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Benvenuti nell'arca dell'inconscio di
Elémire Zolla
L'ultimo articolo dello studioso morto giovedì scorso a 76 anni: una rilettura della teoria psicologica di René Guénon Quando Guénon morì nel suo ritiro del Cairo lasciò uno stuolo di opere possibili a svolazzare attorno ai suoi patiti, a parte le lettere. Da queste caviamo i segreti della sua vita esoterica, il suo almanacco su tradizioni segrete, poniamo negli anni Trenta sulla vita di comunità segrete in Etiopia, specie sulle cattedrali nascoste a Gondar dall'imperatore Lalibelà, sull'iniziazione dei giovinetti al culto dell'arca dell'Alleanza ebraica, trasmesso dai primordi della Chiesa etiopica e custodito in una chiesetta decrepita sul lago di Gondar. Le notizie sono di enorme portata per chi rammenti il passo di Agostino sulla messa catacombale, sospesa all'improvviso, con la cacciata dei catecumeni e l'estensione sull'ara dell'arca, mistero divino supremo agli iniziali di grado supremo: l'arca iniziatica, con le figure dei cherubini che segnano un mistero di Dio. Perché l'Italia scatenò la guerra all'unico Stato africano dotato di tali tesori? So che un futuro diplomatico ebreo romano fu incaricato allora di tradurre per il ministero alcune opere essenziali della Chiesa etiopica. Sicché mi pervennero tante copie di lettere di Guénon, ma non pensai mai di farle stampare. Chi mi garantiva la loro autenticità? Perché mescolarmi agli intriganti in lizza fra loro? Grossato
(René Guénon (attribuito a), «Psychologie»,
a cura di Alessandro Grossato,
Archè, Milano 2001), che ha raccolto questi pregevoli appunti per una
rettifica dei concetti fondamentali di psicologia, ha perfino indovinato il
periodo di composizione del malloppo: a Blois, per i cinque allievi del corso di
filosofia liceale. Grossato, fra i più sistematici studiosi di Guénon, ha
compilato un eccellente dizionario dei simboli presso Mondadori e ha svolto
un'analisi guénoniana dell'anno liturgico ebraico.
Adesso insegna, accanto agli studiosi di gnosi e di guénonismo
all'Università di Trieste,
all'Università di Gorizia. Mi
giunge l'invito alla presentazione della sua ultima opera il 14 maggio alla
Fondazione Cini sull'isola di San Giorgio: lo scambio di lettere fra Guénon e
Alain Daniélou,
depositato alla Cini. Proprio ciò
che mi aveva annunciato Moravia quando incominciai a leggere Guénon; era
ancora vivo in un comune adiacente ai Castelli Romani Alain Daniélou.
Il volume è edito da Olschki, Firenze. L'opera
di Guénon sulla psicologia parte dal fatto che con Locke
nasce l'idea, assente dianzi, di psicologia.
Grandi conoscitori della psiche si erano accumulati ben prima, ma con
Locke si incomincia a trattare i fenomeni interiori come tema di una scienza
autonoma. Individuo un caso singolare di somiglianza, lo stupore del senatore
Agnelli quando studiò Roma e arredò la esposizione sulla civiltà romana all'Eur.
Là l'impero romano come Fiat antica, impegnato a incanalare i trasporti fra
Lazio ed Egitto, con efficacia economica impeccabile: flotte immense erano
organizzate per sedare la fame dello stomaco e della mente.
Eppure nessuno aveva ancora elaborato una scienza economica, come s'era
fatto? Semplicemente calcolando
giusto quante navi occorressero, con quanti porti e quanti ingaggi.
Esattamente alla stessa maniera ci si spiega come procedesse il mondo
antico per calcolare le regole della psiche.
I fenomeni psichici non sono puramente quantitativi, ma qualitativi e
la loro intensità non si misura in numeri, come la paralisi fisiologica non
si sottomette alla psichica. Il pensiero si adatta alle condizioni di qualcosa
che sta aldilà della vita, con fini che sovrastano quelli vigenti durante la
vita. La psicologia è scienza
della mente, si svolge con osservazione e induzione: l'ipotesi va verificata e
c'è un limite oltre il quale l'induzione si tramuta in deduzione fino a
raggiungere il punto i cui si dimostra che la memoria risale all'abitudine.
L'isolamento del soggetto si ottiene mercé l'ipnosi, che lo rinserra
in se stesso e lo fa ubbidire a stimoli artefatti. La coscienza dei fatti psichici in genere li ripartisce in emotivi e volitivi, oltre che puramente intellettuali. C'è l'inconscio, che si è attribuito alla pluralità di coscienza, ipotesi disputabile. Invero l'unità della coscienza non è mai metafisicamente rigorosa, ne esistono prolungamenti, che formano l'inconscio. Per definirlo non è il caso di fermarsi a Leibniz perché già il numero di per sé è discontinuo e la continuità dell'esistenza un'illusione. In realtà c'è un minimo di fenomeni percepiti, ma l'inconscio mai non spiega il conscio, il cosciente chiaro e distinto è forse soltanto il contenente della psiche. Ribot fu il primo filosofo della coscienza, che attribuì il fondo della psiche al semplice funzionamento psichico, ma forma in se stesso un'unità altamente imperfetta. Lo psicologo non spiega la coscienza come il fisico o il matematico non spiegano spazio e tempo, anzi, nemmeno ne forniscono la definizione, perché dell'irriducibile non si può. Di fatto le denominazioni della metafisica indù dei cinque sensi sono le uniche a reggere, nitide come le 5 dita della mano a cui si connettono. L'opera guénoniana interpreta l'opera di Jung e si sofferma sul momento in cui nasce il metodo junghiano più intimo dell'esame psichico; quando nel pieno della sua attività, Jung si sorprese a domandarsi: «Ma che cosa sto facendo; questa non è certo scienza, ma che cos'è?» e di colpo udì la voce della sua cliente Sabina Spielrein che si pronunciava: «E’ arte». Decise di ingaggiare un discorso con la voce, concedendole la propria fonazione per offrirle tutto lo spazio necessario ad articolare un discorso. Il metodo era tratto dalle pratiche spiritistiche: così la psicanalisi si tramutò in sacramento del diavolo.
Da: http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/020602c.htm
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