giovinezza? Come mai è diventato un signore dal quale non ti aspetti più nulla? Misteri della vita. Certo, si può sempre deviare da un corso e sceglierne un altro. Però è impressionante, perchè il grado di conoscenza esoterica presente in Castaneda non è molto facile da ritrovare altrove".

Molti anni fa, a Trieste, parlò del satanismo...

"Venni a Trieste nel 1968 per tenere quella conferenza. È un anno d'una importanza straordinaria nella storia, perchè nel Sessantotto è iniziata l'aggressione a un fatto elementare della vita sociale, come l'insegnamento, che c'è quasi sempre stato. L'università nasce a Bisanzio, e senza l'università non si sarebbero creati gli stati europei, non ci sarebbe stata la possibilità di organizzare minimamente l'esistenza. Si è arrivati a affidare il pensiero europeo a dei poveri dementi. Si è riverito una serie di personaggi criminosi e incolti come non s'era mai fatto prima. Per me, quello, fu un momento di sgomento, di orrore. Forse avrei dovuto guardare con occhio indifferente anche queste manifestazioni disgustose. Però, in quel momento, ebbi il desiderio di trovare i punti di riferimento della storia europea che consentissero di distinguere la tradizione chiamiamola satanica dalla tradizione più chiara, luminosa. E quindi venni a Trieste per tenere quella conferenza. Ovviamente, il satanismo in sé è una costruzione mentale che noi applichiamo alla vita. In quel momento ce n'era un'illustrazione travolgente".

Reti telematiche, diavolerie elettroniche. Il futuro la spaventa o la affascina?

"Dipende, perchè la tecnologia in sé non ha molto significato. Fra tutte le invenzioni tecniche che ci sono state, ovviamente quella della realtà virtuale può sollecitare molto interesse. Con la realtà virtuale si arriverà a una riproduzione pari pari della realtà quotidiana. Quindi, se non altro, si sarà escluso dall'uso corrente il termine di realtà concreta, che sembra la parola più sacra nel nostro tempo. Togliere all'uomo d'oggi la realtà concreta, sostituirgliela con una pluralità di mondi, tra i quali poter scegliere, è un atto coraggioso. Da liberatore". 

 

Da: http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020606.htm

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