"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Cristina Campo e gli influssi eterodossi nel
tradizionalismo spurio (Piero Vassallo)
L'uscita in libreria dell'ampio ed esauriente saggio di don
Francesco Ricossa, "Cristina Campo, o l'ambiguità della Tradizione",
edito in Verrua Savoia nel 2005, dal Centro librario Sodalitium, è un incentivo
ad approfondire e a ricostruire, senza pregiudizi e senza rispetti umani, la
complessa e sconcertante storia degli influssi eterodossi nel tradizionalismo
cattolico del secondo Novecento.
La revisione della storia del tradizionalismo appare indispensabile, quando si
considera specialmente la prova cruciale che la Chiesa cattolica sta per
affrontare, vale a dire la seconda e più delicata fase della riaffermazione
della dottrina.
La fermezza di Giovanni Paolo II, relativamente ai valori morali, ha
risollevato, infatti, il prestigio dell'autorità romana fugando gli spiriti
distruttivi emanati dai teologi della "liberazione" e le chimere della
permissività.
La profonda partecipazione delle folle d'ogni parte del mondo alla malattia del
Papa polacco e al lutto della Chiesa testimonia la rinascita di un profondo
amore per la cristianità.
E' però ancora da attuare la perfetta restaurazione della teologia, oscurata
dagli anni del "debolismo" intitolato alle suggestioni nichiliste del
postmoderno.
Il successore di Karol Wojtila, Benedetto XVI, rappresenta
adesso la necessità e l'intenzione di portare a termine il paziente e
misericordioso cammino della chiarezza dottrinale.
Lo riconosce senza difficoltà una fonte insospettabile, il cardinale Carlo Maria
Martini, autore di un articolo pubblicato nella pagina culturale de "Il Sole
24 ore" del 22 maggio 2005: "la passione per la verità che Joseph
Ratzinger ha testimoniato coerentemente in tutti questi anni va intesa come
risposta al debolismo della postmodernità".
La finalità della necessaria revisione consiste, principalmente se non
esclusivamente, nella riaffermazione della fede nel magistero romano da parte di
quei cattolici che sono stati disturbati dalla confusione e dal delirio
teologico postconciliare. La fede nel magistero romano, discendendo dalle
promesse divine fatte all'apostolo Pietro, non può essere, infatti, separata
dalla fede in Cristo.
Durante gli anni travagliati della crisi postconciliare, in
una nobile frazione dell'episcopato, la fedeltà alla tradizione cattolica fu
purtroppo esasperata e sviata da un avventizio e fittizio manipolo di
tradizionalisti usciti dai salotti del laicismo implacabile e del misticismo
massonico per abbassare, al mortificante livello dell'archeologia e
dell'estetismo mondano, la ricchezza spirituale della Messa latina.
L'atto che avviò la crisi del tradizionalismo fu compiuto da Cristina Campo,
un'ambigua figura di intellettuale.
Nel clima alterato e avvelenato dal malessere postconciliare, il 5 febbraio del
1966 fu pubblicata, a cura di Cristina Campo, quella lettera aperta a Paolo VI
che, col pretesto (in sé perfettamente legittimo e condivisibile) di difendere
la liturgia latina e gregoriana, gettava il seme della sfiducia nel magistero
romano, scavando un solco, non ancora colmato, tra la gerarchia e i cattolici
intransigenti.
Per dare peso alla sua iniziativa la Campo, poetessa istruita
e fortemente influenzata dall'iniziato Elémire Zolla, suo convivente, chiese ed
ottenne un alto numero di firme prestigiose.
Oltre che da alcuni intellettuali cattolici - Jacques Maritain, Gabriel Marcel,
François Mauriac, Augusto del Noce - variamente conosciuti e apprezzati per la
distanza del loro (sospetto) pensiero dal tomismo essenziale, il manifesto
redatto dalla Campo fu sottoscritto da un gran numero di personalità
indifferenti quando non apertamente ostili al cattolicesimo, quali, ad esempio,
Jorge Luis Borges, Elena Croce, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Maria
Zambrano e lo stesso Elemire Zolla.
Per misurare l'efficacia dell'accecante inganno consumato ai danni della
cristianità è sufficiente rammentare l'entusiasmo incontrollato ed esorbitante
che l'opera di un pensatore di dichiarata ispirazione gnostica, quale Zolla,
suscitò in quei cattedratici d'area cattolica che, leggendolo, non coglievano la
velenosità del suo pensiero.
Ammalianti controfigure del "pastor ridens", Zolla e la Campo,
improvvisandosi maestri di teologia, si calarono come un virus opportunista nel
disagio causato dalle avventurose novità della teologia progressista e dai
clamori sociologici sollevati dai preti d'assalto.
Recitando la parte dei difensori strenui della tradizione, trasformarono la
legittima resistenza alle goffe (e talora blasfeme) improvvisazioni liturgiche
attuate dai novatori in sgomento e in disperata rivolta contro l'autorità del
Pontefice regnante.
Le difese immunitarie dei tradizionalisti cattolici – che un
tempo erano definiti "papisti" a causa dell'irriducibile obbedienza al
Vicario di Gesù Cristo – furono distratte dalle dicerie intorno all'esoterismo
cristiano e fuorviate dalle desolanti, angosciose e urlate ipotesi sulla sede
vacante.
La protesta contro le gazzarre liturgiche inscenate dai progressisti, si allineò
in tal modo alle infauste diagnosi formulate, con toni apocalittici, dal
professore Zolla: "muore la Chiesa, muore il gregoriano. Ascoltato per
l'ultima volta. Ormai, come un ramo secco, la Chiesa verrà bruciata".
Fu questo l'esito di uno stato d'animo depresso, che si lasciò precedere e
accompagnare dai più sofisticati e rumorosi strumenti della mistificazione, ad
esempio le "profezie" del nichilista René Guénon, della tanatofila
Simone Weil, dell'esteta Elémire Zolla e dell'infatuata Cristina Campo.
Frastornati dal fervore della Campo, che (lo ha dimostrato l'insospettabile
Margherita Pieracci Harwell) identificava la liturgia con la suprema bellezza
che (secondo la personale teologia di Dostojewskji) avrebbe dovuto salvare il
mondo, i "papisti" furono trascinati alla disobbedienza, e si spinsero
ad accusare Paolo VI di essere il capo di un complotto satanico contro la
salvifica bellezza della liturgia.
L'esteta Alfredo Cattabiani, ammiratore, seguace ed editore della Campo (oltre
che di Zolla) sostenne addirittura (con evidente esagerazione) che fu lei a
spingere monsignor Lefebvre su posizioni di rottura: "direi quasi che fu
Lefebvre stesso a essere un discepolo di Cristina".
Grazie al raffinato e sublime raggiro dei tradizionalisti "di complemento",
mentre Paolo VI, con l'intento di difendere la Chiesa dall'azione corruttrice e
mortifera dei nichilisti, elaborava la enciclica "Humanae vitae", la
buona fede dei tradizionalisti, agitata e destabilizzata dai banditori mistici,
insorgeva in paradossale sintonia con la contestazione suscitata e attizzata
(nelle cosiddette comunità di base) dalla pornoscolastica dei cattosessantottini.
In quel momento, l'ombra della comicità involontaria irruppe sulla scena
cattolica.
Agli allucinati teologi della liberazione e agli scalmanati predicatori della
dissidenza abortista, pederastica e divorzista, che lanciavano contro Paolo VI
l'accusa di attuare un'iniqua repressione moralistica, facevano eco gli
inconsapevoli tradizionalisti i quali, dopo aver assimilato la mentalità e il
linguaggio degli antipapisti, accusavano la Santa Sede di modernismo, di
progressismo e addirittura di maoismo.
Paradossalmente, la contestazione di Paolo VI da parte dei tradizionalisti
incontrollati si univa alla più profonda corrente dell'ostilità al
cattolicesimo.
Corrente avviata, preciserà il cardinale Ratzinger durante una conferenza stampa
tenuta il 7 marzo 2000 e pubblicata il 9 marzo nell'Osservatore romano,
"quando il protestantesimo ha creato una nuova storiografia della Chiesa con lo
scopo di mostrare che la Chiesa cattolica non solo è macchiata dai peccati, come
sempre sapeva e diceva, ma è totalmente corrotta e distrutta, non è più la
Chiesa di Cristo, ma al contrario è strumento dell'Anticristo".
Per risalire alle cause di una tale commedia delle parti è dunque necessario
trarre le debite conseguenze dall'importante saggio di don Ricossa e riconoscere
la violenta ispirazione antiecclesiale di Simone Weil, autentica "autrice"
di Cristina Campo, la principale suggeritrice dei contestatori tradizionalisti.
L'ecclesiologia delirante di Simone Weil, travestita da mistica e fatta entrare
di contrabbando nella biblioteca ideale del tradizionalismo, è stata la vera
fonte della parodia confezionata e diffusa dai promotori "adelphiani"
del soqquadro ecclesiastico. Una parodia recitata dai tradizionalisti,
involontarie vittime dello sgomento o della (incauta) buona fede.
La Weil, infatti, formulò una sottile ma devastante negazione della presenza e
della visibilità di Cristo nella Chiesa, formulando accuse dal tono
apocalittico: "tutto ha luogo come se con il tempo si fosse guardato non più
a Gesù ma alla Chiesa come Dio incarnato quaggiù. La metafora del Corpo mistico
funge da ponte tra le due concezioni. Ma c'è una piccola differenza: ed è che
Cristo era perfetto mentre la Chiesa è macchiata da una quantità di crimini".
Una tesi, quella della Weil che, in nome di un ecumenismo a sfondo pseudomistico
e pseudoecumenico, negava l'indefettibilità della Chiesa, contrastando quella
dottrina tradizionale che Pio XII, nel giugno del 1943, confermerà nella più
dimenticata e disattesa fra le sue encicliche, la "Mystici corporis".
Dove si afferma, con parole inequivocabili, che Cristo "talmente sostenta la
Chiesa e talmente vive in certo modo nella Chiesa che essa sussiste quasi come
una seconda persona di Cristo".
Padre Guérard des Lauriers, in un testo opportunamente
pubblicato in appendice al saggio di don Ricossa, ha così riassunto il pensiero
antagonista formulato dalla Weil nell'intento di capovolgere l'ecclesiologia
tradizionale e di ingannare i teologi più intransigenti: "la vera pietra
filosofale, il vero Graal, è l'Eucarestia. Cristo ci ha indicato quello che
dobbiamo pensare dei miracoli, ponendo proprio al centro della Chiesa un
miracolo invisibile ed in certo modo puramente convenzionale (solo che la
convenzione è ratificata da Dio). Dio vuole rimanere nascosto. … Tutto avviene
come se con il tempo la Chiesa ritenesse essere Cristo non il corpo ed il sangue
di Cristo sugli altari ma gli altari stessi, poiché questi sono gli strumenti ed
il simbolo della riunione del popolo di Dio".
L'immagine di un corpo mistico privato del suo capo-vicario è irrazionale e
grottesca, prima che contraria alla dottrina cattolica.
La Chiesa, infatti, non nasconde ma rende visibile il volto divino di Cristo:
"il nostro Salvatore" insegna ancora Pio XII, "comunica talmente
con la sua Chiesa i beni suoi propri, che questa, secondo tutto il suo modo di
vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine
di Cristo".
Ciò malgrado, per effetto della propaganda attuata da Cristina Campo, Simone
Weil, l'autrice di una ecclesiologia esangue e capovolta, diventò l'icona di un
movimento nato per resistere agli abusi liturgici dei novatori e intitolato alla
tradizione augusta e indeclinabile.
In nome della fedeltà all'antica liturgia il movimento
suggerito e animato dalla Campo metteva in crisi la fede in quelle promesse di
Cristo alla Chiesa che avevano suggerito la luminosa sentenza di Pio XII:
"sì, certamente, senza alcuna macchia risplende la pia Madre nei Sacramenti con
i quali genera ed alimenta i figli, nella fede che conserva sempre
incontaminata, nelle santissime leggi con le quali comanda, nei consigli
evangelici con i quali ammonisce, nei celesti doni e carismi con i quali nella
sua inesausta fecondità genera innumerevoli eserciti di martiri, di vergini e di
confessori".
La pietà obbliga a tacere i nomi (anche illustri) della compagnia di
filodrammatici paralleli, trascinati dalla Campo nella commedia degli inganni,
ma non impedisce di affermare che il nodo della questione tradizionalista è
costituito dall'affrettata rinuncia alla luminosa dottrina esposta da Pio XII
nell'enciclica "Mystici corporis".
Corre però l'obbligo di rammentare che l'arcivescovo di
Genova, l'impavido cardinale Giuseppe Siri, dopo aver opposto una ferma ed
illuminata resistenza ai novatori conciliari, manifestò la sua fedeltà
all'ecclesiologia tradizionale affermando che i decreti del Concilio Vaticano II
si devono leggere in ginocchio, e perciò si sottomise coerentemente all'autorità
di Paolo VI eseguendone i non graditi decreti.
Quando il cardinale Siri maturò la decisione, incresciosa per i sedevacantisti,
di obbedire a Paolo VI, teneva a mente l'esortazione che Pio XII aveva
consegnato alle pagine della "Mystici corporis": "non soltanto è
nostro dovere ricambiare come conviene a figli la materna pietà della Chiesa
verso di noi, ma dobbiamo anche professarle riverenza per l'autorità conferitale
da Cristo, in modo tale da sottometterle pienamente il nostro giudizio, in
ossequio a Cristo stesso. Onde siamo tenuti ad obbedire alle sue leggi e ai suoi
precetti in fatto di costumi, anche se talvolta ciò riesca abbastanza duro alla
nostra natura, decaduta quale è dallo stato d'innocenza originale. … Ad ottenere
poi che un tale pienissimo amore regni negli animi nostri e di giorno in giorno
aumenti, è necessario assuefarsi a riconoscere nella Chiesa lo stesso Cristo".
Gongolava invece, nella cabina della bifida regia, la più
sgradevole fra le pastore di pecore matte, Cristina Campo (pseudonimo esoterico
della scrittrice Vittoria Guerrini).
Dire "ridente" della "pastora" Campo è pia esagerazione: il
volto umbratile e sibillino, che sorride sopra una brossura adelphiana color
cielo, è la feroce rappresentazione dell'albagia intellettualistica, a caccia di
zimbelli imbarcati sulla nave dei depistati.
Purtroppo, nell'area estrema e arroventata del cattolicesimo tradizionalista, la
santità dell'azione condotta dalla Campo è tuttora opinione invincibilmente
legata all'ignoranza e al malinteso intorno ai contenuti "sublimi"
della sua contraffatta ecclesiologia.
Va da sé che l'impegno inteso a demistificare e confutare la fittizia versione
della dottrina ecclesiologica, che la Campo insinuò nell'ambiente
tradizionalista, non deve influire in alcun modo sul giudizio riguardante da un
lato la persona di Vittoria Guerrini e la sua eventuale conversione,
(conversione che secondo alcuni interpreti citati da don Ricossa sarebbe
maturata dopo la separazione da Zolla) dall'altro lato la critica da lei rivolta
al pensiero della Weil.
Ai battezzati corre l'obbligo di pregare per la salvezza di tutte le anime,
dunque di augurarsi anche la conversione di una Vittoria Guerrini.
Se non che l'obbligo della misericordia e della benevolenza non trascina con sé
la complicità e la rinuncia ad una realistica considerazione dei fatti.
E' dunque lecito dubitare che, negli ultimi anni della sua tormentata esistenza,
quando intratteneva un frenetico rapporto epistolare con il tenebroso occultista
Andrea Emo Capodilista, Vittoria Guerrini abbia veramente abbandonato i
pregiudizi nichilisti che dominano tutta la sua precedente opera.
La Fozzer (una biografa della Campo citata da don Ricossa) azzarda che la Campo
non aderì alle idee di Emo Capodilista "perché se senso tragico della vita
ella ebbe, ebbe anche per temperamento e per formazione, dei punti di certezza
che la tennero lontana dal nichilismo".
Se non che i giudizi entusiastici di Emo sulla Campo e le testimonianze di
coloro che hanno letto le lettere (finora inedite) indirizzate dalla Campo a Emo
inducono ad escludere che all'eventuale conversione della Guerrini si sia
accompagnata una seria autocritica del nichilismo.
Tale esclusione non giustifica un giudizio umano sul destino eterno della Campo,
giudizio che sarebbe temerario ed empio.
Il nodo della questione tradizionalista è costituito dalle tesi che la Campo
opponeva a Paolo VI e alla storica enciclica "Humanae vitae".
Tesi che si riducono ad una sottile contaminazione "elitaria" della
dottrina esposta da Pio XII nell'enciclica "Mystici corporis".
Pio XII, nel tentativo di confutare e dissolvere le suggestioni pseudoangeliche
del perfettismo, che la teologia eterodossa diffondeva in ambienti cattolici,
aveva affermato solennemente che "non si estingue ogni vita in coloro che,
pur avendo perduto con il peccato la carità e la grazia divina sì da non essere
più capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza
cristiana".
Di conseguenza, Pio XII esortava a ricevere il peccatore con carità fattiva
"ravvisando in lui un membro infermo di Gesù Cristo".
La Campo, ripudiato l'insegnamento di Pio XII, si era invece appropriata del
disprezzo aristocratico che la gnostica Simone Weil nutriva verso la "Chiesa
propriamente detta", da lei ritenuta inferiore alla comunità "dei
cattolici autenticamente spirituali".
I testi pornografici e tanatofili (ad esempio "Le tre vie") pubblicati
da Elémire Zolla, ardente maestro e deragliato convivente della Campo, fanno
intendere quali fossero le "perfezioni" squisite che si ergevano contro
la Chiesa "plebea e corrotta" di Pio XII.
Ad ogni modo, dall'esaltazione della Chiesa perfettista e disincarnata, la Campo
fece discendere un rovinoso giudizio sul presente della fede.
In un articolo pseudonimo, ripubblicato postumo
nell'antologia della doppiezza che un editore beffardo ha intitolato "Sotto
falso nome", la profetessa alzò un lamento drammatico: "nella Chiesa sono
scomparse tutte le cose (la liturgia, i canti, l'architettura, le cerimonie) che
Simone Weil così ardentemente amava".
Questo significa che la virtù fugge dai luoghi del culto cattolico e si ritira
nel cerchio ristretto della contestazione tradizionalista, orchestrata dal
salotto iniziatico del professore Zolla.
In questa sconvolta prospettiva, il dramma della Chiesa non discendeva più dal
fumo satanico prodotto dagli iniziati, ma dalla riforma della liturgia e
dall'indirizzo plebeo dell'estetica vaticana.
Secondo la frivola suggestione emanata dalla Campo, la liturgia cattolica non
era altro che un museo, da affidare alla protezione anodina di una qualunque
fondazione paramassonica.
Se l'immaginazione umana potesse svelare il pensiero segreto
dell'inferno forse non direbbe cosa diversa da quella della dolente quisquilia
propalata dalla cattedra "spiritualista" cui apparteneva Cristina
Campo.
Quisquilia che (lo a dimostrato Gianni Rocca, in un magistrale articolo
pubblicato nella rivista "Studi cattolici") è finita e non per caso,
insieme con altre squisite cibarie, sulla tavola imbandita dai progressisti
irriducibili. Dai frati ecumenici (o sincretisti?) della comunità di Bose, ad
esempio.
E' proprio questo esito paradossale del pensiero della Campo, scheggia impazzita
del tradizionalismo, che costringe a rivedere i giudizi che, durante gli anni
del postconcilio, furono dettati dal pessimismo e dalla sfiducia nel magistero
romano.
Revisione indispensabile in questa fase storica, che segna l'inizio della
rivincita della morale rivendicata dalla "Humanae vitae" contro le
aberrazioni della pornografia, dell'abortismo e dell'eugenetica.