"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
La complessa personalità di
Simone Weil, quasi impossibile da riferire senza correre il rischio di
sacrificarla, dai numerosi scritti ci si rivela multiforme e gigantesca, sia per
profondità e vastità culturale, sia per passione ed impeto.
La sua eccezionalità scaturisce da due carismi complementari fra di loro e che
ella possedeva in misura straordinaria: intelligenza e amore.
La sete di sapere, in lei sempre sete di conoscenza, non le concede tregua, non
soffre indugi: il comprendere è, per ogni circostanza ed evento e pensiero,
necessità di calarsi nell’esperienza ed esserne coinvolta per la totalità
della sua persona. Per lei la consapevolezza passa attraverso questo crogiuolo,
come l’oro nel fuoco. Le molte e diverse esperienze alle quali sottopose il
suo fragile fisico e che vanno dallo studio intenso alla lotta politica,
dall’insegnamento all’attività operaia, come fresatrice, dove rimase per
otto mesi nonostante impazzisse per i mal di testa, sono significative
espressioni di un bisogno di assoluto che perseguiva attraverso l’esistenzialità
con ostinazione. Assumeva di volta in volta fatica e sofferenze diverse come se
ritenesse impossibile ricercare e trarre giudizio se non nel mare del dolore
universale. Simone digiunò per coloro che erano costretti a digiunare, si unì
alla sofferenza di coloro che da essa erano colpiti, si rifiutò persino di
pensare per essere come coloro che a pensare non riuscivano. Una volontà
ascetica di redenzione la rendeva quasi crudele con se stessa.
L’uomo, la sua esistenza sia nel bene sia nella sofferenza, sono l’interesse
fondamentale nel quale la scrittrice si muove e cui dedicherà con passione la
sua attività di pensiero e di azione. Dai suoi Quaderni (quattro volumi ed.
Biblioteca Adelphi) emerge di continuo l’inesausta volontà di ricerca e di
interpretazione dei valori quali il raggiungimento del bene, la resistenza al
male, la sete di libertà, di verità, di Dio.
Vivere per Simone Weil significa lottare per arrivare alla consapevolezza e
quindi alla capacità di esprimere e comunicare.
La sua breve esistenza, consumatasi senza risparmio intellettuale, psichico e
fisico esprime, più ancora delle sue eloquenti osservazioni, quanto fosse
grande il disagio spirituale di fronte ad una umanità che sembrava conformarsi
in misura crescente all’idolatria di razza. Si vivevano in quegli anni la
preparazione e lo sviluppo di una guerra mondiale che avrebbe causato lo
sterminio di milioni d’innocenti. Guerra paventata con angosciosa sofferenza e
della quale ella non vide la fine, ma di cui assunse il destino con animo
religioso dividendo con gli altri ogni tipo di privazione. Il conflitto mondiale
metteva in evidenza non solo l’intelligenza umana della scrittrice, che già
si era manifestata a volte quasi esplosiva, deflagrante nelle intuizioni,
creativa nelle interpretazioni del patrimonio culturale, ma lasciava emergere
dal suo cuore l’umiltà e l’abbandono. Essa scrive:
«Il legame tra umiltà e filosofia autentica era noto nell’antichità. Tra i
filosofi socratici, cinici, stoici l’essere ingiuriati, colpiti e anche
schiaffeggiati sopportando tutto ciò senza la minima reazione di dignità
istintiva era considerato parte del dovere professionale. Poiché l’apostolato
è una professione vicina o identica al filosofo, il precetto di Cristo ai
discepoli ‘porgete l’altra guancia’ deve essere considerato allo stesso
modo» (Quaderni, IV, p. 289).
La Weil sembra voler porre le verità pensate, o acquisite per conoscenza, di
fronte alla drammaticità dell’esperienza esistenziale; vale a dire pone
l’uomo nella sua aspirazione verso l’amore a confronto con le realtà
storiche di male, di sofferenza e d’ingiustizia che è costretto a subire.
L’abisso fra ciò che vorrebbe essere il bene e l’inalienabile presenza del
male è la vera e radicale lotta che l’uomo si trova a dover affrontare.
Da questi presupposti nasce la religiosità della Weil, la speranza in Dio. Ogni
uomo è chiamato a rispondere dell’utilizzo del proprio tempo di vita, a
trarre da esso la misura, a stabilire la distanza fra Dio e noi, a riconoscere
che per Dio mille anni sono come il giorno che è passato, immisurabili e quasi
impensabili per l’uomo. «Il male non è che la distanza tra Dio e la natura»
(Quaderni, III, p. 311). E soggiunge che fra lei e lei stessa, fra lei e gli
altri, o altre cose, o natura, o firmamento, unico senso ed unica misura è Dio,
che per noi si rivela in Cristo. E considera «il Cristo, l’ultimo sacrificio
umano, a un tempo il più grande crimine e l’atto più salutare» (Quaderni,
III, p. 295). Affermazione che il pensiero farisaico esprimerà nelle parole,
«È bene che un solo uomo muoia per tutto il popolo»: dolorose parole che
l’apostolo Giovanni ci riferisce (Gv 11,50) e si riveleranno profezia
inconsapevole e tragicamente vera.
La sua breve esistenza, consumata nella dedizione di sé fino all’ultimo, in
assoluta umiltà, lascia all’umanità due altissimi doni: i suoi scritti e il
suo amore per Cristo.
I Quaderni sono espressione di un dilaniante disagio e di una inesauribile
volontà di dare senso escatologico allo iato esistente tra bene e male:
scissione e iato che essa viveva in prima persona, che esprimeva in termini
razionali e controllati, ma che avevano in lei effetto di deflagrazione.
La ricchezza d’amore e l’intelletto venivano a trovarsi in lei
dialetticamente alternativi, ponendola in una situazione di lotta con se stessa
che accentuava l’elemento di frattura.
La lacerazione provocata dai due contrapposti elementi, la razionalità del
pensiero greco, viva nel pensiero moderno, e la volontà di pace, nella quale
sono inscritti i valori di giustizia, di verità e di amore, rimanevano
irrisolti. Simone intuì che la forza del pensiero, per essere tale, non doveva
essere considerata nel suo isolamento, ma doveva immergersi, sciogliersi
nell’altro elemento di forza, l’amore, per riuscire ad interpretare l’uomo
nella sua completezza di pensiero e di passione.
Cristo le offriva una soluzione, come esprime nelle ultime lettere ai famigliari
e agli amici; emerge, dal doloroso contrasto, un atteggiamento nuovo, non
dimissionario, ma più comprensivo, quasi volesse affermare che il cuore conosce
ragioni che la ragione non conosce, e riconoscere quindi l’insufficienza della
razionalità di fronte al mistero.
La Weil si sentiva pronta a ricevere il Battesimo, pronta ad accogliere tutti i
dogmi, desiderosa di annullarsi in Dio ed esprime il suo grido in preghiera:
«Padre, nel nome di Cristo, accordami realmente tutto questo. Che questo corpo
si muova o s’immobilizzi, con una scioltezza o una rigidità perfette, in
conformità ininterrotta con la tua volontà. Che questo udito, questa vista,
questo gusto, questo odorato, questo tatto, ricevano l’impronta perfettamente
esatta della tua creazione. Che questa intelligenza, nella pienezza della
lucidità, concateni tutte le idee in conformità perfetta con la tua verità.
Che questa sensibilità provi nella loro massima intensità possibile e in tutta
la loro purezza tutte le sfumature del dolore e della gioia. Che questo amore
sia una fiamma assolutamente divorante di amore di Dio per Dio. Che tutto questo
mi sia strappato, divorato da Dio, trasformato in sostanza del Cristo»
(Quaderni, IV, p. 280).
Forse Padre Perrin, al quale per anni si rivolse come ad un sicuro riferimento
della religione cattolica e al quale più volte chiese di poter ricevere il
Battesimo, egli ancora nell’ultimo incontro, prima che Simone partisse per
l’America con i genitori, ritenne opportuno rinviare l’avvenimento; forse lo
preoccupava più la libertà di pensiero di Simone, di quanto non fosse convinto
della sua appassionata volontà di adesione alla chiesa. Sicuramente non era
consapevole del rigore morale con il quale ella imponeva a se stessa ogni sorta
di privazione, sia fisica sia spirituale, per sentirsi coinvolta in quell’olocausto
cui si era sottratta allontanandosi dalla Francia per salvare i propri cari, ma
dove sperava e credeva di riuscire a rientrare.
La docilità delle sue ultime osservazioni di fronte al diniego del Battesimo
esprime la Weil ultima, colei che si abbandona al volere di Dio e si fa
interprete del Suo pensiero dicendo a se stessa, si vede che Dio mi vuole così,
credente ed esterna ancora, ancora in attesa.
Per volontà di obbedienza, non per indifferenza, sceglie di non esprimersi
attraverso l’intelligenza ma di lasciare la parola alla sua esperienza
esistenziale.
Simone Weil rientrò in Europa, e precisamente a Londra, nell’agosto 1943,
ormai irreparabilmente malata e tuttavia ancora partecipe, attraverso gli amici,
dei dolorosi avvenimenti che avevano coinvolto il mondo.
La sera del 24 agosto Simone si spegneva. Troppo presto per riuscire a
trasmettere in modo compiuto quei doni preziosi che la sua riflessione aveva
raccolto e la sua sensibilità aveva drammaticamente vissuto.
A noi rimane la sua icona, come interrogazione irrisolta, mistero di fronte al
quale, con profondissimo rispetto, possiamo solo tacere e con lei pregare.