"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Quando
si scriverà una storia della cultura italiana dell'ultimo mezzo secolo, si dovrà
dedicare un lungo capitolo a Elémire Zolla - morto ieri nella sua casa di
Montepulciano all'età di 76 anni - non soltanto come scrittore e studioso ma
anche come suggeritore in campo editoriale e organizzatore culturale. Figlio di
un pittore, Venanzio, celebre nella
Torino degli anni Trenta, con una nonna inglese e una madre francese, aveva
maturato fin dall'adolescenza una cultura che trascendeva la piccola aia
dell'Italia del dopoguerra. Lo capirono subito Nicola Chiaromonte, che lo
volle a Roma come redattore di «Tempo presente», e Mario Praz che gli suggerì
la carriera universitaria. Fu Zolla a
introdurre nel nostro Paese Adorno e la Scuola di Francoforte. Ma quel pensiero
critico gli andava stretto, sicché fin dagli anni '50 intraprese un cammino di
ricerca che lo condusse verso il pensiero metafisico e sapienziale che era stato
trascurato, se non censurato, dalla prevalenza del neoidealismo nella prima metà
del secolo e poi del marxismo e del
neoilluminismo nel dopoguerra.
Celebre fu la sua antologia I mistici che indusse molti critici a immaginare una
sua conversione al cattolicesimo, anche
perché allora era molto legato a Cristina Campo. Ma la sua evoluzione avrebbe
smentito quelle voci: inoltrandosi nello studio delle religioni, specie
orientali, e viaggiando soprattutto in India, si orientò definitivamente verso
quelle
tradizioni. Ha avuto due meriti indiscutibili: di avere percorso fin dagli anni
'50 l'itinerario di liberazione dai fantasmi
ideologici abbandonando i territori della cultura strumentale per giungere a
quelli che hanno come fondamento il primato della contemplazione. In questo
viaggio, segnato da libri come Il letterato e lo sciamano, Le potenze
dell'anima, Storia del fantasticare, I mistici e Le meraviglie della natura, ha
avuto anche modo di educare le nuove generazioni con i convegni che organizzò
alla fine degli anni '60 presso l'Istituto Accademico di Roma, scoprendo
scrittori e studiosi italiani, allora sconosciuti, da Guido Ceronetti a Giuseppe
Sermonti e proponendo altri stranieri che poi consigliò a molti editori, come
posso testimoniare io stesso, avendolo avuto come direttore di collana
insieme con Del Noce dall'editore Borla e poi come consulente da Rusconi negli
anni Settanta, e come può confermare a sua volta Calasso per l'Adelphi:
ricorderò fra tanti altri Mircea Eliade, René Guénon, J.R.R. Tolkien, lo
storico dell'arte Hans Sedlmayr, il lama tibetano Chögyam Trungpa, il rabbino
Abraham Heschel, Pavel Florenskij
o Giorgio de Santillana. Basterebbe questa preziosa funzione, esercitata in anni
molto difficili per chi non si adeguava alle parole d'ordine degli intolleranti
padroni del pensiero, per meritargli la gratitudine dei lettori. Avremo
l'occasione per sceverare meglio gli aspetti positivi da quelli, a parare
nostro, meno condivisibili del suo pensiero. Oggi ci
preme sottolineare, nel dolore e nella fretta del ricordo giornalistico, la sua
statura culturale.