|
|
Crisi religiosa e sradicamento socio-culturale in Simone Weil (Chiara Ruth Rantini)
IntroduzioneIl pensiero di Simone Weil si presenta al lettore nella veste di una semplice e nuda espressione: di lei infatti possiamo dire che l'anima, il pensiero, l'espressione e la vita costituiscono un blocco unico. Parimenti, sarebbe errato cercare nei suoi scritti una filosofia o un sistema personale; seppure, spesso, siamo in presenza di un'acuta analisi di questioni riguardanti la società, la politica o la religione, mai, però, lo sforzo è finalizzato ad un gioco intellettuale o alla ricerca di una qualche idealità. Anzi tutta l'opera di Simone Weil si muove nella direzione di un progressivo smascheramento degli idola, siano essi sociali o del pensiero; la scrittura stessa è impregnata di un profondo desiderio di purificazione interiore e di affrancamento dalla legge che governa questo mondo, la pesanteur. A questo proposito, seguendo il titolo di un suo noto scritto, La pesanteur et la grâce, possiamo dire che l'intera sua opera si incentra sull'opposizione di questi due estremi. Simone Weil applica questa visione particolare all'interpretazione e comprensione dei problemi, specificatamente al problema dell'uomo. La pesanteur è quella forza che segna la distanza tra l'uomo e Dio. Riconoscerla come presente nel mondo è un atto dovuto, ma volerla accrescere o, semplicemente, desiderare la sua conservazione è ciò che condanna l'uomo ad essere separato ed opposto a Dio. Quando l'esistenza recalcitra davanti ai modelli della ritrazione di Dio dal cosmo da una parte, e della kenosi di Cristo nel mondo dall'altra, l'universo della forza e dell'istinto di sopraffazione prendono vigore, radicandosi nella volontà, nel sogno, nell'immaginazione e nella costruzione degli idoli sociali e personali. Difatti, la desolazione e lo sradicamento (altro tema caro alla Weil) prodottosi nella società europea nel periodo compreso tra le due guerre, sono l'ovvia conseguenza del prevalere della forza. La nostra indagine verterà quindi sull'analisi di alcuni aspetti sociali, religiosi e politici della civiltà europea a partire da questa trama di rapporti. 1) Lo sradicamento come malattia socialeTra il 1942 ed il 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, Simone Weil, esonerata, suo malgrado, per ragioni fisiche, dalle operazioni belliche più pericolose, e costretta a lavori d'ufficio a Londra (esame di testi destinati a confluire nella futura Costituzione francese), elabora una delle sue opere più dolorosamente lucide: L'enracinement[1]. Lo sradicamento, e con esso la crisi religiosa e culturale della nostra civiltà, sono secondo la Weil il risultato della via percorsa dall'Occidente nell'età moderna. Col mettere l'uomo (anzi l'Uomo) al centro del mondo, si è tradito prima di tutto l'uomo stesso. L'uomo, per la pensatrice francese, ha perduto le proprie radici, è, per usare un termine marxiano che ha potuto incontrare nel nostro secolo una discreta fortuna, alienato. Il radicamento resta quindi il bisogno più importante e più misconosciuto dell'anima umana[2], l'ultimo baluardo dell'identità collettiva ed individuale. Lo sradicamento culturale della civiltà occidentale ha origine, potremmo dire, con l'età moderna. Il riferimento immediato è al Rinascimento, vale a dire a quel periodo storico in cui si opera la frattura tra la cultura alta che si pratica nelle corti e la tradizione culturale patrimonio della nazione e del popolo.
Lo sradicamento è un fenomeno che si lega strettamente al tema della forza; i veicoli della sua diffusione all'interno del corpo sociale, sono il danaro e la sete di conquista. Il desiderio di accrescere la propria ricchezza prevale su ogni altro movente, distruggendo così le radici di una vita o di un popolo. Protagonista di questo scempio è lo stato moderno o, più precisamente la concezione di stato formulatasi all'interno dell'impero romano e più recentemente riproposta dalle audaci teorie di Richelieu, sino alle espressioni oltremodo imperialiste e totalitarie che caratterizzarono i governi napoleonici e, nel presente, i governi fascisti. La prima guerra mondiale , con i suoi esiti funesti sulla già delicata congerie storica europea, costituisce il fattore più significativo del processo di sradicamento. Un primo campanello di allarme è riscontrabile nel dilagare dello spirito rivoluzionario, dietro al cui spettro, spesso, si cela l'intenzione propagandistica di recidere il legame con il passato.
Ma è, senza dubbio, proprio l'esperienza della grande guerra ad insinuare nelle masse il morbo dell'irrealtà.[5] La guerra infatti, con le sue luci, i suoi rumori prima di allora sconosciuti, si è abbattuta con la potenza dell'ignoto, del terribile, del fantastico. Le nuove armi si sono fatte strumenti, oltre che di morte, di smisurato prestigio; un contadino qualsiasi abituato a sottostare ai ritmi della natura, improvvisamente diviene artefice e manovratore di una forza che lo colloca ben al di sopra della natura stessa. Siamo qui in presenza della rottura di un equilibrio su cui tutta una civiltà era sorta, o meglio, la guerra ha rappresentato soltanto l'epigono di tale rottura, la cui prima incrinazione risale al tempo della rivoluzione francese, quando il prolungato abuso dell'autorità legittima genera la rottura del concetto stesso di legittimità, suscitando così l'idea del progresso come motore di una società tutta proiettata nell'avvenire.[6] Il progresso è l'idea atea per eccellenza e, come tale, è cara al pensiero materialista e rivoluzionario. Essa è atea in quanto implica che la mediocrità (l'uomo) possa con le sole sue forze generare il migliore; affermare un tale principio, oltre a negare la verità dell'esperienza della corruzione della materia, sposta l'idea stessa di perfezione da Dio all'uomo.
2)Il confronto tra scienza e fedeNel XVII secolo c'è, per Simone Weil un cambiamento radicale nel modo di concepire la scienza e, al suo seguito, la tecnica. La scienza diverrà in breve una delle maggiori cause della irreligiosità dell'uomo moderno:
In particolare ciò che segna la differenza tra la concezione della scienza antica e quella moderna, almeno dal Rinascimento in poi, è l'assenza della bontà del movente.
La ricerca scientifica contemporanea non persegue l'amore per la verità, si orienta unicamente nella direzione dell'acquisizione delle conoscenze. Ma non sempre, l'estensione del sapere si coniuga ad un avvicinamento alla verità; questo avviene soltanto nel caso in cui l'oggetto della ricerca sia ciò che si ami. Quanto al posto importante occupato dalla tecnica nella scienza moderna è cosa nota ed è per Simone Weil il segno di una decadenza culturale.
Il pragmatismo, il materialismo hanno quindi corrotto la purezza della scienza, creando così una frattura insanabile con la fede. Ora, poiché la fede è proprio la certezza che il bene è unico[11] ed essendo l'idea della scienza quella di uno studio il cui oggetto è posto al di fuori del bene e del male, soprattutto al di fuori del bene[12], si deve concludere che le due concezioni sono incompatibili. Le applicazioni della tecnica potrebbero essere in sè anche positive, se gli scienziati, come i politici con la storia, non fossero ossessionati dall'idea del prestigio e soprattutto da ciò che questa idea comporta: il sentirsi grande e potente. La tecnica, oltretutto, come segno distintivo dell'Occidente civilizzato, ha permesso che, per le popolazioni sottomesse delle colonie, fosse possibile, se non identificare, perlomeno, porre dalla medesima parte civilizzazione e predominio della forza. La scienza e la tecnica hanno contribuito alla rottura degli equilibri, non solo europei, ma addirittura mondiali, introducendo così il senso di frammentazione, quel malessere diffuso che tanta parte ha avuto nel pensiero novecentesco. La scienza moderna, infatti, non vede il mondo come un tutto unitario: isola i fenomeni naturali, li astrae per meglio studiarli, perdendo così lo sguardo d'insieme, perdendo di vista quella profonda armonia e bellezza dell'universo contemplata dalla scienza greca antica[13], e nel Medioevo dall'Alchimia. Anche nell'accezione weiliana, la scienza è la "contemplazione della bellezza del mondo". Nella sua concezione moderna, la scienza è inoltre eticamente neutra e con questa apparentemente innoqua neutralità avranno inizio quei sogni faustiani di dominio supremo sulla natura che sembrano essere più che mai vivi nella mente di molti scienziati del nostro tempo. Con la Rivoluzione industriale, alla fine del '700, cambia inoltre, e cambia radicalmente, il modo di concepire il lavoro umano. Con l'industrializzazione, folle sempre più numerose di braccianti abbandonano le campagne per lavorare nelle industrie dei grandi centri urbani. Qui il lavoro non è scandito dalle stagioni dell'anno, nè tantomeno dalle festività religiose: non è dunque più il lavoro ad adattarsi ai ritmi biologici e spirituali dell'uomo, ma, al contrario, è l'uomo a doversi adattare ai cicli della macchina. Non si può a questo punto non pensare ad una scena celeberrima di Tempi moderni con Charlot intrappolato in un intricato groviglio di ingrannaggi. L'operaio diventa in certo qual modo anch'egli una macchina: a differenza dell'artigiano, non conosce il proprio lavoro ma lo svolge meccanicamente:
L'operaio, in primis, ma pure l'uomo comune, sperimenta, quotidianamente il contatto con un mondo dominato dall'artificialità, dalla frantumazione dei processi e dalla meccanicità delle azioni. Il campo visivo della realtà si deforma, rendendo sempre più complessa la distinzione tra ciò che è irreale e ciò che non lo è.
Non può non far riflettere la contiguità delle tesi weiliane con quelle di certi esponenti della Scuola di Francoforte, che cominciava in quegli anni ad operare. Delle condizioni disumane e soprattutto disumanizzanti del lavoro di fabbrica Simone Weil fu daltronde testimone privilegiata, avendole sperimentate sulla propria pelle tra 1934 e il 1935. Di questa esperienza è documento significativo il Diario di fabbrica[16] che, nella sua immediatezza stilistica, è una delle più acute e lucide analisi della condizione del lavoro nella società industriale. 3) Crisi religiosa, totalitarismi e fede cristiana
Il fenomeno dell'irreligiosità popolare, come già abbiamo affermato nel precedente paragrafo relativo alla scienza, scaturisce dal mutare della mentalità; una mentalità che non ha più radici nella tradizione del passato, e di cui la religione costituiva, indubbiamente, l'essenza. La religione si è ridotta ad essere un fatto privato e, dal momento che adesso occupa un dimensione alquanto modesta nel corso dell'esistenza umana, non può avere alcuna parte nel mondo del lavoro, dell'istruzione e della cultura. L'edificazione di una spiritualità del lavoro costituisce , per la Weil, la missione per eccellenza di cui la nostra epoca deve farsi assolutamente carico. La pensatrice francese, che aveva fatto la diretta esperienza del lavoro nei campi e nelle fabbriche, era consapevole del pericolo in cui sarebbero incorse le masse contadine ed operaie, se la religione, vuotandosi di significato a causa della scienza e dello sradicamento, si fosse ridotta ad essere un insieme di convenzioni, come già da tempo era per la classe borghese. Di qui, la critica serrata rivolta al laicismo oltranzista praticato nelle scuole, e soprattutto nelle scuole di campagna.
Simone Weil studia, in particolare, la delicata situazione della Francia rurale, dedicando un intero testo- Il cristianesimo e la vita nei campi-[19] all'analisi dei rapporti, appunto, tra la fede cristiana e l'esistenza rurale.
In questo testo, Simone Weil, oltre ad elencare una serie di proposte concrete concepite con lo scopo di permettere la penetrazione del messaggio evangelico nell'esistenza di ogni giorno dei contadini, afferma un concetto fondamentale per comprendere in profondità il suo pensiero; si allude qui ad una particolare riforma che operi nella più larga misura possibile a trasformare la vita quotidiana in una metafora di significato divino, in una parabola.[21]
Simone Weil auspica un cambiamento in seno alla società in direzione dell'acquisizione di una capacità di interpretazione dei simboli tale da permettere di leggere le verità divine nelle circostanze della vita quotidiana e del lavoro.[23] Ma, per realizzare tale progetto occorre che il cristianesimo penetri in profondità in modo che:
La visione cristocentrica della Weil copre l'intero ambito dell'esperienza umana, dalla sfera individuale all'organizzazione della società. Tale principio implica la presenza costante dell'elemento soprannaturale e mistico; ma l'errore compiuto dall'umanità del XX secolo -le accuse si rivolgono, in particolare, all'umanesimo ed al laicismo, senza tralasciare le pesanti responsabilità della Chiesa, della cui discussione ci occuperemo nelle pagine seguenti- è proprio quella di aver escluso, persino dalla credenza, l'ambito del soprannaturale. La religione, oltre ad essere divenuta una pratica della domenica, ha assunto connotati ideologici, trasformandosi in una sorta di partito politico per cui schierarsi o contro di cui lottare.[25] La società europea, soprattutto in questo ultimo secolo, si è resa sempre più distante dalla verità del cristianesimo, in quanto l'idea stessa di divinità è profondamente mutata. Al Dio disprezzato ed umiliato, alla fede concepita come bellezza che nutre[26] si è sostituito il culto della grandezza e della forza, l'adorazione del grosso animale, la fedeltà all'ideale sociale. Di questo processo è oltremodo emblematico il travisamento in cui è incorsa la definizione stessa di "mistico".
Questa situazione di decadenza dello spirito ha certamente favorito l'instaurarsi di regimi totalitari. Simone Weil dedica un intero saggio alla trattazione del problema, in particolare, alle vicende storiche della Germania nazista.[28] Qui, la pensatrice francese vaglia, con attenzione, i precedenti dell'idea del totalitarismo, individuando, nella Roma imperiale e nella Francia dell' Ancien Régime, i modelli a cui Hitler si ispirò. Le tecniche di gestione del potere, le strategie militari utilizzate dai romani, nella visione della Weil, quasi coincidono con quelle ordite dai nazisti.
Lo spirito nazista è, nella sua essenza, antireligioso, antifilosofico, antigiuridico, eppure, come a Roma in età imperiale, la religione diviene uno strumento di amplificazione del prestigio dello stato. In realtà, lo spirito religioso autentico è, qui, del tutto assente; al suo posto resta quella che Simone Weil definisce idolatria dello stato.
Per questo, l'idolatria è la forma religiosa per eccellenza dei totalitarismi. L'idolatria nasce da una mancanza o da un'insufficienza di attenzione soprannaturale; l'uomo che si trova in tale condizione, desiderando volgersi verso il Bene assoluto, cade nell'adorazione di un ordine (lo stato, il partito, un capo carismatico) che non appartiene al soprannaturale.[31] Per comprendere quanto sia antireligiosa l'ideologia nazista, è sufficiente considerare la sua completa estraneità ai concetti di bene e di salvezza dell'anima; per questo motivo, il nazismo è oltremodo anticristiano. Dello spirito giudaico, conserva invece l'idea di elezione; a questo proposito, il concetto di razza è ciò che maggiormente può accostarsi a tale idea: il lebensraum, il desiderio di espansione ne è l'esito necessario. In realtà, il potere dello stato non si regge unicamente sull'esercizio della forza bensì, anche, sull'idea di prestigio: il prestigio incarna l'aspetto immaginario, non reale della forza, ed attraverso la propaganda, il prestigio ne conserva l'egemonia anche in tempo di pace; il terrore invece rende l'animo credulo.[32] Tutto ciò comporta l'annientamento, pressochè totale, dei valori spirituali.[33] Tuttavia, durante il dominio nazista, come già era avvenuto nell'antica Roma,
Il misticismo, dunque, resta l'unica via di fuga dal totalitarismo. E se, alle origini, il cristianesimo non poteva dirsi contaminato dal morbo idolatrico, in seguito, allorché divenne religione ufficiale dell'Impero, e, soprattutto, quando la Chiesa, nel tardo Medioevo, mostrò il suo volto totalitario, la primitiva "purezza" svanì del tutto, conservandosi soltanto nelle piccole sacche del dissenso (i movimenti ereticali) e nel misticismo. A tale proposito, Simone Weil rivolge pesanti accuse, talvolta eccessive e poco condivisibili, all'istituzione ecclesiale. Di essa, contesta la concezione del potere giurisdizionale, la visione teologica scaturita dal Concilio di Trento e l'uso dell'espressione "anathema sit", nella cui formulazione, addirittura, individua l'elemento costitutivo dell'ideologia totalitaria.[35]
...Concepire la divinità esclusivamente in termini di potenza e non di Bene[37], equivale a farne un idolo. Perciò, la società europea non potrà mai essere autenticamente cristiana finché la Chiesa non utilizzerà appieno la cultura pagana -da sempre radicata nel continente e le cui tracce sono ben visibili, ad esempio, nel folklore- per impiantarvi il cristianesimo. Se così fosse stato, Hitler non avrebbe mai potuto servirsi della tradizione pagana teutonica per opporla alla fede nel Cristo. Difatti, per il cristianesimo, il vero nemico non è tanto il paganesimo, quanto l'idolatria del collettivo e del sociale, quella che la Weil definisce l'adorazione del "grosso animale". Ciò che è da temere del "collettivo" è questo suo potere di apparire, alla persona umana, come qualcosa di assolutamente trascendente, e, per questo, in un certo senso, divino.[38] Da questo pericolo, avverte la Weil, anche la Chiesa non è esente e, quanto più sarà marcato il carattere istituzionale, tanto più profondo diventerà il distacco dalla purezza delle origini. Ma se la società giace ormai in preda agli spasimi causati dal morbo idolatrico, la Chiesa può ancora essere la garante e la testimone della verità cristiana.
ConclusioniCristianesimo e società moderna sono quindi destinati ad essere inconciliabili? Cosa potrà dunque salvare la civiltà occidentale dall'imminente sua catastrofe? Questi gli interrogativi che Simone Weil lascia in eredità spirituale ai posteri. Non un progetto, non una soluzione definitiva, non una facile utopia calcano i suoi scritti. La società moderna sarà malata finché non riuscirà a rendere concreta la possibilità di un cristianesimo incarnato, e con lo scoppio della seconda guerra mondiale questa urgenza si radicalizza, facendosi ancora più necessaria.
Soltanto il cristianesimo quindi può offrire l'ancora di salvezza, a condizione che rinunci all'esercizio del totalitarismo, mantenendosi rigorosamente fedele al piano dell'amore soprannaturale.
Il risanamento della società si opera quindi attraverso il rifiuto della forza, da una parte, ed il recupero di una spiritualità autentica, non prestata ai meccanismi della propaganda, dall'altra. Tre vie si aprono quindi all'uomo che "attende Dio": tre vie ed un solo cammino impervio e solitario; questa la sfida gettata all'umanità del XX secolo.
[1]Simone Weil, L'enracinement.
Prélude à une déclaration des devoirs envers l'etre umaine, Paris,
Gallimard, 1949; trad. it.: La prima radice. Preludio a una
dichiarazione dei doveri verso l'essere umano, Milano, Leonardo, 1996.
[2]Cfr. L'enracinement...
cit. , pp. 49.
[3]Cfr. L'enracinement...
cit. , pp. 51.
[4]Cfr L'enracinement...
cit. , p. 53.
[5]Cfr. Simone Weil-Joë
Bousquet, Corrispondenza, Milano, SE, 1994, p. 32.
[6]Cfr. Simone Weil, La
pesanteur et la grâce, Paris, Plon, 1991, pp. 195-6.
[7]Ibid. , p. 196.
[8]Cfr. L'enracinement...
cit. , p.210.
[9]Ibid. , p. 216.
[10]Ibid. , pp.
210-11.
[11]Ibid. , p.
217.
[12]Ibid. , p.
218.
[13]Cfr. Su questo
argomento soprattutto le ultime pagine dell'Abbozzo di una storia della
scienza greca nelle Intuitions pre-chretiénnes: Simone Weil,
Intuitions pré-chrétiennes, Paris, La Colombe, 1951; trad. it. in: La
Grecia e le intuizioni precristiane, Roma, Borla, 1984, pp. 265-267.
[14]Simone Weil, La
condition ouvrière, Paris, Gallimard, 1951; trad. it.: La condizione
operaia, Milano, Mondadori, 1990, p.91.
[15]Cfr. L'enracinement...,
cit., pp. 211-12.
[16]Cfr. La condition...,
cit. pp. 47-130.
[17]L'enracinement...
cit. , p.212.
[18]Ibid., p. 87.
[19]Il testo fa parte
dell'opera intitolata Pensées sans ordre concernant l'amour de Dieu,
Paris, Gallimard, 1962, trad. it. in L'amore di Dio, Roma, Borla,
1979.
[20]Ibid. , p. 87.
[21]Ibid. , p. 90.
[22]Ibidem.
[23]Ibid. , p. 81.
[24]Ibid. , pp.
97-99.
[25]Cfr. L'enracinement...
, cit. p.88.
[26]Ibid. , p. 89.
[27]Ibid. , p.
214.
[28]Simone Weil,
Riflessioni sulle origini dell'Hitlerismo in Sulla Germania
totalitaria, Milano, Adelphi, 1990.
[29]Ibid. , p.
246.
[30]Ibid. , p.
259.
[31]Cfr. , La pesanteur
et ..., cit. pp. 72-73.
[32]Cfr. , Riflessioni
sulle... , p. 220.
[33]Simone Weil,
Riflessioni in vista di un bilancio (Progetto di articolo,
primavera-estate 1939) in Sulla guerra, Scritti 1933-1943,
Milano, Pratiche Editrice, 1998, p.110.
[34]Simone Weil, Lettre
à un religieux, Paris, Gallimard, 1951, trad. it. in Lettera a un
religioso, Milano, Adelphi, 1996, p.79.
[35]Ibid. , p. 63.
[36]Cfr. , L'enracinement
, cit., p. 232.
[37]Cfr. , Israele e i
Gentili, in L'amore di Dio, cit. , p.118.
[38]Cfr. , La pesanteur...,
cit. , p.181.
[39]Cfr. , L'enracinement...,
cit. , pp. 222-223.
[40]Simone Weil,
Attente de Dieu, Paris, Librarie Arthème Fayard, 1969, trad. it. in:
Attesa di Dio, Obbedire al tempo, Milano, Rusconi, 1984, pp. 50-51.
[41]Ibid. , p.
118.
[42]Ibid. , p.
123.
|
|