in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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LA BELLEZZA, QUARTA VIRTU'

Marcella Tassinari

Nel riprendere in mano i testi di Cristina Campo le prime forti che mi colgono sono il vigore della personalità e la straordinaria capacità di conoscere e trasmettere. Vigore intellettuale e spirituale alimentati da una vastissima cultura e da una conoscenza penetrante che la spingono a calarsi nel bello della natura e dell’uomo, alla ricerca del pensiero incorrotto e dell’anima pura. Quasi a voler significare che quanto manca alla letteratura d’oggi non è la consapevolezza dei mali nel mondo, quanto la perdita dei valori i quali, mentre in passato erano convissuti con il male, poi vennero spazzati via, perché la rivoluzione del costume li considerò inutili e paralizzanti retaggi di una tradizione.

Molti sono i percorsi che ella insegue con attenzione per esprimere il pensiero e la fede che la animano nel suo cammino letterario, ma il modello di riferimento che continuamente ricorre sembra essere la fiaba. In essa, infatti, continuamente si avvera il raffronto tra reale e immaginario, tra conosciuto e invisibile, poiché, dice, “fiaba è destino in lenta formazione”1.

Della fiaba prende in considerazione il protagonista che è posto di fronte alla prova, al cammino da percorrere, dove incontrerà asperità, fatiche e ostacoli che l’obbligheranno ad una vera e propria trasformazione di sé, ad una graduale metamorfosi, fino a ritrovarsi lavato “da ogni rimpianto adolescente, da ogni ruggine di fantasia”, liberato da condizionamenti, come “attenta anima nuda”2. Solo a queste condizioni ed in tale circostanza non saranno più gli occhi di carne a vedere, ma la “percezione sottile”, la quale gli consentirà di scoprire l’impossibile, di arrivare a sfiorare la soglia del mistero. Analogamente, soggiunge, si svolge il destino di ogni uomo, il suo cammino è faticoso, irto di prove per affrontare le quali si rende necessaria una sovrabbondanza naturale, quella riserva che le persone nate, o cresciute in campagna portano in se stesse. Perché coloro che ebbero questa opportunità custodiscono per tutta la vita “il sentimento di un arcano e pur preciso linguaggio, di uno svolgersi musicale di frasi che, mentre colmano i sensi di sovrabbondante letizia, annunciano alla mente un ultimo disegno, sempre di nuovo promesso e differito”3.

La natura è capace infatti, in quanto paesaggio vivente, di trasmettere a coloro che sono nell’età della formazione, forza fantastica, esuberanza di cuore e armonioso senso del vivere, consente il raffronto fra il loro cammino appena iniziato e quello dell’eroe della fiaba, e l’accostamento “se non al significato, al potere dei simboli”4, animandoli di presenze arcane e di timori, ma anche di liete liberazioni.

Il paesaggio prepara a tali stadi spirituali, sicché lungo la strada sparisce d’incanto la misura di tempo e di spazio e si può procedere per ore come in un cerchio senza uscirne, come accade nel sogno, o si può in pochi passi toccare l’orlo dell’illimitato, percepire l’Altro, l’Ulteriore.

Ma come riferire questa percezione?

Solo la vera poesia è capace, nel suo linguaggio essenziale, di far intuire quanto il cuore e la mente hanno interiorizzato, di dare espressione a questo momento magico e misterioso che si veste di Bellezza. E che cosa è la Bellezza se non la quarta virtù, dice Cristina Campo, teologica essa pure, poiché Fede, Speranza e Carità, “sono ininterrottamente intessute e significate dalla Bellezza”5, che fluisce dall’una all’altra come in tre vasi comunicanti.

Ma dove si trova e che cosa è questo “bello” che sempre viene rincorso? Forse è il simbolo dell’armonia, uno dei più preziosi che si sono persi smarrendo il senso religioso della vita, il senso religioso di ogni destino umano edificato nella pazienza di fronte all’inesplicabile, perché religione non è altro che destino santificato, attesa di Dio.

Vi sono un ordine spaziale, un ordine astrale e finalmente un ordine naturale che si esprimono secondo leggi, o meglio, secondo una sintassi propria, che possono ogni giorno accrescere l’umana consapevolezza e indirizzare verso la perfezione. Ed ognuno può vivere questo momento dell’intuizione poetica, consegnando alla fede quanto ancora rimane oscuro alla propria comprensione, “enigma ogni giorno nuovo, proposto e mai risolto, se non nell’ora decisiva, nel gesto puro”6, alimentato quotidianamente di pazienza e di silenzio, come dice Sant’Agostino: pazienza e silenzio che vogliono insinuare qualcosa, indicare una propensione.

Cristina Campo parla della strada da lei percorsa, da oriente ad occidente, seguendo quattro linee: il linguaggio, il paesaggio, il mito e il rito. Il linguaggio che mano a mano si arricchisce di conoscenza si carica di simboli, il paesaggio in quanto esprime l’ordine naturale della creazione in una progressione di novità, il mito che calandosi nel mistero ti conduce verso l’illimitato, il rito che onora nella sua bellezza attraverso la liturgia l’insieme di queste realtà, Deus absconditus.

E qui si apre il discorso della liturgia: “liturgia - come poesia - è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile. Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell’estasi”7. Ma liturgia è anche celebrazione del mistero divino, è desiderio di glorificarlo allo scopo di ricomporre sulla terra le meraviglie della creazione, il regno astrale, il succedersi delle stagioni, il mistero del tempo: è itinerario verso Dio. E dalla Campo ci viene proposto ad esempio un brano del vangelo quando, nella casa di Simone il Lebbroso, la Maddalena sparge sui piedi di Gesù l’intera ampolla di nardo odoroso; sorge il rimprovero di Giuda che reclama il prezzo per i poveri e Gesù dice “I poveri avrete sempre, ma non avrete sempre me”, e intende esprimere la sua denuncia contro il pericolo di smarrire la giusta attenzione nei confronti di ciò che è primario per essere proditoriamente trascinati verso distrazioni onorevoli. “Ella mi prepara per la mia sepoltura”8, dice ancora il Salvatore mettendo in rilievo come il gesto della Maddalena, nella sua complessità, vada al di là del senso liturgico e divenga sacramentale.

E lasciamo alla meditazione del lettore il dare approfondimento alla parola di Cristina Campo.

 

 

 

Da: http://www.il-margine.it/archivio/1999/d2.htm

 

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