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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Il pensiero che oltrepassa la parola
Elémire Zolla parla del suo libro sulla «filosofia perenne»
Parlo del Tao e e del Buddhismo e espongo tre incontri: Cuhanu , Djuna Bames e Sade

di Doriano Fasoli

Elémire Zolla, già professore di letteratura anglo-americana presso "La Sapienza" di Roma e indiscusso conoscitore a livello mondiale delle filosofie orientali (in particolare dell'induismo e del buddhismo, oltre che delle tradizioni esoteriche in genere), ha appena dato alle stampe un nuovo libro: La filosofia perenne. L'incontro fra le tradizioni d'Oriente e d'Occidente (Mondadori). Ha anche curato di recente, per Einaudi, Il dio dell'ebbrezza, una preziosa antologia dei moderni Dionisiaci: da Nietzsche a Freud, a Benjamin, ad Artaud, Benn, Michaux, Landolfi... In essa, l'autore de Le tre vie (Adelphi) tenta di uscire dalla dicotomia droga-astensione. «Come tutti i dualismi è una trappola deformante. Ho procurato di alzare una triade, l'astinenza e l'ebbrezza drogata sono sormontate dalla liberazione».
Professor Zolla, a cosa si riferisce precisamente il titolo della sua attuale pubblicazione, «la filosofia perenne»?
«Filosofia perenne è una denominazione che propone Leibniz, ma fu creata nel 500 da Agostino Steuco, un eugubino che riprese il pensiero di Pico della Mirandola, di cui aveva letto la biblioteca raccolta dal vescovo di Venezia. Che cosa indica? La filosofia che tutti avevano enunciato in vario modo, si potrebbe perfino dire: in tutti i modi immaginabili, a patto che fossero tutti irreprensibili dal punto di vista logico. Una filosofia che smentisce la parola: la parola non è l'unico tramite, chi crede alla filosofia perenne sopporta di enunciarla a parole con fastidio, perché essa rinvia a un'intellezione che la parola può soltanto tradire. D'altra parte il modo in cui si espone è sempre innovabile e trasformabile: la parola è sempre inganno. Mostro alcune filosofie che si possono denominare perenni: il taoismo cinese, l'advaita unitario indù, il buddhismo speculativo, oltre al neoplatonismo, alla filosofia dei platonici fiorentini alla fine del 400. Ne parlo, ma non esaurisco l'esposizione, avvio un discorso che potrebbe proseguire all'infinito».
<Qual'è lo spirito che lo informa e come si pone rispetto alle sue ultime riflessioni
«Filosofia perenne, vuole dire filosofia che rifiuta la dualità, la contrapposizione, per attenersi all'unità. Oltre a esporre il taoismo e la filosofia unitaria indù, le varie filosofie buddhiste, la filosofia fiorentina della fine del 400, nel libro espongo tre incontri con personaggi fondamentali, che illustrano meglio di un'esposizione strettamente filosofica il tema generale: Culianu, il grande studioso assassinato nel 1993 a Chicago, il cui sistema inglobava le religioni viste sotto l'occhio della scuola di Chicago. Djuna Bames, l'americana autrice di Bosco di notte e di Antifona, la quale aveva ragionato con cura le premesse delle sue opere e che mi capitò anche d'incontrare a New York. Infine Sade, che di recente è stato esaminato in maniera nuova da due autori americani. Credo che avessero ragione Adorno e Horkheimer attribuendogli il ruolo di un esecutore finale del programma illuministico. E' l'esempio di una natura radicalmente viziata, di una mente fondamentalmente corrotta, l'opposto dell'uomo redento dalla filosofia perenne» Lei si è detto travolto dalla lettura dell'opera di Pavel Florenslkij, teologo, filosofo, matematico e teorico dell'arte, autore de «Le porte regali» e de «Lo spazio e il tempo nell'arte», il quale fucilato 1'8 dicembre nei pressi di Leningrado, dopo aver scontato lunghi anni di esilio e di lager prima a NiznjNovgorod, poi a Skovorodino e Solovki. Può spiegarne i motivi?

«Pavel Florenskij mi travolse perché difese una filosofia ortodossa e perenne, in uno stile che non era più filosofico, ma arroventato, confessionale. Era convinto da Platone, perciò capace di scrivere ad un amico lettere appassionate e dottissime, dove la filosofia perenne si dispiega in maniera trionfale».

Arriviamo adesso a «Il dio dell'ebbrezza»: dove ha vissuto le esperienze più dionisiache?

«In India. Nelle prime pagine del saggio introduttivo, ho elencato alcuni episodi di dionisismi indiani. Un'attraversata nella foresta accanto a Cochin, nel cuore della notte, quando mi si pararono accanto nel buio fitto alcuni squarci fulminanti di luce: mercatini dove si sciorinavano sui banchetti le erbe più odorose, le immagini più seducenti di dei, e i venditori scivolavano di banchetto in banchetto scintillando con la pelle sudata. La vista dei templi nei dintorni di Madras, dove i sacerdoti offrirono lo spettacolo della loro devozione di pulitori di lingam nel pieno della loro ubriachezza».

Come nacque Dioniso?

«Dalla coscia del padre Zeus. Una nascita capovolta; l'uomo compie l'opera femminile e materna; non a caso Dioniso sarà androgino».

L'incontro con Nietzsche è stato determinate per lo sviluppo del suo pensiero.

«L'incontro con Nietzsche avvenne per me assai tardi. Per anni non ne tenni conto. Adesso lo leggo e penso d'averlo penetrato; la sua filosofia è tra le premesse che consentono di ravvisare l'illuminismo nella sua natura più intima. Aveva acquistato da ragazzo la certezza che il tempo è un concetto deforme, che la storia non può essere altro che un sistema d'errori. Di colpo tutto il suo passato familiare crollò: la cristianità della famiglia, il culto della storia si disfecero. Non aveva ancora vent'anni e s'insediò fuori del tempo! Da allora gli era garantita per tutta l'esistenza una estraneità radicale al suo ambiente e alla sua epoca. Ravvisò, affrontandola dal suo punto di vista rigorosamente filosofico, la comicità di tutte le fedi che lo circondavano e uno sguardo fulmineo all'antica Atene, al sacerdote maggiore di Dioniso seduto in trono sul proscenio tragico o comico, gli svelò tutto dei misteri dionisiaci, quindi la natura ultima della tragedia e della commedia antiche».

Verso quale direzione muove ora la sua ricerca?

«Non è che io mi dedichi a ricerche. Leggo, di quando in quando un passo mi si rivela, allora seguo le implicazioni di ciò che s'è così offerto all'attenzione, lo sviluppo. Ma non è una ricerca: non sono io a spingermi innanzi, sollecitato dal senso dell'avventura e della scoperta imminente e che genero tutto il fenomeno!».

 

Da: http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/990620g.htm

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