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Francesca Marangoni
Non
le visioni sgomentano l’uomo - ma l’ombra che si muove Sul
fondo di solitari specchi o nelle gravi acque d’attesa. Non
il gesto od il grido - ma nel deserto del cuore Le
lente vibrazioni di un silenzio insondabile. (Margherita
Guidacci) Vittoria
Guerrini, in arte Cristina Campo, è una scrittrice per molti aspetti
straordinaria nel panorama letterario del secondo Novecento. Rimasta
appartata rispetto alle correnti ufficiali, ha svolto l’esercizio letterario
in un percorso del tutto personale, ma non isolato, innanzitutto per la rete di
legami e rapporti che ha intrattenuto con personaggi anche fra i maggiori della
cultura letteraria e non di questa seconda metà del secolo. In secondo luogo
per la sua formazione, per la maggior parte da autodidatta, ricchissima di
letture da testi della letteratura italiana e delle letterature straniere di
tutti i tempi. Infine per il contributo che ha dato in Italia, attraverso
scritti e le traduzioni, alla conoscenza di scrittori stranieri: un esempio su
tutti Simone Weil. Opere
pubblicate Il
corpus delle opere di Cristina Campo, attualmente pubblicate, consta di: -
un volume di saggi, Gli imperdonabili, (1987), che raccoglie gli scritti dei
volumi già pubblicati in vita con i titoli Fiaba e mistero (1962) e Il flauto e
il tappeto (1971); -
un volume di testi poetici, La Tigre Assenza (1993), che comprende le poesie
della raccolta Passo d’addio, il primo libro pubblicato di Cristina Campo
(1956), le poesie cosiddette del Diario bizantino (comparse su “Conoscenza
religiosa”, nel primo numero del 1977, subito dopo la morte della scrittrice)
e le traduzioni da vari poeti stranieri (Hölderlin, Christina Rossetti, Emily
Dickinson, Thomas Stearns Eliot, Lawrence, S. Weil, Hofmannsthal, Murena,
Williams Carlos Williams, S. Giovanni della Croce, John Donne e altri); -
due volumi di lettere: Lettere a un amico lontano (1989 e seconda edizione
1998), indirizzate allo scrittore Alessandro Spina, allora residente in Africa e
L’infinito nel finito. Lettere a Piero Pòlito (1998); -
recentemente scritti inediti o pseudonimi sono stati raccolti in un volume dal
titolo Sotto falso nome (1998). Di
prossima pubblicazione sono le lettere (ben duecentocinquanta) di Cristina Campo
all’amica, e prima curatrice delle sue opere, Margherita Pieracci. Cristina
Campo e il Novecento: breve profilo biografico1 Nata
a Bologna nel 1923, Vittoria Guerrini ha ricevuto una formazione curata dapprima
da maestri privati e, in seguito autonomamente, da autodidatta, poiché una
malformazione cardiaca le aveva precluso la frequenza della scuola pubblica. Negli
anni della guerra (e della sua giovinezza) è a Firenze, dove il padre, Guido
Guerrini, è stato chiamato a dirigere il Conservatorio Cherubini. Qui avvengono
i primi incontri importanti: Leone Traverso e Gabriella Bemporad (che le faranno
conoscere le opere di Hugo von Hofmannsthal), attraverso di loro Bobi Bazlen,
poi Luzi, Bigongiari, Margherita Pieracci (che sarà la prima curatrice delle
sue opere), Pierpaolo Draghi, i poeti svizzeri Remo Fasani e Giorgio Orelli.
Benché la seconda guerra mondiale abbia segnato il superamento
dell’esperienza culturale dell’ermetismo come avanguardia, Firenze è ancora
in questi anni, un centro di fermento culturale che di quella esperienza di
avanguardia risente in modo forte. Fra
il 1943 e il 1944 Cristina Campo pubblica le sue prime traduzioni, da von Törne
e da Katherine Mansfield. A
Firenze avviene anche il fondamentale incontro con gli scritti di Simone Weil
(La pesanteur et la grâce), portatole da Parigi da Gianfranco Draghi. Del
1953 è una scheda editoriale per il Libro delle 80 poetesse, che sarebbe dovuto
uscire presso l’editore Casini di Roma, ma che poi non fu più pubblicato,
sebbene portato quasi a compimento, e il cui manoscritto è andato perduto.
Doveva essere “una raccolta mai tentata finora delle più pure pagine vergate
da mano femminile attraverso i tempi”. Nella
cerchia di Leone Traverso Cristina Campo aveva conosciuto Mario Luzi, e la
lettura delle Primizie del deserto diviene fondamentale e costante, accanto alla
lettura di Hofmannsthal e della Weil. Di
questi anni sono anche i saggi che usciranno poi nel volume Fiaba e mistero del
1962 (prima versione de Gli imperdonabili) e la collaborazione
all’“Approdo”. Dal
1955 è a Roma, dove il padre dirige il Conservatorio Santa Cecilia. Nel 1956
esce, presso l’editore Scheiwiller di Milano, il volumetto di versi Passo
d’addio, nel 1958 le prime traduzioni da W.C. Williams (Il fiore è il nostro
segno) e nel 1959 un numero speciale di Letteratura curato dalla Campo dedicato
a S. Weil, di cui uscirà nel 1963 la traduzione, sempre della Campo, della
Venezia salva. Del
1962 è il volume di saggi Fiaba e mistero, mentre nel 1963, sempre presso
Scheiwiller, esce la Storia della Città di Rame, nella traduzione di Alessandro
Spina e con un’introduzione di Cristina Campo, collaborazione condotta in
forma epistolare e di cui si può leggere nelle Lettere a un amico lontano. Fondamentale
è nel 1960 l’incontro con Elémire Zolla: un sodalizio che ha prodotto una
reciproca illuminazione sul piano culturale, evidente nell’ultima fase degli
scritti della Campo, in cui c’è un approfondimento e una predilezione per le
tematiche religiose. Presso Borla esce nel 1967 la traduzione del saggio
L’Iliade ou le poème de la force, nel volume La Grecia e le intuizioni
precristiane (a cura di Cristina Campo e Margherita Pieracci). Nel
1971 escono Il flauto e il tappeto e la traduzione delle Poesie amorose e
teologiche di J. Donne. Di questi anni (1970-1975) sono anche i saggi che poi
confluiranno ne Gli imperdonabili curati da Margherita Pieracci, introduzioni
alle pubblicazioni di testi religiosi dell’Oriente e dell’Occidente cui
Cristina Campo si dedica in questo periodo. Oltre a L’uomo non è solo di
Heschel, Racconti di un pellegrino russo, Detti e fatti dei padri del deserto. Poesie
vengono pubblicate in questi anni su “Conoscenza religiosa”: Missa Romana e
La Tigre Assenza nel 1969, Diario bizantino e altre poesie nel 1977,
all’indomani della sua morte. La
scrittrice Di
Cristina Campo si è detto che sia fra gli scrittori più inclassificabili di
questo secolo, o perlomeno tra i più difficili da classificare. Si è detto che
è scrittrice straordinaria, e, senza voler dare per scontato dei percorsi di
ordinarietà nella letteratura del ‘900, Cristina Campo è fuori
dall’ordinario almeno per un aspetto: nel suo concepire l’attività
letteraria - la lettura e la scrittura insieme - nella dimensione del colloquio,
della conversazione, e nel senso di una maturazione, di una crescita
intellettuale e spirituale. Una dimensione privata o, al massimo, riservata alla
cerchia degli amici, nell’indifferenza rispetto al mercato delle lettere, ad
un pubblico in senso lato: Cristina Campo parla sempre del lettore (e di un
lettore ideale, non comune), mai del pubblico. Nella
produzione di Cristina Campo, il libro de Gli imperdonabili è indubbiamente da
considerarsi centrale. Nasce infatti come libro per volontà dell’autrice -
mentre gli altri volumi che ora abbiamo sono raccolte postume di scritti diversi
- e si costruisce stratigraficamente attraverso le varie edizioni: Fiaba e
mistero nel 1962, raccoglie cinque saggi cui se ne aggiungono sei ne Il flauto e
il tappeto del 1971, per giungere ai diciotto dell’edizione postuma del 1987. La
struttura del libro non risponde semplicemente a qualche simmetria: vi è
descritta la vicenda culturale e spirituale di Cristina Campo, definibile, pur
nella sua complessità e, a volte, indescrivibilità, in tre fasi principali. La
prima corrisponde al primo nucleo del libro (Fiaba e mistero, Una rosa, Parco
dei cervi, In medio coeli, Attenzione e poesia). Un’ermeneutica della fiaba è
il centro attorno al quale si definisce già il metodo di Cristina Campo: che è
quello di procedere attraverso una lettura su molteplici piani, attingendo dalla
letteratura, dall’arte figurativa, dalla musica le immagini che possano
portare alla definizione di un discorso che non ha mai un fine semplicemente
letterario. Nulla, in questi scritti così carichi di riferimenti culturali ed
anche eruditi, così distaccati dalle vicende esterne della realtà, viene detto
che non sia immediatamente riconducibile alla realtà, solo meno evidente di
quella esteriore, della conoscenza e dello spirito dell’uomo. Il
tutto in una prosa raffinata e aristocratica, in un genere di saggio che si
affida più all’intelligenza ordinatrice di chi scrive che all’oggetto di
indagine2; una scrittura che procede per paragrafi che potrebbero essere
autonomi, quasi aforismi, tenuti insieme da una serie di rimandi interni e
riprese che, con una metafora musicale, potremmo definire vere e proprie
variazioni su tema. La
fiaba è qui storia dell’“amorosa rieducazione di un’anima - di una
attenzione - affinché dalla vista si sollevi alla percezione… Percepire è
riconoscere ciò che soltanto ha valore, ciò che soltanto esiste veramente. E
che altro veramente esiste in questo mondo se non ciò che non è di questo
mondo?”3. Ma la fiaba viene anche spesso accostata ai Vangeli, viene definita
come un’ascesi, una salita al Carmelo, poiché per gli eroi di fiaba le
prove di intrepidezza… sono poca cosa appetto alle astinenze dolorose del
cuore: partiti in cerca della bellezza dover dedicare a mostri le proprie tenere
cure; nobili, vestire da mendicante, da pellegrino, da servo, farsi servo del
proprio servo... Di certe pesche si dice in italiano che hanno “l’anima
spicca”, il nocciolo, cioè, ben distaccato dalla polpa. A spiccarsi del pari
il cuore dalla carne o, se vogliamo, l’anima dal cuore, è chiamato l’eroe
di fiaba, poiché con un cuore legato non si entra nell’impossibile4. È
la storia di una maturazione, di un affidamento che diviene apostolato, la
fiaba: “La caparbia, inesausta lezione delle fiabe è dunque la vittoria sulla
legge di necessità, il passaggio costante a un nuovo ordine di rapporti e
assolutamente niente altro, perché assolutamente niente altro c’è da
imparare su questa terra”5. La professione di fede dell’eroe di fiaba,
ovvero l’incredulità nell’onnipotenza del visibile, è la stessa che la
scrittrice pone a breve prefazione del proprio libro. Fiaba,
fede, ascesi sono ripresi e approfonditi nella seconda fase, quella costituita
dai nuovi saggi de Il flauto e il tappeto (Notti, Gli imperdonabili, Una
divagazione: del linguaggio, Con lievi mani, Il flauto e il tappeto), ma ci si
addentra qui in temi più specificamente letterari o filosofici (Le mille e una
notte, il linguaggio, ecc.) in un’indagine rivolta soprattutto alla perfezione
e alla bellezza (esemplare, in questo caso, il saggio Gli imperdonabili, che dà
il titolo all’attuale volume). È
di questa fase, e lo sviluppo del pensiero nella scrittrice lo mostra, la
scoperta e l’incontro con le opere di Simone Weil, una delle letture costanti
di Cristina Campo, che con saggi e traduzioni sarà tra i primi divulgatori in
Italia del pensiero e degli scritti della Weil. L’attenzione,
già presente nei primi scritti, diviene ora uno dei temi centrali, una
categoria che di nuovo si definisce su più piani e in vari contesti, fino alla
sprezzatura, quella virtù che ha della temerarietà e della prudenza, e che è
il “tempo… nel quale si manifesta la compiuta libertà di un destino,
inflessibilmente misurata, tuttavia, su un’ascesi coperta”6. Laddove del
destino, all’inizio del saggio successivo, si dice che è Fato
o responso di sibilla, demone di Omero o astro di Cesare, Sirio che rivolta i
mari fin dal profondo o fissa Stella Polare - o quello Spirito che governa le
stelle come le stelle governano gli umori umani del quale testimoniava Leonardo,
o ciò che i cristiani chiamarono sempre con il suo nome: vocazione7. Da
qui sono poste le premesse per il passaggio successivo, quello che corrisponde
ad una terza fase e che vede la Campo (anche per l’incontro e il sodalizio con
Elémire Zolla) sempre più concentrata su temi di carattere religioso e
liturgico, come parallelamente mostra la produzione in versi, che vedrà la
pubblicazione di un gruppo di poesie “liturgiche” sul numero di
“Conoscenza religiosa” che annuncia la morte di Cristina Campo8. La
parte più propriamente poetica della produzione di Cristina Campo si svolge
prevalentemente come traduzione poetica da poeti stranieri: si tratta di un
genere “creativo” di traduzione, che ha riguardato l’attività di molti
poeti del Novecento italiano, da Montale, Ungaretti, Solmi, a Luzi, Sereni (che
con Cristina Campo tradusse le prime poesie di Williams Carlos Williams),
Bertolucci, Giudici, Caproni, Zanzotto e che Fortini ha chiamato “della
trasposizione oggettiva, della avventura e dell’esperimento interiore”. In
Cristina Campo questa poetica della traduzione è supportata dalla tensione
tutta weiliana della ricerca del “sapore massimo di ogni parola”. Quelle
che sono invece le composizioni poetiche originali dicono molto di più
dell’atteggiamento della Campo di fronte alla poesia, alla quale si accosta in
diversi momenti, anche a distanza di anni (come lei stessa riferisce a
Margherita Pieracci in alcune lettere9), come maturazione che si realizza tra
concentrazione, attesa e silenzio, nella continua ricerca della bellezza e della
sua espressione più pura. La straordinarietà di una scrittrice qual è Cristina Campo e della sua opera, più che nell’isolamento rispetto alle correnti e ai gruppi più noti (isolamento che è poi smentito dalle sue letture, di suoi interessi ed anche dalle amicizie), sta nell’essere riuscita a tracciare un percorso tutto personale, ma pienamente inserito nel Novecento: “estranea come più non poteva esserlo a quella che si chiamava allora letteratura impegnata, essa fu nel grado e nel senso più alto testimone del nostro tempo”10. Un percorso la cui forza sta nel saper ugualmente tener conto delle ragioni della bellezza e delle ragioni del pensiero, nel quale l’esperienza estetica non è scissa da quella etica e spirituale. Bibliografia Scritti
di Cristina Campo: Gli
imperdonabili, a cura di Margherita Pieracci Harwell, Milano, Adelphi, 1987
(raccoglie i saggi già comparsi in Fiaba e mistero, Firenze, Vallecchi, 1962 e
in Il flauto e il tappeto, Milano, Rusconi, 1971). Lettere
a un amico lontano, Milano, Scheiwiller, 1989, 19982. La
tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, Milano, Adelphi, 1991. Sotto
falso nome, a cura di Monica Farnetti, Milano, Adelphi, 1998.
Su
Cristina Campo: Mario
Luzi, La creazione poetica (soprattutto il paragrafo L’incanto dello scriba),
in Vicissitudine e forma, Milano, Rizzoli, 1974. Piero
Citati, Il viso di Cristina Campo, in Ritratti di donne, Milano, Rizzoli, 1992,
pp. 287-290. Alessandro
Spina, Conversazione in piazza Sant’Anselmo. Per un ritratto di Cristina
Campo, Milano, Scheiwiller, 1993. Margherita
Pieracci Harwell, Un cristiano senza chiesa, Roma, Studium, 1995. Monica
Farnetti, Cristina Campo, Ferrara, Tufani, 1996. Per Cristina Campo. Atti delle giornate di studio su Cristina Campo, a cura di Monica Farnetti e Giovanna Fozzer, Milano, Scheiwiller, All’insegna del pesce d’oro, 1998.
Da: http://www.il-margine.it/archivio/1999/a2.htm
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