"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
55 ANNI FA MORIVA S. WEIL
SIMONE, UN' OCCASIONE MANCATA
IL PERSONAGGIO
Figura straordinaria e contraddittoria, Simone Weil attraversa come una rapida
meteora il firmamento culturale della prima metà del '900.
Irrequieta e indipendente, rifiuta schemi ed etichette confezionati da altri e
fa della sua breve vita una ricerca tenace, affannosa, disperante ed impronta il
suo stile di vita alla partecipazione, all'impegno, alla sperimentazione, alla
testimonianza.
La troviamo così nelle vesti di insegnante di filosofia, di operaia, in quella
di combattente, sia pure per pochi giorni, nella guerra civile spagnola ("per
non essere assente"), di animatrice di primo piano nel dibattito politico,
spirituale e filosofico del tempo.
Quantunque di famiglia ebrea, non si riconosce in quella religione e non accetta
di soffrire, perché la ritiene una condizione non scelta da lei. Appartiene
all'area politica della sinistra, ma non ne sposa completamente l'ideologia. Né
con la Chiesa, né con Marx. Ci viene in mente la figura di Ignazio Silone,
cristiano senza chiesa, socialista senza partito.
Simone (la chiameremo così, familiarmente) appartiene orgogliosamente a se
stessa, cerca in autonomia la sua strada, non disdegnando la contraddizione.
Rifiutare l'ebraismo non significa perciò abbracciare automaticamente il
cattolicesimo o il cristianesimo; essere di sinistra non vuol dire accettarne
acriticamente i dogmi; non manca infatti qualche riflessione sulla richiesta di
ordine che in qualche modo il regime nazista avrebbe soddisfatto, così come non
mancano le critiche alla sinistra tedesca che si era rivelata incapace di
contrastare la nascita del nazismo.
Ecco perché la vita di Simone è ricerca continua, ansiosa, instancabile, nella
quale profonde ogni energia del suo fisico pur gracile, ogni risorsa del suo
spirito combattivo, animata dal coraggio di scelte originali e di posizioni
radicali, da una insoddisfazione intellettuale sempre latente, dalla vocazione
caritativa, dal fuoco del sacrificio fino al martirio.
La sua fine prematura (24 agosto 1943) merita qualche riflessione, perché non
sembra pienamente comprensibile e "giustificabile".
Il "Tuesday Express" è laconico nell'annuncio: "Professore di francese si lascia
morire di fame". Vero è che le cronache la descrivono asessuata, ma il giornale
inglese avrebbe potuto ben più correttamente chiamarla professoressa; quel
foglio locale, tuttavia, ha forse un qualche merito perché per primo usa
l'espressione "lasciarsi morire", che sarà ripresa da tutti coloro che
successivamente parleranno di Simone e della sua fine.
Già, lasciarsi morire a 34 anni ! Ma perché ?
E' questo l'interrogativo che ci intriga e al quale potrebbe dare una risposta
"L'ombra e la grazia", raccolta di pensieri tratti dal diario tenuto tra il 1940
e il 1942 (Rusconi editore).
STORIA DI UN ' ANIMA
Natalino Sapegno, nel suo Disegno storico della letteratura italiana, inizia i
capitoli intitolati ai singoli autori con un paragrafo relativo alla "Vita". Per
Leopardi fa un'eccezione e lo intitola " Storia di un'anima", a testimonianza di
una sua partecipazione più accorata a quell'esplorazione.
Anche "L'ombra e la grazia" si potrebbe sottotitolare "Storia di un'anima".
L'approccio a questo tipo di testo incute sempre una qualche titubanza, perché
tratta
di perlustrare il profondo di una psiche, avventurarsi nei meandri di pensieri
"intimi". Con quale diritto ?
Riflessione analoga richiama "Il mestiere di vivere" di Cesare Pavese, diario
dei suoi ultimi anni di vita. In questo caso l'emozione è più bruciante, perché
dopo le ultime righe ("Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l'hanno
fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio. / Tutto questo fa schifo / Non parole. Un
gesto. Non scriverò più"), ancor prima di chiudere il libro, il lettore sente
detonare lo sparo suicida.
Nei confronti di questi testi occorrerebbe forse maggiore rispetto e
discrezione, né può apparire sufficiente l'autorizzazione alla pubblicazione che
viene regolarmente concessa dai familiari, che cedono alle lusinghe
dell'editoria (business is business ), fingendo di agevolare i supremi interessi
della cultura.
Tornando a "L'ombra e la grazia", Fortini traduce con "ombra" l'espressione
francese "pesantuer". L'ombra potrebbe essere una macchia in un contesto di
grazia, di luce. Nel testo, invece, la luce è alquanto carente, è più una
tensione ideale verso l'alto che una presenza vera. I pensieri sono grevi e
fanno aggio sull'anelito verso la grazia. Meglio forse
" La pesantezza e la grazia". Sembra inoltre piuttosto incongruo parlare di
libro di aforismi, perché questi presuppongono la conquista di una verità
piccola, ma definitiva. Il nostro testo propone invece temi di ricerca e
meditazioni che lasciano il campo a successivi approfondimenti.
Il pensiero talora è oscuro, talaltra si segnala come intuizione folgorante,
appena fissata sulla carta come per impedire all'idea di volatilizzarsi; più
spesso si tratta di pensieri articolati, da rileggere per cogliere il senso
compiuto e la profondità della meditazione.
Una cosa è certa: non è un libro da divorare tutto d'un fiato; l'aspetto
esteriore inganna. Lettura breve, meditazione, decantazione nel profondo
dell'anima. E' il classico livre de chevette , da leggere, riporre appunto sul
comodino e riprendere successivamente. Le idee sono un distillato di saggezza
sofferta, maturata nei campi più disparati e segnata da una esperienza che ha
inciso la sua traccia nel fisico e nella psiche di Simone.
Il rispetto per le idee espresse è pertanto quantomeno doveroso. Onestà vuole,
tuttavia, che si sottolinei qualche aspetto discutibile.
C'è una sorta di compiacimento nell'autoflagellazione, nello sprofondare in un
dolore ineludibile (stoicismo cristiano), una eccentricità talora ricercata, un
"tenero fremito esaltato" (G. Hourdin - Introduzione -), una qualche indulgenza
al gusto del paradosso per esprimere concetti solitamente controcorrente e
provocatori.
Al bivio tra un'autostrada di pensiero e un sentiero erto e sinuoso, Simone
sceglie inevitabilmente la strada difficile. Per aspera ad veritatem, ed eccola
Simone, alpinista del pensiero, inerpicarsi su per la montagna, spellarsi le
mani alla ricerca di faticosi appigli, annaspare, senza mai guardarsi indietro
per verificare che qualcuno la segua. Guidata dalla sua rigorosa intransigenza
morale, lei prosegue testarda la sua ricerca disperata della verità assoluta.
Nulla concede ai suoi interlocutori, veri o potenziali che siano. La strada da
seguire è una, senza tentennamenti, compromessi, infingimenti.
Il tono è spesso quello arrogante della giovane intellettuale, ma non c'è tempo
per le leziosità; la morta gora del perbenismo conformista e rassegnato va
smossa anche provocatoriamente dalle profondità, per ridiscutere certezze o
pseudo tali, per ritrovare il gusto di pensare, lucidamente e coerentemente.
L'uomo - ammoniva Pascal (Pensieri) - è manifestamente fatto per pensare; qui
sta tutta la sua dignità; e tutto il suo merito e tutto il suo dovere sta nel
pensare come si deve ...
"L'ombra e la grazia", dunque, ospita pensieri in campi disparati, ma la nostra
chiave di lettura vuole essere piuttosto particolare, perchè si prefigge di
scandagliare tutti quegli spunti che in varia guisa possano guidarci nella
ricerca delle motivazioni della sua scelta di morte prematura. Anche trascurando
il dato meramente anagrafico, per dare risalto alla "qualità" e alla intensità
della vita di Simone, troppo inconsueta, troppo acerba è la sua fine perchè si
possa accettarla senza provare a capirne il perchè.
E' un tentativo delicato, perchè muovendosi sul crinale della vita e della
morte, occorre estrapolare concetti non da un tessuto narrativo organico, ma da
una raccolta di pensieri, già di per sè frammentaria. Il rischio che si corre è
quello di smarrire il senso del contesto.
Ci proviamo comunque, per cercare di capire le fasi attraverso le quali matura
il disegno di autoannientamento.
Il meccanismo che, in una situazione troppo dura, produce l'avvilimento, è
dovuto al fatto che l'energia fornita dai sentimenti elevati è - generalmente -
limitata; se la situazione esige che si vada oltre quel limite, bisognerà
ricorrere a sentimenti bassi (paure, desideri, gusto del primato, degli onori
esteriori) più ricchi di energia.
Questa limitazione è la chiave di molti rivolgimenti.
Tragedia di coloro che, essendosi inoltrati per amor del bene in una via dove
c'è da soffrire, giungono dopo un certo tempo ai propri confini; e si degradano.
Pag. 21,4.
Avvilimento potrebbe essere una parola chiave; chi giunge al proprio confine,
per poter proseguire dovrebbe degradarsi e Simone non è soggetto di quella
risma.
Afferrare (in ogni cosa) che c'è un limite e che non sarà possibile
oltrepassarlo senza aiuto sovrannaturale (o, altrimenti, di pochissimo) e
pagandolo successivamente con un abbassamento terribile. Pag. 22,3.
Lezione di umiltà coraggiosa e sorprendente, se si considera il carattere
orgoglioso di Simone.
In qualsiasi situazione, se si ferma l'immaginazione si forma un vuoto (i poveri
in ispirito).
In qualsiasi situazione (ma, in talune, a prezzo di quali abbassamenti !)
l'immaginazione può colmare il vuoto. Pag. 31.4.
Non si può dire che a Simone mancasse l'immaginazione per colmare il vuoto della
crisi. Nel periodo topico aveva evidentemente esaurito ogni riserva !
L'avvenire che colma i vuoti. Talora anche il passato sostiene questa parte (Io
ero, ho fatto...), In altri casi, l'infelicità rende intollerabile il pensiero
della felicità; priva così l'infelice del suo passato. Pag. 32.3.
Il passato e l'avvenire. Ostacolano l'effetto salutare della sventura fornendo
un campo illimitato ad immaginarie elevazioni. Per questo la rinuncia al passato
e all'avvenire è la prima delle rinunce. Pag. 32.4.
Quando il dolore e lo sfinimento giungono al punto di far nascere nell'anima il
senso della perpetuità, contemplando questa perpetuità con accettazione e amore
si viene strappati via fino all'eternità. Pag. 33.3.
Quel vuoto si potrebbe anche superare col ricordo del passato e l'attesa
dell'avvenire, ma Simone rinuncia al tempo, per lei c'è solo il presente col suo
dolore e il suo sfinimento. che le danno il senso della perpetuità. (La
frequentazione delle religioni orientali lascia qui il segno). Le condizioni
sono mature e Simone si lascia strappare via fino all'eternità.
Nulla al mondo può toglierci il potere di dire Io. Nulla, eccetto l'estrema
infelicità. Nulla è peggiore dell'estrema sventura che distrugge l'Io dal di
fuori, perchè da quel momento non può più distruggersi da sè. Pag. 38.3.
Io dal di fuori. Evidentemente Simone si è sentita distrutta dal di dentro,
perchè solo così ha potuto distruggersi da sola.
L'estrema sventura è quando tutti gli affetti sono sostituiti da quello di
sopravvivenza. A Simone non interessa la semplice sopravvivenza, sicchè in
questa situazione , accettare la morte, significa aver raggiunto il distacco
totale. Pag. 40.1.
Se (l'Io) non è morto, l'amore può rianimarlo. Pag. 41.1.
Forse il suo Io non era morto, ma certamente non è arrivato l'amore puro a
rianimarlo.
Si posseggono solo le cose cui si è rinunciato. Pag. 45.5.
Ritiene di possedere la vita rinunciandovi. Riecheggia alquanto D'Annunzio che,
all'ingresso del Vittoriale a Gardone Riviera, scrive: "Ho quel che ho donato",
con la differenza che il dono può perpetuare la cosa, in qualche caso può anche
fecondare e fruttificare; la rinuncia è sempre improduttiva, è la morte,
l'annullamento.
Una volta capito che si è nulla, il fine di tutti gli sforzi è di diventar
nulla. Tendendo verso questo fine si soffre con accettazione, tendendo a questo
fine si agisce, tendendo a questo fine si prega. Dio mio, concedetemi di
diventare nulla. Pag. 46.2.
Se il grano non muore ... Deve morire per liberare energia che porta in sè
perchè se ne formino altre combinazioni.
Egualmente noi dobbiamo morire per liberare l'energia schiava dell'attaccamento,
per possedere una energia libera suscettibile di entrare in un rapporto vero con
le cose. Pag. 47.1.
E' vero, ma se la parafrasi grano - uomo è valida, è altrettanto vero che l'uomo
giunge alla morte dopo aver assolto all' "obbligo" della vita. L'energia che
libera è quella delle esperienze che trasmette operando nell'arco di tutta la
sua vita, il cui naturale svolgimento - infanzia, giovinezza, maturità,
vecchiaia - risponde al disegno divino.
Esiste davvero una energia "schiava dell'attaccamento" ? No, perchè l'uomo è
conscio della sua condizione di precarietà sulla terra, ma nascendo contrae un
obbligo alla vita nei confronti di Dio e dei suoi simili L'accanimento
terapeutico per i malati terminali potrebbe inserirsi in questa logica. Potrebbe
essere questa l'energia "schiava dell'attaccamento" da liberare, ma se anche
fosse, si tratta pur sempre di casi limite contro i quali si va tuttavia
delineando un vasto movimento di opinione largamente condivisibile. Lasciarsi
morire a 34 anni significa invece venire meno all' "obbligo" contratto.
Tutto ciò che vedo, odo, respiro, tocco, mangio, tutti gli esseri che incontro,
io privo tutto ciò del contatto con Dio e privo Dio del contatto con tutto ciò
nella misura in cui qualcosa in me dice io. Posso fare qualcosa per tutto ciò e
per Dio, ritirarmi, rispettare il dialogo. Pag. 53.1.
Creatura del creato, non ritiene di farne parte, non si integra nel creato, anzi
la mia presenza è indiscreta, come se mi trovassi tra due amanti o due amici (Pag.
53.2). E la morte involando ai miei occhi lo splendore del giorno, alla luce
ch'essi macchiavano restituisce l'intera purezza (Pag. 54.1). Senso di
estraneità dichiarato, ma non sufficientemente chiarito; la sua appartenenza al
mondo è un incidente cui occorre rimediare ritirandosi. Quando ? Il rigido
adempimento del dovere semplicemente umano è una condizione perchè possa
ritirarmi. Esso consuma poco a poco le corde che mi trattengono qui e che mi
impediscono di ritirarmi. (Pag. 53.1). Ma chi stabilisce quando il dovere umano
è completamente adempiuto ? Può l'uomo arrogarsi il diritto di "staccare la
spina" ? La morale cristiana, che non concepisce la "morte dolce" procurata da
soggetti terzi nei confronti di malati terminali , non accetta il "farsi da
parte" liberamente determinato. Sulla condizione di debitrice della vita nei
confronti di Dio Simone non ha dubbi: Iddio mi ha dato l'essere perchè glielo
restituisca" Pag. 52.1; le manca però il passo successivo: chi decide il tempo
della restituzione.
Se la mia salvezza eterna fosse su questo tavolo sotto la forma di un oggetto; e
bastasse stendere la mano per afferrarla, non tenderei la mano senza averne
ricevuto l'ordine. Pag. 56.4.
C'è contraddizione. Ammesso che avesse intravisto la salvezza, chi mai le avrà
potuto dare l'ordine di lasciarsi morire ? Forse non cercava la salvezza e quei
comportamenti erano soltanto segni di disperazione.
Ho bisogno che Dio mi prenda di forza; perchè se ora la morte, sopprimendo lo
schermo della carne, mi mettesse davanti al suo volto, io fuggirei. Pag. 70.
E' evidentemente una fase superata, perchè Dio non l'ha presa di forza.
Desiderare l'amicizia è un grave errore. L'amicizia deve essere una gioia
gratuita come quelle che danno l'arte, o la vita. Bisogna rifiutarla per essere
degni di riceverla.
Ma perchè ? Non è chiarito.
Se tu non sei mai stata amata, ciò non è avvenuto per caso ... Desiderare di
sfuggire alla solitudine è una viltà. L'amicizia non la si cerca, non la si
sogna, non la si desidera; la si esercita (è una virtù). Pagg. 77-78.
Niente vera amicizia, niente vero amore. Sono così spezzate altre due gomene che
legano la barca della vita al suo ormeggio. La barca è ora libera di inabissarsi
nel gorgo.
L'agonia è la suprema notte oscura della quale anche i perfetti hanno bisogno
per l'assoluta purezza; per questo, meglio sia amara. Pag. 86.4.
Lasciarsi morire lentamente è viatico verso la perfezione. Si sentiva perfetta,
tanto da aspirare all'assoluta purezza.
Due concezioni dell'inferno. Quella comune (sofferenza senza consolazione); la
mia (falsa beatitudine, credersi per errore in paradiso). Pag. 90.5.
Simone ha sempre ripugnato di essere confusa nel gregge e questa concezione
dell'inferno, rigorosamente diversa da quella comune, non sfugge alla regola;
non sarebbe, tuttavia interessante se non lasciasse aperto un dubbio: l'inferno
dell'aldilà è per lei quasi preferibile all'inferno su questa terra ? Se così
fosse il "passaggio" non dovrebbe essere terrificante. Non è dunque il caso di
procrastinare.
Avvenire. Si pensa che verrà domani; fino al momento in cui si pensa che non
verrà mai. Pag. 92.1
Simone deve aver atteso indarno parecchi domani, poi ha capito che il suo
avvenire non sarebbe mai arrivato... Fine della speranza.
Egualmente, bisogna amar molto la vita per amar ancor di più la morte. Pag.
94.1.
E' un principio discutibile. Simone ha certamente amato la morte, ma non è
sicuro che abbia amato molto la vita. L'ha piuttosto aggredita, violentata,
bevuta avidamente. E' verosimile che abbia smesso di amarla quando ha verificato
l'inanità dei suoi sforzi.
La vita umana è impossibile. Ma solo l'infelicità lo fa sentire. Pag. 104.1.
E' possibile che tutte le sue esperienze non solo non l'abbiano resa felice, ma
l'abbiano fatta precipitare, in sede di bilancio, nella infelicità, quella
infelicità che le ha fatto toccare l'impossibilità della vita umana.
Quando qualcosa sembra impossibile ad ottenersi, per quanto ci si sforzi, ciò
indica un limite insuperabile al livello in cui siamo e la necessità di un
cambiamento di livello, di una rottura del nostro soffitto. Esaurirsi in sforzi
a questo livello ci degrada. Meglio accettare il limite, contemplarlo e
assaporarne tutta l'amarezza. Pag. 106.1
L'accettazione del limite è gesto maturo, quasi eroico per chi aveva fatto
dell'impegno il credo della propria vita. Tuttavia, come non divisare in
quell'assaporare l'amarezza una voluttà di annientamento ?
Le violenze su di sè sono permesse solo quando procedono dalla ragione (per
eseguire quel che ci rappresentiamo chiaramente come un dovere - oppure quando
sono imposte da un irresistibile impulso della grazia - ma in questo caso la
violenza non procede da noi). Pag. 132.
Non che ci fossero dubbi, ma questo passo conferma che il suo disegno di
autoannientamento "procede dalla ragione", certamente non per assolvere ad un
dovere; potremmo ritenere che sia imposto da un "irresistibile impulso della
grazia"
La speranza è la conoscenza che il male, quale lo si porta in sè, è limitato e
che il più piccolo orientamento dell'anima verso il bene, foss'anche solo per la
durata di un istante, ne abolisce un pò; e che, nel regno dello spirituale, ogni
bene, infallibilmente, genera altro bene. Coloro che non lo sanno sono votati al
supplizio delle Danaidi. Pag. 134.3.
Una definizione luminosa della speranza, in contrasto col clima cupo che grava
su tutte le riflessioni e con la rinuncia al tempo (Pag. 32) e l'inutile attesa
dell'avvenire (Pag. 92.1) La rinuncia all'avvenire non è forse rinuncia alla
speranza ?
Che cosa è sacrilego distruggere ? Non quel che è basso, perchè non ha
importanza. Non quel che è alto, perchè, anche se lo si volesse, non si può
toccarlo. I metaxù. I metaxù sono la regione del bene e del male.
Non privare nessun essere umano dei suoi metaxù, cioè dei suoi beni relativi e
confusi (casa, patria, tradizioni, cultura, ecc.) che riscaldano e nutrono
l'anima e senza i quali, eccetto per la santità, una vita umana non è possibile.
Pag. 152.5.
Alla fine del suo tempo, Simone si scopre priva dei suoi metaxù e la vita le è
ormai impossibile.
... al di fuori dei legami fraterni, trattare gli uomini come uno spettacolo e
non cercarne mai l'amicizia... Soprattutto non permettersi mai di sognare
l'amicizia. Tutto si paga.
Esser disposta solo a te stessa. Pag. 161.1.
Sapevamo già che "desiderare l'amicizia è un grave errore" (77.2); ora
apprendiamo che non bisogna nè cercarla, nè sognarla. Simone è solo amica di se
stessa. Le basterà ? No.
IL " CASO WEIL "
Diverse sono, come si vede, le spie che si accendono a guidare il percorso di
lettura che porta alla conclusione che sappiamo.
Irrequieta e insofferente, assolutamente refrattaria a quei "salotti borghesi
pieni di ninnoli e di peluche rosa" Simone ha incarnato un modello degno di
emulazione per la combinazione tra pensiero ed azione. A lei non bastava
l'elaborazione teorica, ma la sua generosità istintiva la portava ad essere
presente ovunque fosse necessario, per offrire testimonianza effettiva e
contributo fattivo in favore degli ultimi ("bruciante di carità" la definisce G.
Hourdin nell'Introduzione).
Ad un certo punto di questa frenetica attività, deve essersi fermata un momento
per tentare un bilancio della propria vita: il risultato non deve esserle
sembrato esaltante.
Non poteva evidentemente pensare di ribaltare con le sue sole forze le
situazioni, ma le condizioni generali erano disperate, con una guerra sempre più
crudele, con l'orrore dell'olocausto, distruzioni e stragi spaventose.
Le condizioni personali, poi, non erano migliori: praticamente senza amici (non
aveva un carattere "facile"), lontana dall'amore, assediata da difficoltà di
ogni genere, minata nel fisico, ha cominciato a cedere anche moralmente. Di qui
la presa di coscienza del proprio limite (21.4), la rinuncia alla speranza (32 -
134), a tutto (45.5), la sensazione di aver perduto i suoi metaxù (casa, patria,
tradizioni, cultura)( 152.5), la percezione di essere fuori posto, di essere di
troppo e il desiderio di farsi da parte (53.1), la sensazione di avvilimento
(21.4). La verde foglia della speranza, a lungo alimentata con la linfa
dell'impegno, poco a poco si accartoccia e muore. Due secoli prima, a
conclusioni non dissimili, sia pure per altra via, era giunto Voltaire: "Quando
si è perduto tutto, quando non c'è più speranza, la vita è orribile e la morte
un dovere".
Simone avrebbe anche potuto accettare un qualche compromesso che le avrebbe
consentito la sopravvivenza (40.1), ma, severa e rigorosa con se stessa prima
che con gli altri, non era disponibile a barattare le proprie convinzioni, e
vivere per vivere non le interessava.
Aveva forse percepito che l'inferno dell'aldilà non differiva molto dalla sua
condizione presente (90.5), sicchè ormai la morte non le fa paura. Ecco cosa
scrive ad una "piccola cara" nel settembre 1940: Anche la morte è una cosa
grande e bella. C'è un poema indù, che si chiama la Bhagavad Gita (è tradotto in
francese), antico circa 24 secoli, nel quale è detto che chiunque, nel momento
della morte, pensa esclusivamente a Krishna (cioè a Dio) è salvo. E' bello amare
l'universo mentre lo si lascia. Fin tanto che si vive, l'amore che si ha verso
gli esseri e le cose si mescola con i godimenti che se ne può trarre. Al momento
di morire, se si muore con un sentimento d'amore, - e l'amore di Dio è la stessa
cosa dell'amore dell'universo, delle sue leggi, di tutti gli esseri pensanti che
in esso si trovano - questo è necessariamente un amore puro. L'uomo raggiunge
solo nel momento della morte il grado più elevato di purezza, Che importanza ha
quello che viene dopo ?
La decisione, tuttavia, non è stata nè facile, nè lineare. Emblematica a questo
riguardo è la maniera con cui Simone tratta il tema dell'amicizia. Desiderarla è
un grave errore , bisogna rifiutarla per essere degni di riceverla (77.2), non
bisogna nè cercarla, nè sognarla (161.1). Nel buio pesto di queste
considerazioni riportate nel nostro testo e delle quali sappiamo solo che furono
scritte tra il 1940 e il 1942, spunta la luce di una lettera di data certa (12
maggio 1942), indirizzata a Joe Bousquet: Infatti l'amicizia è per me un bene
incomparabile, senza comune misura, una fonte di vita, non in senso metaforico
ma letterale. Poichè non solo il mio corpo ma la mia stessa anima, interamente
avvelenata dalla sofferenza, risultano inabitabili per il mio pensiero, è
necessario che esso si sposti altrove. Può abitare in Dio solo per brevi spazi
di tempo. Abita spesso nelle cose. Ma sarebbe contro natura che un pensiero
umano non abitasse mai in qualcosa di umano. Per questo, alla lettera,
l'amicizia dà al mio pensiero tutta la parte di vita che non le deriva da Dio o
dalla bontà del mondo. Lei può dunque capire quale beneficio mi ha fatto
accordandomi la sua amicizia.
Ci sono dunque debolezze, ripensamenti: Simone alla fine perde la sua battaglia
con la vita, ma non aveva certamente rinunciato alla lotta (e non sarebbe stato
da lei !).
Osserviamo ancora. Il breve arco della sua vita (1909-1943) comprende uno dei
periodi più infausti della storia europea e mondiale: due laceranti conflitti
mondiali e, nell'intervallo, incastonata a mo' di diamante, la nascita dei
totalitarismi (comunismo, nazismo, fascismo, franchismo), con i connessi orrori
e genocidi delle persecuzioni razziali. Il "secolo breve", secondo la
definizione dello storico Eric Hobsbawm, offre in questo periodo veramente il
"meglio" di sè.
Simone non era certamente votata caratterialmente all'ottimismo, ma anche le
persone "normali" dove avrebbero potuto orientare il loro sguardo per
intravedere qualche squarcio di luce ? L'umanità era entrata quasi
incoscientemente nel tunnel del 1939 e alla morte di Simone (agosto 1943),
continuava bellamente la distruzione, mentre i forni nazisti lavoravano
freneticamente (è stato calcolato che ad Auschwitz incenerivano 4756 corpi
all'ora ! Efficienza teutonica ...). Bisognava veramente fare un colossale
sforzo di immaginazione per proiettarsi oltre, e intuire finalmente un qualche
dopoguerra. Ma Simone giunge a questa prova fatale in condizioni di disarmo
fisico e morale e non ha più la forza di contrastare gli eventi. Non bisogna
voler trovare, ed è l'abdicazione, la fine della lotta.
Pur considerando le circostanze non è comunque facile "giustificare" la sua
estrema decisione, per ragioni di carattere religiose e culturali.
Se si assume il "lasciarsi morire" sotto la categoria del suicidio, la posizione
della Chiesa è delineata: la vita non è nostra, ma ci viene affidata perchè al
tempo giusto la restituiamo all'Eterno. Il 24 agosto 1943 Simone muore. Era il
tempo giusto ? Chissà.
Dal canto suo, Dietrich Bonhoeffer, fratello spirituale di Simone, nella sua
Etica discrimina tra tribunale degli uomini e tribunale di Dio: Per l'uomo, a
differenza degli animali, la vita non è un destino a cui non ci si possa
sottrarre: egli è libero di accettarla o di togliersela. Il suicidio è un atto
specificamente umano ... giustificato da uomini di alta levatura morale ... non
è sempre espressione di debolezza e codardia. Se nonostante ciò dobbiamo
dichiarare che il suicidio è riprovevole, questa condanna non vale dinanzi al
tribunale della morale e degli uomini, ma soltanto dinanzi al Tribunale di Dio,
creatore e signore della vita.
Certo è che, per rimanere sul piano strettamente religioso, Simone era in mezzo
al guado: non più ebrea, ma non ancora completamente cristiana. La sua ricerca
non era dunque conclusa, anche se non è escluso che forse la risposta era
proprio in quella "terza via".
Anche le considerazioni di ordine culturale si ricollegano alla religione, alla
parabola dei talenti.
Narra il Vangelo (Mt. 25, 14-30) che il padrone, dovendo partire convocò i servi
e affidò loro dei talenti. Due di essi li investirono e ne raddoppiarono il
valore; il terzo, pavido, corse a riporli sotto un mattone, nel timore di furti.
Quando il padrone tornò, i primi furono apprezzati e premiati, il terzo
rimproverato e punito per la sua neghittosità.
Simone non è certamente riconducibile al terzo soggetto; i suoi talenti ha
saputo investirli con acutezza geniale, ma è come se, in presenza di una crisi
dei mercati monetari, li avesse poi ritirati quando le potenziali redditività
dell'investimento non erano affatto esaurite.
Fuor di metafora, abbiamo già rilevato come il XX secolo abbia offerto a Simone
il suo periodo peggiore. Ma oltre il 1945, dopo la notte fonda della guerra, si
è dischiuso per l'Europa e per il mondo - pur con tutte le contraddizioni - un
periodo fulgido di ricostruzione morale e materiale per l'umanità Si è tenuto il
Concilio Ecumenico che ha aperto nuovi
orizzonti alla Chiesa mondiale, e si è chiusa nel 1989 l'esperienza dei regimi
comunisti (ultimo capitolo del secolo breve del citato studioso).
La speranza - confessa don Primo Mazzolari - vede la spiga quando i miei occhi
di carne non vedono che il seme che marcisce. Similmente Simone si è fermata al
panorama marcescente che la circondava, senza avere la forza di proiettare lo
sguardo verso il dopoguerra, un'epoca di fermenti politici, culturali e
spirituali molto intensa, alla quale un'intelligenza viva come la sua avrebbe
potuto fornire un contributo significativo. Vero è che per lei le contraddizioni
non debbono essere necessariamente sanate, perchè qualunque verità racchiude una
contraddizione, tuttavia nel 1943 la sua ricerca della Verità e del Bene non
poteva ritenersi esaurita (ammesso che una tale ricerca possa mai esaurirsi).
Perchè morire ?
Stanchezza nella lotta, insoddisfazione per i risultati raggiunti e sfiducia
nella possibilità di raggiungerli, solitudine, incomprensione, estremo messaggio
di partecipazione dalla parte dei vinti e dei deboli, forse anche una sorta di
narcisismo.
Queste e altre le motivazioni che si possono addurre.
Lei che aveva teorizzato e praticato lo stile di vita della partecipazione
diretta, elevando il "c'ero anch'io" al livello di vero e proprio credo civile,
a questo punto getta la spugna. I suoi smarrimenti avrebbero forse trovato
soluzioni idonee e ne avrebbe tratto vantaggio la cultura.
La sua morte acerba ci lascia opere inconfutabili, il suo insegnamento contro
qualunque violenza e oppressione religiosa e politica, la sua profetica visione
sulla identicità della natura dei totalitarismi di destra e di sinistra, ma ci
lascia anche intuizioni e bagliori che non illuminano il tutto.
Maturando avrebbe donato a sè e agli altri la luce che cercava. Peccato !