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Testo tratto
dall'edizione Ubaldini (Roma, 1964): Traduzione del testo sanscrito di Icilio
Vecchiotti. (Sono state apportate alcune piccole modifiche qua e là nel testo a
seguito della comparazione con altre versioni del poema.) Si
raccomanda di consultare l'edizione a stampa sopra indicata per l'ottimo
commento di Sarvepalli Radhakrishnan.
Indice
Capitolo
primo - Esitazione e angoscia di Arjuna Capitolo
secondo - Teoria Samkhya e Pratica Yoga Capitolo
terzo - Il Karma Yoga o la via nell'agire Capitolo
quarto - La via della conoscenza Capitolo
quinto - La vera rinuncia Capitolo
sesto - Il vero Yoga Capitolo
settimo - Dio e il mondo Capitolo
ottavo - Il processo dell'evoluzione cosmica Capitolo
nono - Il Signore è superiore alla creazione Capitolo
decimo - Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è conoscere tutto Capitolo
undicesimo - La trasfigurazione del Signore Capitolo
dodicesimo - La fede nel Dio personale è superiore alla meditazione
sull'Assoluto Capitolo
tredicesimo - Intorno al corpo, detto il campo, all'anima, chiamata il
conoscitore del campo e alla differenza fra l'uno e l'altra Capitolo
quattordicesimo - Il padre mistico degli esseri Capitolo
quindicesimo - L'albero della Vita Capitolo
sedicesimo - La natura del divino e lo spirito demoniaco Capitolo
diciassettesimo - I tre guna applicati ai fenomeni religiosi Capitolo
diciottesimo - Conclusione
La domanda
Dhrtarastra disse:
(1) Nel
campo (dell'adempimento) della giustizia, nel campo dei Kuru, quando si
furon messi di fronte, desiderosi di lotta, la mia gente da un lato, i Panduidi
dall'altro, che cosa fecero essi, o Samjaya? I due eserciti
Samjaya
disse: (2) Ordunque,
avendo visto allora Duryodhana, il re, l'esercito dei Panduidi disposto
in ordine di battaglia, accostatosi al maestro (gli) tenne questo discorso: (3) Guarda,
o maestro, questo possente esercito dei figli di Pandu raccolto dal tuo
sapiente discepolo, il figlio di Drupada.
(4) Quaggiù
(ci sono) eroi, grandi arcieri, pari in battaglia a Bhima e ad Arjuna
(e cioè vi sono) i Yuyudhana, Virata e Drupada il valente
guerriero. (5)
Dhrstaketu, Cekitana e il valoroso re di Kasi, Purujit
e Kuntibhoja e Saibya, eroe fra gli uomini.
(6)
Yudhamanyu il forte ed Uttamauja il prode; e inoltre il figlio di
Subhadra e i figli di Draupadi, grandi guerrieri tutti. (7) Coloro
che fra noi si trovano ad essere particolarmente distinti, i capi del mio
esercito, quelli impara a conoscere, o migliore fra i due volte nati. Costoro
per tua conoscenza io ti menzionerò per nome. (8) Tu, o
Signore, e Bhisma e Karna e Krpa vittorioso in battaglia,
Asvatthaman e Vikarna ed anche il figlio di Somadatta. (9) E molti
altri eroi, che per me son pronti a rinunciare alla vita, che sanno combattere
con armi di vario genere, tutti esperti nel guerreggiare. (10) Ingente
è questo nostro esercito, del quale sta Bhisma a presidio mentre codesto
loro esercito, retto da Bhima, non è poderoso. (11) E
(dunque) su tutti i punti del fronte, ciascuno secondo il posto (che gli
compete), saldi restando, voi tutti lottate in favore di Bhisma. Il suono dei corni
(12) Per far
sorgere ardente il desiderio di Duryodhana (di combattere) il vecchio
kuruide, l'avo valoroso, ruggì come un leone con voce poderosa. Pieno di ardore
dette fiato alla tromba. (13) Allora
conchiglie e grancasse, tamburi e timpani e corni d'un tratto si cominciò a
battere e ne nacque un rumore fragoroso. (14) Allora
stando sul grande carro aggiogato ai bianchi cavalli, Madhava e il
Panduide (Krsna ed Arjuna) dettero fiato alle loro divine
conchiglie. (15)
Krsna soffiò nel suo Pancajanya ed Arjuna nel suo Devadatta
e Bhima, l'eroe dalle spaventose imprese e dal ventre di lupo (dal grande
appetito), dette fiato alla sua grande conchiglia, Paundra. (16) Il re
Yudhisthira, figlio di Kuntì, dette fiato al suo Anantavijaya
e Nakula e Sahadeva soffiarono in Sughosa e Manipuspaka. (17) E il re
di Kasi, sommo fra gli arcieri, e Sikhandin dal grande carro,
Dhrstadyumna e Virata e Satyaki, l'invitto, (18)
Drupada e i figli di Draupadi tutti insieme, o Signore della terra, e
il figlio di Subhadra dalle forti braccia dettero fiato alle loro
conchiglie da tutti i lati. (19) Il
fragore frastornante che faceva rimbombare il cielo e la terra, lacerò i cuori
dei figli di Dhrtarastra. Arjuna guarda i due eserciti. (20) Allora
il panduide (Arjuna) che aveva per insegna la scimmia Hanuman,
dopo che ebbe visto i figli di Dhrtarastra disposti in ordine di
battaglia, e avendo inizio lo scontro delle armi, alzando l'arco, (21) O
Signore della terra, questo discorso rivolse a Hrsikesa (Krsna): o
Acyuta (Krsna), fa che il mio carro si trovi a stare fra i due
eserciti; (22) in modo
che io osservi gli uomini che qui si ergono desiderosi di battaglia, (e) che
devono combattere con me nell'agone di questa battaglia; (23) in modo
che io possa guardare costoro che son desiderosi di combattere, e che sono qui
raccolti, pronti a compiere in battaglia il volere del figlio di Dhrtarastra
dall'animo perverso. (24) Così, o
Bharata (Dhrtarastra) essendo stata rivolta la parola da
Gudakesa (Arjuna), Hrsikesa (Krsna) avendo arrestato
fra i due eserciti il migliore dei carri, (25) di
fronte a Bhisma, Drona e a tutti quei signori di terre, disse:
"Considera, o Partha (Arjuna), questi Kuru raccolti (in
questo luogo)". (26) Allora
Partha vide che stavano là padri e nonni, maestri, zii, fratelli, figli,
nipoti e compagni anche, (27) ed
anche suoceri e amici nell'uno e nell'altro esercito. E dopo che il figlio di
Kuntì (Arjuna) ebbe visto tutti quei parenti così disposti in ordine
di battaglia, (28) in
preda a (un sentimento di) grande compassione, fece, turbato, questo discorso: O
Krsna, vedendo la mia propria gente piena d'ardore guerresco e disposta
in ordine di battaglia, (29) le mie
membra vengono meno e la bocca (mi) diventa secca e un tremito nel corpo mi si
produce e così il rizzarsi dei capelli; (30)
(l'arco) Gandiva mi sfugge di mano e la pelle tutta mi arde; non riesco a
stare in piedi; la mia mente vacilla. (31) E vedo
segni contrari di augurio, o Kesava (Krsna), né posso prevedere
alcunché di meglio, se uccido la mia gente in battaglia. (32) Io non
aspiro alla vittoria, o Krsna, né a un regno né ai piaceri. A che ci
serve mai un regno, o Govinda (Krsna), a che i piaceri, a che la
vita stessa? (33) Coloro
proprio per i quali noi desideriamo regni, godimenti e piaceri, questi appunto
stanno in battaglia, rinunciando alla vita e alle ricchezze, (34)
maestri, padri, figli e nonni anche, zii e suoceri, nipoti e cognati ed altri
parenti. (35) Costoro
io non desidero uccidere, o Madhusudana pur se essi uccidono me; e
(questo) nemmeno per (avere) il triplice regno; che cosa (dire) mai dunque (se
non che non lo farei mai) per amore del dominio sulla terra (tanto inferiore)? (36) Dopo
aver ucciso i figli di Dhrtarastra, o Krsna, quale piacere
potremmo mai avere, o Janardana? Il peccato soltanto potrebbe attaccarsi
a noi, dopo che avessimo ucciso costoro, anche se essi son uomini disposti al
male. (37) Non è
cosa degna che noi uccidiamo, quindi, i figli di Dhrtarastra, nostri
parenti; in verità, come potremmo essere felici, dopo aver ucciso la nostra
gente, o Madhava? (38) Anche
se costoro, i cui animi sono dominati dall'ingordigia, non riescono a vedere
alcun male nel fatto che una famiglia sia distrutta e (non riescono a vedere)
alcuna colpa nel fatto di tradire le persone care; (39) come
non dovremmo aver noi la coscienza di doverci tener lontani da codesta colpa,
noi che ben vediamo il male che è nella distruzione delle famiglie, o
janardana? (40) Quando
una famiglia va in rovina, le antichissime sue leggi (nel senso concreto delle
virtú che ad esse si riferiscono) periscono; e quando la legge è perita,
l'ingiustizia sottomette a sé, per conseguenza, la famiglia tutta intera. (41) E
quando è l'ingiustizia quella che predomina, o Krsna, le donne della
stirpe diventano corrotte e quando le donne son diventate corrotte, si determina
la confusione delle caste. (42) E
questa confusione vale l'inferno per coloro che hanno distrutto la famiglia e
per la famiglia stessa; e (vi) cadono anche gli spiriti dei loro antenati, che
si trovano ad essere privi delle offerte di riso e di acqua. (43) Per
quei misfatti, apportatori di confusione castale, (che son opera) di coloro che
distruggono (così) la propria gente, vanno in malora le leggi della nascita e
della famiglia, che durano da tempo immemorabile. (44) E noi
abbiamo appreso dalle nostre tradizioni, o Janardana, che eternamente
dovranno vivere nell'inferno gli uomini delle famiglie, le cui leggi sono state
mandate in malora. (45) Ohimé,
un grande peccato ci siamo noi decisi a commettere, per il fatto di trovarci si
pronti ad uccidere la gente nostra per la brama dei piaceri che il regno può
dare! (46)
(Davvero) preferirei se i figli di Dhrtarastra, con le armi in pugno, mi
uccidessero, nella battaglia, senza che io opponessi loro resistenza, senza che
io avessi armi, nemmeno! (47) Così
Arjuna avendo parlato sul campo di battaglia si accasciò a sedere nel carro,
(via da sé) gettando l'arco e (la scorta del) le frecce, con l'animo angosciato.
Nell'Upanisad che si intitola Bhagavad
Gita,
Krsna rimprovera Arjuna
e lo esorta a comportarsi da valoroso
Samjaya
disse: (1) A lui
che era così preso dal suo sentimento di pietà (e) i cui occhi erano pieni
davvero di lacrime e che era affranto, Madhusudana rivolse queste parole:
Il Signore
Beato disse: (2) Da dove
ti si è fatta d'accosto questa (tua) debolezza in (questo) momento di
difficoltà? Essa tale è, che non se ne compiacerebbero gli uomini d'onore, tale
da non condurre al cielo; ed è causa di disonore (sulla terra), o Arjuna. (3) No, non
cedere a questo tuo vile sentimento, o Partha, che esso non ti si
conviene; cacciando la meschina debolezza d'animo, sorgi, o distruttore dei
nemici. I dubbi di Arjuna
rimangono irrisolti
Arjuna
disse: (4) Come
potrò, io, combattere sul campo di battaglia, con le frecce, Bhisma e
Drona ambedue degni di rispetto, oh Madhusudana (uccisore di Madhu),
oh Arisudana (uccisor dei nemici)? (5) Meglio è
mangiare il cibo del mendico, pur esso, in questo mondo qui, che uccidere questi
venerandi maestri; con l'uccidere essi che sono i miei maestri, anche se sono
bramosi di guadagno, godrei piaceri macchiati di sangue. (6) E
nemmeno questo sappiamo, quale delle due cose sia per noi migliore, che li
vinciamo noi, o che essi ci vincano. I figli di Dhrtarastra, dopo aver
ucciso i quali noi non avremo più desiderio di vivere, sono là, schierati in
ordine di battaglia, faccia a faccia davanti a noi. (7) Il (mio)
proprio essere è preda dello smarrimento per questa mia colpa della compassione.
Poiché la mente mi si confonde a proposito di quel che è, il mio proprio dovere,
io ti domando: dimmi con certezza quale sia il meglio. lo sono il tuo discepolo;
istruisci me, che in te cerco rifugio. (8) Davvero
non vedo che cosa possa allontanare da me questa angoscia che priva di ogni
forza i miei sensi; (non ci potrebb'essere cosa alcuna capace di tanto) neppure
se io raggiungessi sulla terra un ricco regno di incontrastabile potenza o
avessi pur anche l'assoluto dominio degli esseri celesti. Samjaya
disse: (9)
Gudakesa, l'uccisore dei nemici, avendo così parlato a Hrsikesa, (e)
dopo aver detto a Govinda "non combatterò" se ne stette in silenzio. (10) (E) a
lui (così) smarrito, in mezzo ai due eserciti, o Bharata, Hrsikesa,
come sorridendo, rivolse questo discorso: La distinzione fra il
Sé e il Corpo:
non dobbiamo
affliggerci per ciò che non può perire
Il Signore
Beato disse: (11) Per
coloro ai quali non si addice il tuo pianto, ti affliggi, eppure sai dire parole
assennate. (Ma) i saggi non si affliggono né per i morti né per quelli che morti
non sono. (12) Né mai
c'è stato tempo in cui io non esistessi, né tu (esistessi) né questi signori di
uomini, né di poi, in appresso, ci sarà tempo in cui noi tutti non saremo (non
esisteremo più, avremo cessato di essere). (13) L'anima
dopo che in questo corpo è stata, (per) la fanciullezza, la gioventù, la
vecchiaia, allora appunto realizza l'assunzione di un altro corpo. L'uomo, fermo
di spirito, non trae da ciò motivo di smarrimento. (14) I
contatti con le cose materiali, o figlio di Kuntì, fanno sentire caldo e
freddo, piacere e dolore; vanno e vengono e sono impermanenti. Apprendi a
sopportarli, o Bharata. (15) L'uomo
che questi (contatti) non turbano, o capo di uomini, l'uomo fermo, che rimane lo
stesso nel piacere e nel dolore, questo si rende adatto all'immortalità. (16) Di ciò
che non esiste non si dà venire all'essere; di ciò che esiste non c'è cessazione
dell'essere. La conseguenza ultima dell'uno e dell'altro punto è stata scorta da
quelli che vedono l'essenza della verità. (17) Sappi
dunque che ciò da cui tutto questo (mondo della molteplicità) si è diffuso, è
indistruttibile. Di questo immutabile essere non c'è alcuno che possa causare la
distruzione. (18) Questi
corpi dell'anima eterna (che vi si diffonde), indistruttibile e incomprensibile,
son detti esser tali da avere una fine. Per questo, combatti, o bharata (Arjuna). (19) Colui
che pensa che sia esso ad uccidere e colui che pensa sia esso ad essere ucciso,
sono tutti e due in errore, (perché) esso non uccide né è ucciso. (20) Esso
non nasce mai, né mai muore, né, essendo ciò che è venuto ad essere, (di nuovo)
cesserà di essere; è non-nato, eterno, permanente, originario; non è ucciso,
quando il corpo è ucciso. (21) Colui
che sa che esso (il Sé) è indistruttibile ed eterno, non-generato e immutabile,
come può quella persona, o Partha, uccidere o far uccidere qualcuno?
(22) Come un
uomo smettendo i vestiti usati, ne prende altri nuovi, così proprio l'anima
incarnata, smettendo i corpi logori, viene ad assumerne altri nuovi. (23) Le armi
non fendono il Sé, il fuoco non lo brucia; né lo bagnano le acque, né lo
dissecca il vento.
(24) Esso è
tale che non lo si può fendere, tale da non poter essere arso, da non poter
essere né bagnato né disseccato. Eterno è, onnipervadente, immoto ed immobile;
esso è sempre identico a sé. (25) Esso è
detto non-manifesto, impensabile, immutabile. Per tale sapendolo, non deve
affliggerti. (26) Anche
se pensi che esso (il sé) nasca eternamente ed eternamente muoia, anche allora,
o uomo dal braccio possente, non devi tu trarne motivo d'angoscia. (27)
Dell'uomo che è nato in verità certa è la morte; e certa è la rinascita per
quello che è morto. Di conseguenza, da ciò che è inevitabile non devi tu trarre
motivo d'angoscia. (28) Gli
esseri non sono manifesti nel principio del loro esistere, sono manifesti nel
loro esistere di mezzo e di bel nuovo non manifesti alla fine del loro esistere,
o Bharata. Quale (motivo di) pianto può essere, quindi, in ciò? (29) L'uno
guarda ad esso come a qualcosa di meraviglioso; un altro parla di esso come di
qualcosa di meraviglioso; un altro ancora ne sente (parlare) come di qualcosa di
meraviglioso; ma anche dopo averne udito, non c'è alcuno che l'abbia conosciuto. (30) L'Anima
(il Sé) (che ha preso sede) nel corpo di ciascuno, o Bharata è eterna e
non può mai essere uccisa. Perciò non devi tu trarre motivo di ansia per alcuna
creatura. Appello al sentimento
del dovere
(31) E poi,
considerando il tuo proprio dovere, non dovresti farti prendere da emozione; non
esiste alcun'altra cosa che per uno Ksatriya valga di piú della battaglia
combattuta secondo il proprio dovere. (32)
Felicemente gli Ksatriya accolgono una guerra siffatta venuta da sé
spontaneamente (quale) porta aperta del cielo, o Partha. (33) Ma se
tu poi non vuoi compiere questa lotta secondo giustizia, allora, col metter da
parte il tuo dovere e la tua gloria, commetterai peccato. (34)
Inoltre, gli uomini parleranno sempre della tua vergogna; e per uno di cui si è
sempre avuta un'alta opinione, il disonore è peggiore della (stessa) morte. (35) I
grandi guerrieri penseranno che tu ti sia astenuto dal combattimento per paura;
e andrai incontro al disprezzo di coloro dai quali tu eri pur ora molto stimato. (36) Molte
parole disonorevoli pronunceranno i tuoi nemici, i quali si faranno beffe del
tuo valore. Che cosa potrebbe essere dunque (per te) piú penoso di questo? (37) (Delle
due l'una): o ucciso otterrai il cielo o, vincitore, ti godrai (questa) terra;
sorgi, quindi, o figlio di Kuntì, deciso alla battaglia. (38)
Ugualmente stimando piacere e dolore, vincita e perdita, vittoria e sconfitta
apprestati dunque alla battaglia; non potrai così commettere peccato. (39) Questa
è, (così) a te trasmessa, la sapienza del samkhya (o secondo ragione).
Epperò ascolta quella (dello Yoga) che ora ti dirò; da una siffatta sapienza se
sarai avvinto, o Partha, potrai sfuggire ai vincoli del karma
(alle conseguenze delle tue opere). Yoga e mentalità
mondana
(40) Qui (in
questo procedere o processo) non c'è cosa alcuna che neutralizzi lo sforzo, non
c'è difficoltà (che tenga); anche un minimo di questo giusto procedere (di
questo dharma) salva da grande paura. (41) In
questo processo l'intelletto risoluto è unico, o gioia dei Kuru; (ma) in
verità dalle molte ramificazioni e senza termini sono gli intelletti di quelli
che non hanno fermo lo spirito. (42-43) I
non-esperti (quelli che non vedono, gli stolti) che si compiacciono dei precetti
vedici intesi alla lettera (delle parole dei Veda), quelli che dicono che non
c'è altro, coloro il cui essere è desiderio e che hanno lo spirito fisso al
cielo soprattutto, proclamano per l'appunto queste fiorite parole, le quali
concludono al (concetto della) la rinascita come frutto delle azioni ed
implicano molti riti speciali per ottenere il dominio e il godimento. (44)
L'intelligenza distinguente di coloro che sono dediti al dominio e al godimento
e le cui menti sono rapite da essi non può fissarsi decisa nella concentrazione
Yogica. (45) I Veda
riguardano il dominio dei tre guna (delle tre qualità o modi); ma tu
dalle tre qualità diventa libero, o Arjuna; renditi libero dalle coppie
degli opposti, col volere fermo alla somma realtà, senza curarti di acquistare e
conservare, padrone del tuo vero Sé. (46) In quel
modo che (si può dire che vi sia) utilità in una cisterna (situata) in un luogo
che sia da ogni parte inondato dalle acque, in questo stesso modo (vi può essere
utilità) in tutti i Veda per il Brahmano che è in grado di intendere. Operare senza interesse
per i risultati
(47) Tu hai
un diritto particolare (o privilegio relativo alla condizione umana) all'azione,
ma in nessun caso un diritto ai suoi frutti; non essere come uno che dipende dal
frutto del karma; e non sia in te neanche attaccamento alcuno alla
non-azione. (48) Ben
saldo nello Yoga, compi le opere tue, o possessore della ricchezza, dopo aver
messo da parte l'attaccamento, con la stessa disposizione d'animo rimanendo, nel
successo e nella sconfitta: la mente in equilibrio (continuo) di indifferenza,
ha il nome di yoga. (49) Di gran
lunga inferiore è il (puro e semplice) agire all'equilibrio dell'intelletto
aggiogato, o possessore della ricchezza; nell'intelletto cerca rifugio; tali da
destare pietà son coloro che vanno alla ricerca del frutto (del loro agire). (50) Colui
che ha raggiunto l'equilibrio dell'intelligenza aggiogata elimina anche in
questo mondo tutti e due, il bene e il male. Lotta dunque per (realizzare) lo
yoga; lo yoga è abilità nell'agire. (51) I saggi
che, rinunciando al frutto, prodotto dal loro agire, realizzano l'unione del
loro spirito (con l'essenza divina del mondo), dal legame delle nascite
liberati, raggiungono una condizione stabile (o dimora) al di là di ogni male. (52)
Allorché il tuo intelletto attraverserà la pienezza della delusione, allora
appunto perverrai al disgusto per ciò che deve essere udito e per ciò che è
stato udito. (53)
Allorchè il tuo intelletto, che è disorientato dalla sruti, si ergerà fermo ed
immoto nella somma coscienza, allora appunto raggiungerai lo yoga. I caratteri del
perfetto sapiente
Ariuna
disse:
(54) Qual è
la descrizione dell'uomo che possiede salda questa conoscenza, di colui che è
fermo nella meditazione, o Kesava? L'uomo dal fermo spirito come dovrebbe
parlare, come sedere, come camminare? Il Signore
Beato disse: (55) Quando
uno espelle tutti i desideri che son venuti nell'animo suo, o Partha, ed
è di sé soddisfatto nell'intimo suo, allor appunto prende il nome di uomo dalla
stabile capacità discriminativa. (56) Colui
che ha l'animo libero da turbamento, pur in mezzo ai dolori, e va esente da
desideri violenti, pur in mezzo ai piaceri, colui che è libero da passione,
paura e collera, ha il nome di uomo di fermo spirito. (57) Colui
che è privo d'affezione sotto ogni aspetto (che non prova attaccamento per cosa
alcuna), che a seconda dei casi provando bene o male non gode, non detesta, di
questo (uomo) l'intelletto è saldamente fondato (nella somma conoscenza). (58)
Allorché uno ritrae i sensi dagli oggetti sensibili, da ogni parte, come la
tartaruga le membra (nel guscio), di questo (uomo) l'intelletto è saldamente
fondato (nella somma conoscenza). (59) Gli
oggetti sensibili si ritraggono dall'anima incarnata di colui che si astiene dal
fruirne: non così il gusto per essi. Ma anche il gusto per queste cose dilegua,
dopo che si è visto il Supremo. (60) Anche
dell'uomo che lotta (per raggiungere la perfezione) e che ben sa discernere, o
figlio di Kuntì, i sensi distruttori con violenza rapiscono lo spirito. (61) Ed essi
tutti (i sensi) padroneggiando, nell'equilibrio yogico stia fermo a me devoto
(di me solo occupandosi); poiché è saldamente fondato nella somma conoscenza
l'intelletto di colui sotto il cui controllo sono i sensi. (64) Ma un
(uomo) che ha lo spirito sottomesso alla regola (vidhi) e che si muove
fra gli oggetti dei sensi, con i sensi disgiunti da passione e avversione e
dipendenti dalla sua volontà, (questi) raggiunge la purezza dello spirito. (65) E in
(codesta) purezza di spirito è prodotta, così da appartenergli, la cessazione di
tutte le pene; la capacità discriminatrice dell'uomo dallo spirito puro in breve
termine si stabilisce (nella quiete del sé). (66) In
colui che non ha raggiunto la saldezza del controllo non ci può essere capacità
discriminatrice; né d'altra parte in colui che non ha raggiunto il controllo può
darsi il potere di determinare l'esperienza fenomenica (concentrazione) e in
colui che non ha un siffatto potere di concentrazione non c'è pace e, per colui
che pace non ha, come può esserci felicità? (67) Quello
spirito che si conforma ai sensi che perennemente si agitano, quello appunto
trae seco la capacità di distinguere, come il vento (trascina qua e là) la nave
sull'acqua (del mare). (68) Di
conseguenza, o uomo dal forte braccio, colui i cui sensi siano per ogni verso
distolti dagli oggetti sensibili, di quell'uomo appunto la capacità di
distinguere è saldamente fondata. (69) In
quella che è notte per tutti quanti gli esseri (in essa appunto) veglia colui
che è padrone di sé; ed è notte per il saggio veggente ciò che per gli (altri)
esseri è tempo di veglia (il tempo in cui gli altri esseri vegliano). (70) Colui
nel quale tutti i desideri entrano, nello stesso modo in cui le acque entrano
nel mare, che, sebbene continuamente ne sia rifornito, rimane tuttavia esente da
movimento, un tale uomo appunto raggiunge la pace, e non già colui che è preda
di tutte le passioni. (71) L'uomo
che allontanando tutti i desideri agisce esente da desiderio, quegli appunto,
distaccato dal proprio ego, senza orgoglio o egocentrismo, raggiunge la pace. (72) Questo
è lo stato brahmanico, o Partha: e quando uno l'ha raggiunto non è
possibile che (poi) si smarrisca spiritualmente; e in esso (stato) rimanendo
anche nell'ora della morte, (si) raggiunge il nirvana identico alla
realtà brahmanica.
Questo è il secondo capitolo che ha per
titolo
Se le cose stanno così,
perché operare?
Arjuna
disse: (1) Se
l'intendere tu ritieni che sia superiore all'agire, o Janardana, perché
mai allora vuoi impormi (di compiere questo) terribile atto, o Kesava? (2) Con un
modo di esprimerti che è per così dire ambiguo, tu hai l'aria di portar
confusione nel mio intelletto. Dimmi dunque, con definita certezza, (quale sia)
l'unica cosa per mezzo della quale io possa raggiungere il sommo bene.
Vivere è operare;
necessaria l'indifferenza per il risultato
Il Signore
beato disse: (3) O (eroe)
senza macchia, un duplice modo di trar conclusioni del genere in questo mondo è
stato dianzi da me indicato, quello che si riferisce alla via della conoscenza,
e riguarda i contemplativi, e quello che si riferisce alla via dell'operare, e
riguarda gli uomini d'azione. (4) Non con
il tenersi lontano dall'operare, può l'uomo arrivare a conquistare la libertà
dall'agire; e non con la rinuncia al mondo, puramente e semplicemente, può
raggiungere la perfezione. (5) E in
verità proprio nessuno, nemmeno forse per un istante, può restar senza operare;
ogni atto è qualcosa che si è indotti a compiere, in modo necessario, dalle
qualità che hanno origine nella natura stessa. (6) Colui
che, controllando gli organi dell'agire, di continuo però pone mente, con il
(suo) spirito, agli oggetti dei sensi, costui dall'animo ambiguo è detto essere
uno che agisce in modo menzognero. (7) Colui
invece che, controllando i sensi con la sua mente, o Arjuna, senza
attaccamento intraprende la strada dello Yoga sulla base degli organi
dell'agire, questi (sugli altri) eccelle. (8) Tu,
compi l'opera che ti è stata affidata, che davvero l'agire meglio è del non
agire; perfino mantenere il tuo corpo non sarebbe possibile senza l'agire. (9) Escluso
l'agire che è in funzione di sacrificio (agire non vincolante -N.T.), questo
mondo qui è vincolato all'azione; e in funzione di ciò appunto (in funzione
sacrificale), o figlio di Kuntì, compi l'opera tua, libero da
attaccamento. (10) Nei
tempi antichi, il Signore delle creature, creando le generazioni degli uomini
insieme con il sacrificio, disse: "Con questo voi procreate e questa sia per voi
la vacca dell'abbondanza che realizzerà i vostri desideri". (11) Per
mezzo di esso sostentate gli dei ed essi, gli dei, vi sostentino; reciprocamente
sostentandovi, attingerete il sommo Bene. (12) E gli
dei appunto, sostentati dal sacrificio, a voi daranno le gioie desiderate. Colui
che gode di questi doni, senza restituirli ad essi, è veramente un ladro. (13) I buoni
che mangiano i resti del sacrificio si liberano di tutti i peccati; ma quei
malvagi che mettono a cuocere (il cibo) per se stessi, costoro veramente
mangiano peccato. (14) Dal
cibo le creature hanno l'esistere; dalla pioggia ha origine il cibo; dal
sacrificio la pioggia ha l'esistere e dall'operare il sacrificio nasce. (15) Sappi
che il karma, l'operare stesso, ha origine in Brahma e che il
Brahma ha origine dall'Assoluto. Epperò il Brahma, che tutto
compenetra, eternamente si appoggia sul sacrificio. (16) Colui
che non dà il suo aiuto (per girare) in questo mondo la ruota (del divenire
terreno) che così intorno si volge, (è un) mascalzone, uno che cerca il piacere
dei sensi (e) vive invano, o Partha. Sii contento del Sé
(17) Colui
però che sia tale da godere solo del Sé, l'uomo che del Sé è contento, che del
Sé completamente si soddisfa, (quest'ultimo è tale che) per lui non esiste cosa
che deva essere necessariamente fatta. (18) Né
d'altra parte ci può essere alcun suo interesse in azione da lui compiuta, in
questo mondo, né, in alcun modo, in azione che egli non abbia compiuta. Né,
ancora, in tutti (questi) esseri può egli trovare in alcun modo protezione per i
suoi interessi. (19) Perciò
realizza sempre senza attaccamento l'atto che deve esser compiuto perché davvero
l'uomo, compiendo l'opera senza attaccamento, attinge la Suprema Realtà. Siate d'esempio agli
altri
(20) Per
mezzo delle opere appunto Janaka e gli altri si trovarono a conseguire la
perfezione; avendo insieme anche lo sguardo alla conservazione del mondo, devi
tu operare. (21)
Qualsiasi cosa compia un uomo sommo, quella appunto (fanno) anche gli altri
uomini; quel modello che egli stabilisce, esso appunto la gente segue. (22) Non c'è
nulla, affatto, o Partha, nei tre mondi, che io debba fare né alcuna cosa
che debba ottenere, che non sia stata da me ottenuta; e però mi trovo nella
condizione di chi è (impegnato) nell'operare (pur senza essere effettivamente
impegnato - N.T.). (23) Se io
non mi mettessi nella condizione di chi è impegnato sempre infaticabilmente
nell'operare, gli uomini, o Partha, in tutte le guise seguirebbero le mie
orme (come sempre fanno - N.T.). (24)
Sparirebbero questi mondi, se io non dessi piú luogo a questo mio operare e
sarei allora il creatore del disordine e sarei io stesso a causare la
distruzione di queste creature. (25) Come
gli ignoranti agiscono nell'attaccamento al loro operare, così appunto gli
uomini istruiti e consapevoli devono agire senza attaccamento, in vista di
realizzare la conservazione del mondo. (26) Che
(colui che sa) non faccia nascere aberrazione mentale negli spiriti degli
ignoranti che sono attaccati all'operare. Colui che sa deve far compiere tutte
le opere, agendo nello spirito yogico del raggiunto equilibrio. Il Sé non agisce
(27) Le
opere di ogni genere sono compiute dai modi della natura; (ma) colui che è
traviato dal sentimento del proprio ego pensa: "sono io colui che fa". (28) Ma
colui che conosce la sostanza delle due distinzioni (del Sé) dai modi della
natura e dall'operare (che ad essi pertiene), o eroe dal braccio possente,
pensando sono i modi ad agire sui modi, non patisce attaccamento. (29) Coloro
che sono fuorviati dai modi naturali patiscono attaccamento agli atti prodotti
dalle qualità naturali stesse. Che nessuno dotato di scienza completa del tutto,
faccia deviare le menti di costoro che hanno una scienza solo parziale. (30)
Abbandonando a me le opere tue, con la mente fissa al Primo Sé, libero dai
desideri, esente da egoismo, combatti, libero da (codesta tua) febbre. (31) Quegli
uomini che, dotati di fede (e) liberi da sentimenti ostili (desiderio di
discutere), di continuo si adeguano a questo mio insegnamento, son liberati
dalle opere. (32) Coloro
invece che biasimando il mio insegnamento non lo seguono, questi appunto sappi
che restano smarriti di fronte ad ogni sapienza, perduti e senza (porre) mente a
nulla. (33) In modo
conforme alla sua propria natura agisce anche l'uomo che ha conoscenza. Gli
esseri seguono (in genere) la loro propria natura. Che cosa mai potrà fare la
coercizione? (34)
Attrazione e ripulsa che nascono da un senso si trovano ad esser fissati nei
riguardi degli oggetti di (quel determinato) senso (cioè: ogni oggetto
sensibile produce naturalmente attrazione o avversione, nel senso che gli si
riferisce - N.T.). Sotto il dominio di queste cose mai venga alcuno, perché
rappresentano per lui (gli eterni) due nemici. (35) è
migliore la legge intrinseca che a ciascuno pertiene, anche se solo
inadeguatamente si riesca a praticarla, che non la legge altrui, anche se ben
praticata. Migliore è la morte nel compimento della legge che ci compete,
(perché) (l'attuazione del) la legge altrui porta con sé pericolo. Il Nemico è Passione e
Iracondia
Arjuna
disse: (36) Ma
allora da che cosa aggiogato un uomo commette peccato, anche contro la sua
volontà, o Varsneya, come per forza costretto? Il Signore
beato disse: (37) Tale
(come tu dici) è la brama, tale è l'ira, ed esse nascono da quel modo della
natura che è il rajas, la passione, che tutto divora,
tremendamente peccaminosa. Sappi che questo è, nel nostro mondo qui, il nemico. (38) Come
dal fumo è coperto il fuoco, come dalla polvere lo specchio, come dall'utero
l'embrione, così questo mondo è ricoperto da quello (dal rajas,
dalla passione). (39)
Avviluppata è la conoscenza da questo eterno nemico del saggio, o figlio di
Kuntì, dal fuoco del desiderio, difficile da soddisfare, che assume forme a
suo piacimento. (40) I
sensi, la mente, la facoltà di distinguere son chiamati il suo seggio; con
questi avviluppando la conoscenza, esso svia l'anima incarnata. (41) Quindi
tu, o migliore fra i Bharata, dal principio controllando i sensi, uccidi
il maligno distruttore della scienza e della conoscenza distinguente. (42)
Eccellenti sono i sensi, essi dicono, dei sensi piú grande è la mente, piú
grande della mente è l'intelligenza distintiva, ma piú grande (ancora)
dell'intelligenza è Lui (maschile nel testo). (43) Così
essendo venuto a conoscere colui che è al di là dell'intelligenza distinguente,
rinsaldando il sé (inferiore) per mezzo del Sé, uccidi, o eroe dal forte
braccio, il nemico che ha la forma del desiderio e che è così duro da
affrontare.
Questo è il terzo capitolo che ha per
titolo
La tradizione dello Jnana Yoga
Il Signore
Beato disse: (1) Questo
yoga imperituro io già proclamai a suo tempo a Vivasvan; Vivasvan
lo espose a Manu e Manu lo descrisse a Iksvaku.
(2) Così
trasmesso dall'uno all'altro lo conobbero i reali profeti (finché) quello yoga
si perse in questo nostro mondo, per il gran trascorrer del tempo, o uccisor dei
nemici. (3) Appunto
questo antico yoga ti è stato oggi esposto da me; perché tu sei il mio fedele e
il mio amico; questo è appunto il sommo segreto. Arjuna
disse:
(4)
Posteriore è stata la nascita di (Tua) Vostra Signoria, anteriore invece la
nascita di Vivasvan: in che modo si deve dunque intendere il fatto che Tu
al principio gli abbia esposto queste cose? La Teoria degli Avatara
Il Signore
Beato disse: (5) Molte
sono le mie vite passate e così anche le tue, o Arjuna; io, le conosco
tutte, ma tu non le conosci, o distruttore dei nemici. (6) Sebbene
sia non-nato e sia inalterabile nel Sé, sebbene sia il signore delle creature,
pur essendo saldamente fondato in quella natura che mi è propria, io vengo
all'essere (empirico) attraverso il potere che mi appartiene. (7) Laddove
ha luogo un declino del giusto, o Bharata, e l'affermarsi
dell'ingiustizia, allora io creo me stesso nella forma dell'incarnazione. (8) Per la
protezione dei buoni, per la distruzione dei malvagi, per dare stabile
fondamento al regno della giustizia, io vengo nell'esistere di età in età. (9) Colui
che conosce nella loro autentica essenza la mia divina nascita e il mio operare,
non avrà altra nascita, ma a me egli verrà, o Arjuna. (10) Liberi
da passione, paura ed ira, in me consistenti (fatti di me), in me rifugiati,
molti purificati dalla pratica austera della conoscenza, hanno raggiunto la mia
condizione di essere. (11) Quando
gli uomini vengono a me, allora appunto io li accolgo; da tutte le parti
(seguono il mio cammino) sulle mie orme insistono gli uomini, o Partha. (12) Coloro
che desiderano la fruizione delle loro opere, sacrificano in questo mondo agli
dei (cioè alle varie forme della divinità - N.T.), perché rapido (effimero) è in
questo mondo umano il godimento delle conseguenze delle opere. L'essenzialità
dell'assenza del desiderio nell'opera divina
(13) Il
sistema delle quattro caste fu creato da me secondo la suddivisione delle
qualità e delle opere. Sappi che io, sebbene sia il creatore, sono uno che non
agisce e non muta. L'agire senza
attaccamento non porta alla condizione di vincolo
(14) Le
opere non mi rendono impuro; in me non ha sede desiderio alcuno di frutto; colui
che così mi conosce non riceve vincolo dall'operare. (15) Con
questa consapevolezza si dette luogo all'operare anche da parte degli uomini
antichi che anelavano alla liberazione. Per questo compi anche tu l'opera (come)
compiuta dagli antichi nei tempi andati. Agire e non-agire
(16) Che
cos'è l'agire? Che cos'è il non-agire? A questo proposito, anche gli antichi
saggi-poeti sono esitanti. Io ti rivelerò che cos'è l'agire, e ciò conoscendo
sarai liberato dal male. (17) Si deve
intendere che cosa sia l'agire e così anche s'ha da intendere che cosa sia
l'agire non-retto e bisogna intendere che cosa sia il non-agire. Estremamente
ardua è la strada dell'agire. (18) Colui
che vede nell'agire il non-agire e l'agire nel non-agire, quegli è saggio fra
gli uomini, quegli è uno che ha realizzato l'unione e che ha portato del tutto a
compimento l'opera sua. (19) Colui
le cui imprese sono tutte esenti dall'atto di volizione che procede dal
desiderio, colui le cui opere sono bruciate al fuoco del conoscere, questo,
appunto, i sapienti chiamano un uomo di sapere. (20) Avendo
dismesso l'attaccamento al frutto dell'operare, sempre soddisfatto, senza
doversi appoggiare ad alcunché, egli non fa nulla, sebbene sia sempre occupato
ad agire. (21) Se non
ha desideri, (se vive) con il controllo del proprio pensiero e del proprio sé,
per esser uno che ha rinunciato ad ogni forma di possesso, dando luogo ad un
agire del tutto limitato alla sfera corporea, non commette male. (22) Colui
che rimane soddisfatto del guadagno fortuito, che ha superato il regno del due,
che è libero da sentimenti ostili, (che è) uguale (a se stesso) nel successo e
nell'insuccesso, anche agendo, non rimane soggetto a vincoli. (23)
L'operare dell'uomo il cui attaccamento è scomparso, che ha raggiunto la
liberazione, il cui spirito è saldamente fondato nel conoscere, che opera come
per un sacrificio, si dissolve completamente. (24) (Per
quest'ultimo) l'atto dell'offrire è Brahma, Brahma è l'offerta
stessa rituale; da Brahma è versata (l'azione che si identifica con il
sacrifizio) nel fuoco sacrificale. Da colui che realizza Brahma nel suo
operare, Dio è ciò che deve esser attinto. Il sacrificio e il suo
valore simbolico
(25) Alcuni
yoginah offrono il (divino) sacrificio come rivolto agli dei, altri
(invece) offrono il sacrificio per il sacrificio (per mezzo del sacrificio) nel
fuoco di Brahma. (26) Altri
sacrificano l'udito e gli altri sensi nel molteplice fuoco del controllo di sé;
altri offrono il suono e gli altri oggetti di senso nel fuoco molteplice del
senso. (27) Altri
ancora offrono tutti gli atti dei loro sensi e gli atti del flusso vitale (prana)
nel fuoco dello yoga dell'autocontrollo, acceso dalla conoscenza. (28) Altri,
in simile modo, son quelli che offrono sacrifici materiali (oppure) il
sacrificio della loro vita da penitenti (oppure) il sacrificio degli esercizi
yogici; ed altri ancora, asceti che osservano i voti, (son quelli che) offrono
in sacrificio i loro studi e la loro dottrina. (29) Altri
poi similmente, interamente dediti al controllo del respiro, arrestando i
movimenti di espirazione ed inspirazione, sacrificano il fiato che inspirano in
quello che espirano e il fiato che espirano in quello che inspirano. (30) Altri
(poi), che son coloro che limitano il cibo, sacrificano i flussi
vitali (immergendoli) negli stessi flussi vitali. Tutti costoro nell'insieme
sono quelli che sanno che (cosa) sia il sacrificio, e (sono coloro che)
distruggono le impurità per mezzo del sacrificio. (31) Coloro
che mangiano il cibo sacro che resta del sacrificio attingono l'eterno Brahma;
questo mondo non è di colui che non offre alcun sacrificio: come (potrebbe
esserlo) un altro (mondo), o ottimo fra i Kuru (Arjuna)? (32) Così
dunque varie forme di sacrificio si dispiegano nel volto del Brahman.
Sappi che esse tutte nascon dall'operare e, così sapendo, avrai la liberazione. Conoscere ed Operare
(33) La
conoscenza come sacrificio è maggiore di ogni sacrificio materiale, o distruttor
dei nemici; ogni opera, senza escluderne alcuna assolutamente, interamente si
risolve nel conoscere. (34) Impara
ciò con sentimento di sottomissione, formulando questioni e con reverente
rispetto. Gli uomini che sanno e che hanno avuto la conoscenza immediata della
verità ti mostreranno l'oggetto del conoscere. Elogio del conoscere
(35) E
quando tu avrai conosciuto questo, non cadrai di nuovo, o Pandava, nella
confusione (di prima); per questo mezzo potrai vedere gli esseri tutti senza
esclusione, nel Sé, quindi, in Me. (36) Anche
se tu fossi il piú (grande) peccatore di tutti i malvagi, potrai passare
attraverso ogni peccato e superarlo, con il solo mezzo della nave del conoscere. (37) Come il
fuoco che arde riduce in cenere ciò che lo alimenta, o Arjuna, così il
fuoco del conoscere riduce in cenere tutte le opere. (38) Non si
conosce su questa terra mezzo di purificazione che sia pari al sapere; colui che
ha raggiunto la perfezione yogica lo trova, coll'andar del tempo, nel suo
proprio sé, come qualcosa che gli appartiene. La fede è necessaria
per il raggiungimento della conoscenza
(39) Colui
che ha fede, che ha ciò (la conoscenza-sapienza) per fine supremo, colui che ha
il controllo dei sensi consegue la conoscenza-sapienza e, avendo conseguito la
conoscenza, ben presto raggiunge la pace suprema. (40) Ma
colui che è completamente privo di conoscenza, colui che non ha fede, che ha
l'animo dubbioso, perisce. Per colui che ha l'animo dubbioso non c'è né questo
mondo, né un altro, non c'è felicità. (41) Le
opere non vincolano colui che ha rinunciato alle opere attraverso lo yoga, che
ha distrutto i dubbi attraverso la conoscenza e che ha il dominio di sé, o
possessore della ricchezza. (42) Perciò,
dopo aver tagliato con la spada della conoscenza questo dubbio che ha preso sede
nel tuo cuore e che è opera dell'ignoranza, ricorri allo yoga e sorgi, o
Bharata.
Tale è il quarto capitolo intitolato
Samkhya e Yoga portano
allo stesso fine
Ariuna
disse:
(1) Tu lodi,
o Krsna, (nel contempo) la rinuncia alle opere e poi anche lo yoga (che
comporta la loro realizzazione senza attaccamento). Quale delle due cose sia
migliore (che una dov'essere), dimmi, come cosa ben stabilita. Il Signore
Beato disse: (2) La
rinuncia alle opere e il compierle senza intenzione egoistica son cose, tutte e
due, che danno luogo a quella felicità della quale non c'è una maggiore. Ma dei
due (termini dell'alternativa) il compiere le opere senza intenzione egoistica è
superiore alla (pura e semplice) rinuncia alle opere (stesse) (3) Colui
che non odia, che non ha desideri deve essere chiaramente conosciuto come colui
che è sempre permeato dello spirito della rinuncia; in quanto è esente dalla
dualità, o eroe dal braccio possente, egli è facilmente libero da legame. (4) Gli
sciocchi proclamano che il Samkhya e lo Yoga sono due cose separate, ma
non così proclamano coloro che sanno. Colui che si dedica in modo compiuto anche
ad una (sola dottrina), ottiene il frutto di tutte e due. (5) Quella
condizione che è attinta da coloro che seguono la via della rinuncia (e della
conoscenza intellettiva), essa appunto è raggiunta anche dagli uomini che
seguono la via dell'operare. Colui che vede essere una sola (via) le vie della
rinuncia e dell'azione, quello appunto vede (veramente). (6) Ma la
rinuncia, o uomo dalle braccia possenti, difficile è da ottenere senza lo Yoga.
L'asceta che si dedica alla via dello yoga (del karmayoga), attinge ben
presto l'Assoluto. (7) Colui
che dedicandosi costantemente alla via dello Yoga ha l'animo puro, colui che ha
vinto se stesso, che è signore dei sensi, il cui sé è divenuto il sé di tutti
gli esseri, anche se opera, non è macchiato (dal suo operare). (8-9) "Io
non faccio in realtà cosa alcuna": così può pensare colui che ha raggiunto
l'unità con il divino e che conosce la verità delle cose; vedendo, udendo,
avvertendo sensazioni tattili, percependo odori, gustando sapori, camminando,
dormendo, respirando, parlando, respingendo, afferrando, aprendo gli occhi,
chiudendoli, pur nell'atto di far tutto ciò, si rende conto del fatto che sono i
sensi a volgersi intorno agli oggetti dei sensi. (10) Colui
che opera, dopo aver rinunciato all'attaccamento, deponendo le sue opere in
Brahma, lui appunto non è macchiato dal peccato, così come foglia di loto
non (è toccata) dall'acqua. (11) Gli
yoginah (qui, coloro che seguono la via dell'azione) compiono le loro opere
con il corpo, con la mente, con la capacità discriminatrice intellettiva o anche
soltanto coi sensi, rinunciando all'attaccamento, per purificare i loro sé
individuali. (12) Colui
che realizza lo yoga secondo questi principii, rinunciando al frutto del suo
operare, raggiunge la pace che non vacilla, ma colui che cosi non realizza lo
yoga, essendo condizionato dai suoi desideri e restando attaccato al frutto
dell'azione, subisce (di conseguenza) la legge del vincolo. (13) L'anima
incarnata, col rinunciare a tutte le azioni per un atto interiore, padrona di
sé, a suo agio dimora nella città dalle nove porte, senza operare e senza far
operare. (14) Il
Sommo non crea ciò che dà luogo agli atti, non gli atti stessi che gli uomini
compiono, non (crea) la connessione del frutto con l'opera (che ne è
condizione); ma la natura stessa delle cose esprime (tutto ciò). (15) Colui
che tutto compenetra non assume su di sé il merito di alcuno, né di alcuno il
peccato. La conoscenza è avvolta nell'ignoranza; per questo, le creature sono
smarrite. (16) Coloro
negli spiriti dei quali l'ignoranza è distrutta dalla conoscenza, di costoro la
conoscenza manifesta, simile a sole splendente, l'Essere SOMMO. (17) Coloro
che hanno lo spirito pieno di Quello, che a Quello volgono le anime loro, che su
Quello si fondano, che hanno Quello per fine principale (della loro pietas)
attingono una condizione dalla quale non si torna indietro, essi che per mezzo
della conoscenza fanno cader via le sozzure. (18) I saggi
son tali da vedere con lo stesso occhio un brahmano, di sapienza e modestia
dotato, una vacca, un elefante, un cane e un uomo che (non appartiene a casta
alcuna) mangi carne di cane. (19) Anche
in questo mondo qui la condizione mondana è vinta da coloro il cui spirito si
fonda sul perfetto equilibrio. Brahma è esente da macchia ed è identico a
sé; di conseguenza essi sono saldamente fondati nella realtà divina. (20) Non ci
si deve rallegrare nell'ottenere ciò che ci piace, né rattristare per aver in
sorte ciò che non ci piace: colui che (in questo modo) è fermo nell'intelletto,
fermo nell'animo, lui che conosce il Brahman, nel Brahman
saldamente è fondato. (21) Colui
che non ha l'animo attaccato alle sensazioni relative agli oggetti esterni,
trova quella felicità che ha sede nel Sé. Questi, che per mezzo dell'azione
yogica, ha raggiunto l'equilibrio nel Brahman, gioisce di una imperitura
felicità. (22) Quei
piaceri, quali che siano, che nascono dal contatto con gli oggetti, sono
soltanto fonte di dolore, hanno un principio ed una fine, o figlio di Kuntì;
di essi non gode il saggio. (23) Chi è
capace di aver la meglio, anche in questo mondo, sugli impulsi del desiderio e
dell'ira, prima della liberazione dal corpo, quegli appunto è uno che ha
raggiunto l'equilibrio interiore, quegli è un uomo felice. La pace che sgorga dal
di dentro
(24) Colui
che possiede la felicità interiore, che possiede la letizia interiore ed è,
parimenti, dotato di una luce interiore, quello yogin, sustanziato di
Dio, attinge la divina beatitudine. (25)
Conseguono la divina beatitudine i santi veggenti i cui peccati sono ridotti a
nulla, il cui ondeggiare fra due termini è spezzato (i cui dubbi sono fugati),
che hanno raggiunto l'equilibrio spirituale e che provano piacere nel bene di
tutti gli esseri. (26) Presso
gli asceti che si sono liberati del desiderio e dell'ira, che hanno sottomesso i
loro spiriti e che conoscono il Sé si trova la beatitudine Brahmanica. (27-28)
Rendendo del tutto estranee le percezioni relative agli oggetti esterni, e
concentrando lo sguardo fra le due sopracciglia, rendendo uguali ispirazione ed
espirazione moventisi all'interno delle narici, il saggio che ha vinto i sensi,
l'animo, la capacità discriminante, che è tutto fisso al fine della liberazione,
che si è liberato del desiderio, del timore, dell'ira, quello appunto davvero è
per sempre libero. (29) Ed
avendo conosciuto me come colui che gode dei sacrifici e delle penitenze, gran
signore del mondo intero, amico di tutti gli esseri, raggiunge la pace.
Questo è il quinto capitolo intitolato
Rinuncia e azione sono
una sola cosa
Il Signore
beato disse:
(1) Colui
che compie l'opera, che deve compiere, senza prendere in considerazione il
frutto dell'opera stessa, quegli è il vero samnyasin (operatore di
rinuncia), quegli è il vero yogin (che agisce nella rinuncia), non colui
che non accende il fuoco sacro e che non compie i riti. (2) Ciò che
chiamano rinuncia sappi essere attività nell'autocontrollo, o Pandava,
che in nessun modo può diventare uno yogi (attivo nell'autocontrollo) chi
non ha messo da parte i suoi desideri egoistici. Il mezzo ed il Fine
(3) L'agire
è detto essere il mezzo del saggio desideroso di attingere lo yoga; la calma
profonda è detta essere il mezzo di colui che si è elevato ad attingere lo yoga. (4) Quando
l'asceta non è piú, in verità, attaccato agli oggetti sensibili ed alle opere ed
ha rinunciato a tutti i suoi desideri egoistici, allora si dice che si è elevato
ad attingere lo yoga. (5) Che
(l'uomo) elevi se stesso per mezzo di se stesso; che egli non degradi se stesso;
solo il Sé è amico del sé, solo il Sé è nemico del sé. (6) Il Sé è
amico del sé di colui, per il quale il sé è stato vinto dal Sé, ma contro colui
che non possiede il Sé, quello che è il Sé autentico in ostilità si potrà
volgere, come nemico. (7) Il Sé
sommo di colui che ha conseguito vittoria sul suo sé e che ha (di conseguenza)
raggiunto la serenità (del dominio di sé) è tutto inteso a se stesso, nel freddo
nel caldo nella felicità nella sventura, e ugualmente nell'onore e nel disonore. (8) Lo
yogin la cui anima si soddisfa della sapienza e della conoscenza,
immutabile, padrone dei sensi, per il quale un pugno di terra, un sasso, un
pezzo d'oro sono la stessa cosa, si dice aver raggiunto l'equilibrio yogico. (9) Colui
che ha lo stesso atteggiamento spirituale nei confronti degli amici e dei
compagni, dei nemici e degli indifferenti, degli imparziali, di quelli che hanno
odio e di quelli che sono parziali, nei confronti dei santi e ugualmente dei
peccatori, quegli si distingue (fra tutti). Ha importanza
fondamentale il controllo continuo dello spirito e del corpo
(10) Lo
yogin deve continuamente fissare la mente sul Sé universale, in solitudine
restando, tutto solo, nel dominio del proprio spirito, esente da desideri e
libero dal desiderio di appropriarsi di qualcosa. (11) Dopo
aver fatto mettere in un posto pulito il suo solito seggio, non troppo elevato
né troppo basso, coperto di erba, di una pelle d'antilope, di una veste, una
cosa sull'altra, (12) allora,
messosi sul seggio, fissando la mente su un unico punto, avendo messo sotto
controllo le attività del pensiero e dei sensi, che egli pratichi lo Yoga per la
purificazione del sé. (13-14-15)
Sempre allo stesso modo mantenendo immoti il corpo la testa e il collo, stando
fermo, guardando fissamente la punta del proprio naso e senza guardare lo spazio
d'intorno, coll'animo tranquillo e senza paura, saldo nel voto di castità
dell'aspirante brahmano, dopo aver domato la sua psiche, col pensiero a
me fiso, coll'animo in armonia sieda, col pensiero a me solo intento. Lo yogin
che ha sottomesso il suo animo, tenendo sempre se stesso così armonizzato,
raggiunge la pace, il supremo nirvana, che in me ha la sua sede. (16) Ma lo
Yoga non è in verità di colui che troppo mangia, né di colui che non mangia
affatto (che troppo si astiene dal mangiare); non è di colui che ha l'abitudine
del troppo sonno o di colui che (troppo) veglia, o Arjuna. (17)
Dell'uomo che è misurato negli alimenti e nel riposo, di colui che
appropriatamente agisce negli atti della vita, di colui che con misura dorme e
sta sveglio, diventa proprio lo Yoga che distrugge la differenza. Lo Yogi perfetto
(18)
Allorchè la mente che ha raggiunto l'equilibrio è fondata sul Sé e solo su di
esso, esente da desideri, da tutte le passioni, si dice allora che ha raggiunto
l'equilibrio yogico. (19) Come
una lampada che sta al riparo dal vento non si muove, cosi è dello yogin che ha
sottomesso il suo spirito e che realizza l'unione col Sé. (20) Ciò in
cui il pensiero si ferma, bloccato dalla pratica della meditazione, ciò in cui
(l'asceta) vedendo il Sé attraverso il sé, gode del Sé, (21) ciò che
egli conosce quale suprema gioia, accessibile alla capacità discriminativa e al
di sopra dei sensi e in cui una volta presa stabile dimora non si muove dalla
verità, (22) quella
conquista della quale l'asceta, una volta che l'abbia ottenuta, pensa che non
possa esservi una superiore, nella quale, una volta presa stabile dimora, non è
piú scosso neanche dalla sciagura che è di per sé la piú grave; (23) si
conosca come quello che chiamano Yoga questo distacco dalla somma delle cose che
danno dolore; questo Yoga dev'essere realizzato con sicurezza e con animo per
nulla afflitto (sereno). (24)
Rinunciando a tutti, senza eccezione, i desideri che sorgono dalla brama
egoistica, con la mente tutti i sensi frenando da ogni parte, (25) che
egli a poco a poco cessi di agire, per mezzo della capacità discriminatrice
sostenuta dalla fermezza; avendo la mente fissa sul Sé, non pensi ad alcuna
altra cosa. (26) Per
qualsiasi cosa la mente si manifesti esagitata ed instabile, frenandola, la
conduca sottomessa solo al Sé eterno. (27) Perché
la felicità somma sopravviene allo yogin dallo spirito calmo, le cui
passioni si siano calmate e che, senza macchia, è divenuto una cosa sola con
Brahma. (28) Lo
yogin che si è liberato di ogni sozzura, cosi tenendo il sé in costante
armonia, con facilità esperisce l'infinita beatitudine del tatto di Brahma. (29) Colui
il cui sé ha raggiunto l'armonia dello yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e
tutti gli esseri nel Sé, dappertutto egli vede (o immediatamente pensa) nello
stesso modo. (30) Per
colui che vede me dappertutto e vede tutto in me io mai non perisco né mai lui
perisce per me. (31) Lo
yogin che nell'unità stando onora me come in tutti gli esseri presente, in
me vive, da qualsiasi parte si volga. (32) Colui
che dappertutto considera ugualmente in simiglianza di se stesso, (prendendo se
stesso come punto di riferimento per giudicare gli altri nello stesso modo), sia
per le cose piacevoli sia per le spiacevoli, quello è considerato uno yogin
perfetto, o Arjuna. Il controllo del manas
(insieme degli agglomerati psichici) è difficile ma è possibile
Arjuna
disse: (33) Di
questo yoga che da te è spiegato in termini di armonia dello spirito, o
Madhusudana, non vedo lo possibilità di una fondazione stabile, a causa
dell'irrequietezza del manas (delle forze psichiche). (34) Perché
l'insieme delle forze psichiche è irrequieto, o Ksrna, è dotato di forza
disgregatrice, è forte, è difficile da rimuovere. La possibilità di controllarlo
io penso sia tanto poco agevole, quanto poco lo è controllare il vento. Il Signore
Beato disse: (35) Senza
dubbio, o signore dal forte braccio, il manas (il complesso delle forze
psichiche) è difficile da controllare ed è irrequieto; tuttavia, o figlio di
Kuntí, se ne può aver ragione per via d'esercizio e con la pratica.
Dell'Indifferenza. (36) Lo yoga
è difficile da realizzare, così io penso, da parte di uno che non ha il
controllo di sé; invece, può esser realizzato da parte di uno che, avendo
l'animo domato, si sforzi con i propri mezzi. Arjuna
disse: (37) Colui
che, sebbene partecipe di fede, non riesca a realizzare l'ascesi, avendo l'animo
che trascorre via dallo Yoga, non potendo raggiungere la perfezione yogica, per
quale via deve andare egli o Krsna? (38) Non è
forse vero che colui che ha fallito e l'una e l'altra via perisce come una
nuvola dispersa, senza che possa appoggiarsi ad alcunché, o eroe dal braccio
possente, (e vaga) smarrito sulla strada che porta al Brahman? (39) Tu, o
Krsna, dovresti dissipare completamente questo mio dubbio, che davvero
altri all'infuori di te non esiste, che sia in grado di dissiparlo. Il Signore
beato disse: (40) O
Partha, né in questo mondo né nell'altro può egli perire; perché nessuno che
operi nobilmente percorre, mio caro, la strada della sventura. (41) Avendo
raggiunto il mondo dei bene-operanti (e quivi) per molti e molti anni avendo
dimorato, colui che (per l'addietro) ha abbandonato la via dello Yoga, di nuovo
rinasce nella casa di quelli che son mondi da macchia e son ricchi di qualità.
(42) Oppure
nasce nella stirpe degli yoginah che sono saggi: ché in verità una
nascita del genere è piú difficile da ottenere nel mondo. (43) In
questa condizione egli riassume i modi della concentrazione interiore, che erano
già appartenuti alla vita anteriore, e attraverso di essi ancora di piú si
sforza per la perfezione, o gioia dei Kuru. (44) Da
quella sua pratica anteriore egli è trascinato (ad operare yogicamente) senza
che egli possa nulla in contrario; anche colui che desidera la conoscenza yogica
sfugge ai limiti della sacra parola vedica. (45) Ma lo
yogin completamente mondo da peccati, che lotta con sforzo continuo,
perfezionandosi attraverso parecchie nascite, con questi mezzi raggiunge il
supremo fine. Lo Yogin Perfetto
(46) Lo
yogin è superiore agli asceti; e anche rispetto a quelli che conseguono la
conoscenza è ritenuto superiore lo yogin; anche degli uomini che compiono
i riti lo yogin è superiore: per questo diventa uno yogin, o
Arjuna. (47) E di
tutti gli yoginah colui che rende culto a me, pieno essendo di fede, con
il sé interiormente in me rifugiato, quello appunto è da me ritenuto essere
colui che meglio ha realizzato lo Yoga.
Questo è il sesto capitolo che è intitolato
Dio è natura e spirito
il Signore
Beato disse: (1) Questo
ascolta, o Partha, come (cioè) senza dubbio conoscerai me pienamente, in
me l'animo intendendo, realizzando lo Yoga (e) in me avendo il rifugio. (2) Io ti
farò partecipe di questa sapienza e della giusta conoscenza che l'accompagna:
quando uno abbia questa sapienza nessun'altra cosa resta in questo mondo, che
debba ancora essere conosciuta. (3) Fra
mille uomini è difficile che pur uno soltanto si sforzi di raggiungere la
perfezione e di coloro che pur si sforzano e raggiungono la perfezione, è
difficile che pur uno riesca a conoscermi in verità. Le due nature del
Signore
(4) La
terra, l'acqua, il fuoco, l'aria, l'etere, il manas e la capacità
discriminante, il senso di sé, tutto questo costituisce la mia natura in otto
forme divisa. (5) Questa è
la (mia) realtà inferiore relativa a questo mondo qui. Conosci però l'altra mia
superiore natura, che consiste nella vita, o eroe dal forte braccio, da cui
questo mondo è sostenuto (nell'essere). (6) Renditi
conto del fatto che tutti gli esseri hanno questa origine. Io sono l'Origine del
mondo intero e ne sono nel contempo la dissoluzione. (7)
Superiore a me non c'è cosa alcuna, o possessore della ricchezza, tutto questo
mondo è intessuto su di me, come perle (legate) in un filo. (8) lo sono
nelle acque il sapore, o figlio di Kuntí, nella luna e nel sole io sono
la luce; sono la sillaba sacra AUM in tutti i Veda, sono il suono
nell'etere e negli uomini la virilità. (9) E nella
terra sono il puro profumo e nel fuoco l'ardente splendore, in tutti gli esseri
sono la vita e negli asceti la penitenza. (10) Sappi,
o Partha, che io sono il seme eterno di tutti gli esseri; io sono il
discernere di coloro che del discernimento partecipano, dei gloriosi la gloria
io sono. (11) E sono
la forza dei forti, da desiderio e da passione libera. Negli esseri sono il
desiderio che alla giustizia del dharma non si oppone, o ottimo fra i
Bharata. (12) E quali
che siano le condizioni dell'essere, armoniose, appassionate, tenebrose, sappi
che esse da me, tutte, provengono: io non sono in esse, ma esse sono in me. I modi della natura
sono motivo di confusione per gli uomini
(13) Tutto
questo mondo, tratto in inganno da queste condizioni dell'essere determinate
dalle qualità, non riconosce me che sono superiore ad esse ed imperituro. (14) In
realtà questa mia divina potenza creatrice, che si realizza nelle tre qualità, è
difficile da superare. Coloro (però) che cercano rifugio in me, soltanto,
riescono a superarla. La condizione di coloro
che fanno il male
(15) Coloro
che fanno il male, incoscienti come sono, gente vile fra gli uomini, la cui
facoltà conoscitiva è rapita dall'illusione e che partecipa di demoniaca natura,
non cercano e non trovano in me rifugio. Le diverse specie della
devozione
(16) Gli
uomini che fanno il bene, (che sono, essendo) di quattro specie, onorano me, o
Arjuna: l'uomo caduto in disgrazia, l'uomo che cerca la conoscenza,
l'uomo che cerca la ricchezza e l'uomo che possiede la sapienza, o ottimo fra i
Bharata. (17) Di
costoro il saggio che è sempre unito alla divinità, che ha devozione per colui
che è l'Unico e il Solo, è il migliore; sommamente caro invero al saggio io
sono, ed egli lo è a me. (18) Nobili
sono per certo tutti costoro, ma il saggio è davvero il Sé, io giudico; avendo
egli raggiunto il perfetto equilibrio yogico, in me trova il suo rifugio, come
meta suprema. (19) Al
termine di molte vite, l'uomo che è dedito alla conoscenza a me ricorre,
(sapendo che) Vasudeva è tutto (ciò che esiste). Una siffatta grande
anima è difficile da trovare. La tolleranza
(20) Quelli
che hanno la facoltà discretiva rapita da vari desideri, ricorrono ad altre
divinità , osservando uno un rito, l'altro un altro, a ciò portati dalle loro
proprie nature. (21)
Qualsiasi entità determinata un devoto desideri con fede venerare, la fede di
lui io rendo immutabile e salda. (22)
Realizzando in sé quella fede, egli cerca di rendersene propizio l'oggetto (la
divinità particolare, rappresentativa della divinità in senso speculativo - N.T.)
e da esso ottiene (l'adempimento dei) suoi desideri, adempimento che soltanto io
stabilisco. (23) Ma ben
presto ha un termine il frutto (realizzato da) questi uomini di corta
intelligenza; coloro che onorano gli dei, agli dei si rivolgono, ma i miei
devoti vengono a Me. L'ignoranza come potere
(24) Gli
uomini privi d'intelletto pensano Me, l'Immanifesto, come caduto nel (regno del)
la manifestazione, non avendo conoscenza della mia realtà superiore, che è senza
mutamento e tutte le cose sopravanza. (25) Poiché
sono celato dal mio (stesso) potere creativo, non posso essere a tutti
manifesto. Questo illuso e confuso mondo quaggiù non conosce Me, il non-nato,
immutabile. (26) Io
conosco gli esseri che passarono, gli esseri che ora trascorrono, gli esseri che
saranno, ma non c'è alcuno che conosca Me. (27) Tutti
gli esseri in questo mondo della manifestazione, o uccisor dei nemici, cadono
nell'illusione, o Bharata, a causa del turbamento dovuto agli opposti,
prodotti dal desiderio e dall'odio. L'oggetto della
conoscenza
(28) Ma gli
uomini che compiono azioni meritorie, nei quali il principio del male, che prima
vi dimorava, è venuto meno, liberi dal turbamento prodotto dagli opposti,
onorano Me, fedeli ai loro voti religiosi. (29) Coloro
che a Me consacrandosi, lottano per la liberazione dalla vecchiaia e dalla
morte, questi appunto conoscono l'Assoluto in tutto e per tutto, (conoscono) il
Sé Primo e il karma (il principio dell'agire) esente da imperfezioni. (30) Coloro
che conoscono Me come quello che rappresenta l'essenza degli esseri e del divino
e che rappresenta l'essenza del sacrificio, quelli appunto, realizzando la
concentrazione nel loro spirito, conoscono Me anche nel momento del loro
andarsene (da questo mondo) (anche nell'ora della morte).
Questo è il settimo capitolo intitolato
Domande poste da Arjuna
Arjuna
disse: (1) Che
cos'è il Brahman? Che cos'è il Sé Primo? Che cos'è il "principio
dell'azione", o ottimo fra gli uomini? Che cos'è che si chiama essere
originario? Che cos'è che è chiamato "divino originario"? (2) Che
cos'è che costituisce il sacrificio supremo in questo corpo quaggiù e come, o
Madhusudana (uccisore di Madhu)? E come nell'ora della dipartita puoi
essere tu conosciuto da coloro che hanno domato se stessi? Le risposte di Krsna
Il Signore
beato disse: (3) Il
Brahma è l'indistruttibile, il Supremo; Sé originario è chiamata l'essenza
fondamentale di ciascuno e di tutti; conosciuta e distinta come karma
(principio dell'agire) è la forza creatrice che dà origine all'esistenza degli
esseri. (4) La
natura mutevole (l'esser-reale mutevole) è il fondamento che dà origine a tutte
le cose che esistono; lo spirito universale è il fondamento che dà origine a
tutte le cose che hanno natura divina; ed io stesso soltanto sono quaggiù
appunto nel corpo, l'origine dei sacrifici, o ottimo fra gli esseri in un corpo. L'anima va nell'atto
della dissoluzione corporea a realizzare quella condizione alla quale è, in quel
momento, disposta
(5) Colui
che, al momento di morire, ha la mente a me solo rivolta, lasciando il corpo, e
(cosí) compie la sua dipartita, quello appunto viene al mio modo di essere; non
c'è a questo proposito dubbio alcuno. (6) Quale
che sia il modo di essere al quale uno pone mente, quando alla fine abbandona il
suo corpo, a quel modo di essere appunto o figlio di Kuntì egli perviene,
dacché è sempre assorbito nel pensiero di esso (sempre addiviene col pensiero
alla realizzazione di questo modo di essere). (7) Perciò
in tutti i momenti ricòrdati di Me e lotta (per realizzarmi). Se avrai psiche e
intelletto su me concentrati, a Me soltanto tu verrai, senza dubbio. (8) Colui
che medita costantemente con il pensiero, che nella pratica incessante (della
meditazione) ha raggiunto l'armonia e altrove non trascorre, (quegli) o
Partha raggiunge la Somma Divina Persona. (9-10)
Chiunque mediti sul Veggente Antico (dell'Origine), colui che guida
(l'Universo), colui che è più sottile del sottile, colui che tutto sostiene, la
cui forma non è pensabile, colui che ha il colore del sole, al di là delle
tenebre, al tempo della sua dipartita, con spirito che nulla riesce a scuotere,
con lo spirito in armonia, e con la forza dello Yoga, facendo ben entrare la
forza vitale in mezzo ai due sopraccigli, (egli) raggiunge la suprema divina
Persona. (11) Io ti
descriverò succintamente quella condizione (spirituale) che i conoscitori dei
Veda chiamano ciò che non può perire, quella (condizione) in cui entrano gli
asceti che si son liberati delle passioni e desiderando la quale, attuano la
pratica dell'austerità. (12-13)
Controllando tutte le porte del corpo e confinando la psiche nel cuore, nel capo
collocando la propria forza vitale, ben fermo nella concentrazione yogica, colui
che pronunciando la sillaba unica e sacra AUM, (che si identifica con lo
stesso) Brahman, a me cosi ponendo mente si diparte, abbandonando il suo
corpo, se ne va alla meta piú alta. (14) (Di)
colui il cui pensiero non ha altro oggetto che me e sempre me, colui che in me
tiene fissa la mente in modo continuo, di lui che è uno yogin che ha se
stesso sotto assoluto costante controllo io sono, o Partha, facile preda. (15) A me
essendo venute le grandi anime, avendo raggiunto la somma completa-perfezione,
non vanno a nuova nascita, a quella che è dimora di sciagura, sede
dell'effimero. (16) A
partire dal mondo di Brahma (non del Brahman) in giú, (tutti i)
mondi sono soggetti a rinascita, o Arjuna, ma (uno che abbia) raggiunto
Me, o figlio di Kuntí, non conosce nuova nascita. (17) Coloro
che sanno che il giorno di Brahma ha la durata di mille età e che la
notte (di Brahma) mille età dura, quegli uomini sono i conoscitori del
giorno e della notte. (18) Tutte
le comanifestazioni dal non-manifestato hanno nascimento al venir del giorno ed
ivi stesso, in ciò che ha nome il non-manifesto, si dissolvono al venir della
notte. (19) Tutto
quest'insieme degli esistenti appunto, che nasce e torna a rinascere, si
dissolve di necessità al venir della notte, o Partha, e ritorna
all'essere al venire del giorno. (20) Ma al
di là di questo Immanifestato c'è un altro Essere eterno non manifestato, il
quale non perisce, anche se tutti gli esistenti periscono. (21) Il
Non-manifesto è chiamato anche colui che non può perire: lo chiamano Condizione
suprema; coloro che lo hanno raggiunto non tornano indietro: quello
(costituisce) la mia suprema dimora. (22)
Siffatto è il Supremo Purusa, o Partha, che può e deve essere
conquistato per mezzo di una devozione immutevole, in seno al quale tutti gli
esistenti dimorano e dal quale tutto questo mondo è diffuso. La duplice via
(23) Ma ora,
ottimo fra i Bharata, (ti) dirò in qual tempo gli yoginah essendo
morti, ritornano, e in quale essendo morti, non ritornano. (24) (Quando
risplendono) il fuoco, la luce, il giorno, la quindicina chiara della luna, i
sei mesi del cammino del sole verso il cielo del nord, allora gli uomini che
conoscono il Brahman, al Brahman pervengono. (25) (Quando
ci sono) il fumo, la notte, così come la quindicina buia del mese lunare, i sei
mesi del cammino del sole verso i cieli del sud, allora è il tempo in cui lo
Yogi (essendovi morto) avendo raggiunto la luce lunare, ritorna. (26) La luce
e le tenebre, tali si pensa che siano gli eterni sentieri del mondo. Per mezzo
dell'uno si va là donde si è liberati dal dover tornare, per mezzo dell'altro
invece si ritorna di nuovo (su questa terra, ossia si è costretti, purtroppo, a
tornarvi). (27) Lo
yogin che conosce questi sentieri, o Partha, non può in alcun modo
sviarsi. Perciò costantemente realizza l'equilibrío yogico, o Arjuna. (28) Lo
yogin essendosi reso conto di tutto ciò, si rende superiore al frutto delle
opere meritorie che è assegnato per lo studio dei Veda, per i sacrifici,
per le penitenze e per le offerte ed attinge la condizione suprema e originaria.
Questo è il capitolo ottavo che ha per
titolo
Il Mistero Supremo
Il Signore
Beato disse: (1) A te che
non hai astio nell'animo, rivelerò la conoscenza-sapienza che è piú segreta e
che va congiunta alla conoscenza analitica conoscendo la quale, sarai libero dal
male. (2) Questa è
conoscenza da re, segreto sovrano, questa è suprema santità, apprendibile per
via di diretta esperienza, in accordo con la legge universale, è facile da
attuarsi, non può perire. (3) Gli
uomini che non hanno fiducia in questo metodo (in questa legge di vita), o
distruttore dei nemici, senza attingere la mia realtà, ritornano sulla strada
della incarnazione mortale. Il Signore incarnato
come realtà suprema
(4) Da me si
diffonde tutto questo mondo attraverso la mia forma non-manifestata; tutte le
cose trovano in me la loro dimora, ma io non dimoro in esse. (5) Eppur
tuttavia gli esseri non dimorano in me: considera il mio divino potere; il mio
Sé che dà origine agli esseri è ciò che li sostiene, ma non dimora in essi. (6) Come la
possente aria in movimento, che continuamente va da ogni parte quaggiú, ha il
suo fondamento nello spazio etereo, nello stesso modo, considera, hanno tutti
gli esseri in me la loro sede. (7) Tutti
gli esseri, o figlio di Kuntì, alla fine di un kalpa (o ciclo
cosmico) tornano alla mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo
io li emetto. (8)
Avvalendomi di quella realtà che è la mia propria, se sempre priva di nuovo
emetto tutta questa molteplicità di esistenti, priva di ogni potere, dal momento
che giace sotto il dispotismo della prakrti o natura. (9) E tali
atti non mi vincolano neppure, o possessore della ricchezza, poiché io sto a
sedere come colui che non è impegnato, non essendo io condizionato da
attaccamento in questi atti. (10) Avendo
me come guida, la natura dà origine all'insieme delle cose mobili e delle
immobili; con questo mezzo (per questa via), o figlio di Kuntì, il mondo
si volge e di nuovo si volge. La devozione al Supremo
reca con sé notevoli ricompense: forme devozionali minori hanno minori
ricompense
(11) Coloro
che hanno la mente offuscata tengono in dispregio me, quando sono entrato in un
corpo umano, perché non conoscono la mia suprema realtà (e cioè me) come signore
universale degli esistenti. (12) Poiché
essi si fondano sulla natura ingannevole diabolica e demoniaca, sono esseri
dalle vane aspirazioni, dalle azioni vane, dal vano conoscere e sono privi di
capacità giudicativa. (13) Invece,
o Partha, le grandi anime che hanno il loro rifugio nella natura divina,
avendo riconosciuto (in) me l'origine imperitura degli esseri, mi onorano con
mente, che ad altro non può esser rivolta. (14) Sempre
glorificando me, compiendo uno strenuo sforzo e rimanendo saldi nei propri voti,
e me onorando con devozione, a me rendono l'omaggio del culto, avendo
costantemente la disciplina dell'animo. (15) Altri
con il sacrificio della sapienza rendendo a me il culto del conoscere, onorano
me come unità (e), cosa singola per cosa singola, come molteplicità, alla
varietà molteplice delle direzioni volgendo il viso. (16) Io sono
l'offerta rituale, io sono il sacrificio, io sono l'oblazione resa agli
antenati, io sono l'erba medicinale, io sono l'inno sacro, e sono anche il burro
fuso, sono il fuoco e sono l'oggetto dell'offerta sacrificale. (17) lo sono
il padre di questo mondo, la madre, colui che lo sostiene e il suo supremo
signore; sono l'oggetto del conoscere (di ogni conoscere possibile), il mezze
della purificazione, la sillaba aum, il rk il sama e lo
yajus ugualmente (io sono anche tutti i Veda). (18) lo sono
la meta, il sostegno, il signore, il testimone, la dimora, il rifugio, l'amico,
io sono il principio dell'essere e della dissoluzione, la base, il punto di
quiete ed il seme che non può perire. (19) Io
riscaldo; io trattengo e lascio andare la pioggia; io sono l'immortalità ed
anche la morte; io sono nello stesso tempo l'essere e il non-essere, o Arjuna. (20) I
conoscitori dei tre Veda, quelli che bevono il Soma e mondi da
peccato, a me rendendo sacrifizi, pregano (di conseguire) la via del cielo;
essi, giunti al santo mondo del signore degli dei, godono in cielo i piaceri
degli dei. (21) Dopo
aver goduto l'ampio mondo del cielo, essendo esaurito il loro merito, tornano
nel mondo di coloro che muoiono; così seguendo la dottrina fondata sui tre
Veda, desiderosi di godere, essi ottengono ciò che viene e va. (22) Ma a
quegli uomini che hanno Me per oggetto del loro culto e che non si occupano di
alcun altro oggetto nel loro meditare, a costoro appunto che son quelli che sono
sempre devoti, io porto il sicuro possesso e la sicurezza. (23) Anche
coloro che sono devoti ad altri dei, e, armati di fede, recano loro onore, essi
proprio anche me, o figlio di Kuntì, onorano, anche se contro la vera
norma. (24) Io sono
in verità colui che gode di tutti i sacrifici ed il loro signore; ma costoro non
mi conoscono in realtà e per questo si perdono. (25) Coloro
che prestano fede e culto agli dei vanno presso gli dei, coloro che li prestano
ai padri, vanno presso i padri, coloro che sacrificano ai trapassati vanno
presso i trapassati e coloro che sacrificano a me vengono presso di me. La devozione e le sue
conseguenze
(26) Anche
se uno con devozione mi offre una foglia, un fiore, un frutto o dell'acqua, lo
accetto una tale offerta fatta con amore da coloro che hanno l'animo puro. (27)
Qualunque cosa tu faccia, qualunque cosa tu mangi, qualunque cosa tu offra in
sacrifizio, qualunque cosa tu dia, quali che siano le penitenze che tu pratichi,
o figlio di Kuntì, fa ciò come se si trattasse di restituirmi qualcosa
che io ti abbia dato. (28) Cosí
sarai liberato dai vincoli dell'operare che producono buoni e cattivi risultati;
con la mente volta allo yoga della rinuncia, tu, libero, potrai raggiungermi. (29) lo sono
identico, in tutti gli esseri: nessuno mi è odioso, nessuno mi è caro; ma coloro
che rendono a me culto con devozione, quelli appunto sono in Me e io sono in
loro. (30) Se un
uomo, che pur abbia agito sempre in modo spregevole, mi onora cosí da non
rivolgersi ad alcun altro oggetto nella sua pietà, questi appunto deve esser
tenuto in conto di uomo retto; ché in verità egli è uno che è arrivato a una
determinazione, quale si conviene. (31) Ben
presto diventa uno spirito giusto e raggiunge una pace che eternamente dura; o
figlio di Kuntì, sappi (che) colui che mi è fedele giammai non perisce . (32) In
verità anche quelli che sono di cattiva nascita, o donne, o vaisyah oppur
anche sudrah, se cercano in me un rifugio, o Partha. (33) (E) che
ancora (altro potrebbe esservi di diverso per) i virtuosi Brahmani ed ugualmente
per i nobili profeti pieni di devozione? Una volta entrato in questo mondo dell'impermanenza
e del dolore, sii devoto a me. (34) Abbi la
mente a me fissa; a me sii devoto; a me sacrificando rendi onore; e dopo esserti
imposto la disciplina dello spirito a me verrai, in me avendo l'estremo rifugio.
Tale è il nono capitolo intitolato
Immanenza e
trascendenza di Dio
Il Signore
Beato disse: (1) Di
nuovo, o eroe dal forte braccio, ascolta la mia suprema parola; per il desiderio
che ho di fare il bene, io la dirò a te che sei amato (o mio guerriero diletto). (2) La mia
origine non conoscono gli eserciti degli dei, né i grandi saggi; perché io sono,
in tutti i possibili sensi, l'origine degli dei e dei grandi saggi. (3) Colui
che in me conosce il non-generato, senza-principio, gran signore del mondo,
quegli è fra i mortali imperturbato e da tutti i peccati è libero. (4-5) La
capacità di distinguere, la conoscenza, l'andar esenti da smarrimento, la
pazienza, il sincero parlare, la padronanza di sé, la calma interiore, il
piacere e il dolore, il venir ad essere e il non venir ad essere, il timore e
l'intrepidezza, la nonviolenza, l'equilibrio mentale o morale, lo stato di
soddisfazione, la penitenza, la generosità, la gloria, l'infamia (sono) diverse
condizioni degli esseri (che) da me soltanto procedono. (6) I sette
antichi grandi saggi e i quattro manavah, ugualmente, sono della mia
stessa natura e sono nati dal mio spirito e da essi sono nati tutti gli esseri
di questo mondo. (7) Colui
che conosce in essenza questa (mia) manifestazione e questo mio potere, quegli è
a me unito di unione sicura; su ciò non v'ha dubbio. (8) lo sono
l'origine di tutto; da me il tutto si svolge; cosí riflettendo, mi onorano gli
illuminati che possiedono la pura consapevolezza dello spirito. (9) I loro
pensieri sono a me (rivolti), le loro vite sono a me consacrate; reciprocamente
portandosi la luce dell'intelletto, e di me parlando in continuazione, essi sono
soddisfatti e in me godono. (10) A
costoro, che son sempre devoti e che a me rendono onore amorosamente, io concedo
la concentrazione dell'intelletto, con la quale possano venir a Me. (11) Per
compassione verso costoro appunto, io distruggo, rimanendo in quella condizione
che mi è propria, le tenebre che sorgono dall'ignoranza, per mezzo della
splendente fiaccola del conoscere. Il Signore è la semenza
e la perfezione di tutto ciò che esiste
Arjuna
disse: (12) Tu sei
il sommo Brahman, il rifugio sommo, il purificatore supremo, o Signore (bhavan),
l'eterna divina persona, il primo fra gli dei, colui che non fu generato, colui
che penetra dappertutto. (13) Te in
questo modo decantano tutti i saggi ed ugualmente Narada il divino
veggente. Asita e Devala e Vyasa (tale ti dicono) e tu
stesso anche me lo dici. (14) Io
penso come pertinente a verità e bontà tutto questo che mi dici, o Kesava;
né gli dei né i demoni conoscono la tua manifestazione, o Beato. (15) In
verità, Tu conosci te stesso per mezzo di te stesso o Persona Somma, fonte degli
esistenti, Signore delle creature, Dio degli dei, signore del mondo. (16) Tu mi
dovresti dire senza eccezione le tue divine manifestazioni, per via delle quali,
(con le quali manifestazioni) diffondendoti in questi mondi, vi prendi stanza. (17) Come
potrei conoscere Te, lo Yogi, costantemente meditando? In quali vari aspetti
devi tu esser pensato da me, o Beato? (18)
Analiticamente esponi ancora, o Janardana, la tua potenza e la tua
manifestazione; non c'è sazietà in me che odo ciò che è simile al nettare. Il Signore
Beato disse: (19) Ebbene,
ti esporrò, si, le mie divine manifestazioni, ma soltanto a proposito degli
argomenti fondamentali, o (tu), ottimo fra i Kuru: ché non v'ha limite
alcuno della molteplicità (al numero) dei miei modi particolari. (20) lo
sono, o Gudakesa, il Sé che risiede nell'intimo di tutti gli esseri, io
sono il principio, il mezzo, la fine di tutti gli esistenti. (21) Degli
Adityah io sono Visnu, delle luci io sono il raggio radiante; dei
marutah sono Marici: fra i corpi celesti io sono la luna. (22) Dei
Veda io sono il Samaveda; degli dei sono Indra; dei sensi sono
la materia psichica e degli esseri sono la coscienza. (23) Dei
Rudrah io sono Samkara; degli Yaksah e dei Raksasah
(sono) Kubera, dei Vasu io sono Agni e dei picchi montani
sono Meru. (24) Dei
preti domestici, o Partha, sappi che io sono il capo, Brhaspati;
dei condottieri io sono Skanda; dei laghi sono l'oceano. (25) Dei
grandi saggi io sono Bhrgu; dei suoni articolati io sono la sillaba unica
Aum; delle offerte io sono l'offerta della preghiera sussurrata, e delle
cose irremovibili io sono Himalaya. (26) Di
tutti gli alberi io sono l'Asvattha e dei divini veggenti sono Narada;
fra i Gandharvah sono Citraratha e dei perfetti io sono il saggio
Kapila. (27) Dei
cavalli, sappi che io sono Ucchaisravah, nato dal nettare
(dall'ambrosia); dei nobili elefanti sappi che io sono Airavata e degli
uomini sappi che io sono il re. (28) Delle
armi io sono il fulmine; delle vacche sono la vacca Kamaduh (la vacca
dell'abbondanza); come progenitore io sono Kandarpa; dei serpenti sono
Vasuki. (29) Dei
nagah io sono Ananta; di coloro che abitano nel mare sono Varuna;
degli avi trapassati io sono Aryama e di coloro che mettono ordine io
sono Yama. (30) Dei
figli di Diti sono Prahlada, di coloro che computano io sono il
Tempo; fra gli animali io (sono) il re degli animali e degli uccelli il figlio
di Vinata. (31) Dei
purificatori sono il Vento; dei portatori d'armi (dei guerrieri) io sono Rama;
dei pesci sono il coccodrillo, dei corsi d'acqua sono la figlia di Jahnu
(il Gange). (32) Delle
creazioni io (sono) il principio e la fine ed anche il punto di mezzo, o
Arjuna; delle scienze io sono la scienza del Sé; di coloro che parlano io
sono il dialogo. (33) Delle
lettere sono la lettera A; dei composti sono il dvandva; io sono anche il
tempo che non può perire; io sono il creatore, il cui volto da tutte le parti si
volge. (34) lo sono
la morte, colei che di tutto si fa padrona e sono anche l'origine delle cose
destinate ad essere; e degli esseri femminili (io sono) la gloria, il bell'aspetto
dignitoso, l'eloquio, la memoria, l'intelligenza, la sopportazione, la pazienza. (35)
Ugualmente, degli inni (sono) il Brhatsaman (il Vasto), dei metri io
(sono) gayatri; dei mesi (sono) margasirsa e delle stagioni la
produttrice di fiori. (36-37)
Degli ingannatori sono l'inganno stesso, dei gloriosi la gloria; io sono la
vittoria, sono lo spirito d'iniziativa; io sono la bontà in coloro che sono
buoni; dei Vrsni io sono Vasudeva; dei Pandavah io sono il
possessore della ricchezza (ossia lo stesso interlocutore Arjuna - N.T.);
dei saggi io sono Vyasa, anche, e dei poeti (io sono) il poeta Usana. (38) Di
coloro che puniscono io sono il bastone; io sono la politica saggia di coloro
che vogliono vincere; dei misteri io sono il segreto; io sono la sapienza di
coloro che sapienza conoscono. (39) Ed
ancora, quel che è il seme di tutti gli esistenti, quello appunto sono io, o
Arjuna; né c'è esistente, qualechessia, che si muova o che non si muova, che
possa esistere senza di me . (40) Non vi
è limite alcuno alle mie divine manifestazioni. o distruttor dei nemici. Ciò che
è stato da me esposto in modo cosí diretto ed esclusivo è soltanto un estendersi
della mia manifestazione. (41) Tutto
ciò che esiste di possente, di bello, di forte, renditi conto che ha origine da
una particella della mia possanza gloriosa. (42) Ma che
bisogno potresti avere mai tu, o Arjuna, di una siffatta molteplice
conoscenza? Reggendo io tutto questo universo con una sola frazione di me
stesso, esso resta ben saldo.
Questo è il decimo capitolo che ha per
titolo
Arjuna desidera vedere
la forma universale di Dio
Arjuna
disse: (1) Dal
discorso concernente il sommo problema, (dal discorso) riguardante il Sé, che tu
hai fatto, in funzione del tuo favore per me, ogni confusione è stata dissolta
via dal mio spirito. (2) Il
sorgere degli esistenti, il loro sparire, in verità, cosí come la tua grandezza
imperitura, (questi argomenti) hai fatto sí che li ascoltassi in modo
dettagliato, o (dio) dagli occhi di loto. (3) Ciò che
tu hai detto di Te stesso, o Sommo Signore, proprío cosi è. (Ora) desidero
vedere la tua forma divina (il tuo aspetto celeste), o Sommo Spirito. (4) Se tu
pensi, O Signore, che io possa vederlo, allora, o Signore dello Yoga, fa'
conoscere a me il tuo Sé imperituro. La rivelazione del
Signore
Il Signore
beato disse: (5)
Considera, o Partha, le mie forme, a centinaia, anzi, a migliaia,
molteplici, divine, di vario colore, di varia forma. (6) Guarda
gli Adityah, i Vasu, i Rudrah, gli Asvini ed anche i
Marutah; guarda, o Bharata, le molte meraviglie, per l'innanzi mai
viste. (7) Qui oggi
considera l'intero universo nella concreta unità, nel suo muoversi e nel suo
permanere immobile e qualunque altra cosa, o Gudakesa, tu desideri vedere
nel (l'unità del) mio corpo. (8) Ma tu
non puoi vedermi con questo occhio che è proprio della tua (umana) condizione;
voglio darti l'occhio soprannaturale; considera ora la mia divina potenza. Samjaya descrive la
Forma
Samjaya
disse: (9) Cosi
avendo parlato, o re, il Gran Signore dello Yoga Hari, allora manifestò a
Partha la suprema divina forma, (10) (La
forma divina) dalle molte bocche e dai molti occhi, dalle molte prodigiose
visioni, dai molti divini ornamenti, dalle molte armi divine in alto brandite, (11) recante
ghirlande e vesti divine, con divini profumi ed unguenti, costituita di tutti i
portenti, sfolgorante, con il volto da ogni parte diretto. (12) Se la
luce di mille soli si trovasse ad esser sorta tutt'insieme nel cielo potrebbe
assomigliarsi allo splendore (di esso) del Supremo Essere. (13) Allora
il Panduide vide tutto il mondo, che è in molte parti distribuito (in vario modo
molteplice) in unità (colà) riunito nel corpo del dio degli dei. Arjuna si rivolge al
Signore
(14) Allora
lui, il possessore della ricchezza, caduto in preda allo stupore, con i capelli
ritti, chinando il capo dinanzi al Dio, con le mani giunte, disse: Arjuna
disse: (15) Nel tuo
corpo, o Dio, io vedo tutti gli dei e cosí anche dei vari esseri le distinte
schiere, (e) Brahma Signore che sta seduto sul seggio di loto e tutti i
saggi profeti e i divini serpenti Nagah. (16) lo vedo
te, che hai innumerevoli occhi, volti, ventri, braccia, dalla forma che non ha
termini da nessuna parte, ma di te non vedo il termine, non vedo la parte di
mezzo, non vedo il principio, o Signore del Tutto, o Forma universale. (17) lo vedo
te portator di corona, armato di mazza, armato di disco, massa di luce
dappertutto splendente, difficile da distinguere, (la tua luce non permette di
intuire le determinazioni che porti con te), che dappertutto rechi lo splendore
del fuoco fiammante e del sole, incomparabile; (18) Tu sei
ciò che non può perire, il Supremo che deve essere conosciuto, Tu sei il supremo
rifugio di questo intero universo; tu sei il guardiano, che non morrà, della
legge eterna; tu sei da me pensato come l'Eterna Originaria Persona. (19) lo ti
vedo come colui che non ha né principio, né medietà né fine, come colui che ha
un infinito potere, (armato) di innumerevoli braccia, che ha per occhi la luna
ed il sole, che ha per volto il fuoco fiammante, che arde con il suo proprio
splendore tutto questo universo. (20) Questo
luogo che è a metà fra cielo e terra è soltanto riempito di te e cosí anche
tutte le regioni del cielo. O Grande Spirito (Sé), una volta che abbiano visto
questa tua prodigiosa terribile forma, (ne) sono scossi (ne tremano) i tre
mondi. (21) Questi
drappelli di dei in verità entrano in Te ed alcuni, in preda al terrore, avendo
le mani congiunte (Ti) esaltano; "evviva" dicendo, drappelli di perfetti e di
grandi veggenti a Te inneggiano con inni di splendida esaltazione. (22) I
Rudrah, gli Adityah, i Vasavah, i Sadhyah, i Visve,
gli Asvini, i Marutah, i Mani (coloro che assorbono
soltanto il profumo delle vivande), e i drappelli dei Gandharvah, degli
Yaksah, degli Asurah e dei Siddhah, tutti a Te guardano
vinti dallo stupore. (23) Al
vedere la tua grande figura dalle molte bocche e dai molti occhi, o Tu dal
braccio possente, dalle molte braccia, cosce e piedi, dai molti ventri, dai
molti terribili denti, sono scossi i mondi e cosí io anche. (24) E
quando ho visto Te appunto che tocchi il cielo, sfolgorante, dai molti colori,
con la bocca spalancata e i grandi occhi splendenti, scosso nell'intimo
dell'animo (mio) non trovo piú né saldezza d'animo né pace, o Visnu. (25) Al
veder le tue bocche dai terribili denti, simili al fuoco del tempo (della
distruzione universale), le direzioni piú non conosco (perdo il senso della
direzione) e non trovo piú un rifugio. Sii benevolo, o Signore degli dei,
rifugio dei mondi! (26) Quelli
laggiú, i figli di Dhrtarastra tutti. insieme ai drappelli dei signori
della terra e cosí anche Bhisma, Drona e il figlio di Suta
(dell'Auriga), cioè Karna insieme con i capiguerrieri che sono con noi,
anche con essi, (27) entrano
precipitosi nelle tue terribili bocche, da i denti tremendi. Alcuni tenuti fermi
in mezzo ai denti si vedono con le teste già ridotte in polvere (sfracellate). (28) Come in
gran numero acque correnti di fiumi corrono verso l'oceano a faccia in avanti,
cosi codesti eroi del mondo degli uomini entrano nelle tue bocche che contro si
infiammano. (29) Come i
moscerini si tuffano nel fuoco ardente, con movimento rapido correndo alla loro
distruzione, cosí appunto questi uomini si precipitano velocemente nelle tue
bocche per la loro propria distruzione. (30) Tu hai
leccato via divorandole da ogni parte tutte le umane stirpi con le tue fauci
fiammeggianti. I tuoi terribili raggi bruciano con il loro ardore tutto
l'universo riempiendolo di esso, o Visnu. (31) Dimmi
chi sei tu, o Signore, che hai un cosí terribile aspetto. Onore sia a Te, ottimo
fra gli dei; manifesta la tua benevolenza: io desidero conoscere in te l'essere
originario, perché non conosco il modo del tuo operare. Dio come giudice
Il Signore
Beato disse: (32) lo sono
il tempo, colui che dà luogo alla distruzione del mondo, venuto a maturazione
(e) qui impegnato nella distruzione delle stirpi; anche senza di te (senza il
tuo intervento) non potranno piú esistere tutti i combattenti che (sono qui)
disposti in ostili schiere. (33) E
perciò avanti sorgi tu, e conquista la gloria; godi, dopo aver vinto i nemici di
un ricco regno. Da me soltanto essi sono già da gran tempo stati uccisi. Sii tu
soltanto lo strumento (di ciò che dev'essere ed è come se fosse già stato) o
Savyasacin (capace di servirsi della mano sinistra). (34) Uccidi
Drona e Bhisma e Jayadratha e Karna e ugualmente gli
altri grandi guerrieri che sono stati da me uccisi a (in realtà). Non aver
paura, combatti, tu vincerai in battaglia i tuoi nemici. Satkiaya
disse: (35) Avendo
udito questo discorso di Kesava (Krsna), Kiritin (Arjuna)
con le mani congiunte, e tremante, di nuovo rendendo omaggio, disse a Krsna
con voce mozza, pieno di paura inchinandosi: Il Canto di Lode
pronunciato da Ariuna
Arjuna
disse: (36) Ben a
ragione, o Hrsikesa, il mondo gode e trova piacere nel glorificarti. I
Raksamsi presi dal terrore corrono in tutte le direzioni e le schiere dei
perfetti ti adorano.
(37) E
perché non dovrebbero rendere omaggio a Te, o Sommo Spirito, a te che sei piú
venerando di Brahma, perfino di lui, e che sei creatore originario? O
Infinito, Signore degli dei, rifugio del mondo! Tu sei l'Imperituro, l'essere,
il non-essere, e ciò che è al di là di questi termini. (38) Tu sei
il primo degli dei, la persona originaria, Tu sei di questo Tutto la suprema
dimora. Tu sei il conoscitore e ciò che deve essere conosciuto ed il Fine
Supremo, e da te questo Tutto si promana, o Tu dalla forma infinita. (39) Tu sei
Vayu (il Vento), Yama (il dio della distruzione), Agni (il
fuoco), Varuna (il dio del mare) e Sasanka (la luna) e
Prajapati, il gran signore (di tutte le cose). Salute, salute a Te sia mille
volte. Salute e salute a te di nuovo ancora. (40) Salute
a te sulla fronte, salute a te sul retro, salute a te da ogni parte, o Tutto;
con la tua forza infinita, con la tua smisurata potenza, tu possiedi nel modo
piú completo ogni cosa e sei pertanto ogni cosa. (41) Tutte
le volte che è stato da me detto con temerità, poiché pensavo che tu fossi
soltanto un amico, (che è stato detto da me) che ignoravo questa tua grandezza
"O Krsna, o Yadava, o compagno", per mia negligenza o anche per
amore, (42) in
qualsiasi modo tu sia stato trattato, o in modo scherzoso sconvenientemente, sia
durante il giuoco ricreativo sia stando a letto o (seduto) su sedia o durante i
pasti, o da solo o invece in presenza di altri, o Incrollabile, di ciò io chiedo
perdono a Te, Immenso. (43) Tu sei
il signore del mondo, di ciò che si muove e di ciò che non si muove; tu sei
l'oggetto del suo culto e il (suo) maestro venerando. Non c'è alcuno che (Ti)
sia uguale; come potrebbe esserci un altro superiore (a Te), sia pur nei tre
mondi, o Essere dalla possanza incomparabile? (44) Perciò
inchinandomi e davanti a te prostrando il corpo, io prego per me Te, Signore
degno d'invocazione. Tu devi, o Signore, sopportarmi come un padre il figlio,
come l'amico l'amico, come l'amante l'amata. (45) lo sono
uno che, gioioso, ha visto ciò che non era mai stato visto per l'innanzi; e
l'animo mio è scosso da terrore. Mostrami ancora o Signore soltanto quella tua
forma (di prima). Sii benevolo, Signore degli dei, rifugio del mondo. (46) lo
desidero vederti con il diadema, la mazza, il disco in mano proprio ugualmente
(come prima); assumi la tua forma dalle quattro braccia, Tu che hai mille
braccia e che possiedi tutte le forme. Il Signore elargisce la
sua grazia ad Arjuna e lo rassicura
Il Signore
Beato disse: (47) Per mia
grazia e per mezzo del mio potere, ti è stato concesso di vedere la mia forma
suprema, o Arjuna, la (forma) tutta-luce, universale, infinita,
originaria, quella forma nella quale io non sono stato mai visto da alcuno
all'infuori di te. (48) Non per
mezzo dei Veda, né per mezzo dei sacrifici, né attraverso lo studio, né
attraverso le offerte, né per mezzo dei riti, né attraverso dure penitenze posso
io essere visto in questa forma nel mondo degli uomini da alcun altro che non
sia tu, o eroe illustre dei Kuruidi. (49) Non
angosciarti, non sgomentarti, nel vedere questo mio siffatto terrificante
aspetto. Libero da paura, contento nel cuore, di nuovo osserva questo mio
aspetto (quello universale).
Samjaya
disse: (50) Cosí
Vasudeva avendo parlato ad Arjuna, allora (gli) mostrò ancora una
volta la sua forma. E lui che era impaurito consolò la Grande Coscienza dopo
aver di nuovo assunto il suo aspetto placido. Arjuna
disse: (51) Vedendo
questa tua placida umana forma, o Janardana, ora proprio son rientrato
nel possesso della mia ragione e son ritornato alla mia natura. Il Signore
beato disse: (52) Questo
mio aspetto, che, sebbene assai difficile da contemplare, pure, tu hai visto,
questo aspetto anche gli dei bramano continuamente di contemplare. (53) Non io
per mezzo dei Veda posso essere visto, non per via di penitenza, non per
mezzo di doni, né per mezzo di sacrifici, in questo aspetto in cui tu ora m'hai
visto. (54) Ma con
una devozione che non tollera mutamento, io posso, o Arjuna, sotto questo
aspetto, essere concretamente conosciuto veduto e compenetrato, o distruttor dei
nemici. (55) Colui
che opera in funzione mia, colui che guarda a me come a suo fine, colui che a me
rende onore, libero da attaccamento, colui che è libero da inimicizia nei
confronti di tutte le creature, quegli me raggiunge, o Panduide.
Questo è il capitolo undicesimo intitolato
Devozione e
Contemplazione
Arjuna
disse:
(1) Quei
devoti che, avendo sempre nell'animo la dedizione, onorano Te e quelli poi che
onorano l'Imperituro e l'Immanifestato gli uni o gli altri (quali) di questi
hanno piú grande conoscenza dello Yoga? Il Signore
Beato disse: (2) Coloro
che volgendo lo spirito a me, sempre devoti, onorano me, avendo fatto accesso al
(regno del) la fede suprema, quelli appunto io considero i piú perfetti nello
yoga. (3) Ma
coloro che onorano l'Imperituro, indeterminabile, nonmanifestato, onnipresente
ed impensabile, immutabile, immobile, permanente,
(4)
controllando tutti i sensi nel loro insieme, essi che hanno in tutte le
condizioni un continuo equilibrio spirituale, attingono me appunto, trovando
piacere nella felicità di tutti gli esseri. (5)
L'ostacolo (da superare) per coloro che hanno lo spirito dedito al Non-manifesto
è più grande (di quello che incontrano coloro che si trovano in condizione
diversa), perché il fine che (è rappresentato dal) Non-manifesto è difficile da
raggiungere da parte degli esseri incarnati. I diversi modi di
accostarsi a Dio
(6) Ma (di)
coloro che in me riponendo tutte le loro azioni, a me devoti, con dedizione
incessante su di me meditando, prestano atto di culto, (7) di
costoro, i cui pensieri sono a me rivolti, io sono il liberatore, (sono colui
che li libera) immediatamente dall'oceano della connessione delle esistenze, a
morte votate, o Partha. (8) In me
solamente riponi l'animo tuo, in me fa che il tuo intelletto dimori; in me
soltanto tu dimorerai (allora), su ciò non può esservi dubbio alcuno. (9) Ché se
poi non sei capace di fissare il tuo pensiero su di me stabilmente, cerca allora
di attingermi con l'esercizio della concentrazione, o Dhanamjaya. (10) Se tu
sei incapace (di far ciò) anche attraverso l'esercizio (della concentrazione),
fa' di te (allora) uno la cui opera sia massimamente a me rivolta; anche col
compiere azioni, avendo me come fine, potrai tu ottenere il compimento. (11) E se tu
non sei capace ce di fare nemmeno questo, cercando rifugio nella attività in
equilibrio a me rivolta, con il tuo sé sottomesso, rinuncia al frutto di ogni
azione. (12)
Migliore è dunque la conoscenza che la pratica della concentrazione; alla
conoscenza è superiore la meditazione; alla meditazione è superiore la rinuncia
al frutto dell'azione; alla rinuncia segue immediatamente la pace. Il vero devoto
(13) Colui
che non concepisce inimicizia per alcun essere vivente, che nutre sentimenti
amichevoli e di compassione, che è libero da egoismo ed egocentrismo, che ha un
identico equi librio nel piacere e nel dolore, che è tollerante, (14) lo Yogi
che è sempre. soddisfatto, che ha lo spirito domo, che è fermamente risoluto,
che ha la mente e l'intelletto su di me fissi, lui appunto, che è a me devoto,
mi è caro. (15) Colui
dal quale il mondo non è agitato e che non si agita a causa del mondo, colui che
è libero da gioia e da collera, da paura e da agitazione, quello appunto è a me
caro. (16) Colui
che intorno a sé non riguarda come in attesa, che è puro, che è atto all'agire,
indifferente, esente da turbamento, che ha rinunciato ad ogni intrapresa, quello
appunto, che a me è devoto, mi è caro. (17) Colui
che non gioisce e non odia, non soffre e non spera, che ha rinunciato a ciò che
è buono e a ciò che buono non è, lui appunto, il devoto, mi è caro. (18) Colui
che è uguale sempre per il nemico e per l'amico, colui che ugualmente si
comporta in vista di onore e d'infamia, che è sempre uguale nel freddo e nel
caldo, nel piacere e nel dolore, colui che è libero da attaccamento, (19) colui
che nello stesso modo considera il biasimo e la lode, che mantiene il silenzio,
che di qualsiasi cosa è soddisfatto, che non ha dimora fissa , che è saldo nello
spirito, un uomo siffatto, che è a me devoto, mi è caro. (20) Ma
coloro che seguono questa immortale dottrina come è stato insegnato, con fede, e
avendo me come fine supremo, quei devoti, mi sono cari in modo particolare.
Questo è il dodicesimo capitolo intitolato
Il campo e il
conoscitore del campo
Arjuna
disse: La
prakrti e il purusa, il campo e il conoscitore del campo, la
conoscenza e l'oggetto della conoscenza, ciò desidero conoscere, o Kesava. Il Signore
beato disse: (1) Questo
corpo, o figlio di Kuntí, è chiamato il campo, e quelli che sanno
chiamano colui che lo conosce il conoscitore del campo. (2) Conosci
me come conoscitore del campo in tutti i campi, o Bharata. La conoscenza
del campo e del conoscitore del campo, questo io considero come conoscenza
(autentica). (3) Ascolta
da me in breve che cosa sia il campo, quale esso sia, quali ne siano le varie
forme e donde sia e quale poi sia lui (il conoscitore del campo) e quale ne sia
il potere. I termini costitutivi
del campo
(4) È stato
cantato in vario modo dai saggi, in vari inni, separatamente ed anche in
espressioni, ben fondate e decisive, degli aforismi sull'Assoluto. (5) Gli
elementi grossolani, il senso di sé, la capacità discriminativa e il
non-manifestato, gli undici sensi (i dieci sensi e la mente come realtà
psichica), e i cinque oggetti dei sensi, (6) il
desiderio e l'odio, il piacere e il dolore, l'insieme degli organi,
l'intelletto, la saldezza di spirito, questo, descritto in breve, è il campo con
le sue varie determinazioni. La conoscenza
(7) Il fatto
di non avere una grande opinione di sé, l'essere del tutto liberi da
fraudolenza, il non far male a nessuno, la tolleranza, la rettitudine, l'onore
reso al maestro, la purezza, la fermezza, il controllo di sé, (8)
l'indifferenza verso gli oggetti sensibili, la negazione di ogni egocentrismo;
la percezione del male inerente alla nascita, alla morte, alla vecchiezza, alla
malattia, al dolore, (9) il
non-attaccamento, il non nutrire affetti particolari per il figlio, la sposa, la
casa e cosí via ed un equilibrio spirituale che mai si smentisce rispetto agli
eventi desiderati come a quelli non-desiderati, (10) una
devozione verso di me non soggetta a sviamenti, per mezzo di una disciplina
spirituale che ad una cosa sola è intesa, il fatto di dimorare in luoghi
separati, il non trovar gusto nella folla, (11) la
perenne continuità della conoscenza del Sé originario, l'intuito concretamente
conoscitivo della verità, questo è dichiarato essere conoscenza autentica e
tutto ciò che è diverso è non-conoscenza. (12)
Descriverò ciò che deve essere conosciuto e conoscendo il quale si fruisce
dell'immortalità. (È) il Sommo Brahma senza principio; esso è detto
essere né esistente né non-esistente. Il conoscitore del
campo
(13) Esso,
con le mani e i piedi dappertutto, con gli occhi, le teste e i volti da tutte le
parti, con orecchie da tutti i lati, nel mondo, tutto avvolgendo, dimora. (14) Esso è
quello che appare come avente tutte le qualità sensibili e di tutti i sensi è
tuttavia privo, è senza attaccamento (rispetto a tutte le cose) epperò è quello
che sostiene tutte le cose, libero dalle qualità della prakrti, gioisce
però delle qualità stesse. (15) Esso è
al di fuori e al di dentro degli esseri. È immobile e tuttavia mobile; a causa
della sua finezza non può essere conosciuto; è lontano eppure, esso, è vicino. (16) È
indiviso eppure è come uno che fosse diviso fra gli esseri. Esso dev'esser
conosciuto come quello che sostiene le esistenze, che le distrugge (inghiotte) e
di nuovo le crea. (17) Esso è
anche la Luce delle luci; è detto essere al di là delle tenebre; (è) la
conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il fine della conoscenza. Esso ha sua
sede nel cuore di ogni essere. Il frutto della
conoscenza
(18) In
questo modo si è parlato in breve del campo, ed è ugualmente della conoscenza e
dell'oggetto della conoscenza. Colui che è a me devoto e che ha compreso questo,
diventa atto alla mia realtà. Natura e Spirito
(19) Sappi
che la prakrti e il purusa sono tutti e due senza principio; e
sappi inoltre che le forme derivate e i modi hanno origine dalla prakrti. (20) La
natura è detta compimento dell'effetto (e) mezzo per quanto riguarda l'atto
stesso dell'agire, il purusa è detto il mezzo in rapporto alla
possibilità di godere gioie e patire dolori. (21) L'anima
che ha sede nella natura fruisce dei modi sorti dalla natura. L'attaccamento ai
modi (alle qualità) è causa elle sue nascite in matrici buone o cattive (22) Il Sé
sommo in questo corpo è detto il Testimone, il Consenziente, colui che sopporta,
colui che esperisce, il grande Signore, la somma Persona. (23) Colui
che cosí conosce il purusa e la prakrti insieme con i modi, in
qualsiasi modo egli agisca, non nasce di nuovo. Le differenti strade
per la salvezza
(24) Con la
meditazione alcuni intuiscono il Sé nel sé per mezzo del sé; altri per mezzo
dello yoga della conoscenza; altri poi attraverso la via delle opere. (25) Altri
invece, che di ciò nulla sanno, avendone ascoltato e appreso da altri, compiono
atto religiosamente valido; ed essi appunto superano la morte, per esser devoti
a ciò che hanno udito. (26) In
qualsiasi modo qualsiasi essere abbia nascimento, che sia immobile o che si
muova, sappi, o ottimo fra i Bharata, che esso (è nato) dall'unione del
campo e del conoscitore del campo. (27) Colui
che vede il Sommo Signore come dimorante ugualmente in tutti gli esseri, tale
che non perisce, pur se essi periscono, quegli, realmente, vede. (28)
Infatti, vedendo il Signore ugualmente dappertutto stabilmente presente
(solidamente stabilito) non fa torto al Sé (autentico) con il suo sé; e quindi
raggiunge il fine supremo. (29) Colui
che vede che le azioni in qualsivoglia forma sono fatte soltanto dalla natura e
parimenti vede che il Sé non è esso ad agire, quello veramente vede. (30)
Allorché egli scorge che la molteplice condizione degli esseri si fonda sull'Uno
e che da esso (si attua) il suo estendersi, allora egli attinge il Brahman. (31) Questo
supremo Sé imperituro, poiché è senza-principio, poiché è privo di qualità, pur
avendo sede in un corpo, o figlio di Kuntì, non agisce e non è macchiato. (32) Come
l'etere che tutto pervade a causa della finezza non è macchiato, cosi appunto il
Sé, che è presente in tutto ciò che sia corpo (dappertutto in un corpo) non
patisce alcuna macchia. (33) Come un
unico sole illumina (fa divenire visibile) questo mondo intero, cosi il signore
del campo rende visibile l'intero campo, o Bharata. (34) Coloro
che cosí intuiscono con l'occhio della conoscenza la distinzione fra il campo e
il conoscitore del campo e la liberazione degli esseri naturali (dalla natura
stessa), raggiungono il Supremo.
Questo è il tredicesimo capitolo intitolato
La Conoscenza Suprema
il Signore
beato disse: (1) lo ti
esporrò di nuovo la conoscenza che è somma fra le conoscenze, coll'apprender la
quale tutti i saggi son potuti passare da questo mondo qui alla perfezione
suprema. (2)
Rifugiandosi in questa conoscenza e addivenuti a identità di attributi con me,
nemmeno nell'atto in cui le cose sono create essi nascono, né patiscono
turbamento alcuno al tempo della dissoluzione (delle cose). (3) Il
grande Brahma è la mia matrice; in lui io getto il mio seme e da esso
procede l'origine di tutte le cose, o Bharata. Bontà (rajas) Passione
(sattva) Tenebra (tamas)
(4) Quali
che siano gli esseri aventi una forma, che abbiano nascimento in qualsiasi
matrice, o figlio di Kuntì, il grande Brahma è la loro matrice, io
sono il padre che getta il seme. (5) I tre
guna (o qualità) che hanno origine dalla natura e cioè la bontà, la
passione, la tenebra vincolano nel corpo, o eroe dal forte braccio, l'eterno che
nel corpo dimora. (6) Tra di
essi, il sattva, a causa della sua purezza, è ciò che dà la luce della
conoscenza, è ciò che dà la salute. (Esso) vincola, o eroe senza-macchia, per
mezzo dell'attaccamento alla felicità e dell'attaccamento alla conoscenza. (7) Il
rajas sappi che è della natura dell'attrazione e che sorge dalla brama e
nell'attaccamento; (esso) lega in modo solido, o figlio di Kuntì, colui
che si è incarnato in un corpo, per mezzo dell'attaccamento all'operare. (8) Sappi
però che la tenebra (tamas) è nata dall'ignoranza e che ha la capacità
d'illudere tutti gli esseri-in-un-corpo; essa vincola fortemente, o Bharata,
per mezzo della negligenza, dell'indolenza, del sonno. (9) Il
sattva tiene vincolati alla felicità, il rajas all'agire, o
Bharata, ma la tenebra, col suo avviluppare la conoscenza, tiene vincolati
alla negligenza. (10)
Prevalendo sul rajas e sul tamas, o Bharata, il sattva
sorge; (ugualmente) la passione ha luogo, (quando abbia superato) bontà e
tenebra; ed ancora la tenebra si realizza, (quando abbia avuto la meglio su)
bontà e passione. (11)
Allorché per tutte le porte nel nostro corpo ha nascimento, nel suo splendore,
la conoscenza, allora appunto si può aver per manifesto che il principio della
bontà ha acquistato vigore. (12)
L'avidità, il darsi da fare, l'intraprendere attività, l'irrequietezza il
piacere che si prova nel fare, queste cose sorgono, o migliore fra i Bharatidi,
quando è aumentato il rajas. (13) La
mancanza di luce spirituale, l'inattività, la negligenza, il puro smarrimento
psichico, tutte queste cose sorgono, o delizia dei Kuruidi, quando è aumentata
la tenebra. (14)
Allorché invece l'anima incarnata incorre nella dissoluzione, avendo acquistato
vigore il sattva, allora mette le orme in mezzo a coloro, i puri, che
conoscono il Supremo. (15)
Allorché incorre poi nella dissoluzione, quando prevale il rajas, è
generato allora fra coloro che sono attaccati all'operare; e se poi incontra la
morte, quando prevale la tenebra, è generato nelle matrice di coloro che hanno
gli spiriti confusi. (16) Il
frutto dell'azione buona dicono essere non-impuro e della natura della bontà;
invece il frutto della passione è il dolore, il frutto della tenebra mentale e
psichica è l'ignoranza. (17) Dalla
bontà sorge la conoscenza, dalla passione il desiderio, la negligenza e la
confusione sorgono dalla tenebra e cosí anche l'ignoranza. (18) In alto
si levano quelli che nella bontà hanno loro stabile sede; nelle regioni di mezzo
hanno sede i dominati dalla passione; quelli che partecipano del principio della
confusione hanno sede nelle regioni infime, appartenendo alla qualità inferiore. (19)
Allorché colui che vede non scorge fattore attivo diverso dai modi e conosce
anche ciò che è al di là dei modi, egli appunto attinge il mio essere. (20)
Allorché l'anima incarnata si eleva al di sopra di questi tre guna che
sorgono dal corpo, essendo libera da nascita morte vecchiaia dolore, attinge
l'eternità. Le note essenziali di
colui che è al di sopra dei tre guna
Arjuna
disse: (21) Per
mezzo di quali note è (determinato) colui che si è levato al di sopra dei tre
guna, o Signore? Quale (è) la sua condotta? E come riesce egli a superare i
tre guna? Il Signore
Beato disse: (22) (Colui
che) o Pandava, non ha in odio l'illuminazione, l'attività e lo
smarrimento mentale, quando si sono prodotti, e non li desidera quando sono
venuti meno; (23) Colui
che stando seduto come uno che non è toccato (da ciò che avviene), non è
affettato dai modi, e che non si muove (24) Colui
che ugualmente considera dolore e piacere, che è saldamente fondato nel suo
stesso sé, che nello stesso modo considera una zolla di terra, una pietra, un
pezzo d'oro, che ugualmente considera ciò che piace e ciò che non piace, colui
che è fermo nel suo spirito, che considera uguale e biasimo ed elogio (che gli
siano tribuiti); (25) Colui
che è lo stesso nell'onore e nel disonore, che è lo stesso verso gli amici e
verso quelli che sono (del partito dei) nemici, colui che rinuncia a tutte le
imprese, quegli (appunto) è detto colui che ha superato le tre qualità (guna). (26) Colui
che mi onora con costante amorosa devozione ed amore, quegli appunto superando
codesti tre guna, è atto a (attingere) l'essenza di Brahma. (27) Infatti
io sono il fondamento del Brahman immortale e imperituro e dell'eterna
legge e della beatitudine assoluta.
Questo è il quattordicesimo capitolo
intitolato
L'albero cosmico
Il Signore
Beato disse:
(1) Parlano
dell'imperituro asvattham (albero baniano) come di quello che ha verso il
basso i rami e verso l'alto le radici; del quale le piume (le foglie) sono i
testi vedici: e colui che lo conosce è (pertanto) un conoscitore del Veda. (2) In basso
e in alto sono estesi i suoi rami, alimentati dai modi (dell'esistenza), aventi
come germogli gli oggetti materiali, e in basso, nel mondo degli uomini, si sono
prolungate le sue radici, (che sono) legate alle azioni. (3) La sua
forma (effettiva) non è qui, cosi, percepita, né la sua fine, né il suo
principio, né il suo fondamento. Dopo aver troncato l'asvattha dalla
radice ben cresciuta, con la solida arma del non-attaccamento, (4) allora,
si dovrà cercar quella strada, dalla quale piú non tornano indietro quelli che
vi sono arrivati, (pensando) "io cerco rifugio in Lui soltanto, nella Persona
originaria, donde si è sviluppato l'antico processo del mondo". (5) Coloro
che sono esenti da orgoglio e da smarrimento spirituale, che hanno vinto la
colpa, che consiste nell'attaccamento, che sono sempre assorti nel Sé
originario, che hanno rinunciato ai desideri, che son liberati dalle dualità
rappresentate dalla coscienza del piacere e del dolore, tornano, senza
smarrirsi, a quella condizione che non avrà mai termine. La vita della
manifestazione è soltanto una parte della vita
(6) Il sole
non Lo illumina, e cosí nemmeno la luna ed il fuoco; esso è il mio supremo
rifugio, dal quale quelli che vi giungono piú non ritornano. Il Signore come vita
dell'Universo
(7) Un
frammento della mia realtà, nel mondo della vita, divenuta che sia un'anima
individuale, eterna, (a sé) trae i sensi, fra i quali è la psiche come sesto
organo, (sensi) che si fondano sulla natura. (8) Quando
il Signore si assume un corpo e quando l'abbandona, (egli) prende questi (i sei
organi di senso) e va, cosí come il vento (porta via) i profumi dal luogo (ove
stanno). (9) Entra in
rapporto con gli oggetti dei sensi, impiegando l'orecchio, l'occhio, il tatto,
il gusto, l'odorato, cosí come anche le facoltà della mente. (10) Coloro
che hanno l'animo smarrito non vedono Lui che se ne va, che resta, che fruisce
dei guna, venendo in contatto con essi; ma lo vedono coloro che hanno
l'occhio della conoscenza. (11) Anche
gli yoginah che lottano lo percepiscono come avente sede nel sé, ma
quelli che non intendono, i cui spiriti non te hanno raggiunto l'equilibrio (non
sono formati), per quanto lottino, non riescono a vederlo. (12) Quello
splendore che proviene dal sole (e) che illumina tutto questo mondo, quello che
è nella luna, quello che è nel fuoco, quello splendore, conoscilo come mio. (13) Col
fare il mio ingresso nel seno della terra, sostengo gli esseri con la mia
energia (vigorosamente), e, diventando il soma, come nettare gustoso, io
nutro tutte le piante benefiche. (14) Io,
diventando il fuoco universale (della vita) e (come tale) entrando nel corpo
delle creature viventi, insieme mesco (15) E io
sono installato nel cuore di ognuno; da me nascono la memoria e la conoscenza e
cosí anche la negazione loro. Io son colui ancora, che si deve conoscere per
mezzo di tutti i Veda; io sono anche colui che ha fatto il Vedanta
e anche colui che conosce i Veda . La Somma Persona
(16) Queste
due persone son (quelle che sono) nel mondo, quella peritura e l'imperitura,
quella peritura (si identifica con) tutti questi esistenti, ed imperituro si
chiama l'immutabile (quello che sta in alto nel mezzo). (17) Diversa
però da questi (è) la Coscienza Altissima, che ha il nome di Sé supremo, il
quale entrato nei tre mondi come Signore imperituro, li sostiene. (18)
Allorché ho superato il perituro e sono sommo perfino nei riguardi (superiore a)
dell'imperituro, allora io sono celebrato come la Suprema Persona nel mondo e
nel Veda. (19) Colui
che, senza smarrirsi, conosce me, la Suprema Persona, quegli è il conoscitore
del tutto ed onora me con tutto il suo essere, o Bharata. (20) Cosí
questa dottrina segretissima è stata da me rivelata, o (eroe) senza macchia.
Conoscendola (un uomo) potrà diventare saggio e (diventare) uno che ha compiuto
il suo dovere, o Bharata.
Questo è il quindicesimo capitolo dal
titolo
I caratteri della
natura divina
Il Signore
Beato disse:
(1)
L'assenza di paura, la purezza dell'essenza (dello spirito), il fatto di essere
ben stabilito nella conoscenza e nella concentrazione, la generosità, il
controllo e il sacrificio, lo studio, la penitenza, la rettitudine, (2) la
non-violenza, la verità, l'andar esenti da ira, la rinuncia, la serenità, il non
usare calunnia, la compassione per esseri viventi, l'assenza di bramosia, la
dolcezza, il ritegno, la ponderatezza, (3) il
vigore, l'indulgenza, la forza d'animo, la purezza, l'esser liberi da sentimenti
ostili (per chiunque), il non sentire troppo altamente di sé sono di colui che è
nato per la divina perfezione, o Bharata. Il demoniaco
(4)
L'ipocrisia, l'arroganza, il sentir di sé troppo altamente, l'essere collerico
ed anche la rudezza ed ignoranza (sono), o Partha, di colui che è nato
per la condizione demoniaca. Le conseguenze dell'una
e dell'altra condizione
(5) La
divina perfezione si ritiene che sia per la liberazione e la natura demoniaca in
funzione del vincolo (della schiavitù spirituale). Non ti addolorare, o
Pandava, tu sei nato per la divina perfezione. (6) (Ci
sono) due generi di esseri creati nel mondo: il divino e il demoniaco; il divino
è stato descritto per esteso; ascolta da me, o Partha, (l'esposizione)
del demoniaco. (7) Gli
uomini demoniaci non conoscono né la via dell'agire né la via delle rinuncia
all'agire; in essi non si trova purezza, né buona condotta, né verità. (8) Dicono
che il mondo sia senza realtà, senza fondamento, senza un Signore, non venuto
all'essere secondo una regolare connessione causale, in breve, causato dal
desiderio. (9) Tenendo
fermo a questo modo di vedere, gli uomini di corto intelletto, che nuocciono a
se stessi, si levano, uomini dagli atti violenti, quali nemici del mondo, per la
sua distruzione.
(10)
Abbandonandosi a un desiderio che non può essere saziato, pieni di fraudolenza,
albagìa, orgoglio, per via d'illusione in sé trattenendo cattive inclinazioni,
agiscono avendo una condotta non pura. (11) Dediti
ad un impegno affannoso o senza misura, che ha fine soltanto con la morte, essi
che credono che la necessità primaria per l'uomo consista nel soddisfacimento
dei desideri e sono convinti che di questo mondo sia l'unica realtà, (12) legati
dai cento e cento vincoli del desiderio, dediti al piacere ed all'ira, cercano
di ottenere delle fortune, seguendo un modo di procedere irregolare (ingiusto),
pur di soddisfare i loro desideri; (13) "Oggi
son riuscito ad ottenere questo, quest'altro desiderio riuscirò a soddisfare;
questa cosa mi appartiene e anche l'altro bene a sua volta sarà mio"; (14) "Questo
nemico è stato ucciso da me ed altri anche io ucciderò; io sono il Signore, sono
colui che gode, sono fortunato, potente, felice"; (15) "Io
sono ricco, sono di nobile stirpe: chi altro c'è che sia simile a me? Io farò
sacrifici, farò doni e godrò": cosí (dicono essi) illusi dall'ignoranza. (16) Agitati
dai piú diversi pensieri, avviluppati nella rete dell'illusione, impegnati nella
soddisfazione dei loro desideri, cadono in un cupo inferno. (17)
Infatuati di se stessi, pretensiozi, presi dalla superbia e dall'orgoglio della
ricchezza, compiono dei sacrifici che sacrifici sono soltanto di nome, in modo
del tutto ostentato e senza tener conto delle regole. (18)
Abbandonandosi all'egocentrismo, alla bruta prepotenza, all'orgoglio, e cosi
anche alla lussuria ed all'ira, (questi) uomini a tutti nemici son tali da
detestare Me (che pur albergo) nei loro stessi corpi e in quelli degli altri. (19) Questi
(uomini) che non fanno che odiare, (questi uomini) crudeli, i piú vili degli
uomini, nel succedersi delle nascite e delle morti, io ininterrottamente
scaravento, essi, i malvagi, in demoniache matrici. (20) Caduti
in matrice demoniaca questi uomini dalla mente confusa, di nascita in nascita,
senza raggiungermi, o figlio di Kuntì, vanno piuttosto, di conseguenza,
all'infima delle condizioni. Le tre porte
dell'inferno
(21) Questa
porta che mena all'inferno, essa, la distruggitrice del sé particolare ha un
triplice accesso (è triplice): (consiste in) passione, ira, avidità. Pertanto,
occorre metter da parte queste tre cose. (22) L'uomo
che si è liberato di queste tre porte che menano al regno delle tenebre, o
figlio di Kuntì, fa ciò che è meglio per il suo sé, e quindi raggiunge lo
stato supremo. (23) Colui
che sdegnando le norme della Scrittura, agisce a seconda delle proprie passioni,
non raggiunge né la perfezione né la felicità né lo stato supremo. (24) Perciò
la Scrittura sia la tua norma nella determinazione di ciò che è da fare e di ciò
che non si deve fare; conoscendo ciò che è detto nelle norme contenute nella
Scrittura, devi compiere in questo mondo l'opera tua.
Le tre specie di fede
Arjuna
disse: (1) Di
coloro che, dando importanza minore ai precetti scritturali, (pur) pieni di
fede, fanno offerta di sacrifici, qual è la situazione o Krsna? Sono essi
partecipi del principio della bontà o di quello della passione, o di quello
della tenebra? Il Signore
Beato disse: (2) La fede
di coloro che si sono incarnati in un corpo è di tre specie, ognuna di esse
avendo origine dalla natura di ciascuno: ossia buona, passionale, tenebresa.
Ascolta (dunque il mio discorso su) queste (specie). (3) La fede
di ciascuno è conforme alla sua natura, o Bharata; della natura della sua
fede, tale è l'uomo; quale la sua fede in realtà è, tale appunto egli è. (4) Gli
uomini buoni onorano gli dei, quelli dominati dalle passioni onorano i semidei e
i demoni e quelli che hanno lo spirito ottenebrato onorano gli spiriti dei
morti, ai quali non sono stati ancora resi gli onori funebri, e le tribú degli
spiriti. (5) Quegli
uomini che si sottopongono ad una terribile penitenza, non stabilita dalla
scrittura, (in quanto) vogliono secondare ipocrisia ed egoismo e sono posseduti
dalla violenza della cupidigia e della passione, (6) essendo
privi di senno, compiono un'azione riduttiva sull'insieme di elementi che ha
sede nel corpo ed anche su di me in quanto dimoro in un corpo. Sappi che questi
sono demoniaci nella loro determinazione. Le tre specie di cibo
(7) Anche il
cibo che è caro a ciascuno è di tre specie; e cosi anche i sacrifici, le
penitenze, i doni; ascolta dunque codesta distinzione-classificazione. (8) I cibi
che accrescono la lunghezza della vita, la forza vitale, la forza fisica, la
buona salute, la felicità e la piacevolezza (dell'esistere), saporiti, teneri,
nutrienti, gradevoli sono cari a quelli che partecipano del sattva. (9) I cibi
amari, acidi, salati, assai caldi, piccanti, aspri, che bruciano, che fanno
male, che dànno luogo a pene e ad indigestione, sono preferiti da coloro che son
dominati dalle passioni (rajas).
(10) Ciò che
è corrotto (che ha fatto il suo tempo), che è privo di sapore, che è putrido,
che ha passato il tempo in cui era accettabile, che è stato rifiutato ed è
sozzo, questo è il cibo che è caro a chi è nel tamas. Le tre specie di
sacrificio
(11) Quel
sacrificio che è offerto, in accordo con le norme scritturali, da coloro che non
bramano il frutto e che volgono il loro spirito al fatto che 'è doveroso offrire
il sacrificio, quel sacrificio partecipa della bontà. (12) Ma ciò
che è offerto, con la mira al frutto od anche per ostentazione, o ottimo fra i
Bharata, sappi che quel sacrificio partecipa del rajas (della
passione). (13) Il
sacrificio che è al di fuori della norma, nel quale non è offerto cibo, privo di
inni, non accompagnato da doni, ove non è presente la fede, si dice che sia
partecipe della tenebra. Le tre specie di
penitenza
(14) Il
culto reso agli dei, ai nati due volte, ai maestri, ai saggi, la purezza, la
rettitudine, la continenza e l'astensione dal nuocere, (questo) si chiama la
penitenza o ascesi del corpo. (15) Il
pronunciar parole che non arrecano turbamento, che rispondono a verità, che sono
gradevoli e salutari e l'esercizio di recitazione dei Veda (ciò) è detto
(essere) ascesi relativa al discorso. (16) Calma
nella propria psiche, gradevole gentilezza, silenziosa riservatezza, controllo
di sé, purezza di spirito, questo ha il nome di ascesi dell'anima. (17) Questa
triplice ascesi, praticata con la fede piú alta da uomini dall'animo fermo e che
non abbiano la brama del frutto, è chiamata partecipe del principio della bontà. (18)
Quell'ascesi che è praticata al fine di ottenere gli onori che si rendono alle
persone di riguardo e in genere onore e rispetto e per far bella mostra è, nel
nostro mondo qui, chiamata partecipe del principio della passione: è sempre
mutevole e incostante. (19) Quella
specie di ascesi che è praticata con una infatuazione che deriva da errato
concetto, con proprio danno o al fine di distruggere altri, è detta partecipe
del tenebroso. Le tre specie di doni
(20) Quel
dono che è fatto a uno che non dà il concambio, (pensando) che questo è un dono
che dev'essere fatto, nel luogo giusto e al tempo giusto e a persona degna, quel
dono si giudica esser partecipe di bontà. (21) Ma quel
dono che è fatto in funzione di una ricompensa, o con l'animo volto al frutto,
come guadagno di ritorno, o controvoglia, è detto essere della natura della
passione. (22) E quel
dono che è fatto a tempo e in luogo inopportuni a persone indegne, in modo
scortese (o) con disprezzo, è detto essere della natura delle tenebre. L'espressione mistica:
Aum Tat Sat
(23) Il
triplice segno di Brahman è considerato essere "aum tat sat".
Con esso furono stabiliti in antico i Brahmani, i Veda ed i
sacrifici. (24) Perciò
pronunciando (la sillaba) aum, gli atti di sacrificio, dono,
penitenza, come prescritti dalle norme scritturali per i fedeli interpreti del
Brahman, si praticano sempre per opera loro. (25)
(Pronunciando la sillaba) tat, senza aver la mira al frutto, sono
compiuti da coloro che cercano la liberazione i diversi atti del sacrificio e
dell'ascesi e i diversi atti del dare. (26) La
sillaba sat è usata col significato di "realtà effettiva" e col
significato di "realtà santa"; ed ugualmente, o Partha, la parola
sat è usata nel senso di "azione buona". (27) La
fermezza nel sacrificio, nell'ascesí, nel dono è chiamata anche sat ed
ugualmente è chiamata sat ogni azione che abbia fini siffatti. (28)
Qualsiasi offerta sia fatta, qualunque dono sia fatto, qualunque atto d'ascesi
sia compiuto senza fede ha il nome di asat, o Partha: nulla
dopo la morte, nulla in questa vita.
Questo è il diciassettesimo capitolo dal
titolo
Si deve praticare la
rinuncia non nel senso della rinuncia all'operare bensì nel senso della rinuncia
al frutto delle opere
Arjuna
disse:
(1) O eroe
dal forte braccio, desidero conoscere il vero concetto della rinuncia e
dell'abbandono, o Hrsikesa, nei vari modi, o Kesinisudana. Il Signore
Beato disse: (2) I
sapienti sanno che la rinuncia consiste nell'astensione dalle opere, compiute
con fine d'interesse; coloro che vedono chiaramente (i dotti) affermano che
l'abbandono consiste nel lasciare i frutti di tutte le opere. (3) Bisogna
astenersi dall'operare, come da un male: cosi alcuni uomini saggi opinano; ed
altri (affermano) che gli atti di sacrificio, di dono, d'ascesi non devono
essere dismessi. (4) Ascolta
ora da me, ottimo fra i Bharata, la nozione certa dell'abbandono:
l'abbandono, o sommo tra gli uomini, è stato spiegato come triplice. (5) Gli atti
che consistono nel sacrifizio nel dono nell'ascesi non devono essere abbandonati
(o dismessi), ma devono invece essere compiuti. Perché il sacrificio, il dono,
l'ascesi (realizzano) la purificazione dei saggi. (6) Ma anche
queste opere devono essere compiute, abbandonando l'attaccamento e il desiderio
del frutto. Tale o Partha, è il mio modo di pensare deciso ed ultimo (o
sommo). (7) Ma il
rifuggire da un atto prescritto non è cosa che possa approvarsi; l'astenersi da
una cosa del genere, per via di illusione, si dichiara essere della natura del
tamas, del tenebroso. (8) Chi
tralasci un'azione (considerando che è) dolorosa, per paura della sofferenza
fisica, quegli, compiendo una rinuncia di tipo passionale, non potrà ottenere il
frutto della rinuncia. (9) Ma colui
che compia il dovere prescritto (considerando) che "è una cosa che bisogna
fare", o Arjuna, mettendo da parte ogni attaccamento e cosi anche la
prospettiva del frutto, (realizza) una rinuncia (che) è giudicata partecipe del
principio della bontà. (10) L'uomo
saggio che compie la rinuncia, che è compenetrato dal sattva o principio
della bontà, i cui dubbi sono dispersi, non odia nessuna azione penosa e non ha
attaccamento per il facile operare. (11) Davvero
non è possibile, per chi è fornito di un corpo , rinunciare in tutto e per tutto
all'operare. Ma colui che rinuncia al frutto dell'opera, (quegli) è chiamato
colui che pratica autenticamente il distacco. (12)
Sgradevole, gradevole, misto: triplice è il frutto dell'operare, per coloro che
non hanno compiuto la rinuncia, una volta che siano morti: non ce n'è di alcun
genere per coloro che hanno compiuto la rinuncia. L'operare è una
funzione naturale
(13) O
(eroe) dal forte braccio, apprendi da me questi cinque principii, per il
compimento di tutte le azioni, (come) sono enunciati nella dottrina samkhya. (14) La base
dell'agire ed ugualmente l'agente, lo strumento nelle sue varie specie, i vari
tipi di attività separatamente presi e poi l'elemento piú che umano (superiore
all'umano) che è il quinto. (15)
Qualsiasi azione l'uomo intraprenda con il corpo, la parola, la mente, (azione)
che sia secondo la regola o che vada in senso opposto, cinque sono i suoi
fattori. (16) Cosi
stando le cose allora, l'uomo dallo spirito distorto che ritenga se stesso
l'agente assoluto, per il fatto che non maturo è il suo spirito, quegli, (in
realtà) non vede. (17) Colui
che è libero da ogni (illusorio) sentimento egocentrico, che non ha la facoltà
distinguente turbata, anche se uccide in questo mondo, non uccide (in realtà) e
non soffre vincolo (per le sue azioni). La conoscenza e
l'azione
(18) La
conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il soggetto conoscente costituiscono il
triplice incitamento all'agire; lo strumento, l'azione e l'agente sono i tre
elementi che entrano a costituire ogni azione. (19) La
conoscenza, l'azione e l'agente, secondo la scienza dei guna (delle
qualità), si dice che siano di tre specie soltanto, secondo la distinzione dei
guna. Ascolta anche di questi, come è buona regola. Le tre specie della
conoscenza
(20) Quella
conoscenza per la quale è visto in tutti gli esseri l'unico essere imperituro,
indiviso nelle (esistenze) divise, sappi che partecipa della bontà. (21) Quella
conoscenza che conosce vari esseri di diverse sorti in tutti gli esistenti, a
causa del loro essere separati, sappi che quella conoscenza partecipa della
passione. (22) Ma
quella (conoscenza) che resta appresa ad un singolo effetto, come se fosse il
tutto, senza considerare la causa, per il fatto di non tener a ciò che è reale,
(quella conoscenza) che è di valore limitato si dichiara essere partecipe del
tenebroso. Le tre specie
dell'operare
(23)
Quell'azione che appartiene al novero delle prescritte, che è compiuta senza
attaccamento, senza amore od ostilità da colui che non cerca di ottenere il
frutto, quella è detta partecipe della bontà. (24) Ma
quell'azione che è compiuta, mentre implica sforzo o pena, da uno che vuole la
soddisfazione dei suoi desideri oppur anche da uno che sia pieno di sentimento
di sé, si dice partecipe della passione. (25) L'atto
che si fonda sullo smarrimento mentale, senza tener conto del rapporto seriale
immediato degli eventi, di rovina o di torto (possibile altrui arrecato) e senza
considerare le umane possibilità, è detto partecipe della tenebra. Tre specie di agente
(26) Colui
che agisce (essendo) libero da attaccamento, che non parla come (fa) l'egoista,
che è pienamente dotato di costanza ed energia, che non è scosso da successo o
insuccesso, è detto partecipe della bontà. (27) Colui
che agisce in preda a (varie) brame, che avidamente cerca il frutto dell'azione,
(che è in sé) avido, con l'animo di chi vuol fare del male, impuro, con l'animo
pieno di gioia o di tristezza, è detto partecipe di qualità passionale. (28) Colui
che agisce senza aver conseguito l'equilibrio, che è volgare, ostinato, falso,
sornione, ignavo, depresso e tergiversante si dice partecipe della tenebra. Le tre specie
d'intelletto (facoltà discriminativa)
(29) Ascolta
(dunque ora) la triplice distinzione dell'intelletto (come capacità
discriminativa) e della ferma costanza spirituale, secondo le qualità, o
possessore della ricchezza, enunciata interamente e distintamente. (30) O
figlio di Partha, l'intelletto che conosce il muoversi in avanti
(l'agire) e lo starsene immobili, ciò che si deve e ciò che non si deve fare,
ciò che si deve e ciò che non si deve temere, ciò che lega e ciò che libera,
(quello), è partecipe della bontà. (31) Ma
l'intelletto con il quale (si) conosce in modo improprio il giusto e l'ingiusto,
ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, quello, o figlio di Partha,
è in sé passionale. (32) E
l'intelletto che, avviluppato dalle tenebre, pensa che l'ingiusto sia giusto e
(concepisce) tutte le determinazioni concrete all'inverso, o Partha,
(quello) partecipa della tenebra. Le tre specie di salda
fermezza
(33) La
salda fermezza con la quale (uno) regola le attività della mente, del flusso
vitale, dei sensi, per mezzo della concentrazione, quella salda fermezza che mai
non si svia, o Partha, è partecipe della bontà. (34) La
salda fermezza per mezzo della quale uno che sia desideroso del frutto, in
stretta dipendenza da ciò, volge la propria attenzione al dovere, al piacere,
alla ricchezza, quella fermezza, o Partha, è del tipo della passione. (35) La
salda fermezza per via della quale lo stolto non lascia (di abbandonarsi al)
sonno, alla paura, all'ansia, alla tristezza, all'ebbra eccitazione orgogliosa,
o Partha, è (quella) partecipe del principio della tenebra. Le tre specie di
felicità
(36) Ora poi
ascolta da me, o ottimo fra i Bharata, le tre specie di felicità (quali
siano). Quella per cui (l'uomo) in seguito ad esercizio prende diletto e giunge
al termine del suo soffrire, (37) Quella
felicità che al principio è come un veleno ed alla fine rassomiglia al nettare,
che nasce dalla chiarezza dell'intendimento del Sé, è detta essere partecipe del
principio della bontà. (38) Quella
felicità che nasce dal contatto dei sensi e degli oggetti di senso e che è come
nettare al principio, come veleno alla fine, una tale felicità è menzionata come
del tipo passionale. (39) Quella
condizione di piacere che al principio e in ciò che ad esso consegue,
(rappresenta un) turbamento dell'anima e che è sorta dal sonno profondo, dalla
pigrizia, dalla negligenza quella appunto è detta essere partecipe del
tenebroso. I vari doveri
determinati dalla natura particolare (svabhava) e dalla condizione sociale
particolare (svadharma)
(40) Non c'è
(essere) esistente particolare sulla terra o anche fra gli dei in cielo, che sia
libero da codesti tre guna che traggono origine dalla natura. (41) Gli
atti dei Brahmani, degli ksatriyah, dei vaisyah e degli
sudrah, o distruttor dei nemici, sono distinti a seconda delle qualità che
hanno origine nella natura particolare di essi. (42) La
serenità, il controllo di sé, la vita ascetica, la purezza, la tolleranza e la
rettitudine sincera, la sapienza, la conoscenza e la pietas, (tale è)
l'agire proprio del Brahmano e che trae origine dalla sua stessa natura. (43)
L'eroismo, il vigore, la fermezza, la destrezza, il non fuggire nemmeno nel
pieno della mischia, la generosità, avere l'orgoglio del comando, (questo è)
l'agire dello ksatriya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa. (44)
L'agricoltura, l'aver cura del bestiame, la mercatura (costituiscono) l'agire di
un vaisya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa; l'operare che ha il
carattere del servire è proprio dello sudra e nasce dalla sua stessa
natura. (45) Ciascun
uomo, che trova piacere nel proprio lavoro, raggiunge la perfezione Come
ciascuno che con impegno compia il proprio lavoro raggiunga la perfezione,
questo (appunto) ascolta. (46) Colui
dal quale (si muove) lo sviluppo degli esseri e dal quale tutto questo mondo
promana, quello appunto, per mezzo della sua propria opera, l'uomo onorando,
raggiunge la perfezione. (47)
Migliore è la legge propria, (per quanto) sprovvista di qualità (che la rendono
perfetta), che non l'altrui legge ben praticata. Colui che compie opera ordinata
dalla propria natura non commette colpa. (48) Nessuno
deve abbandonare l'opera che gli è connaturata, o figlio di Kuntì, per
quanto piena di difetti possa essere, perché in verità tutte le intraprese sono
annebbiate da difetti, come il fuoco dal fumo. Il karmayoga e la
perfezione assoluta
(49) Colui
il cui intelletto non ha in modo alcuno attaccamento, colui che ha vinto il suo
sé (e) che si è liberato dei suoi desideri, attraverso la rinuncia, perviene
allo stato di perfezione che è al disopra dell'operare. La perfezione di
Brahman
(50) Colui
che ha raggiunto la perfezione, (allora) attinge il Brahman, che è il
massimo compimento della conoscenza: (questo) da me ascolta in breve, o figlio
di Kunti. (51)
(Essendo) fornito di un puro intelletto, con fermezza controllando se stesso,
rinunciando al suono ed agli altri oggetti di senso e respingendo via da sé
attrazione e avversione, (52) menando
vita solitaria, mangiando assai poco, padrone della parola, del corpo, della
psiche, dandosi sempre alla meditazione ed alla concentrazione e trovando
rifugio nell'indifferenza, (53) tenendo
lontano l'egocentrismo, la forza bruta, l'arroganza, il desiderio, l'ira, il
possesso, rinunciando all'io e dopo essersi raccolto in pace, è atto a divenire
una realtà sola col Brahman. La devozione suprema
(54)
(Essendo) divenuto una cosa sola col Brahman, avendo lo spirito sereno,
non ha pene (e) non ha desideri. Uguale verso tutti gli esseri, in me attinge la
devozione suprema. (55) Per
mezzo della devozione giunge a conoscermi, come sono e quale io sono in realtà;
perciò, avendo conosciuto me in verità, in me immediatamente fa ingresso. Applicazione di
quest'insegnamento al caso di Arjuna
(56)
Continuamente compiendo tutte le azioni, purchè in me cercando rifugio, per mia
grazia raggiunge l'eterna imperitura dimora. (57)
Risolvendo nel tuo spirito in me le tue opere, a me devoto, ricorrendo alla
fermezza dell'equilibrio spirituale, abbi il pensiero costantemente in me fisso. (58) In me
tenendo fiso il pensiero, per mezzo della mia grazia, supererai tutte le
difficoltà: ma se poi tu, per dar valore al tuo ego, non mi ascolterai, perirai. (59) Se, ad
alto sentimento del tuo sé abbandonandoti, pensi "non combatterò", questa tua
risoluzione (è formulata) invano: sarà la natura stessa a costringerti. (60) Quello
che non desideri fare, per uno smarrimento della tua mente, quello (tu) farai
anche contro la tua volontà, costretto dal tuo operare, sorto dalla tua stessa
natura, o figlio di Kuntì. (61) Il
Signore, o Arjuna, dimora nella regione del cuore di tutti gli esseri,
volgendo intorno tutti gli esseri col suo potere, come se fossero posti su di
una macchina. (62) A lui
va' come al tuo asilo, con tutto il tuo essere, o Bharata; attraverso la
sua grazia attingerai la pace suprema e l'eterna dimora. (63) Cosí
quella sapienza-conoscenza che è piú segreta di tutti i segreti, è stata da me a
te spiegata; rifletti su di essa senza nulla tralasciare e fa (cosí) come
preferisci (di fare). Esortazione finale
(64) Ascolta
di nuovo la mia suprema parola, quella che di tutte è la piú segreta; tu sei da
me intensamente amato, e ti dirò quindi ciò che per te è buono. (65) Fissa
su di me l'anima tua; sii a me devoto; a me rendi il sacrifizio; a me rendi
onore; a me cosí tu verrai e a te prometto la verità, (ché) tu mi sei caro. (66)
Mettendo da canto tutti i doveri, vieni a me (che son) l'unico asilo; non ti
affliggere, sarò io a liberarti da tutti i mali. Il compenso per aver
seguito l'insegnamento
(67) Questo
(insegnamento) non dev'essere da te assolutamente esposto ad uno che non
pratichi penitenze, a uno che non abbia devozione, a uno che mi disobbedisca o
(che) mi biasimi. (68) Colui
che spiegherà questo supremo segreto ai miei devoti, per me realizzando una
devozione che non ha altra che la superi, a me senza dubbio verrà. (69) Non ci
(potrà essere) fra gli uomini alcuno che compia azione a me piú cara; né ci può
essere altri piú caro di lui sulla terra. (70) E da
colui che studierà questo dialogo, che noi due abbiamo condotto secondo i sacri
principii, è mio intendimento di essere onorato, attraverso l'ascesi della
conoscenza. (71) E
l'uomo che lo ascolti con fede e senza pensieri maligni, quegli appunto,
liberato, raggiungerà i mondi felici dove dimorano i virtuosi. (72) È stato
questo (discorso) da te udito con animo fisso su un punto, o Partha? Lo
sviamento causato dall'ignoranza è stato esso disperso, o possessore della
ricchezza? Arjuna
disse: (73)
Dissolto è il mio smarrimento e da me conquistata la consapevolezza, attraverso
la tua grazia, o Incrollabile. Fermo sto, con i dubbi che si son tutti dissolti:
quel che tu mi hai detto, io compirò. Samjaya
disse: (74) Cosí io
ho udito questo meraviglioso dialogo fra Vasudeva e il magnanimo
Partha, che tale fu da darmi un brivido orripilante. (75) Per
grazia di Vyasa, io ho ascoltato questo segreto supremo, (questo) yoga,
proprio dallo stesso Krsna, da lui, il signore dello yoga, che lo
spiegava, di persona. (76) O re,
ogni volta che ripenso a questo dialogo meraviglioso e santo di Kesava ed
Arjuna, gioisco e torno a gioire. (77) Ed ogni
volta che richiamo alla mente la forma piú che portentosa di Hari, grande
è il mio stupore, o re, e gioisco e torno a gioire. (78) Laddove
è Krsna, signore dello Yoga, laddove è Partha, l'arciere, ivi,
fermamente credo, sono per certo in modo stabile la fortuna, la vittoria, il
benessere, la buona condotta.
Questo è il diciottesimo capitolo
intitolato Qui finiscono gli insegnamenti upanisadici della Bhagavad Gita.
Da: http://www.estovest.net/testi/bhagavadgita/index.html
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