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Incontrare Cristina Campo
Cristina Campo. Un nome incontrato qua e là, un'autrice italiana poco citata e ancor meno letta, defilata per sua scelta, e perché "difficile", che bisogna proprio voler andare a cercare. Ma le occasioni di leggere altri autori, di seguire altri percorsi, sono talmente numerose che i buoni propositi vengono sempre rimandati… Questo scritto di Angela Donna è insieme un
contributo alla conoscenza, una provocazione ai lettori e una speranza: che
qualcuno che già conosce Cristina voglia continuare il discorso e che altri, che
non la conoscono ancora, raccolgano la sfida di quest'intransigente e silenziosa
"trappista della parola". Il silenzio si è fatto assordante, in questi giorni:
incontrare Cristina Campo1 tutta la mia forza è la mia solitudine Cosa e come scrivere di Cristina Campo, nom de plume di Vittoria Guerrini, veste bianca del suo battesimo, del suo ingresso in letteratura? È da un po' che ho in mente di farla conoscere. Di parlare di lei. La Campo è un'autrice ancora scarsamente nota. Forse perché ha scritto poco, rispettosa della parola…"la parola è un tremendo pericolo, soprattutto per chi l'adopera…" [Campo, 1998, p.203]. O forse perché faticosamente inserita nel mondo letterario ufficiale a cui arriva attraverso i canali dell'alta borghesia colta, ma con un lavoro di autodidatta. O forse perché la qualità dei suoi testi seleziona da sola il suo pubblico. Sta di fatto che, questa volta, è un compito più arduo che le altre occasioni in cui ho scritto dei miei incontri con donne straordinarie perché Cristina Campo resta "la più misteriosa delle scrittrici italiane", la più sfaccettata e complessa, al punto che chiamarla scrittrice è per lei "attributo impoverente e generico". [Ceronetti, in Campo, 1987, p. XIII]. Già il padre, lucidamente, ne prefigurava il destino
singolare. Scrive infatti nel suo diario il 22 novembre 1961: Donne con la vocazione alla scrittura e non solo. Mosse da una possibilità di amare infinita e, perciò stesso, violentemente esposte e toccate dal vuoto e dalla perdita. E quindi dalla morte. Schiudono sé dentro uno spazio di silenzio interiore, una loro dimensione di solitudine, non certo subita e, se non proprio cercata in origine, sicuramente protetta e creativamente trasformata. Mosse da una ricerca del "divino" che portano nel loro centro. Da un bisogno di consapevolezza e coscienza. Dal rigore. Dall'assoluto. Che è poi la Bellezza. Dalla necessità di scoperchiarsi l'anima fino a ripulirla, come un osso di seppia, per raggiungere l'essenza. Nulla di troppo. Sono dunque incontri da custodire nel segreto del proprio intimo, o invece da dare alla luce onde il loro brillare illumini altre anime? Ogni volta, la risposta viene naturalmente e, dopo un periodo di fecondazione, che il seme di una di loro produce nel mio terreno, di gestazione e di attesa, si forma e urge una nascita. Una voce chiede con forza di parlare. O meglio di far parlare Lei. E Cristina, paradossalmente, "parla" di silenzio, nel silenzio, con il silenzio. Fin dall'infanzia, per lei momento fondante di ogni vita, nel quale si sugge la linfa che alimenterà il proprio fatum. "… la proibizione, per esempio di parlare a tavola, soprattutto quando era presente mio zio, il bellissimo e taciturno fratello di mia madre intorno al quale tutta la casa gravitava come intorno ad un oscuro sole… Sopra l'ovale bianco della tavola, nelle serate estive aperte sul giardino, il silenzio assumeva il suo reale valore, che è tesaurizzazione di potenze…" [De Stefano, 2002, p. 16]. Il Leit-motif che in me ha caratterizzato la percezione di Cristina Campo è, più di ogni altra, proprio questa sua dimensione del silenzio interiore ed esteriore. Silenzio, inteso come scrigno, luogo prezioso, fonte di ascolto e di rigenerazione spirituale, di forza, di mistero, di illuminazioni e di miracolo. Quando la malattia debilitante, di cui è portatrice fin dalla
nascita, ritorna costringendola a letto per lunghi periodi (l'Artiglio
sinistro di una malformazione cardiaca per cui il suo cuore batte come un
pendolo in un continuo memento mori), il tempo cambia prospettiva,
tutto intorno a lei si arresta e occorre tacere, come si narra nelle fiabe a
proposito delle terribili prove dell'eroe, e non resta che far silenzio e
aspettare. "… proprio e soltanto il giorno è la sola realtà. Ed è anche tagliando fuori ieri e domani che potremo stabilire il silenzio, l'attenzione perfetta, in cui parli la vera necessità della nostra anima; anima, dico, non 'io' (che è sempre quello occupato – appunto – con l'ieri e col domani." [De Stefano, cit., p. 82]. Questo movimento di Cristina, questa necessità vitale di raccoglimento al centro di sé, è unita però, contemporaneamente e strettamente, ad un bisogno altrettanto grande di comunicare, di entrare in comunione d'anime. A questo proposito intenerisce e commuove, la stupenda raccolta di Lettere a Mita. Mita è Margherita Pieracci Harwell che, sotto il segno e nel nome di Simone Weil di cui entrambe sentivano il fascino come loro ispiratrice e specchio interiore, iniziò un'amicizia con Cristina che durerà fino alla morte di quest'ultima. Mita rassomigliò forse, nel cuore di Cristina, ad un'altra intima amicizia dell'adolescenza, Anna Cavalletti morta precocemente. Le lettere sono un gioiello anche per l'eleganza e la forma dello scrivere. Cristina, fragile e forte insieme, accanto agli scambi letterari e di lavoro, alle intuizioni e ai pensieri, si mette completamente a nudo senza pudore, chiedendo all'amica lontana a lei affine spiritualmente, attenzione e amore, supplicando che non tardi a rispondere, che non lesini di incontrarla anche se per brevi attimi, rivelando, in modo diretto e semplice, il suo desiderio intenso di condivisione profonda. "Mita, questo silenzio non lo accetto da lei. […] Sono in ansia – e in questi giorni anche più sola del solito. Vorrei dirle tante cose ma il suo silenzio mi sgomenta […] Mi dia notizie se mi vuole bene." "Quando la vedo, Mita? Da quasi due mesi non scambio una parola." "Mi scriva presto… non mi va di chiederle aiuto bambina – ma non ho più che le sue lettere ormai. Non averla vista alla stazione che pena…"
I silenzi della malattia, della solitudine affettiva, della morte – incontrata in modo traumatico con la perdita dell'amica Anna di cui porterà tutta la vita il lutto come un dolore muto – sono le tre dimensioni costanti dell'Assenza3 che si intrecciano per tutta la vita in Cristina Campo. Che si dilatano e si arricchiscono vicendevolmente di contenuti, scoperte e meraviglie sempre nuove, in un processo interiore che mi viene di chiamare di desertificazione (sono più sola che Giovanni tra le locuste – scrive il 27 agosto 1956)per associazione ai percorsi di ascesi dei padri del deserto o dei trappisti4. Quando la solitudine è pesante come una pietra e non resta che aggrapparsi allo studio e ai libri, riducendo
"la vita alla mia stanza perché tutto il lavoro è sul tavolo, e anche questo fa blocco con il resto, in un macigno che chiude la caverna."[De Stefano, cit., p. 76]. E in questa stanza - che non a caso rimanda ad un'altra
stanza, quella di Emily Dickinson che fu tra i poeti eletti della nostra -
Cristina perfezionista e in continua tensione verso la bellezza, la verità, la
libertà, l'assoluto, affascinata da tutto quello che ha a che fare con lo
spirito proteggerà la sua quete dell'anima, l'impegno di ogni atomo di se
stessa per la sua crescita interiore verso quello che fin dal principio le è
destinato. "Sicché sono rimasta per 25 giorni in una solitudine così completa e in un silenzio così totale come mai forse nella mia vita e Dio, trovandomi finalmente disponibile, ha cominciato a dirmi le mille cose che non gli avevo mai consentito di dirmi ed è stato, glielo assicuro, un mese di prodigi che non mi hanno lasciato il tempo per null'altro."[Campo, 1999, p. 230]. Questa ricerca la porterà nel suo cammino terreno ad
allontanarsi via via dal mondo letterario – quando parlavo con gli scrittori
che deserto! – [Campo, 1999, p. 217] per avvicinarsi sempre di più alla fede
e alla religiosità, fino alla sua conversione al cattolicesimo5. E
poi ancora oltre, verso le origini, alla purezza e bellezza dei riti della
chiesa ortodossa… "secondo gli otto toni che separano gli otto cieli con l'erotico incenso e il ferale myron, al centro del petto, al centro del Sole, là dove il Nome – myron è effuso il Tuo Nome! – rapisce in vortice immoto alla vita del mondo, zampilla nuovi sensi dal mondo della morte".6 Mi fermo qui. Sento che ho concluso la mia fatica. Certo sono solo scarne tracce che ho potuto dare della figura mentale che fu Cristina Campo. Ed ho lasciato fuori tanto e altro e forse ancora il meglio. Ma ho scritto di lei e le sono debitrice del metodo perché, per trovare il coraggio di accingermi a farlo, ho seguito il suo consiglio ad un'amica: raccogliere prima le citazioni: il testo verrà dopo, come un rampicante tra le rocce.
Grazie Cristina
Note
1) Il titolo è una citazione di Cristina Campo dalle Lettere a Mita, curate da Margherita Pieracci Harwell, per Adelphi Edizioni, Milano 1999, p. 42. L'articolo è dedicato a Clara Serra alla quale devo la lettura di questo raro epistolario. 2) Inserisco nel gruppo, tra le altre: Etty Hillesum di cui ho già scritto un breve ritratto, Ho incontrato Etty, in: "uomini per gli uomini", ottobre 4/2000 e in Corrente Alternata, anno VIII, nr. 4-5/01 Torino; Emily Dickinson presentata nell'articolo Io, una voce di donna, in Corrente Alternata, anno II, nr. 1. 3) La stessa perdita totalizzante che sarà evocata in La Tigre Assenza una delle sue poesie più intense scritta "pro patre et matre": Ahi che la Tigre, / la tigre Assenza, /o amati, /ha tutto divorato/ di questo volto rivolto/ a voi! La bocca sola / pura/ prega ancora/ voi: di pregare ancora / perché la Tigre,/ la Tigre Assenza, / o amati, / non divori la bocca e la preghiera. [C. Campo, La Tigre Assenza, Adelphi Edizioni, Milano 1991, p. 44]. 4) Cristina Campo è definita da Pietro Citati "una trappista della parola", "anacoreta tra furia e dolcezza" , inoltre, nel descrivere la sua stanza egli parla di "intorno lindura, precisione e ascetismo", cfr. P. Citati, L' anacoreta Cristina tra furia e dolcezza, in: M. Farnetti, G. Fozzer (a cura di), Per Cristina Campo, All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1998, p. 286. 5) Il simbolo, il mistero, la perfezione, il destino, il rito, il valore del passato e della tradizione spinsero la Campo ad assumere un atteggiamento intransigente verso il nuovo corso della Chiesa del Concilio Vaticano II; ella fu tra i più vivi ammiratori di monsignor Lefébvre. 6) C. Campo, versi tratti dalla poesia "Diario bizantino", in La Tigre Assenza, op. cit., p. 46
Bibliografia Gli imperdonabili, a cura di Margherita Pieracci
Harwell, Adelphi, Milano 1987.
Angela Donna, nata a Castellamonte nel 1953, vive e lavora a Torino. Legge e scrive poesia e di poesia delle donne. Ha pubblicato due libri di versi (La malarecchia de la biribana, Genesi 1991; La pletora amorosa in: Amoridiversi, Taurus, 1993). Ha ricevuto riconoscimenti nazionali (Primo premio per la poesia al Concorso "Donne di Monferrato", Casale 2001 e Primo premio per i racconti Mia popolosa infanzia. Favolosa al Concorso "Ma adesso io…" Faenza 2003).Collabora con l'Associazione culturale "Due Fiumi" di Torino e con il "Centrodonna" della VI Circoscrizione dove tiene un laboratorio di scrittura femminile.
Da: http://librinuovi.devep.org/modules/xf001section/article.php?articleid=19
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