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Nuove tendenze e metodologie
applicate allo studio dei principi dottrinali degli insegnamenti dello Zen Sōtō
(Seijun Kiyozumi Ishii)
Sono molto felice di fare la vostra conoscenza. Mi chiamo
Kiyozumi Ishii dell’Università Komazawa in Giappone. Come voi sapete sono anche
un monaco Zen e vorrei chiedervi la cortesia di chiamarmi con il mio nome di
Dharma, Seijun.
Per questo seminario, Kamada Shoki San mi ha chiesto di parlare
delle ultime tendenze nella ricerca sullo Zen Sōtō, attualmente portata avanti
in Giappone, e dell’uso di metodologie informatiche, quali gli strumenti online,
per interpretare lo Shōbōgenzō e altri testi radice della scuola Sōtō.
INTRODUZIONE
Vorrei iniziare parlando della definizione di “Patriarchi”
fornitaci da Dōgen. La possiamo trovare nell’introduzione di Deyu (Tokui) al Sutra
della Piattaforma del Sesto
Patriarca. In essa leggiamo: “Coloro che sono illuminati alla dottrina della
mente del Buddha (wu foxin zong), la cui pratica e comprensione si equivalgono,
sono grandi fratelli spirituali.” (John McRae – The Platform Sutra of the Sixth
Patriarch).
Le parole dell’ultima frase citata significano: “ottimi maestri
su cui si può fare affidamento” e si riferiscono allo stesso Huineng. Deyu (Tokui)
elogiò Huineng come un monaco che non solo praticava ma che sentiva il bisogno
di chiarire il vero significato della Pratica.
Dōgen stesso vi faceva riferimento in uno dei suoi scritti, l’Eihei-koroku,
come segue:
498. Discorso della Sala del Dharma.
“ Coloro che
realmente possiedono il dono della pratica e del discernimento, sono chiamati i
maestri ancestrali. Quello che chiamiamo pratica è la Pratica intima e profonda
della scuola dei Patriarchi, quello che chiamiamo discernimento è la perspicacia
della scuola dei Patriarchi. La pratica e il discernimento degli Antichi Buddha
sono semplicemente la pratica di ciò che deve essere praticato e il
discernimento di ciò che deve essere compreso.”(Taigen Leighton & Okumura
Dōgen’s Extensive Record)
Come possiamo vedere, Dōgen enfatizza l’importanza di possedere
entrambi i doni, della pratica e del discernimento, per poter essere considerati
antenati Zen. Deyu (Tokui) disse che i più importanti sacerdoti Zen dovrebbero
possedere una reale comprensione dello Zen e della Pratica. Dōgen pone simili
condizioni e stabilisce questo con la frase “ sono
semplicemente la pratica di ciò che deve essere praticato e il discernimento di
ciò che deve essere compreso”. Fondamentalmente lo Zen considera la pratica
quotidiana come l’aspetto più importante; tuttavia la comprensione del
fondamento logico di tale importanza questo è, allo stesso tempo, di per sè
importante.
Secondo questa definizione anch’io, pur dedicando molto tempo ed
energie allo studio degli ideogrammi cinesi (Kanji), sono ben lontano dal
padroneggiare lo Zen.
LINEAMENTI DI STORIA DEGLI STUDI SŌTŌ E DI DŌGEN
Innanzitutto vorrei rivedere con voi alcuni lineamenti della
storia degli studi sulla tradizione Sōtō per comprendere come si siano
sviluppati nel tempo dando origine a correnti di pensiero interne ed esterne
alla Scuola stessa. Lo faremo ripercorrendo il percorso di Maestri, praticanti e
studiosi.
1. Classificazione degli studi Sōtō nel
Giappone contemporaneo .
-
1.a.
Teologia Sōtō (Veicolo Sōtō, 17° sec.) – interpretazione tradizionale dei
canoni Sōtō presso i monasteri.
-
1.b. Accettazione da parte dei filosofi (19° sec.) –
analisi filosofica e ideologica dello Shōbōgenzō da parte dei filosofi dopo
la restaurazione Meiji.
-
1.c. Studi Sōtō (19° e 20° sec.) – introduzione di
metodologie di ricerca accademica nell’ambito degli studi storici e
religiosi.
I più famosi studiosi possono essere suddivisi nelle tre
categorie descritte sopra:
-
Nishiari e Kisizawa rappresentano
i successori della scuola teologica Sōtō più tradizionale.
-
Gli studiosi cosiddetti Komazawa appartengono
perlopiù alla categoria “c.” in quanto hanno introdotto le più moderne
metodologie negli studi religiosi, storici e filosofici.
-
Infine gli studiosi che appartengono alla categoria “b”.
Essi comprendono alcuni filosofi delle Università di Tokyo e Kyoto come Tanabe,
Watsuji e così via, i
quali preferirono esprimere il loro pensiero basandosi sulla filosofia
occidentale e utilizzando citazioni dello Shōbōgenzō.
Questa categorizzazione è tutt’ora presente nell’ambito degli
studi Sōtō in Giappone. Alcune si sono reciprocamente influenzate mentre altre
hanno mantenuto la loro originalità.
Ora vorrei soffermarmi un attimo sullo sviluppo cronologico degli
studi Sōtō.
2. Creazione del Veicolo Sōtō.
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2.a. Periodo MUROMACHI (14°-16° sec.). Dopo
la morte di Dōgen, dal 14° al 16° secolo i monaci Sōtō non guardarono allo
Shōbōgenzō per affermare la loro originalità filosofica. La loro identità
era rivelata dalla pratica monastica, specialmente dalla pratica di Zazen.
-
2.b. Periodo EDO (17°-18° sec.). Durante
questo periodo iniziarono gli studi dello Shōbōgenzō, probabilmente a
seguito delle politiche sulle scuole religiose adottate dallo shogunato
Tokugawa, e come conseguenza dell’arrivo in Giappone di nuovi movimenti Zen
provenienti dalla Cina.
-
2.b.i. Lo shogunato Tokugawa promulgò la cosiddetta
Legge Hatto, applicabile a tutte le scuole buddhiste, che prevedeva:
-
L’ordinamento obbligatorio dei templi (Homnatsu-seido).
-
La registrazione presso ciascun tempio dei
praticanti laici (Terauke-seido).
-
L’indipendenza delle scuole (in particolar modo
per lo Zen).
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La stabilità economica dei templi.
-
2.b.ii. il movimento O-baku
Zen (Huan po chan)
introdotto in Giappone da Yin Yuan che prevedeva:
-
La meditazione seduta con la recitazione dei Nomi
del Buddha.
-
L’introduzione di nuovi strumenti e strutture.
-
Modifiche al Rito nelle scuole Sōtō e Rinzai.
-
Introduzione di importanti cambiamenti nei
monasteri.
Secondo lo Homnatsu-seido,
che introduceva l’ordinamento obbligatorio delle scuole buddhiste, furono
riorganizzati i Templi Madre con la conseguente rinascita di un senso di
appartenenza alle varie sette.
Tarauke-seido elevò
lo status sociale dei vari templi e portò stabilità economica ma, allo
stesso tempo, introdusse la necessità, per gli abati, di possedere un
elevato livello di scolarizzazione e una forte magnanimità. In questo
contesto, all’interno dei vari templi furono fondati istituti per
l’istruzione che diedero origine a programmi di studi per i monaci. Uno di
tali istituti, Sendan-rin, contribuì alla nascita dell’Università Komazawa.
O-baku Zen , dal
canto suo, ebbe molteplici effetti sia sul Rito che sulle strutture dei
monasteri. O-baku (Huan po) Zen è stato introdotto in Giappone nel 1655 da
Ingen (Yin Yuan). La vita monastica nelle tradizioni Sōtō e Rinzai fu
profondamente influenzata dal nuovo stile: tra le altre cose furono
introdotte le campane e i tamburi di legno (mokugyo), nonché la sala da
pranzo all’interno del monastero. L’influenza di questo movimento è stata
così profonda che dopo un iniziale entusiasmo, entrambe le scuole Sōtō e
Rinzai realizzarono che la sua implementazione sarebbe stata problematica. I
monaci, infatti, vedevano l’introduzione di regole e concetti forestieri
come una possibile causa di estinzione della loro tradizione.
Koki-fukko è il
movimento che ha corretto le Regole monastiche dopo i cambiamenti
introdotti, in maniera inappropriata, dalla scuola O-baku (Huanpo) a metà
del 17° secolo. Il movimento Koki-fukko prevedeva la conservazione di tutte
le regole monastiche della Scuola Sōtō allora conosciute.
Shūtō-fukko rappresentò
il tentativo, in seno alla Scuola Sōto, di porre fine alle diatribe sulla
trasmissione del Dharma. Questo tentativo fu portato avanti tra molte
difficoltà dovute alla frapposizione di due fazioni opposte: quella facente
capo a Menzan Zuihō, che sosteneva che il metodo di trasmissione si doveva
basare sull’avvenuto risveglio del successore, e quella guidata da Tenkei
Denson che spingeva per una stesura di procedure formali per la
trasmissione. Alla fine prevalse la corrente guidata da Menzan e Tenkei fu
messo in disparte.
Menzan e Tenkei erano altresì contrapposti nella controversia sull’approccio
all’interpretazione dello Shōbōgenzō. Menzan asseriva che si doveva
considerare il Shōbōgenzō-kikigaki-shō (abb. Goshō), il più antico
commentario scritto nel periodo Kamakura, come la principale base su cui
appoggiare l’interpretazione dello Shōbōgenzō. Per contro, Tenkei rifiutò
l’adozione di questo testo considerandolo inesatto.
Tenkei fu nuovamente sconfitto e così nacque il metodo tradizionale di
interpretare lo Shōbōgenzō che fa riferimento al Goshō.
A seguito di questi scontri dottrinali, le istituzioni educative della
Scuola Sōtō, stabilirono il seguente piano di studi:
I Classici cinesi e i Versi rappresentavano, per i monaci, materie di studio
più generiche mentre molta importanza era riconosciuta allo Shu-jo in quanto
serviva a far rivivere le basi dottrinali della Scuola Sōtō e a ricostruire
una forte identità.
In tale ottica, l’interpretazione dello Shōbōgenzō divenne la materia con il
maggior peso all’interno del programma formativo della Scuola Sōtō, così
come previsto da Dōgen stesso. Tale interpretazione faceva affidamento
principalmente sul commentario Shōbōgenzō-kikigaki-shō anche se era
contestato da Tenkei, il quale si opponeva anche allo Shūtō-fukko.
Lo Shōbōgenzō-kikigaki-shō, molto probabilmente fu scritto dai discepoli di
Dōgen e pertanto può essere considerato affidabile ma devo farvi notare
l’esistenza di alcuni preconcetti, quali:
-
Una interpretazione di tipo “monista”. Goshō unisce
termini tra di loro opposti come giusto e sbagliato, lungo e corto,
dentro e fuori, per indicare un unico, assoluto, concetto di “buddhità”.
-
Qualsiasi capitolo dello Shōbōgenzō può essere
integrato nello Genjo-koan o nel Busshō. (In altre parole, Genjo-Koan o
Busshō possono essere visti come riassuntivi dello Shōbōgenzō).
Questo tipo di interpretazione è riscontrabile i vari sermoni tenuti nei
monasteri e divenne la base per uno stile contemporaneo di studio dello
Shōbōgenzō, lo Shugaku(Studi
Sōtō Tradizionali).
Un famoso studioso di Dōgen, Kurebayashi Kodo, ha definito Dentō-shūgaku (la
Teologia Tradizionale Sōtō) come segue:
“Dentō-shūgaku è un punto di vista che considera come suprema la dottrina
stabilita da Senne, discepolo di Dōgen, e dal suo discepolo, Kyōgō”.
-
2.c. Periodo
successivo alla la Restaurazione Meiji. Dopo la Restaurazione
Meiji, Nishiari Bokusan (1821-1910) collocò i commentari allo Shōbōgenzō nel
seguente ordine:
1). Shōbōgenzō-kikigaki-shō, di Senne e Kyōgō.
2). Shōbōgenzō-monge, di Menzan e del suo discepolo Fuzan Gentotsu.
3). Shōbōgenzō-na-ippō, di Fuyō Rōran, discepolo di Tenkei.
4). Shōbōgenzō-benchū, di Tenkei
Con l’adozione di questa sequenza, si definì l’approccio di base
all’interpretazione dello Shōbōgenzō. Ciononostante, gli studiosi moderni
dovrebbero evolvere tale approccio, rivedendolo attraverso lo studio della
storia dello Zen e l’utilizzo di metodologie linguistiche più moderne che
prevedano lo studio del cinese colloquiale e della letteratura giapponese
antica.
3. Accettazione dello Shōbōgenzō da parte dei filosofi
(19° sec.)
La seconda delle principali correnti negli studi sugli
insegnamenti di Dōgen, nacque subito dopo le Restaurazione Meiji. In quel
periodo i Maestri delle scuole Zen giapponesi, invocarono l’aiuto degli
intellettuali per far fronte alla politica governativa che promuoveva lo
Shintoismo quale religione di Stato (Kokka Shintō).
Tra i molti che risposero all’appello vi erano Tanabe Hajime
(1885-1963) e Akiyama Hanji (1893-1980) entrambi appartenenti alla Scuola di
Filosofia Giapponese di Kyoto.
Questi filosofi non consideravano lo Shōbōgenzō come uno dei
Testi Sacri della Scuola Sōtō, ma piuttosto come un’opera ideologica o
filosofica e si relazionavano ad esso adottando un approccio fenomenologico.
Inoltre consideravano Dōgen un filosofo e un pensatore e il suo pensiero, come
illustrato nello Shōbōgenzō, separato dalla Teologia Sōtō. In questo modo gli
studi su Dōgen diventarono un corso accademico a sè stante.
Il contributo di tali filosofi fu influenzato dai loro recenti
studi di filosofia occidentale.
Questo fu il modo in cui furono formulati i principali studi
Sōtō. Nel successivo periodo Showa, si sviluppò il Veicolo Sōtō e furono altresì
sviluppate alcune nuove metodologie.
4. Taisho e il primo periodo Showa dopo la Restaurazione
Meiji.
STUDI ACCADEMICI/ DAL “VEICOLO SŌTŌ” AGLI “STUDI SŌTŌ”.
Nel 20° secolo, i ricercatori che approfondivano il pensiero di
Dōgen e la dottrina Sōtō, si muovevano in un ambito puramente accademico
collocato aldilà dei cancelli dei templi. In quel periodo fu coniato il termine
Sōtō Shūgaku (Studi Sōtō).
L’origine del nome e del concetto di Shūgaku sembra essere
riconducibile a un corso di studi chiamato Shūgaku-joetsu,
tenuto presso l’Università di Komazawa da Etō Sokuō nel 1932. Nel periodo Edo, i
teologi Sōtō si riferivano al loro campo di studi con il termine Shūjō (Veicolo
Sōtō).
Successivamente, Etō pubblicò l’opera “Maestro Zen Dōgen, il
Fondatore (Shūso to shite no Dō gen
Zenji, 1944)”. La sua disciplina, Moderna Teologia Sōtō (Kindai Shūgaku, o
Studi Sōtō), univa la metodologia degli studi religiosi e lo studio della
dottrina delle altre scuole buddhiste (es. Kegon, Tendai, ecc.).
Più o meno nello stesso periodo, Nukariya pubblicò “La
dottrina del Maestro Dōgen – colui che ha afferrato l’Essenza del Buddhismo
(Bukkyō no Shinzui wo Haaku Seru
Dōgen Zenji no Ky ōgi, 1935)”,
il cui scopo era molto simile a quello dell’opera di Etō. La pubblicazione di
questi due trattati rappresentò il debutto accademico della moderna Teologia
Sōtō.
In breve, possiamo dire che questo periodo è stato caratterizzato
da i seguenti elementi:
-
La nascita
degli studi storici sul Buddhismo.
-
La fusione del Veicolo Sōtō con altri Veicoli. La ricerca
non si limitava a fonti settarie ma si apriva allo studio comparato di tutta
la storiografia e il pensiero buddhista.
-
L’introduzione di metodologie di ricerca importate
dall’occidente.
NUOVE TENDENZE NEGLI STUDI SŌTŌ.
Dagli anni ’80 del ventesimo secolo in poi, furono identificate
nuove metodologie per la lettura dei testi del canone Sōtō, ognuno dei quali
molto utile per la comprensione dello Shōbōgenzō.
-
1. Una
nuova interpretazione basata sullo stile di Dōgen per le citazioni.
La successiva generazione di studiosi, emersa dopo Kurebayashi, prese spunto
dal presupposto che il pensiero di Dōgen e la sua identità storica,
dovessero essere definite sulla base degli sviluppi nel pensiero Chan
cinese. Questo approccio divenne rapidamente la caratteristica comune dei
più recenti studi. Il metodo fu definito da Kagamishima Genryū (1912-2001) e
fu utilizzato per la prima volta nella stesura dell’opera: “Uno studio
delle Scritture e delle Citazioni Raccolte dal Maestro Dōgen (Dōgen Zenji to
in ‘yō kyōten-goroku no
kenkyū)”.
Il metodo di Kagamishima comprendeva:
-
L’identificazione delle fonti, sia nei testi Chan che
nei Sutra, sulle quali si basano le citazioni di Dōgen.
-
Confrontare il contesto originale di tali citazioni
con l’uso fatto da Dōgen.
-
Analizzare come Dōgen abbia, intenzionalmente o meno,
reinterpretato le citazioni.
-
Descrivere le differenze tra le idee di Dōgen e i
concetti del Chan cinese, specialmente gli atteggiamenti assunti dalla
dinastia Song che Dōgen criticava.
-
· Chiarire le caratteristiche del pensiero di Dōgen
collocandolo all’interno del processo di evoluzione del pensiero
buddhista.
In particolare, Dōgen cita Hongzhi Zhengjue (1091-1157) nel discorso nr. 206
contenuto nell’opera: “Eihei kōroku, Vol. 3”. Nonostante il
rispetto che nutriva per Hongzhi, Dōgen prese la frase:
“ Una pietra preziosa (la
nostra Natura) non ha graffi (è immacolata). Se qualcuno prova a inciderla
(introdurre una qualsivoglia Pratica), tutta la sua virtù (le sue qualità)
andranno perdute.”
.. e la modificò come segue:
“ Una pietra preziosa (la
nostra Natura) non ha graffi (è immacolata). Se qualcuno cercherà di
lucidarla (introdurre una qualsivoglia Pratica), questo ne aumenterà il
luccichio”.
Anche se sono stati modificati solo quattro caratteri, questo dimostra come
Dōgen abbia ignorato l’approccio “contemplativo” di Hongzhi, cambiando il
testo per enfatizzare la necessità di “lucidare” (introdurre una Pratica)
per far emergere la natura immacolata. (ISHII, Shūdō, Uno Studio della
Storia del Chan nella Dinastia Song (Sō dai Zenshū shi no Kenkyū, 1987
pagg. 367-369))
Questa metodologia di ricerca filologica è tutt’ora utilizzata e sono state
identificate alcune frasi particolarmente significative per una comprensione
del pensiero di Dōgen.
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2. Applicazione
del metodo Yanagida-Iriya agli studi sul Chan cinese.
Al fine di meglio chiarire la posizione di Dōgen e l’originalità del suo
pensiero, alcuni studiosi Sōtō hanno adottato un nuovo approccio analitico
sviluppatosi in seno agli studi sul Chan cinese condotti da Yanagida Seizan
e Iriya Yoshitaka. Con l’opera Shoki
Zenshūshi no kenkyū, Yanagida fu il precursore dell’utilizzo di moderne
metodologie di ricerca storica nel campo degli studi sullo Zen. Questo
approccio dispensa la convinzione sulla validità delle agiografie sulla vita
dei Patriarchi quale metodo per divulgare la fede e esamina in maniera molto
critica i racconti trasmessi dalla Tradizione.
Questo approccio è stato rafforzato dalla rinvenimento, in Korea, di un
fondamentale testo di trasmissione della dottrina, lo Zutang
ji (Sodōshū) datato 952, che
si riteneva fosse andato perduto. La sua scoperta ha modificato, in maniera
drammatica, la prospettiva sul background storico in cui collocare lo Zen.
Inoltre, nello Zen no goroku,
Yanagida ha cercato di discernere lo sviluppo intellettuale degli scritti
Chan sui grandi maestri della dinastia Tang.
Il lavoro di Irya, attraverso uno studio linguistico dettagliato, ha inoltre
contribuito a chiarire l’uso e il significato delle frasi Chan, compreso
l’utilizzo di locuzioni in vernacolo che hanno rivelato la natura viva e
vibrante dei testi Chan. Fino ad allora, la natura elusiva del linguaggio
Chan veniva interpretata come trascendentale e non si teneva conto della sua
dimensione sociale. I risultati del lavoro di Irya sono raccolti nello Zengo
jiten (il Dizionario delle
Frasi e delle Espressioni Zen).
Le ricerche più recenti che hanno impiegato la digitalizzazione dei testi
Chan cinesi, potenziate dalla possibilità di effettuare scansioni su di una
grossa mole di file elettronici, hanno permesso una comprensione più
profonda delle varie sfumature presenti nelle varie opere sullo Zen. Anche
se una più completa esposizione del metodo cosiddetto Yanagida-Irya,
analizzato da John McRae e da altri accademici occidentali, si pone al
difuori dello scopo di questo capitolo, voglio solo puntualizzare che
l’apprezzamento del ruolo del cinese volgare nell’ambito dei testi Chan,
avviato da Irya, ha portato a sviluppi importanti negli studi Sōtō.
Il testo di Ishii Shūdō, Chūgoku
zenshū shiwa: Shinji Shōbōgenzō ni manabu (I
Racconti del Chan cinese: Riferimento ai Kōan nello Shinji Shōbōgenzō), è
uno dei più notevoli risultati dell’interazione tra gli Studi Chan e Sōtō.
-
3. Storia
tradizionale del pensiero Sōtō Zen
a confronto con una nuova prospettiva suggerita dal libro “Vedere attraverso
lo Zen” (Seeing Through Zen).
“La trasmissione della Lampada dello Zen: non la consideriamo una favola ma
nemmeno fatti storici. Questo è un libro storico carico di energia che mette
a nudo la verità, separandola dal processo di creazione della finzione. “
(Recensione apparsa su Amazon Japan).
John McRae, Seeing Through Zen.
Prefazione:
“Questo libro è destinato a coloro che intendono dedicarsi all’analisi
critica del buddhismo Chan, o Zen, cinese medievale. Le interpretazioni
esposte nel libro, rappresentano le mie più profonde e sentite intuizioni su
questa importante tradizione religiosa e attendo con impazienza di ricevere
le valutazioni e le critiche dei lettori, studenti e colleghi. Più
importanti dello specifico contenuto di queste pagine, sono i metodi di
analisi utilizzati e i processi umani descritti. In altre parole,
l’obiettivo principale di questo libro non è l’esposizione di una
particolare narrativa del Chan cinese ma di contribuire a cambiare il modo
con cui noi affrontiamo l’argomento.”
Le regole di McRae applicate agli Studi sullo Zen:
1. Non è vero, e pertanto è più importante.
2. Le affermazioni tratte dal lignaggio sono tanto forti quanto errate.
3. La precisione implica inaccuratezza.
4. Il romanticismo da’ origine al cinismo.
Prima, però, di considerare il punto di vista di McRae, dobbiamo rivedere
quella che è la comprensione ordinaria della storia del pensiero Zen.
Storia del pensiero zen
1. Origine: il Fondatore, Bodhidharma.
Dalla biografia di Bodhidharma tratta dal Zenrin-kujitu Konmei-shu.
Bodhidharma, il fondatore della scuola Zen, era il terzo principe di
Koshi-king, nel Sud dell’India. Il suo nome originariamente era Ksatryia.
Ricevette la trasmissione del Dharma di Pannya-Trata (Hannya-tara). In quel
periodo, Bodhi Trata cambiò il suo nome in Bodhidharma.
Bodhidharma venne da occidente per diffondere il vero buddhismo. Praticò
zazen per nove anni fino a quando non trovò un discepolo degno di ricevere
la trasmissione del suo Dharma. Durante questo lungo periodo di meditazione,
la gente lo chiamava “Hekikan-Brahmana” e , di conseguenza in un libro
diventò “Hekikan-Koso”.
2. Da Bodhidharma a Huineng.
27 Patriarchi indiani àBodhidharma à Hui ke àSeng can à Dao xinà Hong renà
Hui neng.
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a. Seng chan e la scuola Leng qiue.
Non ci sono prove che dimostrino che Sengchan fosse davvero esistito.
Esisteva, invece, una scuola che considerava sacri i quattro volumi del
Lankavatara Sutra (Leng qie jing).
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b. Daoxin e gli insegnamenti della montagna
orientale.
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Smise di vagabondare e si sistemò in un tempio di
montagna.
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Adottò dei Sutra apocrifi scritti in Cina, quali
il Suramgama-sutra e
il Yuanjue jing (Sutra
dell’Illuminazione Perfetta).
-
c. Hong ren e i suoi discepoli.
-
Stabilì un’assemblea di praticanti.
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Unificò il pensiero buddhista con la pratica
quotidiana nei monasteri.
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Illuminazione graduale di Shen xiu e
illuminazione istantanea di Huineng.
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Nascita della Scuola del Nordo e della Scuola del
Sud.
Nella Storia Ufficiale dello Zen, i Patriarchi appaiono in ordine
cronologico ma secondo recenti ricerche, le scuole di pensiero non furono
sviluppate indipendentemente dai singoli successori di Bodhidharma. “ Naturalmente
non dobbiamo liquidare le tradizioni come cose inventate. Esse hanno un
significato importante per lo sviluppo e la prosperità dello Zen .”
Scrive McRae.
3. Sviluppo del pensiero della Scuola del Sud da parte del 6°
Patriarca - Huineng.
Nel pensiero di Eno troviamo tre pilastri.
-
a. Jisho-Shojo:
la natura di Buddha in ciascuno di noi è immacolata.
Eno ha insegnato che tutti gli esseri senzienti possiedono lo stesso
potenziale per diventare Buddha. Questo elemento dottrinale è apparso
ine primo dialogo del Sutra della Piattaforma: “Sud, Nord, Est o
Ovest, tutte le persone hanno la stessa natura di Buddha”. Inoltre
possiamo altresì vedere come tutti gli esseri siano, all’origine, puri:
“Non c’è macchia o polvere sulla nostra natura di Buddha”.
Questo è il primo pilastro della sua dottrina.
Per via di questo concetto, sono nate le regole che determinano la forma
come stabilita dalla nostra natura immacolata. Dato che queste regole
riflettono la natura propria di ciascuno di noi, non possono essere
fisse e universali. Questa “regola senza forma” è chiamata Musho-kai –
questo è il secondo pilastro.
-
b. Muso-kai
o Bussho-kai – precetti
senza forma
“Muso” significa niente forma. Nel pensiero Zen non ci sono delle regole
che proibiscano alcuni comportamenti ma le persone si trattengono in
modo naturale obbedendo alla loro natura di Buddha. In altre parole il
nostro comportamento è governato da un forte self-control. In questo
caso “senza forma” significa che ogni individuo possiede dei suoi
precetti innati.
Questo è il significato del secondo pilastro della dottrina di Huineng.
Egli si Risvegliò non mentre era seduto in meditazione, ma nel bel mezzo
del lavoro quotidiano di pulizia del riso. Pertanto egli ha svincolato
la pratica del Risveglio dalle restrizioni della meditazione seduta. Ha
introdotto una nuova definizione di Zen. Da quel momento, tutte le
attività della normale vita quotidiana sono equiparate allo zazen.
Questo è il terzo pilastro di Eno.
-
c. Zazen
svincolato dalla meditazione seduta.
Ridefinizione dello Zazen come totalità della vita quotidiana.
Grazie a questo nuovo concetto, il pensiero Zen ha iniziato ad
attribuire grande importanza alle attività della vita quotidiana. Come
sapete, la dottrina originale dello Zen fu portata a compimento in quel
periodo. Pertanto chiamiamo Eno “Il Patriarca che ha stabilito il
pensiero Zen”.
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4. L’indipendenza della Scuola Zen.
Nel corso del nono secolo, Bai zhang compose la Regola originaria per i
praticanti Zen. Essa fu chiamata Shingi o Qinggui. Purtroppo il testo
originale è andato perduto ma si ritiene che contenesse diversi aspetti
molto rilevanti. Il più significativo di questi è l’importanza che viene
attribuita all’attività produttiva nella vita monastica. Questa
rappresentò una importante riforma dei precetti buddhisti in quanto in
origine ogni attività produttiva all’interno del monastero era
espressamente proibita. Lo Zen, invece, la convertì in una valida
pratica buddhista.
Baizhan disse: “se non faccio nulla, non mangerò”. Questa
affermazione ci fa capire quanto fosse importante l’attività di Samu.
Poichè il testo originale di questa Regola è andato perduto, e per altre
ragioni, alcuni storici asseriscono che la Scuola Zen non divenne
indipendente ai tempi di Baizhan. In questa prospettiva, nessuna
innovazione nello Zen è avvenuta in quel periodo.
-
5. Le Cinque Case.
Nello Zen ci sono diversi modi di esprimere il Satori e questo ha
portato alla nascita di diverse correnti di pensiero, o “Case”, durante
la dinastia Tang.
I loro nomi sono: Igyo, Unmon, Rinzai, Soto e Hogen.
Fa Yan Wen Yi (Hgen Mon’Eki) ha suggerito questa classificazione nella
sua operaZong men shi gui lun.
Ciascuna esprime il pensiero buddhista, ma ciascuna ha sviluppato il suo
peculiare sistema educativo. Non sono realmente delle sette diverse
poichè adottano la stessa definizione di Satori – differiscono solo
nella comprensione concettuale e nella metodologia didattica.
Gli elementi che sono stati sinora esposti, appartengono alla Storia
generale dello Zen, ma come voi ben sapete, questa Storia è stata redatta
combinando insieme diversi aneddoti. McRae ha fatto notare questo importante
elemento ma, allo stesso tempo, non ha mai rifiutato a priori alcun elemento
di finzione. Egli ha scritto: “La finzione stessa è importante”.
Nella dinastia Song, i monasteri sono gestiti dal Governo – il sistema è
noto come il Sistema delle Cinque Montagne (Wu Shan). Persino i monaci
venivano nominati dal Governo. Inoltre lo stile di vita e il significato
della pratica monastica cambiarono molto in questo periodo. Faccio notare
che esiste un divario nella pratica Zen tra il periodo Tang e quello Song.
Questo divario è stato scoperto solo di recente ed è diventato un fattore
importante per comprendere la situazione dello Zen giapponese.
Dobbiamo, inoltre, tenere conto di questa situazione politica quando
leggiamo lo Shōbōgenzō in quanto è in questo contesto che Dōgen ha studiato
e praticato lo Zen cinese.
Comunque, recenti sviluppi nell’interpretazione delle opere di Dōgen ci
portano a dover utilizzare tre nuove metodologie. Naturalmente queste tre
metodologie non negano le precedenti ma pongono il pensiero di Dōgen sotto
una luce diversa.
Le metodologie sono:
-
1. Il metodo Kagamishima.
Si basa su di una attenta analisi delle citazioni di Dōgen,
confrontandole con il loro significato originale.
-
2. Yanagida-Irya
-
Considera la Storia dello Zen come una specie di
romanzo. Ne ricerca e studia il significato storico cercando di
capirne l’origine.
-
Il metodo Irya prevede l’analisi delle
espressioni colloquiali presenti nei dialoghi Zen ricercandone il
significato originale al momento del loro utilizzo.
-
3. Mettere a nudo le idee di coloro che scrivevano
facendo uso di aneddoti. Dobbiamo conoscere a fondo la Storia Ufficiale
dello Zen poichè molti trattati giapponesi dipendono da essa.
Ho così indicato 3 nuove metodologie per leggere e comprendere le parole di
Dōgen. Non dobbiamo avere una fede cieca nella Storia Ufficiale dello Zen ma
attribuirne una certa importanza. Non dobbiamo ingoiare ogni cosa che ci
viene detta ma nemmeno etichettare tutto come frutto della fantasia.
Dobbiamo sforzarci a capire le ragioni e i processi che hanno portato a
definire tale Storia.
Inoltre, dobbiamo chiarire il significato delle parole. Molte espressioni
colloquiali risalenti al periodo Tang furono usate nei dialoghi Zen. Dōgen
ha studiato lo Zen in Cina e pertanto molte di queste espressioni sono
rintracciabili nello Shōbōgenzō. Se anche solo riuscissimo ad
re-interpretarle usando le più recenti metodologie, gli Studi del Sōtō
potrebbero progredire notevolmente.
Con questo in mente, voglio ora illustravi come leggere lo Shōbōgenzō
utilizzando nuovi strumenti.
LEGGERE LO
SHŌBŌGENZŌ
Cinque diverse compilazioni dell’opera.
Come ben sapete, lo Shōbōgenzō è una compilazione degli scritti di Dōgen
redatti nell’antica lingua giapponese, Kanal. Ci sono 5 versioni diverse
dell’opera a seconda del numero dei fascicoli che contengono: 95, 75, 12, 60
e 28 rispettivamente.
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a. La versione con 95
fascicoli.
Compilata nel 18° Sec, nel periodo Edo. Genito sokuchu, 50° abate di
Eiheiji, raccolse tutti gli scritti, in giapponese, di Dōgen in
occasione delle celebrazioni per il 550° anniversario della sua morte. I
fascicoli furono sistemati in ordine cronologico e pertanto la raccolta
rappresenta la versione ufficiale della scuola Sōtō.
-
b. La versione con 75
fascicoli.
Si ritiene sia stata compilata da Dōgen stesso.
-
c. La versione con 12
fascicoli.
Questa versione è conservata presso il tempio Yoko-ji nella Prefettura
di Ishikawa. I 12 fascicoli furono rinvenuti nel 1936, nel periodo Showa
e quando furono confrontati con la versione a 75 fascicoli, fu subito
etichettata come Sin-soof(Materiale
nuovo). Il contenuto dei 12 fascicoli tratta della dottrina base del
Buddhismo.
-
d. La versione con 60
fascicoli.
Si narra che Giun, il 5° abate di Eiheiji, abbia preparato questa
versione come dono per lo Shogun Kamakura. Si tratta di un insieme di 50
fascicoli presi dalla versione a 75, più 7 tratti dalla versione a 12
fascicoli e 2 fascicoli presi dai supplementi. Questa versione è stata,
quindi, compilata tempo dopo la morte di Dōgen ma alcuni fascicoli
sembrano antecedenti al contenuto della versione a 75 fascicoli. Alcuni
studiosi dello Shōbōgenzō asseriscono che la versione con 60 fascicoli
indichi l’ordine di compilazione che fu poi seguito nella versione a 75
fascicoli.
-
e. La versione con 28
fascicoli.
Si dice che Ejo, il secondo abate di Eiheiji, abbia trascritto i
fascicoli. Dato che alcuni hanno lo stesso numero nella sequenza, sembra
che sia un’opera incompiuta. Anche se non è considerata come una
versione indipendente dello Shōbōgenzō, rappresenta un documento molto
importante per stabilire il processo di compilazione dello Shōbōgenzō
stresso.
E’ altresì possibile che le versioni a 12 e 75 fascicoli siano state
costruite partendo dalle versioni a 28 e 60 fascicoli.
Traduzioni in Inglese dello Sh ō b ō genz ō
e di altri testi del Canone Sōtō.
a. Sōtō Zen Text Project: http://scbs.stanford.edu/sztp3/
b. Bukkyo Dendo Kyokai “Digital Text” http://www.bdkamerica.org
c. San Francisco Zen Center Treasury of the True Dharma Eye (Kindle version)
Testo originale e testi di supporto.
a. The SAT Daizokyo Text Database http://21dzk.l.u-tokyo.ac.jp/SAT/
b. Digital Dictionary of Buddhism http://www.buddhism-dict.net/ddb/
Le peculiari espressioni utilizzate da Dōgen
nello Shōbōgenzō.
Lo Shōbōgenzō contiene alcune espressioni tipiche di Dōgen, le sue
particolari interpretazioni dei termini in uso nello Zen. Vorrei presentarvi
3 schemi rappresentativi.
1. Nei dialoghi, chi pone le domande è collocato sullo stesso piano di chi
deve rispondere. Entrambi hanno raggiunto la buddhità – le domande indicano
la Verità.
-
Lo scopo di Zazen.
Mazu, Maestro Zen Daji di Jiangxi, studiò con Nanyue, Maestro Zen Dahui,
Dopo aver ricevuto il sigillo della mente di Nanyue, Mazu sedette
costantemente in Zazen. (SFZC)
2. Le parole di diniego (no, non, etc.) non significano solo diniego ma
anche: assolutamente, perfettamente, completamente, e così via.
-
Genjo-koan .
(SFZC)
Così come la legna non torna ad essere legna dopo che è stata tramutata
in cenere, dopo la morte tu no tornerai a nascere. Essendo ciò vero, nel
Buddhadharma c’è una tendenza ormai consolidata a negare che la nascita
(vita) si trasforma in morte. Nascita (vita) è intesa essere oltre la
nascita (vita). Uno degli insegnamenti chiave del Buddha che la morte
non si trasforma in nascita (vita). La morte è intesa essere oltre la
morte.
L’Universo realizzato (BDK
– Bukyo Dendo Kyoka. Associazione per la promozione del buddhismo).
La legna, dopo che è stata tramutata in cenere, non torna ad essere
legna. Allo stesso modo gli esseri umani, dopo la morte non vivono di
nuovo. Allo stesso tempo è uso comune del Buddhadharma non dire che la
vita si tramuta in morte ed è per questo che si parla di “non-inizio”.
Negli insegnamenti del Buddha, i giri della Ruota del Dharma, si
stabilisce che la morte non si tramuta in vita ed è per questo che
parliamo di “non-fine”.
“Non-inizio” è fushō e
“non-fine” è fumetsu.
Le parole fushō-fumetsu che, per esempio, appaiono del Sutra del Cuore,
esprimono l’istantaneità dell’universo.
Nell’originale giapponese, fushō e fumetsu hanno un significato di
negazione: non vivere, non essere più in vita, non morte etc. Nelle
traduzioni illustrate sopra, invece, si parla di: (SZFC) – “oltre la
nascita/morte” e, BDK, di “istantaneità dell’universo”.
In entrambi casi non c’è un significato di negazione ma piuttosto di
qualcosa di trascendentale.
-
3. Non considerare i pronomi interrogativi come indicazione di una
domanda. Essi sono espressioni di una verità che si pone aldilà di
qualsiasi espressione.
Talità (SFZC).
Huineng, il Maestro Zen Daijan del Monte Caoxi, una volta parlò a
Nanyue, che sarebbe poi diventato il Maestro Zen Dahui: “Cos’è che
tale appare?”
Studia a fondo questa affermazione che le cose sono semplicemente
“cosa”, poichè “cosa” è aldilà di ogni dubbio, di ogni comprensione,
semplicemente “cosa”. “Cosa” non può essere messa in dubbio.
Esso (BDK)
[108] Il Maestro Zen Daikan, in una occasione si rivolse al Maestro Zen
Daie di Nagaku con la seguente frase: “Questo è qualcosa che appare
così”. Queste parole indicano che essere in un certo modo è aldilà
di ogni dubbio poichè è aldilà di ogni comprensione. Poichè “questo è
qualcosa”, dobbiamo realizzare, con l’esperienza, che tutte le miriadi
di cose sono veramente “qualcosa”. “Qualcosa” non è da mettere in
dubbio: “appare così” (BDK).
Dialogo tratto da John McRae, Il Sutra della Piattaforma del Sesto
Patriarca.
Il Maestro disse: “Non importa cosa, come potrebbe essere?”
-
Nel dialogo originale, la parola “inmo/nen me” è
usata in forma interrogativa per informarsi sui progressi fatti e
sulla carriera di un discepolo. I Maestri Zen spesso usavano questa
forma interrogativa quando si incontravano per la prima volta.
-
Dōgen ridefinisce il termine – si legge “non c’è
dubbio, ma indica la verità”.
-
BDK traduce “inmo” in “qualcosa” ma è una
misinterpretazione.
Anche nel lavoro di SFZC troviamo delle traduzioni errate, dobbiamo
essere molto attenti nel tradurre.
Questi tre schemi sono una specie di caratteristica propria dello
Shōbōgenzō.
Possiamo comprendere quello che Dōgen asserisce nello Shōbōgenzō se
capiamo come interpretare queste espressioni.
Naturalmente queste particolari espressioni sarebbero confinate al
fascicolo nel quale Dōgen le analizza. Per contro Gosyo, il
più antico commentario, cerca di applicare questi schemi a tutti i
fascicoli dello Shōbōgenzō. A mio avviso, dovremmo limitarci nell’uso di
questi strumenti e tener conto delle nuove tendenze metodologiche di cui
ho fatto cenno in precedenza. In particolare, per leggere in maniera
appropriata lo Shōbōgenzō, dobbiamo guardare con cura al significato di
ogni singola parola nel contesto storico in cui è collocata.
Vorrei ora applicare tali metodologie a un passaggio dello Shōbōgenzō.
Ho scelto il brano Kajō no
maki (tratto dal
fascicolo sulle attività di tutti i giorni). Esso è il fascicolo 64
nella raccolta dei 95, il nr. 59 nella raccolta dei 75 e il 43° nella
raccolta dei 60.
Il tema esposto in questo fascicolo è il significato della vita di tutti
i giorni.
Ora io citerò la parte iniziale e quella centrale, incluso il discorso
di Rujing.
BDK (Nishijima) –
[Capitolo 64] – Kajō – Vita quotidiana.
[97] In generale, nella dimora dei Patriarchi, consumare i pasti e bere
il thè sono espressioni della vita quotidiana. Questa abitudine di
consumare i pasti e di bere il thè viene tramandata da molto tempo ed è
realizzata nel presente. In questo modo l’attività dei Patriarchi
buddhisti di bere e mangiare è giunta fino a noi.
[102] Il mio Maestro, il Buddha eterno, così predicava all’assemblea:
“mi ricordo quanto segue: Un monaco chiese a Hyakujo: “Cos’è un
miracolo?”Hyakujo rispose: “Sedersi in solitudine sulla cima della
Grande e Maestosa montagna[1]”.
Monaci non turbatevi, lasciate che il soggetto si tolga la vita
sedendosi per un pò. Se qualcuno, oggi, dovesse improvvisamente
chiedere: “Acharya, cos’è un miracolo?” Io gli risponderei
semplicemente: “Come può una qualsiasi cosa essere un miracolo?” Infine,
“cosa? La pātra di Jōji [2] è
stata passata a Tendō, io consumo i pasti[3]”.
Nella vita quotidiana di un Patriarca c’è sempre un miracolo: è stato
chiamato “Sedersi in solitudine sulla cima della Grande e Maestosa
montagna”. Anche se leggiamo “Lasciate che si suicidi sedendosi per un
pò”, il suo “sedersi” è comunque un miracolo. C’è, altresì, qualcosa di
ancora più miracoloso di questo – è stata definito come: “la pātra di
Jōji passata a Tendō, e consumare i pasti”.
Un miracolo in ogni momento e per ogni persona è sempre “consumare i
pasti[4]”.
Essendo vero allora il “sedersi in solitudine sulla cima di una grande
montagna” è semplicemente: “consumare i pasti”. La pātra è usata per
consumare i pasti e ciò che viene usato per consumare i pasti è la
pātra. Per questa ragione il Maestro parla di “Jōji pātra” e “Tendō che
consuma i pasti [5]”
Dopo l’appagamento c’è il riconoscimento del pasto. Dopo aver completato
il pasto, c’è appagamento. Dopo il riconoscimento c’è l’appagamento del
pasto e dopo l’appagamento c’è ancora il pasto. Quindi, cos’è pātra? Io
penso che si vada oltre la descrizione: “E’ solo un pezzo di legno il
cui colore non è nero come ciò che è laccato nella stile giapponese”.
Come può essere: “una pietra inflessibile” o “un uomo d’acciaio?”.
E’ senza fondo e non ha narici. Ingoia lo spazio in un solo boccone, e
lo spazio la riceve con mani giunte.
SFZC (Kaz Tanahashi)
64 ATTIVITA’ QUOTIDIANA
Nella dimensione dei Patriarchi, bere il thè e consumare il riso sono
attività quotidiane, attività che sono state trasmesse per secoli e sono
vive nel presente.
Rujing (Nyojo) insegnò: Ho sentito che un monaco chiese a Baizhang
“quale può essere un fenomeno straordinario?” Baizhang rispose: “Sedersi
in solitudine sulla montagna Daxiong. Nessuno può distrarre la persona,
lasciamola sedersicompletamente”. Oggi, se qualcuno dovesse
chiedermi di descrivere qualcosa di straordinario io direi “Esiste
qualcosa di straordinario? Cos’è? La ciotola di Jingci si è spostata; io
ora mangio riso a Tiantong”. Nella dimensione dei Patriarchi c’è sempre
qualcosa di straordinario. Sedersi da soli sulla vetta di Daxiong.
Essere lasciati lì a sedersi completamente, questo è di per sè
straordinario. Ancor più straordinario è il fatto che la ciotola di
Jingci è stata spostata e ora posso consumare il mio riso a Tiantong.
Ogni attività straordinaria è semplicemente consumare il riso. Quindi,
sedersi in solitudine su Daxiong è consumare riso – la ciotola del
monaco.”
BLUE CLIFF RECORDS Traduz. di Taizan Maezumi.
CASO VENTISEI
Pai Chang che siede in solitudine sulla montagna Ta Hsiung
Un monaco chiese a Pai Chang: “cos’è un evento straordinario?”[6]
Chang rispose: “Sedersi in solitudine sulla
montagna Ta Hsiung”[7]
Il monaco si inchinò.[8]
Chang lo colpì.[9]
-
Il significato originale
del 26° Kōan del Blue Cliff Records. Paichan (Hyakujo) vuole
evidenziare la dignità del nostro Sè immacolato, colpendo chi gli
pose la domanda.
-
Rujing (Nyojo) ha citato questo insegnamento per
dimostrare che chi dedica la propria esistenza alle cose ordinarie,
sta in realtà facendo qualcosa di straordinario.
-
Dōgen asserisce che questa “straordinaria” vita
ordinaria dovrebbe identificarsi con il “consumare i pasti”.
-
Le differenze in contesto e nell’interpretazione
originale dei dialoghi, varia gradualmente.
In questo caso potremmo confrontare il testo con l’originale cinese e
identificare, co grande cura, il significato di ogni parola. Poi
potremmo chiarire quanto asserito da Dōgen e confermare le nostre
opinioni.
Ci sono stati messi a disposizione dei nuovi strumenti. Usateli con
profitto, porteranno ad una migliore comprensione della nostra pratica e
la renderanno più stabile.
Vi auguro di diventare tutti dei Maestri dotati dei poteri della pratica
e del discernimento.
Grazie.
_________________________
MATERIALE AGGIUNTIVO
Inizieremo a leggere lo Shōbōgenzō Kajo usando il metodo
Kagamishima.
BLUE CLIFF RECORDS Traduz. di Taizan Maezumi.
CASO VENTISEI
Pai Chang che siede in solitudine sulla montagna Ta Hsiung
Un monaco chiese a Pai Chang: “cos’è un evento straordinario?”
Chang rispose: “Sedersi in solitudine sulla montagna Ta Hsiung”
Il monaco si inchinò.
Chang lo colpì.
“Cos’è un evento straordinario?”
Spesso nei dialoghi Zen troviamo delle domande simili a questa.
In questi casi chi pone la domanda lo fa alludendo all’aspetto
religioso, ovvero pensando di toccare qualche argomento particolarmente
elevato.
Paichan, dal canto suo, lo ignorò e rispose con distacco e dignità.
Purtroppo chi fece la domanda lo fraintese e interpretò la risposta come
apprezzamento per la domanda – e così si inchinò, ma fu colpito.
Questa è l’interpretazione più comune di questo caso, una
interpretazione che, a mio avviso, ha un sapore tipicamente Rinzai.
Questo Koan ha un significato di base ma, purtroppo, se rimaniamo
fissati su questa interpretazione non troveremo mai la relazione con
l’argomento principale del Kajo.
Andiamo avanti e leggiamo le istruzioni di Rujin (Attività quotidiane).
Rujin ha tagliato corto la domanda dicendo “Che nessuno si muova, se
qualcuno si muove io lo obbligherò a sedersi
completamente.” Dopodichè rispose alla domanda come fece Paichan.
Dobbiamo rivedere il termine sedersi
completamente. Il significato letterale del Kanji è “sedersi e
uccidere” e così lo ha interpretato BDK.
SFZC, invece, non lo interpreta così. Il Kanji viene visto non come il
verbo uccidere ma come un suffisso (completamente, totalmente, in
maniera estrema) per enfatizzare il verbo sedersi.
Esso assomiglia molto alla risposta data da Paichan, ma le differenze
rimangono. Rujing ha usato il termine “ciotola”, che è un elemento
tipico della vita monastica, e quindi possiamo dire che Rujing ha
riportato tutto alla vita nei monasteri. Ciononostante non
dimentichiamoci che Rujing descrisse il suo stile di vita nell’ambito
del sistema monastico proprio della Dinastia Song – il sistema delle
Cinque Montagne. Jingci e Tiandon hanno entrambi lo status dei Cinque
Shan. In questo contesto il commento di Rujing, da un punto di vista più
politico, deve essere letto come segue: “Io non abbandonerò le ciotole =
Io non abbandonerò la pratica”.
Il sistema delle Cinque Montagne non aveva molta importanza per Dōgen,
anche se lo conosceva molto bene. Egli sottolineò il concetto che il
mondo è meraviglioso in quanto una manifestazione della Verità. Tale
concetto fu concretizzato nell’idea della “ciotola” e del “consumare i
pasti”. In quest’ottica possiamo comprendere chiaramente che Dōgen dava
importanza solamente alla vita monastica di tutti i giorni simboleggiata
dai pasti.
[1] Daiyuho
– la “Grande e Maestosa montagna” – è un nome alternativo per
Hyakujozan dove il Maestro Hyakujo aveva stabilito il suo
Ordine.
[2] Il
Maestro Tendō Nyojo lasciò il tempio di Jōji nel 1255 per
divenire l’Abate del tempio di Tendō. La pātra, la ciotola da
mendicante, è il soggetto trattato nel capitolo 78 (vol IV)
dello Hatsu-u
[3] Nyojo
o Shogoroku Vol 2. Citato anche nel Cap. 78 (Vol IV) dello
Hatsu-u
[4] Kippan:”Consumare
i pasti” è usato come un esempio delle attività quotidiane.
[5] Jōji
e Tendō sono in nomi di due templi e allos stesso tempo sono in
due nomi del Maestro Tendō Nyojo. “Jōji pātra” suggerisce la
ciotolo vera e propri e non una astrazione. Così come il
consumare i pasti è inteso come il reale consumare dei pasti –
l’azione vera e propria.
[6] C’è
un eco nelle sue parole. Egli dimostrò le sue qualità in una
sola frase. Stupì le persone. Anche se il monaco possiede gli
occhi, non aveva mai veduto.
[7] La
sua stupefacente aura avvolgeva tutto. Chi era in piedi e chi
era seduto furono entrambi sconfitti
[8] Un
monaco intelligente! C’è ancora qualcuno che desidera vedere
certe cose.
[9] Chang
è un Maestro
Da:
www.zenfirenze.it/approfondimenti/conferenza-sotoshu-2013.asp
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