Il testo di Elémire Zolla che
presentiamo è tratto da due registrazioni televisive mai pubblicate,
risalenti al 1996 e 1997, raccolte insieme ad altre nel film «Extraritratti.
Elémire Zolla» realizzato da Antonello Colimberti per RaiSat Extra. Zolla
affronta alcuni temi cruciali della sua riflessione: l’indecifrabilità del
reale, l’esperienza della liberazione, le possibilità di uscita dal mondo.
Nell’immediatezza della comunicazione televisiva è evidente come non mai la
sua capacità di abbracciare una tradizione globale, comprensiva
dell’Oriente, manel più occidentale dei modi: la forma del logos, la logica.
Fra le tante, evasive definizioni ricevute da Zolla - da «turista
metafisico» a «cercatore di aure» - la migliore possibile resta infatti
quella di Montale: «È uno stoico che onora la ragione umana e che sente la
dignità della vita come un supremo bene. È un uomo che non si mette “al di
sopra” della mischia, ma che vuole restare ad occhi aperti».
Non sono credente. Non credo a nulla. So alcune cose, altre le so meno,
altre non le so, ma se dovessi dire che so qualcosa perché ci credo direi
una menzogna. Non credo che esista un altro mondo oltre a questo. Esiste
questo mondo, nei vari momenti in cui si rivela. Pensare a un altro tipo di
esistenza dovrebbe presupporre la permanenza della nostra persona. Uno dei
primi insegnamenti del buddhismo è che la persona non esiste.
Che cos’è la liberazione? È la cosa più facile da definire e la più
impossibile. È facile da definire perché chiunque ha esperienza della
liberazione. Chiunque due volte al giorno almeno ne ha esperienza: quando si
sveglia e quando si addormenta.
È un momento, un’intercapedine tra i due ordini dell’esistenza, in cui si è
perfettamente liberi: non si è ancora soggiogati dalle leggi della coscienza
di veglia, si gode ancora della libertà sconfinata del sonno. E quindi si è
liberati, in quel momento. Naturalmente subito dopo - o meno subito, dipende
dall’atteggiamento di ciascuno - si rientra nella servitù della veglia. Però
c’è il momento di riscatto, di liberazione. Non si è più nell’ignoranza del
sonno, e non si è ancora nella soggezione della veglia. Chiunque ha
esperienza, perciò, della liberazione in vita: non è una cosa tanto lontana.
Naturalmente è un altro conto riuscire a espandere questo spazio, cioè ad
allargare nel pieno della giornata la libertà di cui si è goduto per un
frammento di istante.
Come ottenerlo? Per ottenerlo si può sacrificare tutto. Un indù, in genere
un indù pio, sogna di poter partire un giorno, e questo è l’apice della vita
per un indù, ancora oggi. C’è il momento in cui si è messo al mondo un certo
numero di figli, si è provveduto al loro avvenire, e ci si può congedare.
Ed è un momento straordinario, cui bisogna avere assistito, quello in cui un
uomo che ha avuto grandi cariche, che ha avuto una parte importante nella
vita della comunità, si sveste, si abbiglia di vesti molto semplici, si
allontana dalla famiglia, da tutti, e si rifugia nella foresta. E questa
foresta non è il luogo un po’ pauroso che noi ci immaginiamo. È un posto
dove tutto è a disposizione. Se si ha bisogno di mangiare, si fa cadere una
noce di cocco, la si spacca in due, ecco due piatti. Di qualunque oggetto si
abbia bisogno, è a disposizione. C’è l’acqua che scorre, ci sono i frutti da
mangiare. Finalmente, isolati da tutti, si può meditare. E ci si può,
effettivamente, liberare. Questo è il fine della vita di un indiano. In
India c’è lo spettacolo degli uomini che si sono liberati. Evidentemente un
novanta per cento sarà di truffatori. Però c’è anche quella piccola
percentuale di uomini che ci si accorge che sono liberati, semplicemente
dalla serenità dell’occhio.
Io non sono attratto dalle persone che si allontanano dalla realtà. Sono i
pazzi a allontanarsi dalla realtà. A me interessano le persone che riescono
a mettersi fuori dal gioco degli interessi. Del proprio interesse,
dell’interesse altrui, del servizio agli altri o del servizio a sé stessi,
come che sia. Che riescono a uscire da questa capsula di leggi nella quale
tutti sono contenuti, e riescono a fare un respiro in un’aria purissima,
nell’aria della loro libertà.
Non è un’illusione. Se la realtà fosse solo quella che si percepisce
ordinariamente, lo sarebbe. Ma noi percepiamo una realtà molto limitata.
Pensiamo a quanto poco vediamo del mondo rispetto a un animale, capace di
individuare le leggi magnetiche, come un colombo, poniamo. Quindi anche le
nostre percezioni sono entro dei confini - così asfissianti, alla fin fine.
Se vogliamo capire come è fatta la realtà dobbiamo andare al di là del
confine delle nostre percezioni.
C’è stato un momento abbastanza importante nella storia delle discoteche. Fu
quando cominciarono a far circolare ecstasy: un modo per uscire dal mondo.
Non so se sia quello che raccomanderei io, ma è sicuramente quello che molti
preferiscono. E contemporaneamente cominciò quella musica che era nata in
Germania, qualcuno dice addirittura come propaggine di Stockhausen, quella
musica popolare, techno-musica mi sembra si chiami. E i ragazzi che
frequentavano le discoteche impararono qualcosa che era già stato insegnato,
dopotutto, nelle confraternite sufi dell’islam: a fare un gesto unico e a
ripeterlo all’infinito su un seguito musicale.
È un rito tribale, quello della discoteca, che non dev’essere
necessariamente unito alla droga, come nel caso del rito sciamanico. Parlo
della diffusione dell’ecstasy perché fu allora che cominciò questa voga. Ma
io sono dell’opinione di Tolstoj: riducendo al massimo i nostri cibi e le
nostre bevande otteniamo esattamente lo stesso effetto.
Da:
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200806articoli/33526girata.asp