in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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1.       7 Maggio 1970

 

I.:      Ogni giorno, al risveglio, il mondo si mostra a noi. Da dove ci viene quell'esperienza?

M.:     Prima che qualcosa si mostri, dev'esserci qualcuno cui mostrarsi. Ogni apparizione e sparizione presuppongono un mutamento su uno sfondo immutabile.

I.:      Prima di svegliarmi, non ero cosciente.

M.:     In che senso? Perché non lo ricordi o perché non l'hai provato? Anche senza coscienza, non c'è forse esperienza? Puoi esistere se non lo sai? Un vuoto nella memoria è una prova di non-esistenza? Puoi parlare della tua non-esistenza come di un'esperienza vera e propria, o sostenere la non-esistenza della mente durante il sonno? Se ti chiamano, sei subito sveglio, e la tua prima percezione non è forse l'"io sono"? Perciò un qualche seme di coscienza deve pur annidarsi nel sonno o nel deliquio. L'esperienza del risveglio scorre così: "Io sono... un corpo... nel mondo". In realtà non sono tre percezioni distinte e susseguenti, ma una sola e complessiva, quella di avere un corpo nel mondo. Può esserci l'"io sono" senza qualcuno che lo riconosca?

I.:      Si è sempre qualcuno, con i suoi ricordi e abitudini. Non conosco altri "io sono" al di fuori di me.

M.:     Forse c'è qualcosa che t'impedisce di conoscere. Quando ignori una cosa nota ad altri, come procedi?

I.:      Mi faccio guidare da loro, per risalire alla fonte di ciò che sanno.

M.:     Non ci tieni a sapere se sei solo un corpo o qualcos'altro, o magari niente del tutto? Non vedi che i tuoi problemi sono tutti del corpo - cibo, vestiario, casa, famiglia, amicizie, posizione, fama, sicurezza, sopravvivenza - e che diventano subito irrilevanti appena ti rendi conto che non puoi essere solo il corpo?

I.:      Che cosa ci guadagno a saperlo?

M.:     Anche dire che non sei il corpo non è esatto. In un certo senso sei tutti i corpi, i cuori e le menti, e molto di più. Scava nell'"Io sono", e troverai. Come fai a ritrovare una cosa smarrita o dimenticata? La tieni in mente finché non riaffiora. Il primo a emergere è il senso di essere, l'"Io sono". Domandati da dove viene o osservalo quieto. Quando la mente s'installa nell'"Io sono" senza muoversi, entri in uno stato di cui puoi solo dire che ci sei dentro. L'unica è allenarsi continuamente. Dopotutto l'"io sono" è sempre con te; non lo cogli perché gli hai sovrapposto una quantità di cose: corpo, sentimenti, pensieri, idee, proprietà interne ed esterne, e così via. Sono tutte auto-identificazioni infedeli. Per causa loro, ti prendi per quello che non sei.

I.:      Ma allora, chi sono?

M.:     Non ti serve sapere chi sei, ma che cosa non sei. Infatti, se per conoscenza s'intende una descrizione a partire da ciò che è già noto, sia in senso fisico che concettuale, non può esserci la cosiddetta autoconoscenza, visto che ciò che sei è descrivibile solo come totale negazione: "Non sono questo, non sono quello". Affermare "Questo è ciò che sono" non ha senso, perché se lo indichi, non puoi essere tu. Niente di percepibile o immaginabile coincide con te e tuttavia, se non ci sei, non può esserci né percezione, né immaginazione. Il cuore sente, la mente pensa, il corpo agisce, e tu li osservi; l'atto stesso di osservare mostra che non sei le tue percezioni, benché non ci sia percezione o esperienza senza di te. Un'esperienza deve "appartenere". Qualcuno dovrà venire a rivendicarla come sua. Senza lo sperimentatore, un'esperienza non è reale, è lui che le dà realtà. Un'esperienza preclusa, a che vale?

I.:      La coscienza di essere l'"Io sono", lo sperimentatore, non è a sua volta un'esperienza?

M.:     Certo, ogni cosa sperimentata è un'esperienza, e in ogni esperienza è presente chi la fa. La memoria crea l'illusione della continuità. Di fatto, per ogni esperienza c'è uno sperimentatore, e il senso dell'identità è implicito in tutte le relazioni sperimentatore-sperimentato, come il fattore costante che le accomuna. Sia l'identità che la continuità variano. Come ogni fiore ha il suo colore, ma tutti i colori dipendono dall'unica luce, così molti sperimentatori trapelano nella consapevolezza, che è una e indivisa. La memoria li fa diversi; l'essenza, identici. Questa essenza è la radice e il fondamento di ogni esperienza, la sua perenne "possibilità" fuori dello spazio e del tempo.

I.:      Come la ottengo?

M.:     Non ti occorre ottenerla perché sei già essa. Si manifesterà non appena gliene darai l'occasione. Smetti di dipendere dall'irreale, e il reale rientrerà sofficemente in sé; smetti di immaginare che sei o che fai questo o quello, e scoprirai che la fonte e il fulcro di tutto è dentro di te. A quel punto amerai, e sarà un grande afflato, senza scelta, predilezione o attaccamento, la forza che rende tutte le cose care, e degne d'amore.

 

 

2.       9 Maggio 1970

 

 

I.:      Maharaj, siete seduto di fronte a me, e io sono qui, ai vostri piedi. Qual'è la vera differenza tra noi?

M.:     Non c'è una vera differenza.

I.:      Eppure una ragione dev'esserci, se sono io che vengo da voi e non viceversa.

M.:     Tu immagini delle differenze, per questo vieni qui in cerca di individui "superiori".

I.:      Ma voi siete un essere superiore. Sostenete di conoscere la realtà, io no.

M.:     Ho mai detto che tu non conosci, e perciò sei inferiore? Lascia che chi ha inventato distinzioni del genere, le provi. Non sostengo di sapere niente che tu non sappia; anzi, so molto meno di te.

I.:      Le vostre parole sono sagge, la vostra condotta è nobile, la vostra grazia ha potere.

M.:     Non so niente di tutto questo, e non vedo differenze tra te e me. La mia vita è una successione di fatti come la tua. Solo che sono distaccato, e vedo svolgersi il film per quello che è, un film che si svolge, mentre tu ti abbarbichi alle cose e ti muovi insieme ad esse.

I.:      Che cosa vi ha reso così imperturbabile?

M.:     Niente in particolare. È successo che diedi fiducia al mio maestro; mi disse che non sono altri che me stesso, e gli credetti. E poiché gli ho creduto, mi sono regolato in conseguenza. Smisi di tenere a ciò che non era né me né mio.

I.:      Che cosa v'indusse a credere ciecamente nel maestro, mentre la fiducia che abbiamo noi, è solo a parole?

M.:     Chi può dirlo? Accadde. Le cose accadono senza motivo, e alla fin fine, che importa chi si è? La tua alta stima di me è solo un'opinione, può cambiare da un momento all'altro. Perché dare importanza alle opinioni, anche alle proprie?

I.:      Eppure siete diverso. La vostra mente sembra quieta e felice. E prodigi accadono intorno a voi.

M.:     Non so niente dei prodigi, e mi sorprende che la natura ammetta eccezioni alle sue leggi, a meno che non si voglia sostenere che tutto è prodigioso. Per me, la verità è un'altra: c'è la coscienza, e tutto accade in essa. È un fatto, e ognuno può constatarlo da sé. Forse non sei abbastanza attento. Guarda bene e vedrai come me.

I.:      Che cosa vedete?

M.:     Quello che vedresti subito anche tu se correggessi il fuoco dell'attenzione. Non ti osservi abbastanza. La tua mente s'identifica con gli oggetti, le persone, le idee, ma mai con te stesso. Mettiti a fuoco, acquista coscienza dell'esistenza che è tua. Guarda come funzioni, esamina i moventi e gli effetti delle tue azioni. Scruta la prigione che ti sei costruito intorno, per inavvertenza. Constatando ciò che non sei, scoprirai chi sei. La via di ritorno a quello che sei, passa attraverso il rifiuto e la negazione. C'è una certezza: il reale è reale, non è un immaginario prodotto della mente. Persino l'"io sono" è discontinuo, pur essendo un indicatore prezioso: segnala dove cercare, non che cosa. Guardalo bene e vedrai che, non appena ti sarai persuaso di non poter dire niente di attendibile su di te tranne "Io sono", e che niente che tu possa indicare è te, lo stesso bisogno dell'"Io sono" verrà meno, e smetterai di verbalizzare ciò che sei. Devi liberarti della tendenza a definirti. Le definizioni valgono solo per il corpo e le sue espressioni. Se ti svincoli dall'ossessione del corpo, ritornerai spontaneamente al tuo stato naturale. L'unica differenza tra noi è che io sono consapevole del mio stato naturale, mentre tu sei confuso. Come l'oro dei gioielli non ha più pregio dell'oro in polvere altro che per il valore che la mente gli impone così noi, nell'essere, siamo identici, e solo l'apparenza ci fa diversi. Lo scopriamo se siamo seri, indagando, interrogandoci giorno dopo giorno, momento per momento, votando l'intera vita alla scoperta.

 

 

 

3.       11 Maggio 1976

 

 

I.:      Secondo me, non c'è nulla di sbagliato nel mio corpo e nel mio essere. Non li ho fatti io e non occorre migliorarli. Piuttosto, qualcosa non funziona nel "corpo interno", mente, coscienza, antahkarana, o comunque si chiami.

M.:     Che cosa non va nella mente?

I.:      È inquieta, assetata del piacevole e impaurita dallo spiacevole.

M.:     E che c'è di sbagliato nel cercare l'uno e schivare l'altro? Tra le rive del piacere e del dolore scorre il fiume della vita. Solo quando la mente rifiuta di fluire e s'insabbia alle rive, incominciano i guai. Fluire con la vita significa accettare, lasciar venire ciò che viene e andare ciò che va. Non desiderare, non temere, osserva il fatto come e quando accade, perché tu non sei ciò che accade, ma colui al quale accade, l'osservatore, e nemmeno solo quello. Sei l'ultima potenzialità in cui si esprime e manifesta la coscienza universale.

I.:      Eppure tra il corpo e il sé si frappone una nuvola di pensieri e sentimenti che non servono né il corpo né il sé: sono inconsistenti, fuggevoli e insensati, una polvere mentale che soffoca e acceca, ottenebra e nuoce.

M.:     Certo, né il ricordo di un evento né la sua anticipazione possono essere confusi con l'evento stesso. Nella sua immediatezza c'è qualcosa di unico, che l'evento precedente e il successivo non possono avere: una vivezza, una tremenda attualità che lo staglia come se fosse illuminato. C'è un marchio di realtà sul presente, che il passato e il futuro non hanno.

I.:      Che cosa dà al presente questo marchio di realtà?

M.:     Non c'è niente che giustifichi una diversità così vistosa. Per un attimo, il passato fu attuale e il futuro lo sarà. Che cosa fa così diverso l'attuale? Ovviamente, la mia presenza. Sono reale perché sono sempre "ora", e ciò che è con me nel presente partecipa della mia realtà. Il passato è nella memoria, il futuro nell'immaginazione. Non c'è niente nell'evento presente, in sé, che lo faccia spiccare come reale. Appartiene a una vicenda periodica, come il battito d'un orologio; e anche se sappiamo che i battiti successivi saranno tali e quali, quello presente resta inconfondibile. Una cosa messa a fuoco "ora", è con me perché io sono "ora"; io contagio il presente con la mia realtà.

I.:      Trattiamo i ricordi come se fossero presenze vive.

M.:     Ce ne ricordiamo solo quando si affacciano nel presente; la dimenticanza consiste nel lasciarli dove sono.

I.:      È vero, c'è nel presente un non so che di ignoto che dà una realtà momentanea al suo veloce trascorrere.

M.:     Ignoto non direi, visto che lo vedi costantemente in azione, e da quando sei nato, è sempre uguale. Cose e pensieri sono venuti cambiando via via, ma la percezione che ciò che è ora è reale, è rimasta immutata persino nel sogno.

I.:      Nel sonno profondo, non c'è esperienza del presente.

M.:     Il vuoto del sonno profondo dipende dall'assenza di ricordi specifici, ma una memoria diffusa di benessere non è scomparsa. È una sensazione ben diversa quella che mi fa riconoscere "Dormivo profondamente", piuttosto che "Ero assente". Nel sonno il corpo funziona al di sotto del livello di coscienza cerebrale.

I.:      Ritorno alla domanda che avevo posto all'inizio: tra la fonte della vita e la sua espressione - che è il corpo - sta la mente, coi suoi stati variabili. Il loro flusso è ininterrotto, insensato e doloroso. Il dolore è il fattore costante. Ciò che chiamiamo piacere non è che l'intervallo tra due stati di dolore. Desiderio e paura sono la trama e l'ordito dell'esistenza, e tutt'e due sono composti di dolore. Domando: può esserci una mente felice?

M.:     Il desiderio è il ricordo del piacere, la paura il ricordo del dolore. La mente è inquieta per causa loro. I momenti di piacere sono puri arresti nel flusso del dolore. Come può esistere, in simili condizioni, una mente felice?

I.:      Sono d'accordo nei casi scontati, quando desideriamo il piacere o ci attendiamo un dolore, ma esistono degli attimi di gioia imprevista, non contaminata dal desiderio, non cercata, non meritata, un vero dono di Dio.

M.:     Tuttavia la gioia resta gioia sullo sfondo del dolore.

I.:      Il dolore è un fatto cosmico o solo mentale?

M.:     L'universo è completo, e dove c'è completezza, dove niente manchi, che cosa può arrecare il dolore?

I.:      L'universo può essere completo nell'insieme, ma incompleto nei dettagli.

M.:     Anche una parte, se è vista in rapporto all'intero, è a sua volta completa. Solo se la consideri a sé stante, diventa manchevole e fomenta il dolore. Che cosa provoca l'isolamento?

I.:      I limiti della mente. Vedere l'intero attraverso la parte, le è impossibile.

M.:     Sì, la mente è fatta per dividere e contrapporre. Ma perché non può esistere una mente diversa, capace di unificare e armonizzare, di cogliere l'intero nella parte, e la parte, strettamente legata all'intero?

I.:      Una mente diversa, dove cercarla?

M.:     Se trascendi la mente che divide e contrappone, e metti fine al processo mentale che conosciamo, la sua cessazione equivale alla nascita della nuova mente.

I.:      In questa nuova mente, c'è posto ancora per la gioia e il dolore?

M.:     Non per quelli che ci sono noti, rispettivamente, come desiderabile e detestabile. Diventa piuttosto un empito di amore, che cerca di esprimersi e incontra degli ostacoli. La mente che tutto comprende, è amore in azione, frustrato all'inizio, ma alla fine vittorioso.

I.:      Il ponte tra lo spirito e il corpo è l'amore?

M.:     E che altro? La mente crea l'abisso, il cuore lo valica.

 

 

 

 

4.       13 Maggio 1970

 

 

I.:      Il problema della causalità è indubbiamente uno dei più dibattuti. Ci si chiede se l'universo sia o no soggetto a quella legge. Voi propendete per la non-causalità, e sostenete che tutto appare e scompare senza motivo.

M.:     Causalità significa il succedersi, nel tempo, di eventi nello spazio, il quale è fisico e mentale. Tempo, spazio e causalità sono categorie della mente, che sorgono e tramontano con la mente.

I.:      Nei limiti del funzionamento mentale, la causalità è valida.

M.:     La cosiddetta legge di causalità è un prodotto della mente e, come tale, è contraddittoria. Niente di esistente ha una causa particolare, e l'universo nella sua globalità provvede fino all'ultimo granello; niente potrebbe essere com'è, se l'universo non fosse quello che è. Quando la fonte e il fondamento di tutto è anche la sua unica causa, è errato parlare di causalità come della legge universale. L'universo non è vincolato dal suo contenuto perché le sue potenzialità sono infinite, ed è l'espressione di un principio fondamentalmente e totalmente libero.

I.:      Capisco. È un errore parlare di una cosa come della causa unica di un'altra, in linea di principio; ma nella vita concreta, ogni azione che intraprendiamo, è sempre in vista di un risultato.

M.:     Sì, c'è un gran darsi da fare in quel senso, a causa dell'ignoranza. Se la gente sapesse che niente accade se l'universo non lo fa accadere, otterrebbe molto di più con una spesa di energia molto minore.

I.:      Se tutto esprime la totalità delle cause, si può parlare di un'azione significativa in vista di un risultato?

M.:     La spinta stessa a raggiungere è un'espressione del tutto. In sé mostra soltanto che un'energia potenziale è sorta a un dato momento. È l'illusione del tempo che ti fa immaginare la causalità. Quando il passato e il futuro sono visti nel presente atemporale, come parti di un modello comune, l'idea di causa-effetto perde la sua preminenza e la libertà creativa prende il suo posto.

I.:      Eppure non capisco come tutto possa sorgere senza una causa.

M.:     Quando dico senza causa, intendo: senza una causa specifica. Non c'era bisogno di tua madre per farti nascere, qualunque altra donna avrebbe potuto darti la vita. Ma non saresti potuto nascere senza il sole e la terra, benché poi il fattore cruciale sia un altro: il tuo desiderio. È il desiderio che fa nascere, che dà nome e forma. Immaginato e ricercato, il desiderabile si manifesta come qualcosa di tangibile o di almeno concepibile. È così che sorge il mondo in cui viviamo, il nostro mondo personale. Di là dalla mente è il mondo reale, che però, attraverso la rete dei desideri, ci appare spartito in piacere e dolore, giusto e sbagliato, interno ed esterno. Per vederlo com'è, bisogna sporgersi oltre la rete, mettere il piede al di là. È una rete piena di buchi, perciò non sarà difficile.

I.:      Che cosa intendete per "buchi"? E come trovarli?

M.:     Guarda la rete e le sue contraddizioni. Ad ogni passo fai e disfi. Aspiri alla pace, all'amore, alla felicità e fai di tutto per propagare il dolore, l'odio, la guerra. Desideri una vita lunghissima ma non smetti di rimpinzarti, ci tieni all'amicizia e non esiti a sfruttare il prossimo. Questa è la rete di contraddizioni in cui sei impigliato. Guardale e rimuovile: al solo vederle spariranno.

I.:      In questo caso non c'è un nesso causale tra il mio vedere le contraddizioni e il loro dileguare?

M.:     La causalità, anche come concetto, non si adatta al disordine.

I.:      In che misura il desiderio è un fattore causante?

M.:     Per ogni cosa ci sono innumerevoli fattori causanti, e il desiderio è uno di questi. Ma la fonte di tutto ciò che è, è la Possibilità Infinita, la Realtà Suprema che è in te, e proietta la sua luce, potere e amore su ogni esperienza. Ma questa fonte non è una causa, e nessuna causa è la fonte. Per questo dico che tutto è non-causato. Puoi tentare di ricostruire in che modo accade una cosa, ma non perché è quello che è. È com'è, perché l'universo è quello che è.

 

 

5.       15 Maggio 1970

 

I.:      La coscienza-testimone è permanente o no?

M.:     Non lo è. Il conoscitore sorge e tramonta insieme al conosciuto. Ciò in cui essi sorgono e tramontano è oltre il tempo.

I.:      Nel sonno non c'è né il conosciuto né il conoscitore. Che cosa mantiene il corpo sensibile e ricettivo?

M.:     Non puoi dire che il conoscitore era assente. Mancano soltanto l'esperienza della veglia e i pensieri. Ma anche l'assenza di esperienza è un'esperienza. È come entrare in una stanza buia e dire "Non vedo niente". Un cieco dalla nascita non sa che cosa significhi l'oscurità. Allo stesso modo, solo il conoscitore sa di non sapere. Il sonno è solo una perdita di memoria. La vita continua.

I.:      Che cos'è la morte?

M.:     È un cambiamento nel processo vitale del corpo. L'integrazione finisce e la disintegrazione incomincia.

I.:      E il conoscitore? Con la scomparsa del corpo, che ne è di lui?

M.:     Il conoscitore compare alla nascita e scompare alla morte.

I.:      E non resta nulla?

M.:     Resta la vita. La coscienza ha bisogno di un veicolo e di uno strumento per manifestarsi. Quando la vita produce un nuovo corpo, un nuovo conoscitore si installa.

I.:      C'è un nesso causale tra successivi conoscitori-del-corpo, tra una mente-corpo e l'altra?

M.:     Sì. Qualcosa che si può definire corpo-di-memoria o causale, l'insieme di tutto ciò che è stato pensato, voluto e fatto. È come una nuvola d'immagini messe insieme.

I.:      Come spiegate un'esistenza separata dal corpo?

M.:     La realtà è unica, ma si riflette in corpi diversi. Così l'illimitato e il limitato si confondono e sembrano uguali. Smontare questa confusione è lo scopo dello yoga.

I.:      Non lo fa già la morte?

M.:     Nella morte muore il corpo, non la vita, né la coscienza né la realtà. Persino il corpo non è mai tanto vivo come dopo la morte.

I.:      Ma si rinasce?

M.:     Ciò che è nato, deve morire. Solo il non-nato è senza morte. Trova ciò che non dorme e non si ridesta, il cui pallido riflesso in noi è il senso dell'"IO".

I.:      Come lo trovo?

M.:     Come trovi qualsiasi cosa? Dedicando la mente e il cuore. Dev'esserci un interesse e una memoria salda. Ricordare ciò che va ricordato è il segreto del successo. Ci arrivi attraverso la serietà.

I.:      Limitarsi a voler trovare non basta. Certamente, occorrono sia le capacità che le occasioni.

M.:     Queste verranno con la serietà. Ma soprattutto bisogna essere liberi dalle contraddizioni: lo scopo e la via non devono avere dislivelli; né la vita e la morte combattersi; il comportamento si deve conformare alla fede. Chiamala onestà, integrità, compattezza. Non devi tornare indietro, disfare, divellere, abbandonare il campo conquistato. La tenacia e l'onestà ti porteranno allo scopo.

I.:      Tenacia e onestà sono doti vere e proprie; in me non ne vedo l'ombra!

M.:     Tutto verrà, via via che procedi. Fa' il primo passo. L'"Io sono" lo conosci. Sta' con esso tutto il tempo che puoi, finché ti diventerà naturale. Non c'è una via più semplice e migliore di questa.

 

 

 

6.       16 Maggio 1970

 

I.:      Tutti i maestri consigliano di meditare. Qual è lo scopo della meditazione?

M.:     Conosciamo il mondo esterno di sensazioni e azioni, ma il nostro mondo interiore di pensieri e sentimenti, ci è poco noto. Il primo scopo della meditazione è acquistare consapevolezza e familiarità con la nostra vita interiore. Lo scopo ultimo è raggiungere la fonte della vita e della coscienza. La capacità di meditare influenza profondamente il carattere. Siamo schiavi di ciò che non conosciamo, e padroneggiamo ciò che è noto. Di qualsiasi vizio o debolezza annidati in noi, veniamo a capo solo conoscendoli, mettendo a nudo le cause e gli effetti. Quando l'inconscio è portato al livello di coscienza, si dissolve, e la sua estinzione libera energia; la mente si sente all'altezza della situazione e diviene quieta.

I.:      A che serve una mente quieta?

M.:     Con la mente quieta, emergiamo a noi stessi come puri testimoni. Ci distacchiamo dall'esperienza e dallo sperimentatore, e ce ne stiamo in disparte nella pura consapevolezza, che è a metà strada e al di là di ambedue. La personalità, che ci fa immaginare di essere "questo" o "quello", continua a funzionare, ma come parte del mondo oggettivo. Ciò che si sospende è l'identificazione col testimone.

I.:      Dunque la nostra vita si svolge su molti livelli, e per ognuno spendiamo energia. La natura del Sé è compiacersi di tutto, e far fluire le energie all'esterno. Lo scopo della meditazione non è quello di arginare le energie ai livelli più alti, o di spingerle indietro e in su, per dare consistenza e vigore anche ai livelli più alti?

M.:     Non è tanto una questione di livelli ma di qualità (guna). La meditazione è un'attività "sattvica", e mira alla completa eliminazione della torbidezza (tamas) e della passionalità (rajas). La pura armonia del sattva è perfetta libertà dall'accidia e dal tormento.

I.:      Come rafforzare e purificare il sattva?

M.:     Il sattva è sempre puro e forte, come il sole che può sembrare oscurato da nuvole e nebbia, ma solo dal punto di vista del percettore. Òccupati delle cause dell'oscurità, non del sole.

I.:      A che serve il sattva?

M.:     A che servono verità, bontà, armonia, bellezza? Non hanno scopi fuori di sé. Si mostrano spontaneamente quando le cose sono lasciate a se stesse, senza il desiderio di evitarle, rincorrerle o concettualizzarle, ma sono semplicemente vissute in piena consapevolezza, che è sattva di per sé. Non si serve di cose e persone, ma le colma.

I.:      Visto che non posso migliorare il sattva, come devo condurmi con il tamas e il rajas?

M.:     Scruta il modo in cui influenzano i tuoi pensieri, parole e azioni, e vedrai che la loro presa su di te gradualmente si allenterà, e potrà affiorare la tersa luce del sattva. Non è un'impresa difficile, né richiede gran tempo. La serietà è l'unica condizione per il successo.

 

 

7.       20 Maggio 1970

 

I.:      Ci sono dei libri molto interessanti di autori apparentemente competenti, in cui è negata l'illusorietà del mondo, ma non la sua transitorietà. Parlano di una gerarchia tra gli esseri, dall'infimo al sommo. Ad ogni livello la complessità dell'organismo permette e riflette la profondità, vastità e intensità della coscienza, senza un vertice visibile o conoscibile. Una sola legge governa il tutto: l'evoluzione delle forme per la crescita e l'arricchimento della coscienza, e la manifestazione delle sue infinite possibilità.

M.:     Può essere così, e può non esserlo. Se lo è, è solo dal punto di vista della mente, ma in realtà l'universo (madhakash) esiste solo nella coscienza (chidakash), mentre io risiedo nell'assoluto (paramakash). La coscienza sorge nel puro essere, nella coscienza il mondo sorge e tramonta. Tutto ciò che è è me, e mio. Prima di qualunque principio, dopo tutte le fini: Io sono. Tutto ha il suo essere in me, nell'"io sono" che brilla in ogni creatura. Anche il non-essere è impensabile senza di me. Qualunque cosa accada, devo essere lì a testimoniarlo.

I.:      Perché negate il mondo?

M.:     Non nego il mondo. Lo vedo apparire nella coscienza, che è la totalità del conosciuto nell'immensità dell'ignoto. Ciò che incomincia e finisce è pura apparenza. Del mondo si può dire che appare, non che è. L'apparenza può durare molto a lungo su una certa scala di tempo, ed essere molto breve su un'altra, ma alla fine il risultato non varia. Tutto ciò che è legato al tempo è momentaneo e irreale.

I.:      Non potete non vedere il mondo intorno a voi. Il vostro comportamento sembra del tutto normale!

M.:     Così sembra a te. Quello che nel tuo caso occupa l'intero campo della coscienza, nel mio è un puntolino. Il mondo dura appena un attimo. La memoria ti fa credere che il mondo continui. Io non vivo con la memoria. Vedo il mondo com'è, un'incursione momentanea nella coscienza.

I.:      Nella vostra coscienza?

M.:     Qualsiasi idea di "io" e "mio", perfino l'"io sono", appartengono alla coscienza.

I.:      Il vostro paramakash, l'"essere assoluto", è allora una realtà incosciente?

M.:     L'idea dell'incoscienza esiste solo nella coscienza.

I.:      Come fate a sapere che siete nello stato supremo?

M.:     Perché ci sto. È l'unico stato naturale.

I.:      Potete descriverlo?

M.:     Solo per negazioni, come incausato, indipendente, non-collegato, indiviso, non-composto, incrollabile, indiscutibile, irraggiungibile attraverso lo sforzo. Ogni definizione al positivo proviene dalla memoria e perciò è inapplicabile. Tuttavia è uno stato attualissimo e quindi pienamente attingibile.

I.:      Non siete per caso immerso in un'astrazione?

M.:     L'astrazione è mentale e verbale; scompare nel sonno e nel deliquio, ricompare nel tempo. Io sono nel mio stato originale (swarupa), eternamente "ora". Passato e futuro sono nella mente; io sono ora.

I.:      Anche il mondo è ora.

M.:     Quale mondo?

I.:      Il mondo intorno a noi.

M.:     Il mondo che hai in mente è il tuo, non il mio. Che cosa sai di me, se persino il mio parlare con te è solo nel tuo mondo? Non hai ragione di credere che il mio mondo sia identico al tuo. Il mio è reale, vero, lo percepisco come è, mentre il tuo appare e scompare a seconda di come sta la tua mente. È qualcosa che ti è estraneo e che temi. Il mio mondo è me. Io sono a casa.

I.:      Se siete il mondo, come fate ad averne coscienza? Il soggetto della coscienza non è altro dal suo oggetto?

M.:     La coscienza e il mondo appaiono e scompaiono insieme, perciò sono due aspetti del medesimo stato.

I.:      Mentre dormo, io non sono e il mondo continua.

M.:     Come lo sai?

I.:      Me ne accorgo al risveglio. La memoria mi avverte.

M.:     La memoria è nella mente. La mente nel sonno continua.

I.:      È temporaneamente sospesa.

M.:     Ma la sua immagine del mondo non è influenzata. Fin quando c'è la mente, c'è il corpo e c'è il mondo. Il tuo mondo è soggettivo, circoscritto alla mente, frammentario, temporaneo, personale, e legato al filo della memoria.

I.:      E il vostro è così?

M.:     Oh no. Io vivo in un mondo di realtà, non di immaginazioni come il tuo. Il tuo mondo è strettamente privato, non puoi parteciparlo a nessuno, nessuno può varcarlo, vede come tu vedi, ode come tu odi, vibra alle tue emozioni e pensa i tuoi pensieri. Sei solo, murato nel sogno cangiante, che scambi per la vita. Il mio è un mondo aperto e accessibile. In esso c'è comunione, intuito, amore, vera qualità; l'individuale coincide con l'universale, e viceversa. Tutti sono uno, e l'Uno è tutti.

I.:      Il vostro mondo è pieno di cose e persone come il nostro?

M.:     No, è pieno di me.

I.:      Ma vedete e ascoltate come noi?

M.:     All'apparenza sì; ma l'udire, il vedere, il parlare, l'agire accadono in me come in te il digerire e il sudare. Ci bada la macchina del corpo-mente, e mi lascia da parte. Come non hai bisogno di occuparti della crescita dei capelli, così io, di parole e azioni. Accadono e non mi toccano, perché nel mio mondo non c'è mai niente che vada male.

 

 

8.       30 Maggio 1970

 

I.:      Alcuni dicono che l'universo è stato creato; altri, che è esistito da sempre, e che subisce perenni trasformazioni. Secondo alcuni è soggetto a leggi eterne; altri negano perfino la causalità. Per certuni il mondo è reale; per altri è del tutto privo di essere.

M.:     Di che mondo parli?

I.:      Del mondo delle mie percezioni, ovviamente.

M.:     Il mondo che puoi percepire è davvero piccolino e privato! Prendilo come un sogno, e falla finita.

I.:      Come posso prenderlo per un sogno? Un sogno non dura.

M.:     E quanto mai durerà il tuo piccolo mondo privato?

I.:      Il mio piccolo mondo è ben una parte di quello totale.

M.:     E l'idea di un mondo totale non è una parte del tuo personale? L'universo non viene a dirti che sei una sua parte. Sei tu che hai inventato una totalità che ti contenga come sua parte. In realtà conosci solo il tuo mondo privato, pieno zeppo delle tue immaginazioni e aspettative.

I.:      Di certo la percezione non è immaginaria!

M.:     Ah no? La percezione non è forse un riconoscimento? Puoi accorgerti di una cosa completamente ignota e nuova, ma non percepirla. La percezione comporta il ricordo.

I.:      Lo ammetto, ma il ricordo non la rende un'illusione.

M.:     Percezione, immaginazione, aspettativa, anticipazione, illusione, sono tutte fondate sulla memoria. Quasi non vi sono discrimini tra l'una e l'altra, è un continuo confondersi e travasarsi.

I.:      Tuttavia la memoria esiste per provare la realtà del mio mondo.

M.:     E quanto pensi di ricordare? Prova a ricostruire - a memoria - che cosa pensavi, dicevi e facevi il 30 del mese scorso.

I.:      C'è un vuoto, lo so.

M.:     Non è così grave. E d'altra parte, c'è un'altra memoria che è molto abbondante, quella inconscia. Dobbiamo a lei se il mondo in cui viviamo ci è tanto familiare.

I.:      Il mondo in cui viviamo è parziale e soggettivo. Sia pure. Ma voi? In che genere di mondo vivete, voi?

M.:     Il mio mondo è come il tuo. Vedo, odo, sento, penso, parlo e agisco in un mondo che percepisco come te. Per te è tutto, per me è quasi niente. Sapendo che il mondo è una parte di me, non gli bado più di quanto tu badi al cibo che hai mangiato. Mentre lo prepari e lo mastichi, è ancora separato da te, e l'hai presente; ma una volta ingoiato, non ci pensi più. Io ho ingoiato il mondo, e non ci penso più.

I.:      Non diventate completamente irresponsabile?

M.:     Come potrei? Come posso ferire ciò che è tutt'uno con me? Al contrario, se non penso al mondo, tutto ciò che farò gli gioverà. Come il corpo mette a posto inconsciamente se stesso, così io, senza tregua, metto a posto il mondo.

I.:      Tuttavia siete consapevole dell'immane sofferenza del mondo?

M.:     Sì, molto più di te.

I.:      E che fate?

M.:     Lo guardo con gli occhi di Dio e trovo che tutto va bene.

I.:      Tutto va bene? E le guerre, lo sfruttamento, il conflitto perenne tra il cittadino e lo stato?

M.:     Tutte queste sofferenze sono per mano d'uomo, e sta all'uomo porvi fine. Dio aiuta l'uomo mettendolo di fronte ai risultati delle sue azioni, e chiedendogli che l'equilibrio sia ripristinato. Il karma è la legge che opera per la giustizia, è la mano guaritrice di Dio.

 

 

 

9.       2 Giugno 1970

 

I.:      Da bambino sperimentai abbastanza sovente stati di completa felicità, sfiorando l'estasi; più tardi cessarono. Ma da quando sono in India, sono riapparsi, soprattutto dopo avervi incontrato. Sono meravigliosi ma effimeri. Vanno e vengono inaspettatamente.

M.:     Come può esserci qualcosa di stabile in una mente che non lo è?

I.:      Come si fa a stabilizzare la mente?

M.:     E come può stabilizzarsi una mente instabile? Ovviamente non può. È la natura della mente di vagabondare. Tutto quello che puoi fare è spostare il fuoco della coscienza oltre la mente.

I.:      Come si fa?

M.:     Rigetta tutti i pensieri tranne uno: "io sono". Dapprima la mente si ribellerà, ma con pazienza e tenacia potrà maturare e diventare quieta. Quando sarai quieto, le cose cominceranno ad accadere da sé, naturalmente, senza che tu interferisca.

I.:      Posso evitare questa lotta protratta con la mente?

M.:     Certo. Vivi la vita come viene, ma con vigilanza e attenzione, facendo cose naturali in modo naturale, soffrendo e gioendo come la vita dispensa. Anche questa è una via.

I.:      Posso anche sposarmi, avere bambini, badare agli affari...?

M.:     Certo, potrai essere o non essere felice, prendila come viene.

I.:      Ma io ci tengo alla felicità.

M.:     La vera felicità non sta nelle cose che cambiano e passano. Piacere e dolore si alternano in modo inesorabile. La felicità viene dal sé (swarupa). Trovalo dentro di te, e il resto seguirà.

I.:      Se il sé che è in me, è pace e amore, perché è così inquieto?

M.:     Il tuo vero essere non è inquieto; il suo riflesso nella mente appare inquieto perché la mente lo è. È come il riflesso della luna nell'acqua increspata dal vento. Il vento del desiderio increspa la mente, e fa apparire mutevole il "me", che è solo il riflesso del sé nella mente. Ma queste idee di movimento, agitazione, piacere e dolore sono tutte nella mente. Il Sé sta oltre, consapevole, ma impassibile.

I.:      Come lo raggiungo?

M.:     Tu sei il sé, qui-ora. Lascia la mente sola, fissati nella consapevolezza impassibile, e ti avvedrai che la condizione di vigilanza distaccata, mentre gli eventi vanno e vengono, è un aspetto della tua vera natura.

I.:      Quali sono gli altri?

M.:     Sono innumerevoli. Ma se ne cogli uno, tutti gli altri sono tuoi.

I.:      Ditemi qualcosa che mi aiuti.

M.:     Sai benissimo quel che ti manca.

I.:      Non ho pace.

M.:     A che ti serve?

I.:      Per essere felice.

M.:     Ora lo sei?

I.:      No.

M.:     Che cosa ti rende infelice?

I.:      Ho ciò che non desidero, e desidero ciò che non ho.

M.:     Prova a invertire: vuoi ciò che hai e non tieni a ciò che non hai?

I.:      Voglio il piacevole e respingo lo spiacevole.

M.:     Come sai che cosa è piacevole e che cosa non lo è?

I.:      Ovviamente dalle esperienze passate.

M.:     Guidato dalla memoria, perseguivi il piacevole ed evitavi lo spiacevole. Ci sei riuscito?

I.:      No. Il piacevole non dura. Il dolore ritorna.

M.:     Quale dolore?

I.:      Il desiderio del piacere, la paura del dolore, sono due stati entrambi angosciosi. Può esserci un piacere inviolato?

M.:     Ogni piacere, fisico o mentale, richiede uno strumento. Fisici o mentali che siano, gli strumenti sono materiali, si stancano e si usurano. Procurano un piacere, necessariamente limitato in intensità e durata. Il dolore è lo sfondo di tutti i piaceri, e tu li vuoi perché soffri. D'altra parte, proprio la ricerca del piacere è la causa del dolore. È un circolo vizioso.

I.:      Posso vedere il meccanismo della mia confusione. Ma non so come uscirne.

M.:     L'esame stesso del meccanismo mostra la via. Dopotutto la tua confusione è solo nella mente, la quale finora alla confusione non s'era mai né ribellata né attaccata. L'unico obiettivo della sua ribellione era il dolore.

I.:      Allora, sono destinato a restare confuso?

M.:     In modo vigile. Domanda, osserva, indaga, impara tutto sulla confusione, come funziona, che cosa comporta per te e per gli altri. La chiarezza sulla confusione, te ne libera.

I.:      Se guardo dentro di me, vedo che il mio più forte desiderio è costruire qualcosa che possa sopravvivermi. Anche quando penso a una casa, a una moglie, a dei figli, è perché mi danno il senso di una durevolezza, di una stabilità, una testimonianza di me.

M.:     Giusto. Erigiti tu stesso il monumento. Come lo progetti?

I.:      Purché duri, non ho preferenze.

M.:     Vedi bene che niente dura. Tutto si logora, si spacca, scompare. La terra stessa smotta. Che cosa puoi costruire che sopravviva a tutto?

I.:      Intellettualmente e verbalmente sono consapevole che tutto è transitorio. Tuttavia il mio cuore vuole la permanenza. Desidero creare una cosa che duri.

M.:     Allora dovrai farla di un materiale ben solido. Che cos'hai in te di durevole? Il corpo e la mente non dureranno. Devi puntare su qualcos'altro.

I.:      Cerco la permanenza ma non la trovo.

M.:     Tu, sei permanente?

I.:      Sono nato: morirò.

M.:     Puoi dire per certo che non c'eri prima di nascere, e potrai mai riconoscere, da morto: "Ora non sono più"? Dalle tue passate esperienze, non puoi dedurre che non sei. Anche gli altri non possono dirti: "Tu non sei". Puoi solo ammettere: "Sono".

I.:      Nel sonno non c'è l'"io sono".

M.:     Prima di affermarlo, esamina attentamente il tuo stato di veglia. Presto scoprirai che è pieno di buchi, quando la mente si eclissa. Nota quanto poco ricordi anche da sveglio. Non puoi affermare che non eri cosciente nel sonno. Semplicemente, non ricordi. Un vuoto nella memoria non è necessariamente un vuoto nella coscienza.

I.:      Posso indurmi a ricordare il mio stato di sonno profondo?

M.:     Certo! Eliminando gli spazi d'inavvertenza durante la veglia, gradualmente avrai anche ragione del lungo intervallo di assenza mentale che chiami sonno. E sarai consapevole di dormire.

I.:      Tuttavia il problema della permanenza, della continuità dell'essere, non è risolto.

M.:     La permanenza è solo un'idea, prodotta dal tempo, il quale a sua volta dipende dalla memoria. Per permanenza intendi una memoria infallibile attraverso un tempo perpetuo. Vuoi perpetuare la mente, il che è impossibile.

I.:      Allora che cosa è eterno?

M.:     Ciò che non muta col tempo. Una cosa transitoria non puoi renderla eterna; solo l'immutevole è tale.

I.:      Il senso generale di quello che dite, lo afferro. Non aspiro a una conoscenza maggiore. Voglio solo pace.

M.:     Puoi averne quanta ne vuoi. Basta chiederla.

I.:      La sto chiedendo.

M.:     Devi chiedere con tutto il cuore, e vivere una vita integrata.

I.:      In che modo?

M.:     Distàccati da tutto ciò che inquieta la mente. Rinuncia a tutto ciò che ostacola la sua pace. Se vuoi la pace, meritala.

I.:      Certamente ogni uomo la merita.

M.:     Solo quelli che non la disturbano.

I.:      In che modo io la disturbo?

M.:     Soccombendo ai desideri e alle paure.

I.:      Anche quando sono giustificati?

M.:     Le reazioni emotive nate dall'ignoranza o dall'inavvertenza non lo sono mai. Cerca una mente chiara e un cuore terso. Mantieniti quietamente vigile e pronto a cogliere la tua vera natura. Questa è l'unica via alla pace.

 

 

 

10.     6 Giugno 1970

 

 

I.:      Sono pieno di desideri, e ci tengo a soddisfarli. Come posso ottenere ciò che voglio?

M.:     Sei certo di meritarlo? In un modo o nell'altro, devi impegnarti per appagare i tuoi desideri. Mettici energia e attendi i risultati.

I.:      Da dove prendo l'energia?

M.:     Il desiderio stesso è energia.

I.:      E perché ci sono dei desideri inappagati?

M.:     Forse perché non sono stati abbastanza forti e tenaci.

I.:      Sì, questo è il mio problema. Voglio le cose, ma sono pigro.

M.:     Se il desiderio non è limpido e forte, non può prendere forma. Se poi i desideri sono in vista della tua privata soddisfazione, l'energia che dai loro è necessariamente limitata. Non può essere più di quella che hai.

I.:      Eppure le persone comuni ottengono ciò che vogliono.

M.:     Ma dopo aver desiderato molto, e molto a lungo. E anche le loro conquiste sono limitate.

I.:      E i desideri non egoistici?

M.:     Quando desideri il bene comune, tutto il mondo vuole con te. Fa' tuo il desiderio dell'umanità e agisci per esso. Lì non puoi fallire.

I.:      L'umanità è opera di Dio, non mia. Io bado a me. Non ho il diritto di soddisfare i miei desideri? Posso garantire che non feriranno nessuno: sono legittimi. Sono giusti; perché non si avverano?

M.:     I desideri sono giusti o sbagliati a seconda delle circostanze. Dipende da come li valuti. La distinzione tra giusto e ingiusto è solo umana.

I.:      Con quali criteri si distingue? Come faccio a sapere quale dei miei desideri è giusto e quale no?

M.:     Nel tuo caso, i desideri che portano al dolore sono sbagliati, e quelli che portano alla felicità, giusti. Ma non devi dimenticare il tuo prossimo. Il dolore e la felicità degli altri, contano.

I.:      I risultati sono nel futuro. Come posso sapere come saranno?

M.:     Usa la mente. Ricorda. Osserva. Non sei diverso dagli altri. La maggior parte delle loro esperienze sono anche le tue. Pensa con chiarezza e profondità, penetra nella struttura dei desideri e delle loro ramificazioni. Sono la parte più importante del tuo sistema mentale ed emotivo, e influenzano profondamente i tuoi atti. Non puoi abbandonare ciò che non conosci. Per superarti, devi conoscerti.

I.:      Che significa conoscere se stessi? Che cosa esattamente vengo a conoscere?

M.:     Tutto ciò che non sei.

I.:      E non quello che sono?

M.:     Ciò che sei, lo sei già. Conoscendo ciò che non sei, te ne liberi, e rimani nel tuo stato naturale. Tutto accade spontaneamente e senza sforzo.

I.:      E che cosa scopro?

M.:     Che non c'è niente da scoprire. Sei ciò che sei, e questo è tutto.

I.:      Ma infine chi sono?

M.:     L'ultima negazione di tutto ciò che non sei.

I.:      Non capisco!

M.:     È la tua idea fissa di dover essere questo o quello, che ti acceca.

I.:      Come me ne libero?

M.:     Se hai fiducia in me, credimi: tu sei la pura consapevolezza che illumina la coscienza, e il suo infinito appagamento. Perciò vivi in conformità. Oppure, se non mi credi, scava dentro di te con la domanda "Chi sono?", oppure concentra la mente sull'"io sono", che è essere puro e semplice.

I.:      Da che dipende la mia fiducia in voi?

M.:     Dal tuo scrutare nel cuore degli altri. Se non sai leggere nel mio, guarda nel tuo.

I.:      Non mi riesce.

M.:     Purìficati con una vita equilibrata e fruttuosa. Osserva i tuoi pensieri, sentimenti, parole e azioni. La tua visione si schiarirà.

I.:      Non devo rinunciare subito a tutto, e fare il randagio?

M.:     Non puoi rinunciare. Puoi materialmente abbandonare la tua casa e mettere in difficoltà la famiglia, ma gli attaccamenti sono nella mente, e non ti lasceranno fin quando non conoscerai la tua mente dentro e fuori. Per prima cosa conosci te stesso, tutto il resto seguirà.

I.:      Ma se sono la realtà suprema - come dite - non ho già l'autoconoscenza?

M.:     Certo che lo sei! Ma che parte di essa? Ogni granello di sabbia è Dio; saperlo è importante, ma è solo l'inizio.

I.:      Vi credo: sono la realtà suprema. E poi?

M.:     Te l'ho già detto. Scopri tutto ciò che non sei. Corpo, sentimenti, pensieri, idee, tempo, spazio, essere e non-essere "questo" o "quello" - niente di concreto o astratto che tu possa indicare - è te. Asserirlo, non serve. Puoi ripeterlo all'infinito senza che accada nulla. Invece, osserva senza intermissione, soprattutto la mente - momento per momento -, senza che nulla ti sfugga. Questa testimonianza è essenziale per separare il sé dal non-sé.

I.:      La testimonianza, non è la mia vera natura?

M.:     La testimonianza implica un testimone. Ancora in due!

I.:      E che significa testimoniare il testimone: la consapevolezza della consapevolezza?

M.:     Accostare parole non porta lontano. Va' dentro, e scopri ciò che non sei. Il resto non conta.

 

 

 

11.     10 Giugno 1970

 

 

I.:      Nel sonno, che fate?

M.:     So di dormire.

I.:      Il sonno non è uno stato d'incoscienza?

M.:     Certo. So di essere incosciente.

I.:      E quando siete sveglio o sognate?

M.:     So di essere sveglio o di sognare.

I.:      Non capisco. Vorrei precisare i miei termini: per "addormentato", intendo non-cosciente; per "sveglio", cosciente; per "stato di sogno", cosciente della mente, non dell'ambiente esterno.

M.:     Per me è lo stesso, con una sola differenza. Tu, in ognuno dei tre stati, sei dimentico degli altri due, mentre per me c'è un solo stato, che include veglia, sogno e sonno profondo.

I.:      Il mondo va in una direzione, ha uno scopo?

M.:     Il mondo è il riflesso della mia immaginazione. Tutto ciò che voglio vederci, vedo. Perché dovrei inventare modelli di creazione, evoluzione e distruzione? Non mi servono. Il mondo è in me, è me. Non lo temo e non desidero racchiuderlo in un quadro mentale.

I.:      Tornando al sogno, voi sognate?

M.:     Certo.

I.:      Che cosa sono i vostri sogni?

M.:     Echi della veglia.

I.:      E nel sonno profondo?

M.:     La coscienza cerebrale è sospesa.

I.:      Allora non siete cosciente?

M.:     Ignoro ciò che è intorno, questo sì.

I.:      Lo ignorate del tutto?

M.:     Resto consapevole di essere incosciente.

I.:      "Consapevole" e "cosciente" non significano la stessa cosa?

M.:     La consapevolezza è primordiale; è lo stato originale, senza inizio, senza fine, non causato, non sostenuto, senza parti, né mutamento. La coscienza è per contatto, il riflettersi su una superficie, uno stato di dualità. Non può esserci coscienza senza consapevolezza, ma può esserci consapevolezza senza coscienza, come nel sonno profondo. La consapevolezza è assoluta, la coscienza è relativa al suo contenuto; la coscienza è sempre di qualcosa: è parziale e mutevole. La consapevolezza è totale, immutevole, calma e silenziosa. La matrice comune a ogni esperienza.

I.:      Come si penetra oltre la coscienza nella consapevolezza?

M.:     Poiché è la consapevolezza che rende possibile la coscienza, c'è consapevolezza in ogni stato della coscienza. Perciò proprio la coscienza di essere consapevole è già un movimento verso la consapevolezza. La tua attenzione al flusso della coscienza, ti porta alla consapevolezza. Non è un nuovo stato. È subito riconosciuto come lo stato originale e fondamentale, che è la vita stessa, e anche gioia e amore.

I.:      Se la realtà è sempre con noi, in che consiste l'autorealizzazione?

M.:     La realizzazione è il contrario dell'ignoranza. Prendere il mondo per reale e il sé per irreale, è ignoranza, che provoca il dolore. Cogliere il sé come l'unica realtà, e la fugacità di tutto il resto, è libertà, pace e gioia. È molto semplice. Invece di vedere le cose come se le immaginassi, impara a vederle come sono. Quando saprai vedere tutto com'è, vedrai anche te stesso come sei. È come pulire uno specchio. Lo stesso specchio che ti mostra il mondo com'è, ti mostrerà anche il tuo vero volto. Il pensiero "Io sono" è lo straccio che pulisce. Usalo.

 

 

 

12.     13 Giugno 1970

 

 

I.:      Ditemi, per favore, come vi siete realizzato.

M.:     Incontrai il mio maestro a 34 anni e mi realizzai a 37.

I.:      Che cosa accadde, che cosa cambiò?

M.:     Piacere e dolore persero la presa su di me. Fui libero dal desiderio e dalla paura. Colmo, senza bisogno di nulla. Vidi che nell'oceano della pura consapevolezza, sulla superficie della coscienza universale, le onde dei mondi fenomenici si levano e si abbassano senza inizio e senza fine. Come coscienza, sono tutte me. Come eventi, sono tutti miei. C'è un potere misterioso che li governa: la consapevolezza, il Sé, la Vita, Dio o comunque lo chiami. È il fondamento, l'ultimo sostegno di ciò che è, come l'oro è la base di tutti i gioielli. È così intimamente nostro! Sottrai ai gioielli il nome e la forma, e l'oro diventa ovvio. Sii libero dal nome e dalla forma, dai desideri e le paure che essi comportano. Che resterà?

I.:      Niente.

M.:     Resta il vuoto. Ma è pieno fino all'orlo. È il perenne potenziale, mentre la coscienza è il perenne attuale.

I.:      Per "potenziale" intendete il futuro?

M.:     Passato, presente, futuro; e infinitamente di più.

I.:      Se il mondo è vuoto, serve a poco.

M.:     Come puoi dirlo? Senza una continuità continua come può esserci rinascita? O rinnovamento senza la morte? Anche la tenebra del sonno ristora e rinnova. Senza la morte, saremmo confitti in un'eterna senilità.

I.:      L'immortalità esiste?

M.:     Vedere la vita e la morte come gli aspetti di un unico essere, essenziali l'una all'altra, è immortalità. Scorgere la fine nel principio e il principio nella fine è l'indizio dell'eternità. Senza dubbio, l'immortalità non è una continuità. Solo il mutamento è continuo. Nulla perdura.

I.:      La consapevolezza ha una durata?

M.:     La consapevolezza non è nel tempo. Il tempo esiste solo nella coscienza. Oltre la coscienza, dove sono il tempo e lo spazio?

I.:      Nel campo della coscienza c'è anche il corpo.

M.:     Certo. Ma l'idea "il mio corpo", come diverso dagli altri, non c'è. Per me è: "il corpo", non "il mio corpo"; "la mente", non "la mia mente". La mente bada al corpo e io non devo interferire. Tutto è come va fatto, normalmente e naturalmente. Puoi non essere al cento per cento cosciente delle tue funzioni fisiologiche, ma quando risali ai pensieri e ai sentimenti, ai desideri e alle paure, l'autocoscienza diventa automatica. Per me, quell'insieme è largamente inconscio. Mi vedo dire e fare cose al modo giusto, ma non partecipo. Come se la vita fisica di veglia si svolgesse meccanicamente, con reazioni spontanee e intonate.

I.:      Questa risposta spontanea è un risultato di realizzazione o di allenamento?

M.:     Di tutt'e due. La dedizione allo scopo ti fa vivere una vita pulita e ordinata, tesa alla ricerca della verità, e al bene altrui. A sua volta la realizzazione la rende facile e spontanea, rimuovendo per sempre gli ostacoli dei desideri, delle paure e delle idee errate.

I.:      Non desiderate, non temete ormai più?

M.:     Il mio destino era di essere un uomo semplice, un comune commerciante, umile e poco istruito. La mia vita era proprio ordinaria, con desideri e paure ordinarie. Quando la fede nel maestro e l'obbedienza alle sue parole mi fecero incontrare il vero me stesso, mi lasciai alle spalle la mia natura umana, che badasse pure a se stessa finché il suo destino si è esaurito. Di quando in quando una vecchia reazione, emotiva o mentale, riaffiora, ma è subito circoscritta e abbandonata. Dopotutto, finché si è legati alla persona, si è esposti alle sue idiosincrasie e ai suoi rigetti.

I.:      Temete la morte?

M.:     Sono già morto.

I.:      In che senso?

M.:     Sono morto due volte: al corpo e alla mente.

I.:      Proprio non sembrerebbe!

M.:     Lo dici tu. Come se conoscessi il mio stato meglio di me!

I.:      Non capisco. Dite di essere senza corpo e senza mente, ma vi vedo vivissimo e ragionante.

M.:     Sei forse cosciente dell'ininterrotta attività del cervello e del corpo? No di certo. Eppure, a chi guardi da fuori, tutto sembra svolgersi con intelligenza e in vista di un fine. Perché non ammettere che l'intera vita personale possa sprofondare al di sotto della coscienza, e tuttavia procedere nella veglia sensatamente e scioltamente?

I.:      È normale?

M.:     Che cosa lo è? La tua vita, ossessionata dai desideri e dalle paure, punteggiata di lotte e tensioni, priva di significato e di gioia, è forse normale? È normale la coscienza acuita che hai del corpo, o l'essere straziato dai sentimenti e assillato dai pensieri? Un corpo e una mente sani non pretendono di essere notati dal loro possessore. Solo un dolore o un disturbo improvviso lo costringono a occuparsene. E allora, perché non estendere questo atteggiamento all'intera vita personale? Si può funzionare a proposito, con risposte intonate, senza coinvolgere per forza la consapevolezza. Quando l'autocontrollo diventa una seconda natura, la consapevolezza sposta il suo fuoco a livelli più profondi di esistenza e di azione.

I.:      E si diventa un robot?

M.:     Che male c'è nel rendere automatico ciò che è iterativo e abituale? Automatico già lo è, ma è anche tanto caotico, affligge e pretende attenzione. Lo scopo di una vita pulita e ordinata è liberare l'uomo dalla schiavitù del disordine e dal laccio del dolore.

I.:      Sembrate a favore di una vita automatizzata.

M.:     Che c'è da ridire su una vita senza problemi? La personalità è solo un riflesso del reale. Perché il riflesso non dovrebbe essere identico all'originale, aderente come un dato di fatto? La persona ha davvero bisogno di piani proprio suoi? Sarà la vita, di cui è un'espressione, a guidarla. Appena comprendi che la persona è solo un'ombra della realtà, e non la realtà in sé e per sé, cessi di logorarti e di farne un problema. Accetti di essere guidato dall'interno, e la vita si trasforma in un viaggio nell'ignoto.

 

 

 

13.     17 Giugno 1970

 

 

I.:      Da come parlate, si direbbe che non siate del tutto consapevole di ciò che vi circonda. A noi invece apparite straordinariamente vigile e attivo. Non possiamo credere che siate in una sorta di ipnosi, senza memoria. Al contrario, sembrate di memoria eccellente. Quando dite che, per quanto vi riguarda, il mondo e i suoi contenuti non hanno esistenza, che cosa intendete?

M.:     È questione di messa a fuoco. La vostra mente è affisata sul mondo, la mia sulla realtà. È come la luna di giorno: brilla il sole, e difficilmente la vedi. Oppure, osserva quando mangi: finché hai il cibo in bocca, ne sei cosciente; appena lo ingoi, non ci pensi più. Sarebbe un guaio averlo sempre in mente, finché lo elimini. La mente, in condizioni normali, dovrebbe stare sospesa: l'attività incessante è un fatto morboso. L'universo opera da sé, altro non so.

I.:      Dunque il saggio sa ciò che fa solo quando vi volge la mente; altrimenti, l'azione sgorga da lui senza toccarlo.

M.:     L'uomo comune non è cosciente del corpo come tale. Ha presenti le sensazioni, le emozioni e i pensieri. Ma anche questi, non appena sopraggiunge il distacco, si allontanano dal centro della coscienza, e avvengono spontaneamente e senza sforzo.

I.:      Che c'è allora al centro della coscienza?

M.:     Ciò cui non puoi dare un nome e una forma, perché è senza qualità e oltre la coscienza; potresti dire: un punto nella coscienza che sta al di là. Come un buco sulla carta, non è della carta, così lo stato supremo è nel vivo cuore della coscienza, e tuttavia al di là. È come un varco attraverso il quale la mente è inondata di luce. Il varco è solo un varco, non è la luce.

I.:      Un varco è giusto il vuoto, assente.

M.:     Sì. Dal punto di vista della mente non è che un'apertura attraverso la quale la luce della consapevolezza invade lo spazio mentale. La luce, di per sé, si può paragonare a una massa solida e omogenea di pura consapevolezza, libera dai modelli mentali di nome e forma.

I.:      C'è un nesso tra lo spazio mentale e la vastità del Supremo?

M.:     Il Supremo dà esistenza alla mente, e la mente al corpo.

I.:      E oltre, che c'è?

M.:     Ti porterò un esempio. Un venerabile yoghi, maestro di longevità, vecchio più di mill'anni, viene a insegnarmi la sua arte. I suoi primati li rispetto e li ammiro, ma al dunque non posso esimermi dal domandare: che te ne fai della longevità? Io sono oltre il tempo. La vita, anche quando è lunghissima, è solo un attimo, un sogno. Così, io sono al di là di tutti gli attributi. Nella mia luce, appaiono e scompaiono, ma non possono descrivermi. L'universo è tutti i nomi e le forme basate sulle qualità e le loro differenze, ma io sono oltre. Il mondo c'è perché io sono, io non sono il mondo.

I.:      Ma siete nel mondo!

M.:     Tu lo dici. Io so che c'è il mondo, che include questo corpo e questa mente, ma non sono "miei" più di altre menti o altri corpi. Sono lì, nel tempo e nello spazio, ma io sono senza spazio e senza tempo.

I.:      Ma se tutto esiste nella vostra luce, non siete voi il creatore del mondo?

M.:     Non sono né la potenzialità, né l'attuazione né l'attualità delle cose. Nella mia luce vanno e vengono come il pulviscolo nel raggio di sole. La luce illumina i puntini ma non ne dipende, né puoi dire che li crei, e neppure che li conosce.

I.:      Io domando e voi rispondete. Siete cosciente della domanda e della risposta?

M.:     In realtà, non ascolto e non rispondo. Domanda e risposta avvengono nel mondo degli eventi, non in me. Tutto semplicemente accade.

I.:      Siete il testimone?

M.:     Testimone significa: avvedersi. Pioveva, ora non più. Non mi sono bagnato. So che c'è stata la pioggia, non mi ha toccato. Ho giusto assistito al piovere.

I.:      L'uomo pienamente realizzato, che ha raggiunto lo stato supremo, sembra che mangi, beva e faccia tutto normalmente. Ne è consapevole o no?

M.:     Ciò in cui la coscienza accade - la mente o coscienza universale - noi lo chiamiamo coscienza eterica. Tutti gli oggetti della coscienza fanno l'universo. Ma ciò che è al di là dell'universo e della coscienza, e che li sostiene, è il Supremo, uno stato di assoluta stabilità e silenzio. Chiunque lo raggiunga, in esso dilegua. Le parole, la mente non lo sfiorano. Se lo chiami Dio o Parabrahman, sappi che sono nomi imposti dalla mente. È il senza-nome, non ha contenuto, è spontaneo e senza sforzo, oltre l'essere, al di là del non-essere.

I.:      Ma è uno stato cosciente?

M.:     Come l'universo è il corpo della mente, così la coscienza è il corpo del Supremo. Non è cosciente ma produce la coscienza.

I.:      Nelle azioni quotidiane, il più è fatto meccanicamente. Sono consapevole del quadro generale, non dei dettagli. Via via che la coscienza si amplifica e approfondisce, i dettagli perdono risalto a vantaggio delle linee generali. Accade lo stesso al realizzato, o molto di più?

M.:     Al livello della coscienza, sì; ma non nello stato supremo. Esso è un unico e compatto blocco di realtà. Per percepirlo e conoscerlo i sensi e la mente non servono.

I.:      Questo è il modo in cui Dio governa.

M.:     Dio non governa il mondo.

I.:      E chi allora?

M.:     Nessuno. Tutto accade da sé. Tu domandi e io rispondo. E mentre domandi, sai la risposta. È un gioco che si svolge nella coscienza. Tutte le divisioni sono illusorie. Puoi conoscere solo il falso. Il vero devi esserlo tu stesso.

I.:      C'è la coscienza testimoniata e la coscienza testimoniante. La suprema è quest'ultima?

M.:     C'è la persona e c'è il testimone, l'osservatore. Quando li vedi come un'unità e vai oltre, sei nel Supremo. Non puoi percepirlo, perché esso è ciò che rende possibile la percezione. È al di là dell'essere e del non-essere. Non è né lo specchio né l'immagine riflessa. È ciò che è: la realtà senza tempo, adamantina e saldissima.

I.:      Il realizzato, è il testimone o il Supremo?

M.:     È il supremo, naturalmente, ma può anche essere visto come il testimone universale.

I.:      Rimane in lui la persona?

M.:     Se credi di essere una persona, vedi persone ovunque. In realtà non ci sono persone, ma fasci di memorie e abitudini. Al momento della realizzazione, la persona cessa. Resta l'identità, che non è una persona perché appartiene alla realtà stessa. La persona non ha essere in sé; è il riflesso del testimone nella mente, l'"Io sono", il quale, a sua volta, è un modo dell'essere.

I.:      Il Supremo è cosciente?

M.:     Né cosciente, né incosciente. Lo so per esperienza.

I.:      "Pragnanam Brahma" è la formula: questo "pragna" che cos'è?

M.:     È la conoscenza non-autocosciente della vita stessa.

I.:      Ossia l'energia, la forza vitale?

M.:     L'energia è prima di tutto. Ogni cosa ha la sua forma di energia. La coscienza nello stato di veglia è altamente differenziata. Diminuisce nel sonno, si rarefà nel sonno profondo. Nel quarto stato è omogenea. Oltre il quarto, c'è l'ineffabile realtà monolitica, la dimora del realizzato.

I.:      Mi sono tagliato una mano. La ferita è guarita. Per quale potere?

M.:     Per il potere della vita.

I.:      Di che si tratta?

M.:     È la coscienza. Tutto è cosciente.

I.:      Qual è la fonte della coscienza?

M.:     La coscienza stessa è la fonte di tutto.

I.:      Può esserci la vita senza la coscienza?

M.:     No, né la coscienza senza la vita. Sono tutt'uno. In realtà solo il Supremo è. Tutto il resto è una questione di nome e forma. Finché persisti a credere che esiste solo ciò che ha nome e forma, il Supremo ti parrà non-esistente. Quando capirai che i nomi e le forme sono gusci privi di qualsiasi contenuto, e che la realtà è senza nome e senza forma, energia pura e luce della coscienza, sarai in pace, immerso nel silenzio di ciò che è.

I.:      Se tempo e spazio sono illusori e voi siete oltre, ditemi per favore che tempo fa a Nuova York. È caldo, o piove?

M.:     Come posso saperlo? Ci vorrebbe un allenamento apposito. O magari un viaggio fin lì. La certezza di essere oltre il tempo e lo spazio non comporta la dislocazione. Non mi interessa un'abilità di questo genere né vedo il motivo di sottopormi a uno speciale addestramento di yoga. Un momento fa, hai nominato Nuova York. Per me, è una parola. Perché dovrei saperne più del suono che ha? Ogni atomo è in sé un universo, complesso quanto lo stesso universo. Dovrei allora conoscerli uno per uno? Potrei anche, se mi allenassi.

I.:      Nel domandare del tempo a Nuova York, ho commesso un errore. Lo riconoscete?

M.:     Il mondo e la mente sono condizioni, modi dell'essere. Il Supremo non è uno stato in sé né lo stato di qualcos'altro, eppure tutti gli stati condizionati ne sono pervasi. È perfettamente acausato, autonomo e completo, oltre il tempo e lo spazio, la mente e la materia.

I.:      Da quali segni lo deducete?

M.:     È come il punto inesteso, senza traccia. Non c'è nulla per riconoscerlo. Va colto direttamente, senza ausili o approcci di sorta. Quando i nomi e le forme sono tutti abbandonati, il reale è con te. La molteplicità e la diversità sono un gioco della mente. La realtà è unica, ma non è qualcosa che si cerca.

I.:      Se non lascia prove di sé, è inutile parlarne.

M.:     Infatti. È oscura e profonda: mistero sopra mistero. Ma è, non puoi negarla, mentre il resto appare.

I.:      È l'ignoto?

M.:     È al di là del noto e dell'ignoto. Direi semmai che è il noto, nel senso che ove mai si conoscesse qualcosa, sarebbe Quello.

I.:      Il silenzio è una sua qualità?

M.:     Anche il silenzio è della mente. Tutti gli stati condizionati sono mentali.

I.:      E il samadhi?

M.:     La mente resa sola, la coscienza svuotata, sono il samadhi, quando non chiedi più nulla né al corpo né alla mente.

 

 

 

14.     20 Giugno 1970

 

 

I.:      Amate ribadire che gli eventi non hanno causa, che una cosa è com'è, senza motivo. Mentre è più che evidente che tutto ha una causa o svariate. Come accettare la vostra prospettiva?

M.:     Dal punto di vista più alto, il mondo non ha causa.

I.:      Ma qual è la vostra esperienza?

M.:     Tutto è privo di causa.

I.:      Lasciamo da parte le cause della creazione. E chi l'ha vista? Il mondo può perfino essere senza inizio. Ma non parlo del mondo: esista pure, come che sia! Parlo delle moltissime cose che contiene. Ognuna, a sua volta, ha una o più cause.

M.:     Se ti fabbrichi un mondo nello spazio e nel tempo, sottomesso alla causalità, per forza devi cercare e trovare cause per tutto. Se fai la domanda, chiami la risposta.

I.:      Il mio quesito è semplice: vedo cose d'ogni genere e capisco che ognuna debba avere una o più cause. Dal vostro punto di vista lo negate: nel senso che, se niente è, la questione della causa non si pone. Tuttavia sembrate ammettere che le cose esistano. E qui non vi seguo più: se accettate il principio di esistenza, perché negate quello di causa?

M.:     Come sai che il film sullo schermo è solo luce, così io vedo e so che tutto è solo coscienza.

I.:      Ma i moti della luce non hanno una causa?

M.:     La luce non si muove affatto. Sai molto bene che è un effetto illusorio, una serie di intercettazioni e di colori nella pellicola. È la pellicola, che si svolge: e la pellicola è la mente.

I.:      Questo non significa che il film sia senza causa. C'è la pellicola, ci sono gli attori e i tecnici, il regista, il produttore, i vari addetti. Il mondo è governato dalla causalità. Tutto è interconnesso.

M.:     Tutto è interconnesso, sì. E per questo ogni cosa ha un numero indefinito di cause. L'intero universo presiede alla minima pagliuzza. Una cosa è com'è perché il mondo è com'è. Vedi: è come se tu trattassi i gioielli, e io l'oro. Tra un gioiello e l'altro non c'è rapporto di causa. Quando rifondi un prezioso per farne un altro, non c'è relazione causale tra i due. Il fattore comune è l'oro. Ma non puoi dire che l'oro sia la causa, perché da sé non causa nulla. Produce il nome e la forma particolare del gioiello, così come la coscienza si riflette nella mente come "Io sono". Tutti i gioielli non sono altro che oro. Analogamente, la realtà rende tutto possibile, e tuttavia niente di ciò che rende una cosa com'è, col suo nome e forma, proviene dalla realtà.

E poi, perché darsi tanto pensiero per la causalità? Che cosa causa la materia se le cose stesse sono effimere? Lascia venire ciò che viene e andare ciò che va. Perché afferrarsi alle cose e indagare sulle cause?

I.:      Dal punto di vista relativo, tutto deve avere una causa.

M.:     A che ti serve il punto di vista relativo, se puoi giovarti di quello assoluto? Ne hai forse paura?

I.:      Sì. Temo di addormentarmi sulle cosiddette certezze assolute. Per vivere una vita degna, gli assoluti non servono. Quando ti occorre una camicia, compri la stoffa, chiami il sarto, e così via.

M.:     Parli da ignorante.

I.:      E qual è la prospettiva del conoscitore?

M.:     Tutto è luce. Ogni altra cosa non è che un quadro di luce. Il quadro è nella luce e la luce è nel quadro. La vita e la morte, il sé e il non-sé, sono idee da abbandonare, non ti servono a niente!

I.:      Da che punto di vista negate la causalità? Da quello relativo - l'universo è la causa di tutto -? Da quello assoluto - niente è -?

M.:     Da quale stato lo domandi?

I.:      Da quello quotidiano di veglia, l'unico in cui questa conversazione possa svolgersi.

M.:     Questi interrogativi sorgono tutti nella veglia, perché tale è la sua natura. Ma tu non sei sempre in quello stato. Che puoi fare di buono in una condizione in cui entri ed esci continuamente? A che ti giova sapere che le cose sono collegate causalmente - come ti sembra da sveglio -?

I.:      Il mondo e la veglia sorgono e tramontano insieme.

M.:     Quando la mente è ferma, assolutamente silenziosa, lo stato di veglia non è più.

I.:      Parole come Dio, universo, totalità, assoluto, Supremo, sono puri suoni nell'aria, perché non c'è azione che si possa esercitare su di essi.

M.:     Sollevi domande cui solo tu puoi rispondere.

I.:      Non licenziatemi così! Fate tanto presto a parlare di totalità, universo e enti immaginari, i quali non possono certo impedirvi di parlare per conto loro! Detesto queste irresponsabili generalizzazioni. E voi siete così incline a personalizzarle! Senza causalità non può esserci ordine né azione dotata di scopo.

M.:     Ti sembra possibile conoscere tutte le cause di ogni evento?

I.:      So che è impossibile. Ma voglio sapere se ci sono cause per ogni cosa, e se le cause possono essere influenzate, influenzando a loro volta gli eventi.

M.:     Per influenzare gli eventi, non occorre conoscere le cause. Che tortuosità è mai questa! Non sei tu forse l'origine e la fine di ogni evento? Controllalo alla fonte.

I.:      Ogni mattina prendo il giornale e leggo sgomento le afflizioni del mondo: miseria, odio, guerre ininterrotte. Le mie domande riguardano il dolore come fatto concreto, la sua causa, il suo rimedio. Non liquidatemi dicendo che faccio del buddismo. Non etichettatemi! La vostra insistenza sull'acausalità, toglie ogni speranza che il mondo possa cambiare.

M.:     Sei smarrito perché credi di essere nel mondo, e non che il mondo sia in te. Chi è venuto prima, tu o i tuoi genitori? Immagini di essere nato in un certo tempo e luogo, di avere un padre e una madre, un corpo e un nome. Ecco il tuo peccato, la tua disgrazia! Certo che puoi cambiare il mondo, se ti ci impegni. Metticela tutta. Chi te lo impedisce? Non ti ho mai scoraggiato. Cause o no, questo mondo l'hai fatto tu, e tu puoi cambiarlo.

I.:      Un mondo senza causa è del tutto al di là del mio controllo.

M.:     Al contrario, puoi controllare e intervenire solo su un mondo che abbia la sua origine e fondamento in te. Ciò che è creato può sempre essere disfatto e ricreato. Tutto accadrà come vuoi, purché tu lo voglia davvero.

I.:      Come faccio fronte ai dolori del mondo?

M.:     Tu li hai creati con la materia dei desideri e delle paure, e tu li fronteggi. Tutto deriva dall'oblio del tuo vero essere. Hai dato credito al film, e ora ami i personaggi, soffri con essi e ti adoperi a salvarli. Invece devi incominciare da te. Non c'è altra via. Lavora pure, non c'è danno a lavorare.

I.:      Il vostro universo sembra contenere esperienze di ogni tipo. Ogni uomo percorre una traiettoria sulla quale s'imbatte in esperienze di piacere e dispiacere, che lo stimolano a cercare, e ad ampliare la sua prospettiva al di là del piccolo spazio che si è ritagliato per sé. Questo mondo privato e personale può cambiare, nel tempo. L'universo è perfetto e senza tempo.

M.:     Scambiare le apparenze per la realtà è una colpa grave, e la causa di ogni disgrazia. Tu sei l'onnipervasiva coscienza autoconsapevole, eterna e onnicreativa. Non dimenticare ciò che sei. Nel frattempo, lavora per l'appagamento del cuore. Lavoro e conoscenza dovrebbero andare di concerto.

I.:      Ho la sensazione che il mio sviluppo spirituale non dipenda da me. Fare piani e attuarli da me è improduttivo. Continuo a girarmi intorno. Quando Dio vede che il frutto è maturo, lo spicca e lo mangia. Ogni altro frutto che gli sembri acerbo, resterà ancora un giorno sull'albero del mondo.

M.:     Pensi che Dio ti conosca? Egli nemmeno il mondo conosce .

I.:      Il vostro è un Dio diverso dal mio. Il mio Dio è misericordioso. Soffre con noi.

M.:     Preghi per la salvezza di un uomo, mentre muoiono a migliaia. E se tutti smettono di morire, non ci sarà più spazio sulla terra.

I.:      Non ho paura della morte. Mi preoccupano il dolore e la sofferenza. Il mio Dio è semplice e quasi impotente. Non sa intimarci di essere savi. Può solo star da parte e attendere.

M.:     Se tu e il tuo Dio siete impotenti, non implica che il mondo è accidentale? E se lo è, la sola cosa che puoi fare è trascenderlo.

 

 

 

15.     24 Giugno 1970

 

 

I.:      Tutto dipende dal potere di Dio. Anche queste conversazioni non potrebbero avvenire se Lui non volesse.

M.:     Non c'è dubbio che tutto è opera di Dio, ma visto che non voglio nulla, che cosa può darmi o togliermi Dio? Ciò che è mio è mio, e mi apparteneva da prima che Dio fosse. Ovviamente è una cosa minima, giusto un puntolino: l'"io sono", il fatto che sono. Questo è il mio posto, che nessuno mi ha dato. La terra è mia; i raccolti, di Dio.

I.:      Dio ha affittato la terra da voi?

M.:     Dio è il mio devoto, ha fatto tutto questo per me.

I.:      Non c'è alcun Dio fuori di voi?

M.:     "Io sono" è la radice, Dio è l'albero. Chi sono io per adorarLo, e a che scopo?

I.:      Siete allora sia il devoto che l'oggetto della devozione?

M.:     Né l'uno né l'altro. Sono la devozione.

I.:      La devozione nel mondo è scarsa.

M.:     Tu insegui sempre il miglioramento del mondo. Credi davvero che il mondo aspetti te per essere salvato?

I.:      Quanto posso fare non so. Ma almeno ci provo. C'è qualcos'altro che vorreste facessi?

M.:     C'è forse il mondo senza di te? Del mondo sai tutto, ma di te niente. Gli arnesi della tua opera sono te. Perché non badi ad essi prima di pensare all'opera?

I.:      Io posso attendere, il mondo no.

M.:     Se non cerchi, costringi il mondo ad attendere.

I.:      Attendere che cosa?

M.:     Qualcuno che venga a salvarlo.

I.:      Dio regge il mondo. Dio lo salverà.

M.:     Questo lo pensi tu! È forse venuto Lui a dirti che il mondo è opera Sua, e oggetto della Sua cura e non della tua?

I.:      Perché dovrebbe essere la mia unica cura?

M.:     Vàluta. Chi altri conosce il mondo in cui vivi?

I.:      Voi, ognuno lo conosce.

M.:     Te l'ha detto qualcuno che sta fuori del tuo mondo? Io e chiunque altro nel tuo mondo appariamo e scompariamo. Siamo tutti alla tua mercé.

I.:      Non può essere! Io esisto nel vostro mondo come voi nel mio.

M.:     Del mio mondo non hai alcuna prova. Sei fasciato in un mondo interamente costruito da te.

I.:      Capisco. Interamente, ma - anche - senza speranza?

M.:     Nella prigione del tuo mondo compare un uomo che ti annuncia che il mondo di dolorose contraddizioni creato da te non ha né continuità né permanenza e si regge su un equivoco. Ti esorta a uscirne per la stessa via per cui vi entrasti. Eri entrato perché avevi dimenticato chi sei, e ne uscirai perché ti sarai conosciuto quale sei.

I.:      In che modo s'influenza il mondo?

M.:     Puoi fare qualcosa per salvarlo, solo se ne sei libero. Se sei prigioniero del mondo, non solo non lo cambi ma, qualunque cosa tu faccia, aggraverai la situazione.

I.:      La rettitudine mi renderà libero.

M.:     La rettitudine certo ti aiuterà a rendere il mondo più confortevole, quasi un posto felice. Ma che te ne fai? Non ha realtà. Non può durare.

I.:      Dio mi aiuterà.

M.:     Per aiutarti, deve sapere che esisti, ma tu e il tuo mondo siete fatti di sogni. Nel sogno puoi patire pene terribili. Nessuno lo sa, né può soccorrerti.

I.:      Dunque, tutto il mio domandare, cercare, studiare è inutile?

M.:     I tuoi sono i fremiti di un uomo che è stanco di dormire. Non sono la causa del risveglio ma i suoi primi segni. Piuttosto, smetti di porre sciocche domande, di cui, tra l'altro, sai già le risposte.

I.:      Come ottengo una vera risposta?

M.:     Ponendo una vera domanda: non a parole, ma osando vivere secondo la tua idea dell'esistenza. Un uomo disposto a morire per la verità, la ottiene.

I.:      C'è la persona, il conoscitore della persona e il testimone. Il conoscitore e il testimone sono due realtà distinte, o una sola?

M.:     Sia due che una sola. Due, quando il conoscitore si vede separato dal conosciuto. In quel caso, il testimone resta solo e disgiunto. Quando conoscitore e conosciuto si fondono, il testimone diventa tutt'uno con essi.

I.:      Colui che si è realizzato, il sapiente (gnani), è il testimone o addirittura il Supremo?

M.:     Sia l'uno che l'altro, ovvero, sia l'essere che la consapevolezza. Rispetto alla coscienza, egli è consapevolezza. Rispetto all'universo è puro essere: il Supremo.

I.:      E chi viene prima, la persona o il conoscitore?

M.:     La persona è una cosuccia. Di fatto, un composto, non puoi dire che esista di per sé. Se viene percepita, è come se non ci fosse. È l'ombra della mente, la somma complessiva dei ricordi. Il puro essere si riflette nello specchio della mente come conoscere. Ciò che è noto assume la sembianza della persona, basata sul ricordo e l'abitudine. La persona è l'ombra del conoscitore, la sua proiezione sullo schermo della mente.

I.:      C'è lo specchio e l'immagine riflessa, ma dov'è il sole?

M.:     Il sole è il Supremo.

I.:      È cosciente?

M.:     Non pensarlo in termini di coscienza o incoscienza. È la vita, il fiume che contiene ambedue e le trascende.

I.:      La vita è così acuta, geniale! Come può non avere coscienza?

M.:     Un vuoto nella memoria, per te equivale all'incoscienza. In realtà, tutto è coscienza. La vita intera è cosciente, e la coscienza è vita.

I.:      E le pietre?

M.:     Anche le pietre. Coscienti e vive.

I.:      Il mio problema è che tendo a negare esistenza a ciò che non immagino.

M.:     Sarebbe meglio che facessi il contrario. È l'immaginato che è irreale.

I.:      L'immaginabile è tutto irreale?

M.:     L'immaginazione fondata sui ricordi è irreale. Il futuro non è interamente irreale.

I.:      Quale parte del futuro è reale, e quale no?

M.:     L'inaspettato, l'imprevedibile sono reali.

 

 

 

16.     17 Giugno 1970

 

 

I.:      Ho incontrato molti realizzati, mai un liberato. Con la liberazione ci si libera anche del corpo?

M.:     Che cosa intendi per realizzazione e liberazione?

I.:      La realizzazione direi che è un'esperienza di pace, di bellezza e bene insieme. Ho provato qualcosa di simile: il mondo si colma di significato, l'essenza e la sostanza si fondono. Dura poco ma è indimenticabile. È un ricordo stupendo e anche un desiderio struggente. Direi che la liberazione è quando quello stato di grazia diventa duraturo. Ora vorrei sapere se essa va d'accordo con la sopravvivenza del corpo.

M.:     Che cosa non va nel corpo?

I.:      Il corpo è debole e dura poco. Crea bisogni e desideri insaziabili. Limita, e fa soffrire.

M.:     E con ciò? Lascia pure che le sue espressioni siano limitate. La liberazione non è del corpo, ma del sé, appena è sottratto alle idee false imposte dall'"io". Anche se è eccelsa, non è però un'esperienza specifica.

I.:      E dura sempre?

M.:     L'esperienza non può che essere temporanea. Ciò che incomincia deve finire.

I.:      Dunque non esiste la liberazione, come esperienza permanente?

M.:     Al contrario. Siamo liberi sempre. Sei cosciente di essere e libero di esserlo. Nessuno può sottrartelo. Ti sei mai scoperto non-esistente o noncosciente?

I.:      Posso non ricordarlo, ma questo non smentisce che di tanto in tanto sia incosciente.

M.:     Perché non risali dall'esperienza allo sperimentatore, e cogli l'importanza dell'unica valida affermazione: "io sono"?

I.:      Come si fa?

M.:     Non c'è un modo. Tieni a mente l'"Io Sono", immergiti in esso finché il sentimento e il pensiero diventano tutt'uno. Dopo prove e riprove, raggiungerai il giusto equilibrio di attenzione e amore, e la mente sarà fermamente installata nell'"Io Sono". Qualunque cosa tu pensi, dica o faccia, è sullo sfondo di questa condizione inalterata e amorevole.

I.:      E voi la chiamate liberazione?

M.:     La chiamo normalità. Perché non stare con agio e felicità nell'essere, conoscere e agire? Perché ritenerlo così eccezionale da prevedere l'immediata distruzione del corpo? Che cosa non va col corpo, che dovrebbe morire? Rettifica il tuo atteggiamento verso il corpo, e lascialo solo. Evita sia l'indulgenza sia il tormento eccessivi. Lascia che il corpo faccia il suo corso, per lo più al di sotto dell'attenzione cosciente.

I.:      Il ricordo di quello stato di grazia mi perseguita. Vorrei riviverlo.

M.:     Non puoi se ci tieni. La tensione del desiderio blocca l'accesso a un'esperienza più profonda. Niente che conti può accadere a una mente che sa esattamente ciò che vuole. Perché niente di ciò che la mente possa immaginare e volere, vale davvero.

I.:      Allora che cosa vale la pena di volere?

M.:     Il massimo. La più vertiginosa felicità, l'assoluta libertà. L'assenza di desiderio è il colmo della gioia.

I.:      Non voglio la libertà dai desideri, ma la libertà di soddisfarli.

M.:     Sei libero di soddisfarli. In realtà non fai altro.

I.:      Mi provo, ma gli ostacoli mi frustrano.

M.:     Superali.

I.:      Non sono abbastanza forte.

M.:     Che cosa ti rende debole? Che cos'è la debolezza? Se gli altri soddisfano i loro desideri, perché tu non dovresti?

I.:      Si vede che manco di energia.

M.:     E che le è successo? L'hai forse sparpagliata fra tanti desideri e ricerche a contrasto? La tua dotazione di energia non è inesauribile.

I.:      Perché no?

M.:     I tuoi scopi sono modesti. Non puntano al massimo. Solo l'energia di Dio è infinita: perché non desidera niente per sé. Sii come Lui, e tutti i desideri ti saranno colmati. Quanto più alti saranno gli scopi e vasti i desideri, tanta maggiore energia avrai per soddisfarli. Desidera il bene di tutti, e l'universo sarà con te. Ma se aspiri a un piacere solo tuo, devi procacciartelo nel modo più duro. Prima di desiderare, meritalo.

I.:      Studio filosofia, sociologia e scienze dell'educazione. Penso mi ci voglia un più ampio sviluppo mentale per tendere alla realizzazione. Sono sulla pista giusta?

M.:     Per guadagnarsi la vita, occorre una competenza precisa. La conoscenza generalizzata sviluppa senza dubbio la mente. Ma se tendi nella vita solo a un accumulo di conoscenza, elevi un muro intorno a te. Per andare oltre la mente, non è indispensabile un equipaggiamento intellettuale perfetto.

I.:      Allora che devo fare?

M.:     Diffida della mente e scavalcala.

I.:      Che cosa troverò oltre la mente?

M.:     L'esperienza diretta dell'essere-conoscere-amare.

I.:      Come si trascende la mente?

M.:     I punti di partenza sono tanti. Lo scopo è unico. Puoi incominciare con l'azione disinteressata e la rinuncia ai frutti; poi coltiverai l'abbandono dei pensieri; infine, di tutti i desideri. Il fattore-chiave è l'abbandono (tyaga). Oppure puoi ignorare tutto ciò che ti capiti di desiderare, pensare o fare, e ti concentri sull'"io sono", dopo averlo reso un pensiero e un sentimento. Qualsiasi esperienza sopraggiunga, resti imperturbabile e annoti imperterrito che tutto ciò che puoi percepire è transitorio, e solo l'"io sono" dura.

I.:      Non posso dedicarmi a queste pratiche per tutta la vita. Ho i miei doveri.

M.:     Bada ai tuoi doveri, vivaddio! L'azione che non ti coinvolga emotivamente, che sia benefica e senza dolore non ti vincolerà. Puoi essere impegnatissimo ed efficiente, e restare interiormente libero e quieto, con una mente tersa, che rispecchia senza aderire.

I.:      È mai realizzabile?

M.:     Se non lo fosse, non ne parlerei. Perché dovrei occuparmi di fantasie?

I.:      Tutti citano le Scritture.

M.:     Quelli che conoscono solo le Scritture non sanno niente. Conoscere significa essere. Ciò di cui parlo lo so non perché l'ho letto o sentito dire.

I.:      Studio il sanscrito con un insegnante, ma non mi limito a leggere le Scritture. Cerco l'autorealizzazione e mi sono imbattuto nella guida giusta. Che devo fare?

M.:     Visto che conosci le Scritture, perché domandi?

I.:      Le Scritture danno le direttive generali, ma l'uomo ha bisogno di istruzioni proprio sue.

M.:     Il maestro esterno (guru) è solo una pietra miliare. La vera guida (sadguru) è il sé dentro di te, ossia te stesso. Solo il maestro interiore ti condurrà allo scopo, perché lui è lo scopo.

I.:      Non è mica facile raggiungere il maestro interiore.

M.:     Visto che è in te e con te, non dovrebbe essere difficile. Guarda dentro e lo troverai.

I.:      Se guardo dentro, trovo sensazioni e percezioni, pensieri e sentimenti, desideri e paure, ricordi e aspettative. Avvolto in questa nuvola, non vedo niente.

M.:     Ciò che vede tutto questo e anche il niente, è il maestro interiore. Lui solo è, tutto il resto appare. È te stesso, la tua forma intrinseca (swarupa), la tua speranza e garanzia di libertà. Trovalo, attàccati a lui, e sarai al sicuro.

I.:      Vi credo, ma quando si tratta di cogliere questo essere interno, vi assicuro, mi sfugge sempre.

M.:     Il pensiero - "mi sfugge" - dove si annida?

I.:      Nella mente.

M.:     Chi conosce la mente?

I.:      Il testimone della mente.

M.:     È mai venuto qualcuno da te, dicendo: "Sono il testimone della tua mente"?

I.:      No. È solo un'altra idea della mente.

M.:     Allora, chi è il testimone?

I.:      Io.

M.:     Dunque conosci il testimone perché sei lui. Non ti occorre vedertelo di fronte. Ecco un'altra conferma che essere è conoscere.

I.:      Sì. Sono il testimone e la consapevolezza di questo fatto. Ma a che mi serve?

M.:     Che domanda! Ti aspetteresti un vantaggio? Non ti basta sapere ciò che sei?

I.:      Quali sono gli usi dell'autoconoscenza?

M.:     Comprendere ciò che non sei, e liberarti dal falso: idee, desideri, e azioni.

I.:      Se sono soltanto il testimone, che differenza c'è a far bene o male?

M.:     Ciò che ti aiuta a conoscerti è bene; è male ciò che te lo impedisce. Conoscere se stessi è pura gioia; dimenticarlo è dolore.

I.:      La coscienza-testimone è il vero sé?

M.:     È il riflesso del reale nella mente (buddhi). Il reale è al di là. Il testimone è la porta che ti serve per attraversare.

I.:      Qual è lo scopo della meditazione?

M.:     Vedere il falso nel falso: ininterrottamente.

I.:      Ci dicono di meditare con regolarità.

M.:     Praticare ogni giorno e deliberatamente la discriminazione tra il vero e il falso, e rinunciare al falso, è meditazione. Per incominciare molti metodi sono adatti, ma convergono tutti in uno.

I.:      Diteci, per favore, qual è la scorciatoia per l'autorealizzazione.

M.:     Non c'è una via breve o lunga, ma taluni sono più ansiosi, e altri meno. Posso dire di me. Ero un uomo semplice, ma diedi fiducia al mio maestro. Feci come disse: mi concentrai sull'"io sono". Precisò che ero al di là di ogni percezione e pensiero: gli credetti. Ci misi l'anima e il cuore, l'attenzione, tutto il tempo libero (per il resto lavoravo e badavo alla famiglia). Il risultato della fede e della tenace applicazione fu che in tre anni mi realizzai.

Tu potrai seguire una strada diversa, ma sarà sempre la serietà a determinare la misura del progresso.

I.:      Che altro mi suggerite?

M.:     Instàllati consapevolmente nell'"io sono". Questo è l'inizio e anche il termine di ogni impresa.

 

 

 

17.     29 Giugno 1970

 

 

I.:      Le più elevate facoltà della mente sono comprensione, intelligenza e intuizione. L'uomo ha tre corpi: fisico, mentale e causale (prana, mana, karana). Il primo riflette il suo essere; il mentale, il suo conoscere; e il causale, la sua creatività felice. E tutte sono forme della coscienza, pur sembrando qualitativamente distinte. L'intelligenza (buddhi) è il riflesso nella mente del potere di conoscenza (chit), e fa sì che la mente sia conoscibile. Quanto più viva l'intelligenza, tanto più ampia, approfondita e verace è la conoscenza. Conoscere gli oggetti, gli altri uomini e se stessi sono altrettante funzioni dell'intelligenza: la terza è la più importante e contiene le altre due. Misconoscere se stessi e il mondo, alimenta false idee e desideri che rinsaldano la schiavitù. Per liberarsi dai ceppi dell'illusione è necessaria una corretta comprensione di sé. Teoricamente, il sistema mi è chiaro ma, all'atto pratico, le mie risposte alle situazioni e alla gente sono immancabilmente stonate, e con le mie reazioni scorrette non faccio che accrescere la mia schiavitù. La vita è troppo veloce rispetto all'ottusità e alla lentezza della mente. Quando capisco è troppo tardi, e sono già incorso nei vecchi errori.

M.:     Allora, qual è il problema?

I.:      Mi serve una risposta alla vita che sia non solo intelligente ma anche lesta. E non può esserlo finché non è perfettamente spontanea. Come conquistare questa spontaneità?

M.:     Lo specchio non può far nulla per attrarre il sole. Può solo conservarsi terso. Non appena la mente è pronta, il sole vi risplende.

I.:      La luce è del sé o della mente?

M.:     Di ambedue. Di per sé è senza causa e mutamento, ma è screziata dalla mente, via via che questa si muove e muta. È proprio come al cinema. La luce non è nella pellicola, ma questa colora la luce e, intercettandola, la fa apparire in movimento.

I.:      Siete ora in uno stato di perfezione?

M.:     Quando la mente è pura, la perfezione è il suo stato normale. Io sono al di là della mente. La consapevolezza è la mia natura, e da ultimo sono al di là dell'essere e del non-essere.

I.:      La meditazione mi aiuterà a raggiungere la vostra condizione?

M.:     Ti aiuterà a intercettare i tuoi lacci, ad allentarli, a scioglierli, e a mollare gli ormeggi. Quando ti sarai svincolato da ogni attaccamento, avrai fatto la tua parte. Il resto sarà fatto a te.

I.:      Da chi?

M.:     Dallo stesso potere che ti ha spinto così lontano, che ha indotto il tuo cuore a desiderare la verità e la tua mente a cercarla. È il medesimo potere che ti tiene in vita. Puoi chiamarlo Vita o il Supremo.

I.:      È anche il potere che mi ucciderà, a tempo debito.

M.:     Eri presente alla tua nascita? Lo sarai, alla tua morte? Trova colui che è sempre presente, e avrai risolto il problema di rispondere in modo spontaneo e perfetto.

I.:      Attuare l'eterno, e rispondere in modo agile e appropriato agli eventi che cambiano, sono due questioni indipendenti l'una dall'altra. Voi tendete a sovrapporle. Perché?

M.:     Attuare l'eterno è diventare l'Eterno, l'intero, l'universo con tutto ciò che contiene. Ogni evento è un effetto e un'espressione dell'intero, e in sostanziale armonia con esso. Ogni risposta dall'intero deve essere giusta, naturale e istantanea. Né può essere altrimenti, se è giusta. Una risposta in ritardo è una risposta sbagliata. Pensiero, sentimento e azione devono funzionare all'unisono.

I.:      Come lo si ottiene?

M.:     Te l'ho già detto. Trova colui che era presente alla tua nascita e che assisterà alla tua morte.

I.:      Mio padre e mia madre?

M.:     Sì, il tuo Padre-Madre, la fonte da cui sei venuto. Per risolvere il problema devi percorrerlo all'indietro sino all'origine. Ma ti servono i due solventi universali dell'indagine e dell'impassibilità.

 

 

 

18.     1 Luglio 1970

 

 

I.:      Il vostro modo di descrivere l'universo come un composto di materia, mente e spirito, è uno dei tanti. Esistono altri modelli ai quali l'universo sarebbe conforme, e si è molto perplessi sulla loro attendibilità. Si finisce col sospettare che siano sistemazioni di puro rilievo verbale, e che la realtà ecceda qualsiasi modello che tenti di spiegarla.

La struttura dell'universo, secondo voi, sarebbe triplice: il madhakash, il chidakash e il paramakash corrispondono rispettivamente al campo della materia-energia, a quello della coscienza, e al puro spirito. Il madhakash è un'estensione sottomessa al moto e all'inerzia. Lo percepiamo ma abbiamo anche coscienza di percepire. Perciò ci sarebbero due realtà: la materia-energia e la coscienza. La materia si direbbe situata nello spazio, mentre l'energia scorre nel tempo, essendo legata al mutamento e misurabile in base alla sua velocità. La coscienza sembra essere in qualche modo qui e adesso, in un singolo punto dello spazio e del tempo. Ma voi sembrate dire che anche la coscienza è universale, il che la rende senza tempo, senza spazio e impersonale. Posso capire che non ci sia contraddizione tra l'atemporale e l'aspaziale e il qui e adesso, ma non riesco a cogliere che cosa possa essere la consapevolezza impersonale. Per me la coscienza è sempre focalizzata, centrata, individualizzata, insomma una persona. Sembra che voi diciate che ci può essere un percepire senza il percettore, un conoscere senza il conoscitore, un amare senza l'amante, un agire senza colui che agisce. La coscienza implica un essere cosciente, un oggetto di coscienza e il fatto che si è coscienti. Definisco la persona ciò che è cosciente. Essa vive nel mondo, ne fa parte, lo influenza e ne è influenzata.

M.:     Perché non indaghi quanto siano reali il mondo e la persona?

I.:      Non ho bisogno di indagare. Mi basta che la persona non sia meno reale del mondo in cui sta.

M.:     Allora qual è la domanda?

I.:      Sono reali le persone e mentali o concettuali gli universali, o viceversa?

M.:     Non sono reali né gli uni né gli altri.

I.:      Certamente io sono abbastanza reale da meritare la vostra risposta, e io sono una persona.

M.:     Non quando dormi.

I.:      L'immersione nel sonno non è un'assenza. Anche addormentato, sono.

M.:     Per essere una persona devi essere cosciente di te. Lo sei sempre?

I.:      Quando dormo, no, né quando sono svenuto o drogato.

M.:     Durante la veglia, la tua coscienza è continua?

I.:      No, talvolta sono assente o semplicemente assorto.

M.:     E in questi vuoti della coscienza sei sempre la persona?

I.:      Ma è ovvio che sono lo stesso. Mi ricordo com'ero ieri e l'anno scorso, sono sempre la mia persona.

M.:     Per esserlo, ti occorre la memoria?

I.:      Va da sé.

M.:     E senza la memoria, chi sei?

I.:      Una memoria incompleta comporta una personalità parimenti incompleta. Senza memoria non posso esistere come persona.

M.:     Invece puoi esistere benissimo. Nel sonno, è sempre così.

I.:      Solo nel senso che sono vivo. Ma la persona non c'è.

M.:     Visto che ammetti che come persona hai un'esistenza intermittente, puoi dirmi chi sei negli intervalli in cui non ti senti una persona?

I.:      In questo caso, posso solo dire di esistere.

M.:     La vogliamo chiamare esistenza impersonale?

I.:      La chiamerei piuttosto inconscia: sono, ma non so di esserlo.

M.:     Questa stessa affermazione potresti farla quando sei privo di coscienza?

I.:      No.

M.:     Puoi solo dire al passato "Non sapevo; non ero cosciente", nel senso che non ricordavi.

I.:      Se non ero cosciente, come potrei ricordare, e che cosa?

M.:     Ma eri davvero senza coscienza o sei semplicemente dimentico?

I.:      C'è modo di distinguerlo?

M.:     Vàluta un po'. Ricordi ogni secondo della tua giornata di ieri?

I.:      No.

M.:     Cioè, sei cosciente, ma non ricordi?

I.:      Sì.

M.:     Forse nel sonno avevi coscienza ma non puoi ricordarlo.

I.:      Dormivo. Non ero come una persona cosciente.

M.:     Come lo sai?

I.:      Me lo dicono quelli che mi hanno visto dormire.

M.:     Possono solo asserire che ti hanno visto giacere ad occhi chiusi, col respiro regolare. Non potevano stabilire se eri cosciente o no. L'unica prova è la tua memoria. Una prova assai labile, a quanto pare.

I.:      Ammetto che nei termini in cui l'ho posto, sono una persona solo durante la veglia. E non so chi sono fra uno stato e l'altro.

M.:     Almeno ora sai di non sapere! Visto che sostieni di non avere coscienza negli intervalli durante la veglia, lasciali perdere. Occupiamoci solo della veglia.

I.:      Nei sogni sono la stessa persona.

M.:     D'accordo. Esaminiamoli insieme, veglia e sogno. La differenza sta solo nella continuità. Se i tuoi sogni fossero sostanzialmente continui, portando ogni notte le stesse immagini e uguali personaggi, non sapresti distinguere tra la veglia e il sogno. Perciò d'ora in poi, parlando dello stato di veglia, includeremo quello di sogno.

I.:      Diciamo pure che sono una persona in rapporto consapevole col mondo.

M.:     Il mondo e il consapevole rapporto sono essenziali al tuo essere la persona?

I.:      Anche murato in una caverna, resto una persona.

M.:     Il che implica un corpo e una caverna. E un mondo in cui esistano.

I.:      Me ne rendo conto. Il mondo e la coscienza del mondo sono essenziali alla mia esistenza di persona.

M.:     Ciò rende la persona una parte del mondo, e il mondo una parte della persona. I due sono tutt'uno.

I.:      La coscienza è a sé. La persona e il mondo appaiono nella coscienza.

M.:     Hai detto: appaiono. Potresti aggiungere: scompaiono?

I.:      No. Posso solo essere consapevole dell'apparire mio e del mondo. Come persona, non posso dire: "il mondo non è". Senza il mondo, non sarei qui a dirlo. È perché c'è il mondo, che io son qui, e dico che c'è.

M.:     O viceversa. Il mondo c'è perché ci sei tu.

I.:      Per me quest'affermazione è priva di senso.

M.:     La sua mancanza di senso può scomparire se indaghiamo.

I.:      Da dove si parte?

M.:     Io so una sola cosa: che tutto ciò che dipende non è reale. La realtà è intrinsecamente non-dipendente. Dato che l'esistenza della persona dipende da quella del mondo e ne è circoscritta e definita, la persona non può essere reale.

I.:      Ma nemmeno può essere un sogno.

M.:     Anche il sogno esiste, quando è conosciuto, goduto o alimentato. Qualunque cosa tu pensi o senta, esiste. Ma può non essere ciò che credi che sia. Quella che credi una persona, può essere tutt'altro.

I.:      Sono quello che so di essere.

M.:     Non puoi proprio dirlo! Le tue idee su di te mutano di giorno in giorno, e di momento in momento. La tua immagine è quanto di più mutevole tu abbia. È vulnerabilissima, alla mercé di chiunque. Un lutto, la perdita di un lavoro, un'offesa, e l'immagine di te, che chiami persona, cambia radicalmente. Per sapere chi sei, devi prima indagare e sapere che cosa non sei. E per saperlo, devi osservarti attentamente, e respingere tutto ciò che non s'attaglia al fatto fondamentale: "Io sono".

Le idee del tipo: sono nato in un certo tempo e luogo dai miei genitori, e ora sono il tal dei tali, non riguardano l'"Io sono". Il nostro atteggiamento usuale è di affermare "Sono questo". Prova a separare l'"io sono" dal "questo", e cerca di avvertire che significa essere, essere soltanto, senza "questo" o "quello". Tutte le tue abitudini vi si oppongono, e la lotta contro di esse è lunga e difficile, ma una chiara comprensione è del massimo aiuto. Quanto più ti rendi conto che al livello della mente puoi solo essere descritto in termini negativi, tanto più in fretta verrai a capo della tua ricerca, e coglierai il tuo essere illimitato.

 

Una mente quieta è tutto ciò che ti occorre

 

65.                                                                                                   7 Agosto 1971

 

Interrogante: Non mi sento bene. Sono fiacco. Che devo fare?

Maharaj:       Chi non si sente bene, tu o il corpo?

I.:      Il corpo, naturalmente.

M.:     Ieri stavi bene. Che cosa stava bene?

I.:      Il corpo.

M.:     Eri contento quando il corpo stava bene e ora che il corpo è indisposto sei triste. Chi è contento un giorno e triste il giorno dopo?

I.:      La mente.

M.:     E chi è il conoscitore della mente variabile?

I.:      Sempre la mente.

M.:     La mente è il conoscitore. Chi conosce il conoscitore?

I.:      II conoscitore non conosce se stesso?

M.:     La mente è discontinua. Si svuota a intermittenza, come nel sonno, nel deliquio o nei momenti di distrazione. Dev'esserci qualcosa di continuo per registrare la discontinuità.

I.:      La mente ricorda. Ciò implica una continuità.

M.:     La memoria è sempre parziale, non attendibile, evanescente. Non basta a spiegare il forte senso d'identità della coscienza: l'"io sono". Cerca piuttosto alla sua radice.

I.:      Per quanto scavi in profondità, trovo solo la mente. Quando dite: "al di là della mente", non vi seguo più.

M.:     Finché osservi con la mente non puoi oltrepassarla. Per andare oltre, devi distogliere lo sguardo dalla mente e dai suoi contenuti.

I.:      In che direzione devo guardare?

M.:     Tutte le direzioni sono nella mente. Non ti chiedo di guardare in una direzione particolare. Semplicemente distrai lo sguardo da tutto ciò che accade nella mente e puntalo sull'"io sono". L'"io sono" non è una direzione. È la negazione di tutte le direzioni. Infine anche l'"io sono" svanirà, perché non occorre ribadire ciò che è ovvio. Puntare la mente sull'"io sono" l'aiuta a distogliersi dal resto.

I.:      Dove mi porta tutto ciò?

M.:     Distolta dalle sue apprensioni, la mente diventa quieta. Se non disturbi quella quiete e ci stai dentro, scopri che è pervasa da una luce e un amore che non hai mai conosciuto: e tuttavia riconosci all'istante che sono la tua vera natura. Quando avrai attraversato un'esperienza del genere, non sarai mai più lo stesso; la mente indisciplinata può ribellarsi alla propria quiete e cancellare le sue immagini riflesse; ma è costretta a capitolare per tanto che regga allo sforzo; fino al giorno in cui i lacci sono spezzati, le illusioni e gli attaccamenti cadono e la vita si concentra totalmente nel presente.

I.:      Qual è la differenza?

M.:     La mente non è più. C'è solo amore in azione.

I.:      In che modo riconoscerò questo stato quando l'avrò raggiunto?

M.:     Non avrai paura.

I.:      E come posso essere impavido, in un mondo di misteri e minacce?

M.:     Il tuo stesso piccolo corpo è misterioso e pericoloso; eppure non lo temi, perché lo consideri tuo. Quello che ancora non sai è che l'intero universo è il tuo corpo e perciò non devi temerlo. Puoi dire di avere due corpi: quello personale e quello universale. Il primo va e viene, il secondo è sempre con te. L'intera creazione è il tuo corpo. Sei così accecato da ciò che è personale, che non vedi l'universale. Questa cecità non cessa da sola: dev'essere smontata abilmente e deliberatamente. Quando tutte le illusioni sono comprese e abbandonate, si giunge a uno stato senza errori e senza peccato in cui tutte le distinzioni fra il personale e l'universale non esistono più.

I.:      Sono una persona, e pertanto limitato nello spazio e nel tempo. Occupo un piccolo spazio e non duro che pochi momenti; non posso nemmeno immaginarmi eterno e universale.

M.:     Eppure lo sei. Quando ti sarai immerso profondamente in te alla ricerca della tua natura, ti accorgerai che solo il corpo è minuscolo, e solo la memoria, breve; ma il vasto oceano della vita è tuo.

I.:      "Io" e "universale" sono parole contraddittorie: l'una esclude l'altra.

M.:     Non è così. L'universale è pervaso di identità. Se cerchi, troverai la Persona Universale che è te, e immensamente di più. Intanto, comincia col capire che il mondo è in te, non tu nel mondo.

I.:      E come può essere? Io sono soltanto una parte. Come può il mondo intero essere contenuto in una parte, tranne che per riflesso, come in uno specchio?

M.:     È vero. Il tuo corpo personale è una parte in cui il tutto si riflette a meraviglia. Ma hai anche un corpo universale, e non puoi dire di non conoscerlo, perché lo vedi e lo sperimenti continuamente. La differenza è che lo chiami "il mondo", e ti fa paura.

I.:      Posso dire di conoscere il piccolo corpo che è mio, mentre l'altro non lo conosco, se non tramite la scienza.

M.:     Il tuo piccolo corpo è pieno di misteri e di tesori che ignori. Anche in quel caso la scienza è la tua unica guida. Sia l'anatomia che l'astronomia ti descrivono.

I.:      Anche se accetto la vostra teoria del corpo universale come ipotesi, in che modo posso verificarla, e a che mi serve?

M.:     Se conosci te stesso come l'abitante dei due corpi, non disconosci nulla. L'intero universo ti riguarderà; amerai e aiuterai con sollecitudine ogni creatura vivente. I tuoi interessi non cozzeranno con quelli degli altri. Ogni sfruttamento cesserà. La tua azione sarà benefica, ogni tuo gesto una benedizione.

I.:      È molto allettante, ma come devo procedere per realizzare il mio essere universale?

M.:     Ci sono due modi: o dedicarti alla scoperta di te con la mente e il cuore, o affidarti a me e agire in conformità. In altre parole, o la totale concentrazione su di te, o la totale deconcentrazione. Ma l'importante è che tu sia totale. Per raggiungere la perfezione bisogna essere estremi.

I.:      Come posso aspirare a tali altezze, piccolo e limitato come sono?

M.:     Tu sei l'oceano di coscienza in cui tutto avviene: comprenderlo non è difficile. Con un po' di attenzione, di stretta osservazione di te, vedrai che niente accade al di fuori della tua coscienza.

I.:      Il mondo è pieno di eventi non registrati dalla mia coscienza.

M.:     Anche il tuo corpo è pieno di eventi che la coscienza non registra, il che non toglie che sia inconfondibilmente tuo. Conosci il mondo esattamente come il tuo corpo: attraverso i sensi. Ma la mente ha separato il mondo fuori della tua pelle da quello all'interno, e li ha contrapposti, Ciò ha creato la paura, l'odio e tutte le sofferenze della vita.

I.:      Non riesco a seguirvi quando parlate di oltrepassare la coscienza. Comprendo le parole, ma non mi figuro l'esperienza. E non avete detto, voi stesso, che tutta l'esperienza è nella coscienza?

M.:     Hai ragione, non può esserci esperienza al di là della coscienza, però c'è quella, nuda, di essere. Non è una forma di non-coscienza ma di auto coscienza, che alcuni definiscono super-coscienza o coscienza suprema. È pura consapevolezza, libera dal nesso soggetto-oggetto.

I.:      Ho studiato la teosofia, e in ciò che dite non trovo nulla di affine agli insegnamenti teosofici. La teosofia si occupa esclusivamente della manifestazione. Descrive in dettaglio l'universo e il vivente. Ammette molti livelli di materia e corrispondenti gradi di esperienza, ma non sembra andare al di là. Voi parlate di ciò che eccede ogni esperienza; ma se non è sperimentabile, perché parlarne?

M.:     La coscienza è intermittente, piena di spazi vuoti. Tuttavia c'è la continuità dell'identità. Da che dipende questo senso d'identità se non da qualcosa che è al di là della coscienza?

I.:      Se sono oltre la mente, come posso cambiarmi?

M.:     E perché vorresti cambiare qualcosa? Già la mente cambia in continuazione! Basta osservarla con distacco, e si calma subito. Quando è quieta, puoi andare al di là. Non tenerla sempre sotto pressione. Fermala, e limitati a essere. Se la fai riposare, si stabilizza e ritrova purezza e forza. È l'attività incessante del pensiero che la deteriora.

I.:      Se il mio vero essere è sempre con me, come mai non lo conosco?

M.:     Perché è molto sottile, mentre la mente è spessa, appesantita da pensieri e sentimenti grossolani. Rendila lieve e pura, e ti conoscerai come sei.

I.:      Mi occorre la mente per conoscermi?

M.:     Sei al di là della mente, ma con la mente conosci. È ovvio che l'estensione, la profondità e il carattere della conoscenza dipendono dallo strumento che usi. Migliora lo strumento e la conoscenza migliorerà.

I.:      Per conoscere perfettamente mi occorre una mente perfetta.

M.:     Tutto ciò che ti occorre è una mente quieta. Il resto avverrà nel modo giusto, non appena la mente sarà sedata. Come il sole sorgendo rende attivo il mondo, così l'autoconsapevolezza cambia la mente. Alla luce di una calma e stabile autoconsapevolezza le energie interne si risvegliano, e fanno miracoli, senza il minimo sforzo da parte tua.

I.:      Significa che la maggior parte dell'opera si compie senza azione?

M.:     Esattamente. Convinciti, ti prego, che sei destinato all'illuminazione, perciò asseconda il tuo destino. Non contrastarlo. Dagli modo di compiersi. A tua volta non devi far altro che sorvegliare gli ostacoli creati dalla stupidità della mente.

 

 

Cerca la fonte della coscienza

 

68.                                                                                                   7 Settembre 1971

 

Interrogante.:         L'altro giorno esaminavamo la mentalità occidentale moderna e la sua difficoltà ad accettare la disciplina morale e intellettuale del Vedanta. Uno degli ostacoli sta nell'atteggiamento di profonda inquietudine dei giovani in Europa e in America per la condizione disastrosa del mondo e la pretesa di un'immediata ed estrinseca soluzione.

Non tollerano chi predica come voi il perfezionamento personale come presupposto per quello del mondo. Dicono che è inattuabile e anche superfluo. L'umanità è pronta per un rinnovamento sociale, economico e politico dei sistemi. Un governo, una polizia, una pianificazione mondiali, e l'abolizione di ogni barriera fisica ed ideologica, è ciò che serve, e non una trasformazione della persona. Senza dubbio, gli individui modellano la società, ma anche la società modella gli individui. In una società umana la gente sarà umana; inoltre, la scienza dà la risposta a molte domande che prima erano monopolio della religione.

Maharaj:       Senza dubbio, darsi da fare per il miglioramento del mondo è molto lodevole. Attuato senza egoismo, rischiara la mente e purifica il cuore. Ma presto l'uomo s'accorgerà d'inseguire un miraggio. Il miglioramento locale e temporaneo è sempre possibile, e la storia ne offre svariati esempi quando si sia imposta l'influenza di un grande sovrano o di un illuminato, ma presto si esaurisce, abbandonando l'umanità a un nuovo ciclo di sofferenze. È nella natura della manifestazione che il bene e il male si avvicendino in pari misura. L'unico vero rifugio è nel non-manifestato.

I.:      State consigliando la fuga?

M.:     Al contrario. La sola via al rinnovamento passa attraverso la distruzione. Si devono rifondere i vecchi gioielli prima di modellarne uno nuovo. Solo chi ha superato il mondo può cambiarlo. Non è mai accaduto diversamente. I pochi uomini che hanno lasciato dietro di sé una traccia forte e durevole erano tutti conoscitori della realtà. Raggiungi il loro livello e solo allora potrai parlare di sollevare il mondo.

I.:      Non sono i fiumi e i monti che vogliamo aiutare, ma la gente.

M.:     Non c'è nulla di sbagliato nel mondo, a parte le persone che lo rendono cattivo. Va', e chiedi loro di comportarsi bene.

I.:      Il desiderio e la paura li spingono a comportarsi come fanno.

M.:     Esattamente. Finché il comportamento umano è dominato dal desiderio e dalla paura, non c'è molta speranza. E per sapere come accostare efficacemente la gente, devi tu stesso essere libero da ogni desiderio e paura.

I.:      Certi desideri e paure biologiche sono inevitabili, come quelli connessi con il cibo, il sesso e la morte.

M.:     Questi sono bisogni, perciò sono facili da soddisfare.

I.:      Anche la morte è un bisogno?

M.:     Dopo aver vissuto una vita lunga e fruttuosa, si sente il bisogno di morire. Il desiderio e la paura sono distruttivi solo quando malamente applicati. Desidera con forza ciò che è giusto e temi il suo contrario. Ma quando desideri l'ingiusto, il risultato è il caos e la disperazione.

I.:      Che cosa è giusto e che cosa non lo è?

M.:     In senso relativo, ciò che causa sofferenza è sbagliato, ciò che la allevia è giusto. In senso assoluto, ciò che ti riporta alla realtà è giusto e ciò che la oscura è sbagliato.

I.:      Aiutare l'umanità significa lottare contro il disordine e la sofferenza.

M.:     Ti limiti a parlare di aiuto. Hai mai aiutato, realmente, un singolo uomo? Lo hai mai messo in condizione di non averne più bisogno? Sai dare a un uomo il carattere, basato sul pieno adempimento dei doveri e delle possibilità, e sull'intuizione del suo vero essere? Quando non sai che cosa è bene per te, come puoi saperlo per gli altri?

I.:      L'adeguata provvista dei mezzi di sopravvivenza è un bene per tutti. Potete essere Dio in persona, ma vi occorre un corpo ben nutrito per parlare con noi.

M.:     Sei tu che hai bisogno che il mio corpo ti parli. Io non sono il mio corpo e neppure ne ho bisogno. Sono il testimone, senza forma.

Siete così avvezzi a pensarvi come corpi dotati di coscienza, che proprio non potete immaginare una coscienza dotata di corpo. Quando avrai compreso che l'esistenza fisica non è che uno stato della mente, un movimento della coscienza, che l'oceano della coscienza è eterno e infinito, e che, quando aderisci alla coscienza, diventi il testimone, saprai ritrarti interamente al di là.

I.:      Ci è stato detto che l'esistenza si svolge su molti livelli. Voi esistete e funzionate su tutti? Siete sulla terra e contemporaneamente anche in cielo (swarga)?

M.:     Non c'è un luogo in cui mi si possa trovare! Non sono una cosa cui assegnare un posto tra le altre. Tutte le cose sono in me, ma io non sono tra le cose. Mi parli delle sovrastrutture, mentre io mi occupo delle fondamenta. Le sovrastrutture sorgono e crollano, ma le fondamenta durano. Il transitorio non m'interessa, e tu non parli d'altro.

I.:      Perdonate una strana domanda. Se qualcuno, con una spada affilatissima, vi tagliasse improvvisamente la testa, che differenza farebbe per voi?

M.:     Nessuna. Il corpo perderebbe la testa, certe linee di comunicazione verrebbero interrotte, questo è tutto. Due si parlano al telefono e il filo è reciso. Non è successo loro nulla, devono solo cercare un altro mezzo di comunicazione. Dice la Bhagavad Gita: "La spada non lo taglia". È letteralmente così. La coscienza per sua natura sopravvive ai suoi veicoli. È come il fuoco. Brucia il combustibile, ma non se stesso. Come il fuoco dura più di una montagna di combustibile, così la coscienza sopravvive a innumerevoli corpi.

I.:      Il combustibile alimenta la fiamma.

M.:     Finché dura. Cambia la natura del combustibile e cambieranno il colore e la consistenza del fuoco.

Per stare insieme e parlare, è necessario che siamo presenti. Ma la presenza, da sola, non basta. Deve esserci anche il desiderio di parlare. Il nostro massimo desiderio è di conservarci coscienti. In cambio, siamo disposti a qualsiasi disagio e umiliazione. Finché non ci ribelleremo a questa sete di esperienza, e non volteremo le spalle al manifestato, non ci sarà sollievo. Resteremo invischiati.

I.:      Dite di essere il testimone silenzioso, ma che il vostro stato è al di là della coscienza. Non c'è una contraddizione? Se siete oltre la coscienza, di che siete testimone?

M.:     Sono conscio e inconscio, tanto conscio quanto inconscio, e né l'uno né l'altro: di tutto sono il testimone; ma in realtà non c'è nessuno, perché non c'è niente da testimoniare. Sono svuotato di materia mentale, la mia testa è vuota ma la consapevolezza straripa. Quando dico che sono al di là della mente, intendo questo.

I.:      Se è così, come posso raggiungervi?

M.:     Sii consapevole della coscienza e cercane la fonte. Tutto qui. A parole si può comunicare ben poco. È il fare come ti dico, che illumina, non il fatto che te lo dico. I mezzi non contano granché, ma il desiderio, la spinta, il fervore sono essenziali.

 

 

La fugacità è la miglior prova dell'irrealtà

 

69.                                                                                          11 Settembre 1971

 

Interrogante: Il mio amico è tedesco, io sono nato in Inghilterra da genitori francesi. Sono in India da più di un anno, girando da un ashram all'altro.

Maharaj:       Qualche disciplina spirituale (sadhana)?

I.:      Studi e meditazione.

M.:     Su che cosa hai meditato?

I.:      Su quello che ho letto.

M.:     Bene.

I.:      E voi che fate?

M.:     Sto seduto.

I.:      E che altro?

M.:     Parlo.

I.:      Di che parlate?

M.:     Vuoi una conferenza? Meglio che tu ponga domande su un punto preciso che ti tocca da vicino. Se non ti senti coinvolto, possiamo andare avanti a discutere, ma non ci sarà vera comprensione tra noi. Se dici: "Sono a posto, non ho problemi" mi va benissimo, ce ne staremo buoni e quieti. Ma se qualcosa ti tocca realmente, c'è un senso a parlare.

Vuoi che sia io a domandare? Perché ti muovi così da un posto all'altro?

I.:      Per incontrare, per capire chi incontro.

M.:     Che tipo di persone? Che cosa cerchi, esattamente?

I.:      L'integrazione.

M.:     Se vuoi l'integrazione, devi sapere chi vuoi integrare.

I.:      Incontrando gente e osservandola, finisco col conoscere anche me stesso: le due cose vanno insieme.

M.:     Non necessariamente.

I.:      Una migliora l'altra.

M.:     Non è così. Lo specchio rimanda l'immagine, ma l'immagine non modifica lo specchio. Tu non sei né lo specchio, né l'immagine nello specchio. Puoi lucidarlo per renderlo trasparente, e poi ti ci guardi dentro. L'immagine che ti rimanderà, non sei tu; tu sei l'osservatore dell'immagine. Capisci bene: qualunque cosa tu percepisca, non sei quello.

I.:      Io sogno lo specchio e il mondo è l'immagine?

M.:     Poiché puoi vedere sia l'immagine che lo specchio, non sei nessuno dei due. Chi sei? Non pensare per formule. La risposta non è nelle parole. L'enunciazione più adatta è: "io sono ciò che rende possibile la percezione", la vita stessa, oltre lo sperimentatore e la sua esperienza.

Ed ora, distànziati sia dallo specchio che dall'immagine, e resta solo, fermo. Ci riesci?

I.:      No.

M.:     Come lo sai? Quanti sono i tuoi processi automatici? Digerisci, fai circolare il sangue e la linfa, muovi i muscoli, e poi percepisci, senti, pensi senza sapere come e perché. Analogamente, sei te stesso senza saperlo. Non c'è nulla di sbagliato in te in quanto te stesso, il quale è come dev'essere. Lo specchio invece non è chiaro e verace, e perciò ti dà delle false immagini: non devi correggerti - ma solo mettere a punto la tua idea di te stesso -. Impara a distanziarti dall'immagine e dallo specchio; allénati a ripetere: "Non sono la mente, non sono le sue idee". Se lo fai con pazienza e convinzione, arriverai a vederti direttamente come la fonte eterna e universale dell'essere-conoscenza-amore. Tu sei l'infinito, concentrato in un corpo. Per ora vedi solo il corpo. Se insisti, arriverai a vedere solo l'infinito.

I.:      L'esperienza della realtà è duratura?

M.:     Ogni esperienza è necessariamente transitoria. Ma ha un fondo immutabile. Nulla che si possa definire un evento, è destinato a durare. Però alcuni eventi purificano la mente e altri la intorbidano. Istanti di profonda intuizione, di amore illimitato purificano la mente; invece i desideri e le paure, le invidie e l'ira, le credenze cieche e l'arroganza intellettuale inquinano e intorpidiscono la psiche.

I.:      L'autorealizzazione è tanto importante?

M.:     Senza di essa sarai consumato dai desideri e dalle paure che si rinnovano futilmente. I più ignorano che si può arrestare il dolore. Ma, una volta udita la buona novella, bisogna immediatamente porsi al di sopra di ogni conflitto. Ora sai che puoi essere libero, e che dipende da te. Hai due alternative: sarai per sempre torturato dalla fame e dalla sete, spinto dal desiderio a cercare, afferrare, trattenere, in un gioco di perdite e rimpianti, o ti inoltrerai nella ricerca appassionata dello stato d'immutabile perfezione, cui nulla si può aggiungere e nulla sottrarre. I desideri e le paure dileguano, non perché vi si sia rinunciato, ma perché hanno perso ogni senso.

I.:      Fin qui vi ho seguito. Ora, che dovrei fare?

M.:     Non devi "fare". Sii e basta. Non c'è da scalare montagne o giacere in caverne. E neppure ti dico: "sii te stesso", giacché non ti conosci. Lìmitati a essere. Non sei né il mondo "esterno" dei percepibili, né quello "interno" dei pensabili, né il corpo né la mente.

I.:      Sicuramente ci sono dei gradi nella realizzazione.

M.:     No. Non ci si accosta per gradi. Accade, ed è irreversibile. Ruoti in una nuova dimensione, dalla quale i vecchi abiti mentali appaiono vuote astrazioni. Come al sorgere del sole si vedono le cose come sono, così, nell'autorealizzazione, tutto si mostra com'è. Il mondo delle illusioni è lasciato alle spalle.

I.:      E che altro succede? Le cose acquistano più colore, maggiore significato?

M.:     Vista come un'esperienza puoi dire così, ma non è l'esperienza della realtà (sadhanubhava), bensì dell'armonia dell'universo (sattvanubhava).

I.:      Tuttavia c'è progresso.

M.:     Solo nelle fasi preparatorie della disciplina (sadhana). La realizzazione è subitanea. Il frutto matura pian piano, ma cade di botto una volta per sempre.

I.:      Mi sento in pace fisicamente e mentalmente. Che mi occorre di più?

M.:     Può non essere il tuo stato ultimo. Ti accorgi di averlo raggiunto per l'assenza completa di desideri e paure. Dopotutto, alla loro radice, c'è la sensazione di non essere se stessi. Come un arto slogato duole finché è fuori posto, ma non ci pensi più non appena è assestato, così ogni interesse per se stessi è un sintomo di stortura mentale che sparisce non appena ritorni alla tua vera natura.

I.:      Si, ma qual è la disciplina più adatta?

M.:     Concéntrati unicamente sull'"io sono". Così, quando la mente diventa completamente silenziosa, si fa fulgida e vibra di nuova conoscenza. Tutto avviene da sé, devi solo aderire all'"io sono". Come all'uscita dal sonno o da un'estasi ti senti fresco e ristorato, anche se non ti spieghi perché, così nella realizzazione ci si sente colmi, appagati, liberi dalla stretta del piacere-dolore, e tuttavia ignari, il più delle volte, di come sia successo. Puoi formularlo solo per negazioni: "non c'è più niente in me che non vada bene". È solo rispetto a com'eri che sai di esserne fuori. Per il resto, sei giusto te stesso. Non cercare di comunicarlo. Se ci riesci, non è reale. Osservalo silenziosamente in azione.

I.:      Se mi diceste che cosa potrò diventare, controllerei meglio il mio sviluppo.

M.:     Ma non c'è un diventare! Scopri semplicemente ciò che sei. Ogni conformarsi a un modello è uno spreco penoso di tempo. Non pensare al passato o al futuro, sii e basta.

I.:      Come posso essere e basta? Diventare è inevitabile.

M.:     I cambiamenti sono inevitabili nel mutevole, ma tu non ne dipendi. Sei lo sfondo immutabile, sul quale si stagliano i cambiamenti.

I.:      Tutto muta, anche lo sfondo. Non occorre uno sfondo immutabile per notare i cambiamenti. Il sé è momentaneo: giusto il punto in cui il passato e il futuro si toccano.

M.:     Il sé fondato sulla memoria è certamente momentaneo, ed esige un'ininterrotta continuità nel passato. Ma l'esperienza t'insegna che ci sono degli stacchi in cui sei assente. Che cosa ti risveglia al mattino? Deve esserci un fattore costante che colma i vuoti nella coscienza. Se osservi attentamente, noterai che anche la tua coscienza vigile è intermittente, segnata da lacune qui e là. Che cosa c'è in esse? Chi altri le abita se non il vero te che è fuori del tempo? La mente e la sua assenza per esso si eguagliano.

I.:      C'è un luogo dove mi consigliereste di andare per realizzarmi?

M.:     L'unico luogo appropriato è dentro di te. Il mondo esterno non giova né ostacola. Nessun sistema o modello di comportamento ti condurrà allo scopo. Rinuncia a operare per il futuro, concèntrati nel presente, òccupati solo delle tue reazioni a ciò che accade via via.

I.:      Qual è la causa dell'impulso a vagabondare?

M.:     Non c'è causa. Tu sogni di vagabondare. Fra pochi anni questo soggiorno in India ti parrà un sogno. E intanto sarai immerso in altri sogni. Non sei tu che passi da un sogno all'altro, ma essi ti scorrono davanti, e tu sei il testimone immutabile. Nessun avvenimento influenza il tuo essere, questa è la piena verità.

I.:      Posso muovermi col corpo e dentro restare immobile?

M.:     Sì, ma a che scopo? Se sei serio arriverai a un punto in cui sarai stufo di vagabondare e rimpiangerai lo spreco di energie e di tempo: per trovare te stesso non devi fare neanche un passo.

I.:      C'è differenza tra l'esperienza del Sé (atman) e quella dell'Assoluto (brahman)?

M.:     L'esperienza dell'assoluto è al di là di ogni esperienza, ovvero non è sperimentabile. D'altronde, il Sé è lo sperimentatore di ogni esperienza, sicché, in un certo senso, le assevera tutte. Il mondo può essere pieno di cose preziose; ma se non c'è nessuno a comperarle, non hanno prezzo. L'assoluto contiene tutto ciò che è sperimentabile, ma senza lo sperimentatore non è nulla. Ciò che rende possibile l'esperienza è l'Assoluto. Ciò che la rende reale è il Sé.

I.:      Non raggiungiamo l'assoluto attraverso gradi di esperienza, cominciando dalle grossolane, fino alle più sottili?

M.:     Non può esserci esperienza senza il desiderio di farla. Può esserci una scala di desideri; ma tra il desiderio più sublime e la libertà da ogni desiderio, c'è un abisso che va attraversato. L'irreale può sembrare reale, ma è transitorio. Il reale non teme il tempo.

I.:      L'irreale non è un'espressione del reale?

M.:     Come può esserlo? È come dire che la verità si esprime nei sogni. Per il reale l'irreale non esiste. Sembra reale solo perché ci credi. Mettilo in dubbio e dilegua subito. Quando sei innamorato, dai realtà al tuo amore: immagini che sia onnipotente e perenne. Quando finisce, scopri che non era reale. La transitorietà è la miglior prova dell'irrealtà. Ciò che è limitato nel tempo e nello spazio, e applicabile a una sola persona, non è reale. Il reale è per tutti e sempre.

Tieni a te stesso sopra ogni altra cosa. Non accettare nulla in cambio della tua esistenza. Il desiderio di esistere è il più forte e se ne andrà solo quando ti sarai realizzato.

I.:      Anche nell'irreale c'è un'ombra di realtà.

M.:     Sì, quella che gli attribuisci scambiandolo per reale. Una volta convinto, le convinzioni ti legano. Quando il sole splende, appaiono i colori. Quando tramonta, svaniscono. Senza la luce dove sono i colori?

I.:      Questo è pensare in termini di dualità.

M.:     Il pensare è tutto nella dualità. Nell'identità nessun pensiero sopravvive.

 

Tratto da Io sono Quello

Rizzoli Editore - Milano 1981, 82

Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò

Riprodotto su autorizzazione

 

Da: http://www.riflessioni.it/testi/specchio_analista.htm

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