in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

  home page   cerca nel sito   iscrizione newsletter   email   aggiungi ai preferiti   stampa questa pagina    
 

 

  SU DI ME
 Vita       
 Pubblicazioni

 Corsi, seminari, conferenze

 Prossimi eventi
 
  DISCIPLINE
 Filosofia antica       
 Mistica
 Sufismo
 Taoismo
 Vedanta              
 Buddhismo              
 Zen
 Filosofia Comparata
 Musica / Mistica
 Filosofia Critica
 Meditazione
 Alchimia
 Psiché
 Tantrismo
 Varia
 
  AUTORI
 Mircea Eliade       
 Raimon Panikkar
 S.Weil e C.Campo
 René Guénon, ecc.
 Elémire Zolla     
 G.I.Gurdjieff  
 Jiddu Krishnamurti
 Rudolf Steiner
 P. C. Bori       
 Silvano Agosti
 Alcuni maestri

 

SIMONE WEIL EDUCATRICE

L’IMPORTANZA DELL’ATTENZIONE
 

Monica Bussini – Corrado Marchi

 

 

 

“Quando Menelao si trovò davanti Proteo si lanciò, dice il mito omerico, e lo catturò; ma subito Proteo si fece leone, pantera, drago, acqua corrente, albero verdeggiante. Fu necessario che Menelao domasse Proteo e lo costringesse a prendere la sua propria forma: allora Proteo disse a Menelao la verità”.

 

Tale è l’avventura umana secondo una poco più che ventenne Simone Weil: di lei si parla tanto, ma di lei si sa poco. La si qualifica come una delle prime donne filosofo, operaia, troskista, si menziona la sua attività politica e sindacale, il suo impegno nella guerra civile spagnola la sua particolarissima ricerca mistica, ma di Weil insegnante si sa poco. Eppure è stata la sua attività principale per cinque anni scolastici, dal 1931 al 1938, inframmezzata al lavoro in fabbrica come operaia e a periodi di inattività per malattia. Chi la conosce un poco potrebbe stupirsi che una personalità così spigolosa, a volte urtante, possa avere inciso profondamente sulla personalità delle ragazze dei licei femminili nei quali ha insegnato. Infatti “per alcuni il pensiero di Simone Weil è così irritante che quasi non lo considerano un pensiero: le rimproverano una mancanza di rigore tanto più fastidiosa quanto più è indiscutibile la rigorosa esigenza a cui questo pensiero corrisponde” (1). All’Università un suo insegnante la definiva ‘la marziana’, tanto era diversa dagli altri studenti. I suoi sacrifici per vivere come gli operai (imporsi strettissimi digiuni, trascorrere l’inverno senza riscaldamento, scoprendo poi che gli oprai avevano di che riscaldarsi), suonano sospetti e potrebbero anche farci ridere.

Eppure il suo insegnamento ha inciso profondamente sulle allieve, destando anche forte affezione al punto di non rispondere per anni ad alcune per paura di plagiarle. Ne è testimone la fitta corrispondenza con loro, recentemente pubblicata (2). Quando l’atteggiamento anticonformista di Simone appena ventiduenne e le sue scelte politiche e sindacali avevano provocato un trasferimento, alunne e famiglie insorsero fino ad ottenerne la revoca. Alcuni scritti inediti, del periodo a cavallo degli anni ’20 e ’30, e ora tradotti, ci presentano una giovane insegnante appena ventiquattrenne dotata di rigore e di chiarezza, capace di trasporre il pensiero filosofico nell’immediatezza della realtà esistenziale: in questo la Weil rivela una statura fuori dal comune, senza maestri, che si misura con i classici e si confronta con la realtà così come è: si tratta di Lezioni di filosofia (3) e di Primi scritti filosofici (4).

Qual è l’atteggiamento della Weil nei confronti della scuola e degli studenti? Una grande passione, un grande entusiasmo. Simone, che a Parigi aveva rifiutato di fare una conferenza sul femminismo, dichiarando “non sono una femminista” (5), vedeva nelle sue allieve delle persone ‘interi da maturare e s’interessava più di ogni altra cosa al progresso del loro pensiero. Pronta a insegnare a chiunque qualsiasi delle molte discipline che conosceva, anche gratuitamente, si recava al lavoro anche nei giorni in cui soffriva di terribili emicranie che le impedivano di toccar cibo per giorni di seguito e che le provocavano forti dolori anche a salire un gradino. Una sua allieva riferisce di aver imparato da lei “che nessuno mai deve essere etichettato, cristallizzato in un atteggiamento o in un modo di pensare. Che quello che può apparire un fallimento conto di più in realtà di uno scintillio ingannatore” (6). Ecco alcune testimonianze del suo operare nella scuola: “Non era una professoressa del solito stampo. Si prodigava per le allieve, mettendo a loro completa disposizione  le sue conoscenze e il suo tempo. Così a una di noi che non poteva sostenere il baccalauréat perché non aveva studiato latino, propose immediatamente di insegnarglielo e, come è ovvio, gratuitamente”. Pensando che ci interessasse la storia della matematica, ci fece un corso supplementare, facoltativo e gratuito”. Si preoccupava anche dei nostri bisogni materiali. Ci occorreva per esempio un libro per il francese? Eccola un giorno arrivare con molta fatica, carica di una ventina di libri che si era preoccupata di ordinare e di pagare in anticipo, perché potessimo usufruire dello sconto concesso dai librai agli insegnanti”. “Il giovedì portava alle allieve interne il libro promesso. Che conforto era veder arrivare Simone Weil nel cortile interno dove ben raramente mettevano piede i professori, soprattutto nel giorno di vacanza!” (7).

L’obiettivo fondamentale dell’educazione per Simone Weil è di sviluppare l’attenzione (questo è anche il segreto della sua resistenza fisica). Nel 1942 in alcune riflessioni per un circolo di studentesse affermava: “Benché sembri che oggi lo si ignori, il vero e quasi unico interesse degli studi è quello di formare la facoltà dell’attenzione. La maggior parte degli esercizi scolastici hanno anche un interesse intrinseco: ma è un interesse secondario. Tutti gli esercizi che fanno appello alla nostra facoltà di attenzione sono interessanti allo stesso titolo e nella stessa misura” (8). Per esempio, se si deve svolgere un esercizio di geometria, non è importante trovare la soluzione quanto compiere uno sforzo di attenzione. Il frutto si ritroverà un giorno anche “in un campo qualsiasi dell’intelligenza, forse del tutto estraneo alla matematica. Forse un giorno colui che ha compiuto questo sforzo sarà in grado di affermare più direttamente, proprio grazie a questo sforzo, la bellezza di un verso di Racine”. Per lei l’attenzione consisteva “nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile al soggetto, nel mantenere ai margini del proprio pensiero, ma a livello inferiore e senza contatto con esso, le diverse conoscenze acquisite che si è costretti ad usare”. Le condizioni che ella indicava alle ragazze per conseguire l’attenzione sono queste:

1) studiare senza ricercare buoni voti, non seguire i gusti e le attitudini personali, “ponendo lo stesso zelo in tutti gli esercizi” perché tutti servono a formare l’attenzione,

2) “guardare in faccia ogni esercizio scolastico fallito in tutta la bruttezza della sua mediocrità, senza cercare scuse”.

Un secondo obiettivo dell’azione educativa è quello di suscitare le motivazioni dell’apprendere. La condizione fondamentale di ogni processo educativo è rappresentata dalla volontà del discente, dal desiderio di imparare. “L’intelligenza può essere guidata solo dal desiderio. Perché ci sia desiderio, occorre che ci siano piacere e gioia. L’intelligenza cresce e porta frutto solo nella gioia. La gioia di imparare e indispensabile agli studi, come la respirazione ai corridori. Dove essa è assente non ci sono studenti, ma povere caricature di apprendisti che al termine del loro apprendistato non avranno neppure un mestiere.” (9).

Un terzo obiettivo che ci sembra ravvisare nella sua attività di docente è quello di insegnare il gusto della bellezza. Nella sua visione filosofica l’uomo concepisce la propria identità come unione di spirito e corpo, nella sua visione mistica lo spirito è presente nella natura. Allora la natura nel suo complesso è il luogo nel quale cogliere la presenza di Dio. Di qui discende per lei il valore dell’arte. “Conclusione: valore morale dell’arte. Ci insegna che lo spirito può discendere nella natura. la morale, da parte sua, ci dice di agire conformemente ai pensieri veri. Il bello testimonia che l’ideale può passare nella realtà”. (10). E in L’ombra e la Grazia sostiene “Il poeta produce il bello con l’attenzione fissata su qualcosa di reale. Lo stesso avviene con l’atto d’amore. Sapere che quest’uomo, che ha fame e sete, esiste veramente come me, questo basta, il resto viene da sé” (11).

Da qui discende un ultimo obiettivo: educare all’azione. La passione per il mondo, per l’umanità, per la storia spingono all’azione. In Lezioni di filosofia appare chiaramente che l’azione è lo scopo della conoscenza: attraverso l’azione l’individuo prende piena consapevolezza di sé. Simone Weil l’ha vissuto sulla propria pelle nell’azione sindacale e politica, nel lavoro in fabbrica come operaia, combattendo nella guerra spagnola e desiderando di combattere nella seconda guerra mondiale. In questo senso le sue scelte di vita orientate all’azione non sono a lato, magari in contrasto con il suo cammino intellettuale e spirituale. La sete di sapere, di verità, meglio di ‘conoscenza della verità’ la rendono inquieta in ogni istante della sua vita, senza tregua. “La verità di conoscenza – testimonia Paola Melchiori (12) – mi pare il tratto più significativo dell’esistenza di Simone Weil, perché ne improntò costantemente il percorso intellettuale, e, per sua stessa testimonianza, le scelte di vita. La sua ricerca si proponeva come oggetto la verità. Conoscere la realtà ha in Simone molteplici significati, ma soprattutto mi pare indicare la necessità di restituire al pensiero il suo oggetto proprio; quella capacità cioè di aderire alle cose e trasformarle che la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, e la crescente specializzazione e astrattezza della scienza e della cultura contemporanea le parevano avere irrimediabilmente compromesso, con conseguenze funeste per la vita degli uomini”. Possiamo concludere che la sua attività di insegnamento è caratterizzata dalla sua personalità, dal suo essere stesso piuttosto che dalla sua professionalità, dalla sua preparazione culturale, seppur vastissima e poliedrica (13) al punto da arrivare a rifiutare ogni innovazione pedagogica: “del resto io sono ben lontana – scrisse nel 1936 (14), quindi dopo anni di scuola -  dall’entusiasmarmi per la nuova pedagogia in genere, e ne diffido quanto più essa si appella alla ‘scienza, alla ‘psicologia’ e alla ‘psiconanalisi’! ecc. (perché sono frottole)”.

È ancora attuale per la scuola di oggi l’insegnamento di questa donna molto originale? Forse no. Ma la sua vita e i suoi scritti ci offrono molti spunti di riflessione. E poi rimane la testimonianza di una grande passione per ogni sapere, per la scuola, per le sue allieve.

 

 

 

 

(1) M. Blanchot, “L’affermazione”  in L’infinito intrattenimento, Torino, 1969, Einaudi, pag. 142.

(2) S. Weil, Piccola cara, Lettere alle allieve (a cura di M. C. Sala), Genova, 1998, Marietti.

(3) (a cura di M. C. Sala, con nota di G. Gaeta), Milano, 19992, Adelphi. Si tratta del corso di Roane dell’anno scolastico 1933/34, appuntato da un’allieva, Anne Guérithàult. Il corso si articola in tre momenti: il rapporto del corpo con il pensiero, la scoperta dello spirito nelle implicazioni sociali e i fondamenti della morale.

(4) (con saggio di M. Azzalini), Genova, 1999, Marietti.

(5) S. Pétrement, La vita di Simone Weil (a cura di M. C. Sala), Milano, 1994, Adelphi,  pag. 118.

(6) Anne Raynaud, alunna di S. W. al Liceo femminile di Roane nel 1934, in una lettera del 1978 a Gabriella Fiori e da quest’ultima riportata in Simone Weil, biografia di un pensiero, Milano, 1990, Garzanti, 454.

(7) S. Pétrement, la vita di Simone Weil, cit., pagg. 143–144.

(8) S. Weil, “Attesa di Dio”, in Studio e vita interiore (a cura di P. I. Colosio), Firenze, 1960, Libreria Fiorentina. Questa citazione, come le seguenti, sono tratte, leggermente adattate, dalle pagg. 482-490.

 (9) S. Weil, Lezioni di filosofia, Milano, 19992, Adelphi, pag. 330.

“Nell’anno 1933-34 a Simone Weil fu assegnata la cattedra di filosofia presso il Lycée de Jeunes Filles di Roane. Ed è proprio dall’incontro fra una singolare insegnante e un’allieva meticolosa e dagli appunti che questa diligentemente prendeva, che nascono le Lezioni di filosofia: tanto più preziose in quanto testimoniano di un pensiero già formato nei suoi tratti fondamentali e al tempo stesso della ricerca di una forma di comunicazione capace di coinvolgere pur senza venir meno al rigore dell’esposizione (dalle note di copertina).

(10) Lezioni di filosofia, cit., pag. 330.

(11) (Intr. di G. Hourdin), Milano, 1984, pag. 127.

(12) in Simone Weil Il pensiero e l’esperienza femminile, Brescia, 1963, La Scuola, pag. 71.

(13) Questo è anche il giudizio di P. Viotto in “S. W.: per insegnare a filosofare”, in Nuova Secondaria, 7 (marzo) 1997, pagg. 59-61. “Un’esperienza metodologica probabilmente irripetibile, quella di S. W., perché legata alla sua forte, originalissima personalità” (ivi).

(14) S. Pétrement, la vita di Simone Weil, cit., pagg. 196.

 

 

Da: www.corradomarchi.it/pubblicazioni/articoli/weil_educatrice.htm

 

 

                                                                                                                                           TORNA SU