in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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Cristina Campo - Lettera a Matizia


 

La lettera non porta data, ma è quasi sicuramente della seconda metà degli anni Cinquanta, perché in essa si parla della traduzione di un libro di Virginia Woolf, apparsa a stampa nel 1959. È estate, probabilmente Cristina Campo è a Manziana, sul lago di Bracciano, dove trascorre le vacanze con i genitori (i «ragazzi» della lettera). Matizia Lumbroso Maroni, la destinataria, è un'amica degli anni romani, molto più anziana di Cristina (era nata nel 1898), presidentessa della Fondazione Basso, studiosa imprevedibile ed eccentrica, autrice di libri come Tramonto in una tazza, Roma al microscopio, Roma calpestata, Confraternite romane nelle loro chiese. Le lettere inviate da Cristina a Matizia sono conservate presso gli archivi della Fondazione, a Roma.

 


 

 

 

 

 

Cara Matizia, calcolavo di finire prima il mio corpo a corpo serale con Virginia, ma sono quasi le due di notte, adesso. Ho calcolato di aver tradotto la metà circa del libro; e se si pensa alle condizioni in cui l'ho fatto è davvero abbastanza. Quanto l'ho odiata, dapprincipio, la vecchia V.! E invece ora penso: che avrei fatto senza di lei?


Stasera, dopo averti parlato, mandai al cinema i ragazzi e mi misi ad aspettare la lettura di Albertazzi alla TV; la sola trasmissione che veda volentieri, la sola cosa fatta alla perfezione. Aspettai fin quasi alle 11 e poi quella trasmissione non c'era, e non avevo voglia di tornare nella mia stanza (dopo aver già lavorato dalle 5 alle 8); e così finii ad un'asta (è già la seconda volta), dove ricaddi nel morboso interesse, nei sogni malsani, su chi avrà portato qui la zuccheriera inglese che vale 18.000 e la vendono per 3; e perché quell'omino con baffetti, nell'angolo, si ostina a battersi per avere il più brutto pezzo della serata – una fortuna bendata in bronzo nero, sinistra come una Medusa – superstizione, suppongo? In compenso ho imparato che esiste una legge Mossadeg grazie alla quale non si può esportare dalla Persia nessun tappeto tessuto prima del 1927. E che la pietra saponaria è un ciottolo cinese che sta sott'acqua; ricoperto di una materia morbida come sapone, ma che al contatto dell'aria diventa dura come la giada; cosicché va lavorata sott'acqua. (Pensavo con un certo refrigerio ai cinesini intenti a incidere sott'acqua questo piccolo pescatore – che il pubblico ignorava, s'intende – ; d'altra parte mi sembra poco probabile che gente abituata a incidere la giada si spaventi per la pietra saponaria indurita). Ho anche imparato molte cose sullo smalto cobalto; sulla lavorazione del vetro in ossido di piombo e sulle fabbriche Efelbein, Rosenthal, e altre che ora mi sfuggono.


Poi sono ritornata a casa e ho lavorato – proprio un attimo prima di chiedermi se è possibile buttar via così la propria giovinezza (o quel che di essa rimane), con tutto il mondo che palpita là fuori – un mondo, oltre tutto, così minacciato e prezioso... C'è Baalbeck e Palmyra, e io faccio studi sullo smalto cobalto... Ma sono pensieri che evito facilmente – la mia vita (e non solo la mia) l'ho già massacrata abbastanza nel passato – quando credevo di possederla.


(Tu non badare a queste ruminazioni un po' assonnate. È il genere di ragionamenti che si fanno con una persona che ci ha visti bambini, quando per combinazione si dorme insieme, e si parla un po' a casa, spazzolandosi i capelli. Spero che domattina avrai tutto dimenticato).


Quando finisce la visita dei tuoi amici angosciosi? Non mi va saperti in giro con loro, in un periodo che non stai bene.


Buonanotte, per ora, dalla



Pisana

 

Da: http://www.adelphi.it/focus/campo/campo.htm

 

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