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Da una conversazione tenuta a Royaumont, il sabato pomeriggio del 25ottobre 1980
D: Che atteggiamento avere quando ci troviamo nella sofferenza fisica? R: Il dolore appare per qualcuno. Se voi vi identificate con il vostro dolore, siete completamente sommersi e allora lottate, vi difendete. Il dolore vi permette di situarvi, di comprendere che non siete ciò che è dolore; voi siete, in qualche modo, il conoscitore di questo dolore. Quando lasciate che la sensibilità si svegli completamente, a quel punto c’è una massa di sensibilità ma non c’è più dolore; resta una sensazione. Potremmo dire che allora avete eliminato una grossa parte della sensibilità. Il dolore, come la sofferenza psichica, in un certo modo sono dei segnali indicatori che vi permettono di situarvi. Quando va tutto bene, il piacere, le cose gradevoli sono, per noi, naturali, evidenti e pensiamo di averne diritto, finché la presenza del dolore, della sofferenza, ci dà la possibilità di situarci in un asse che si trova al di là, una Presenza silenziosa. E’ unicamente questo asse, questo centro che rappresenta una posizione liberatrice, dove ogni eliminazione di questa sensibilità, di questa sensazione potrebbe trovare una possibilità di eliminarsi, cioè che l’organismo ritrovi, di nuovo, il suo equilibrio, perché il dolore non è, in fondo, che l’Armonia rotta. Ogni intervento sul dolore è completamente arbitrario. Il medico che si chiama quando c’è il dolore è tenuto a conoscere la natura delle cose. Se conosce veramente la natura delle cose che funzionano armoniosamente, la sua presenza e il suo intervento permettono di aiutare questa natura a rientrare nell’ordine. Ma è molto importane che prendiate consapevolmente, e da voi stessi, l‘atteggiamento che permette di reintegrare l’equilibrio, perché questo disequilibrio non proviene dalla natura stessa, ma da un intervento di un “me”, di un soggetto, di una persona. Questa persona isolata crea il conflitto, la disarmonia. Quando contemplate la sofferenza o il dolore, vi distaccate anche dalla persona e in questa posizione che è la vostra natura, maturando, che è attenzione totale, questa coscienza “una” permette ad ogni cosa di rientrare, di nuovo, nell’ordine, sia per voi che per un’altra persona.
D: Mi domando se la sofferenza è necessariamente dolorosa o se non è un’idea ricevuta… R: La sofferenza, di cui parlate, è sempre provocata da un situazione in rapporto con un’altra, cioè il me. Vedete le cose in voi come se si riferissero ad una immagine di voi stessi. Là, effettivamente, si può qualificarla, ma dal momento in cui restate completamente sguardo, la situazione si riferisce alla Totalità. Vorrei che lo sperimentaste. Lo sguardo è. Non è né positivo né negativo, ma, all’ultimo, positivo! Noi siamo la gioia! La tristezza non esiste, è una visione frazionata. Il me preferisce la tristezza ad una assenza del me!
D: Non esistono delle tecniche, dei mezzi per portarci a uno stato più risvegliato, più libero? R: Dovete coltivare la contemplazione, contemplare il vostro corpo; vi renderete conto che contemplate l’immagine che avete del vostro corpo. Lasciatevi visitare, affascinare dal vostro corpo e, in quel momento, siete completamente ricettivi, gli schemi del vostro corpo non hanno più luogo e sorge la vera percezione. Per trovare ciò che siete fondamentalmente, bisogna prima passare per una osservazione, una contemplazione di un oggetto. Quando l’oggetto muore nella contemplazione, voi siete scelti dalla Contemplazione. La Contemplazione si sceglie essa stessa da lei stessa!
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