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Nota per un'estetica degli
stati modificati di coscienza
Come prima cosa infuriarsi: mettersi fuori di sé. Come seconda entusiasmarsi: entrare in Dio. José Bergamín[1]
In un breve intervento di alcuni anni fa[2] Grazia Marchianò avviava un confronto fra dimensione estetica e dimensione estatica, rimanendo però all'interno di un dibattito avviato tra estetica e antropologia[3]. In questa sede, pur facendo tesoro delle intuizioni dell'illustre studiosa, vorremmo allargare la prospettiva riprendendo alcuni esiti della filosofia contemporanea, al fine di delineare i presupposti di quella potremmo chiamare un'estetica degli stati modificati di coscienza[4]. Se negli ultimi decenni è cresciuta una letteratura abbondante sull'estasi[5] in svariati ambiti disciplinari, (in psicologia e neurofisiologia ricordiamo le opere delle scuole transpersonale[6]e neo-dissociativa[7], nonché, nel nostro Paese, quelle di Marco Margnelli[8]; in antropologia e sociologia ricordiamo, invece, le opere di Ioan M.Lewis[9] e di George Lapassade[10], nonché, nel nostro Paese, quelle di Renato Curcio[11]), la genesi di una possibile filosofia dell'estasi o teoria dell'ebbrezza ha nell'Occidente una storia antichissima che risale almeno ad alcuni dialoghi di Platone come Fedro o Ione, per poi compiersi nel Novecento con gli scritti sull'hascisch di Walter Benjamin[12] e con quelli protopsichedelici di Aldous Huxley[13]. Nel nostro Paese si è assistito in anni recenti ad un risveglio di interesse filosofico (l'immenso e inestimabile lavoro di Elémire Zolla che vi è dietro richiederebbe un'attenzione che esula da queste brevi note[14]) con i recenti saggi di Pietro Prini[15], Paolo Pellegrino[16], Massimo Donà[17], e , infine, Roberto Calasso[18]. Che tali filosofie dell'estasi appartengano comunque ad una dimensione estetica si rende comprensibile appena si sostituisca l'ormai logora definizione di estetica come disciplina dell'arte e del bello con quella originaria, opera del filosofo tedesco settecentesco Alexander Gottlieb Baumgarten, di dottrina della conoscenza sensibile[19]. Tuttavia, anche questa definizione rischia di essere insufficiente, se non addirittura controproducente per il fine che ci siamo assunti, ossia una estetica degli stati modificati di coscienza o della dissociazione[20], capace di sanare un possibile conflitto fra scienze umane e scienze psicologiche[21]. Scrive infatti Mario Perniola, uno dei massimi studiosi di estetica del nostro tempo e del nostro Paese[22]: <<Generalmente si suole definire l'estetica come scienza del comportamento sensibile e affettivo dell'uomo […] Tale definizione è tuttavia insufficiente a definire l'oggetto dell'estetica, cioè l'estetico in quanto tale. Non ogni comportamento è immediatamente estetico per il fatto di manifestarsi sensibilmente e affettivamente. Occorre cioè una ulteriore determinazione che deve essere cercata nella tendenza alla conciliazione degli opposti nell'ambito della sensibilità e dell'affettività. La dimensione estetica sarebbe così agli antipodi della dimensione politica a cui è essenziale l'individuazione di un conflitto Se l'elemento della conciliazione è essenziale all'estetico, non si dà estetico laddove non esiste possibilità di conciliazione, laddove c'è una differenza incolmabile che non può essere in nessun modo risolta in unità. Quando si parla del rapporto fra estetica e società si è soliti giustamente far riferimento innanzitutto alla civiltà della Grecia antica, come al luogo natale della dimensione estetica. Ora l'individuazione dell'origine dell'estetico nella Grecia antica è corretta a condizione di escluderne il momento iniziale>>[23]. In verità, tali affermazioni, se introducono l'importante (come vedremo) tema della relazione fra l'estetico e il politico (di conseguenza anche fra l'estatico e il politico), si prestano anche ad equivoco, dovuto al termine conciliazione. Infatti la conciliazione degli opposti ovvero la coincidentia oppositorum tanto cara al filosofo quattrocentesco Niccolò da Cusa quanto, nel nostro secolo, a Carl Gustav Jung, non è affatto una reductio ad unum, abolizione delle differenze, ovvero quel puro annullamento degli opposti giustamente deprecato da Perniola e fondamento ultimo della nascita dell'estetico, sia che lo si voglia fondare nella Grecia antica, quanto nell'Europa Moderna. Di qui l'iniziale incomprensione di Perniola riguardo al misticismo dionisiaco, assimilato alla metafisica platonica: <<L'estetico può sorgere solo a patto di una profonda e radicale trasformazione della religione e del pensiero originari della Grecia antica. Tale radicale mutamento è connesso con l'avvento della religione dionisiaca, che colma l'abisso esistente tra l'uomo e dio, e con l'avvento del pensiero metafisico, che pensa l'essere in modo riduttivo come ente, definendolo come permanenza, identità, sussistenza… in una parola come costante presenzialità e dimentica la differenza originaria. La dimensione estetica nasce dunque sul terreno del misticismo dionisiaco che implica l'unità tra l'uomo e dio, e della metafisica platonica, che afferma l'unità tra l'uomo e l'essere. Queste connessioni possono sembrare a prima vista paradossali perché siamo abituati ad attribuire al misticismo e alla metafisica l'instaurazione di un rapporto di separazione e di opposizione tra anima e corpo, tra intelligibile e sensibile. Ma anima e corpo, intelligibile e sensibile sono appunto pensati dal misticismo e dalla metafisica come opposti che si conciliano tra loro e il luogo di questa conciliazione è appunto l'estetico>>.[24] In verità, ciò che Perniola, sulle tracce di Erwin Rohde[25], attribuisce in questo passo al misticismo dionisiaco appartiene, al contrario, a quelle società teocratiche antiche (caratterizzate secondo Karl Marx dal cosiddetto modo di produzione asiatico[26]), dove si affermò quella che Georges Lapassade ha chiamato transe dispotica[27] e lo psicologo Julian Jaynes mente bicamerale[28]. La mente bicamerale è così definita da Jaynes. <<Il quadro che l'Iliade ci presenta è quindi caratterizzato da un senso di estraneità, di spietatezza e di vuoto. Non possiamo accostarci a questi eroi inventando dietro i loro occhi fieri spazi mentali come facciamo con ciascuno di noi. L'uomo dell'Iliade non ha una soggettività come noi; non ha consapevolezza della sua consapevolezza del mondo, non ha uno spazio mentale interno su cui esercitare l'introspezione. Per distinguerla dalla nostra mente cosciente soggettiva, chiamiamo la forma mentale dei micenei mente bicamerale. La volizione, i progetti, l'iniziativa sono organizzati senza alcuna coscienza e vengono detti all'individuo nel linguaggio che gli è familiare, a volte con l'aura visuale di un amico a lui caro o di una figura autorevole o di un dio, altre volte di una semplice voce. L'individuo obbediva a queste voci allucinatorie perché non riusciva a vedere da sé che cosa fare>>.[29] La natura dispotica di tale condizione è confermata più avanti: <<in una cultura bicamerale, dove le voci erano riconosciute come appartenenti al vertice supremo della gerarchia, dove esse insegnavano come dèi, re, autorità padrone dell'individuo – della sua testa, del suo cuore e dei suoi piedi-, dove le voci erano onniscienti, onnipotenti e non potevano essere classificate a un rango inferiore a quello umano, quanto doveva essere loro obbediente l'uomo bicamerale! La spiegazione della volizione in uomini soggettivi coscienti è ancora un problema profondo che non ha trovato finora una soluzione soddisfacente. Ma, negli uomini bicamerali, questa era la volizione. Per dirla in un altro modo, la volizione veniva come una voce che aveva la natura di un comando neurologico, talché il comando e l'azione non erano separati e udire significava obbedire>>.[30] Appare evidente dai precedenti passi la profonda differenza esistente fra la suddetta mente bicamerale e gli altri stati modificati di coscienza (transe di possessione e transe profetica in particolare), anzi questi ultimi cominciano ad affermarsi, o piuttosto ritornano, come vestigia[31], proprio con il crollo della mente bicamerale, come afferma esplicitamente lo stesso Jaynes: <<La possessione non esiste né nell'Iliade né nell'Odissea, né in altre forme di poesia arcaica. Nessun dio parla attraverso labbra umane nella vera epoca bicamerale. Eppure, attorno al 400 a.C., questo fenomeno è a quanto pare altrettanto comune quanto lo sono le chiese per noi, sia nei molti oracoli disseminati attraverso la Grecia sia in singoli individui- la mente bicamerale è scomparsa e la possessione è la sua traccia […] Questo è il vero nocciolo del problema. Le parole pronunciate dai profeti posseduti non sono un'allucinazione vera e propria, non sono qualcosa che viene udito da un uomo cosciente, semicosciente o addirittura non cosciente, come nella mente bicamerale vera e propria. Esse sono pronunciate esternamente e vengono udite da altre persone. La possessione si verifica solo in persone che normalmente sono coscienti e coincide con una perdita della coscienza>>.[32] Se questo è vero, c'è coincidenza fra la diagnosi di Jaynes (dalla parte della mente bicamerale) e quella di Platone (dalla parte della coscienza). In ultima analisi mente bicamerale e coscienza (razionale) si rivelano alleati e solidali nello scongiurare quel perdurante fantasma dell'Occidente razionalista[33], che Sigmund Freud arrivò a definire nero mare di fango dell'occultismo[34]. Per scoprire tale alleanza, che si rivela come il vero fondamento della nascita dell'estetico, abbiamo dovuto per così dire "giocare Perniola contro Perniola".[35] A ciò autorizzano gli stessi scritti successivi dell'autore, che correggono e addirittura rovesciano il pregiudizio antidionisiaco indicato in precedenza.[36] Infatti, in quello che appare a tutt'oggi la sua opera più ispirata[37], Perniola, dopo aver compiuto nella prima parte una disamina dell'attuale sensologia, ossia di quello stato estetico diffuso caratterizzato dal già sentito[38] (analogamente al già pensato dell'ideologia e al già fatto della burocrazia) e nella seconda parte una ricostruzione dell'archeologia del sentire moderno, nella terza e ultima parte definisce due modalità del preestetico ovvero transestetico[39]: <<Nell'orizzonte del farsi sentire[40], agire ed essere agiti sono entrambi modi di conoscenza e di sensibilità: tuttavia il conoscere e il sentire di chi agisce non è uguale a quello di chi è agito. Il farsi sentire presenta anch'esso due forme di sentire distinte. Da un lato l'aísthēsis, la serenità, dall'altro il ménos, la possessione. Il primo è un sentire cosmico, uno scoprire con letizia l'unità dell'intelletto col senso, dell'anima col corpo, dell'uomo con l'ambiente che lo avvolge. Il secondo è un sentire teatrino, un offrirsi con entusiasmo ad essere posseduti da forze la cui dinamica risulta enigmatica e contraddittoria, e in ogni caso estranea alla quieta identità del soggetto individuale>>[41]. Se la prima esperienza è riferita al vivere in coerenza con la natura[42], proprio degli antichi stoici, la seconda è riferita proprio al posseduto greco, sia nella versione apollinea che in quella dionisiaca (!): <<Il sentire teatrico era chiamato dagli antichi Greci col nome di manìa: essi ritenevano che, contrariamente ai deliri patologici, questa esperienza fosse un dono accordato dagli dei agli indovini, ai guaritori, ai poeti e agli amanti. A seconda della forza che esercitava la possessione, Platone distingueva una mania mantica, suscitata da Apollo, una mania liberatoria, provocata da Dioniso, una mania poetica, ispirata dalle Muse, ed una mania erotica, proveniente da Eros e Afrodite […] Il sentire teatrico non è affatto un'ossessione, un incubo, è quanto mai differente dall'agitazione patologica e convulsa di un indemoniato o di un isterico; esso è al contrario un'esperienza positiva che niente ha a che fare col fanatismo e la superstizione […] Come già affermava Shaftesbury agli inizi del Settecento, i fanatici e i superstiziosi vanno senz'altro annoverati tra i peggiori nemici delle antiche manie greche: i loro fervori e le loro paure soggettive costituiscono barriere insormontabili ad un'esperienza che chiede innanzitutto intelligenza e sensibilità. Lo sciamare zelote e il tremito dei timidi impediscono l'ascolto della cetra apollinea, dell'oboe dionisiaco, della musica dei poeti, dell'affanno amoroso. Apollo, Dioniso, Le Muse e Afrodite, restano a distanza di millenni sempre nascenti nell'immaginario e nel sentire dell'occidente: i quattro tipi di sapere entusiastico individuati dai Greci, l'oracolare, il liberatorio, il poetico e l'amoroso, restano tuttora le strade maestre cui procede l'esperienza del sentire teatrico>>.[43] Non è tutto. Se con questo passo Perniola ci chiarisce definitivamente che un nuovo pensiero (sentire) estetico non può che radicarsi nell'esperienza preestetica greca della transe greco-mediterranea, divenendo così veramente un pensiero (sentire) transestetico, i passi finali dell'aureo volume ci segnalano che la stessa filosofia può essere una esperienza di stato modificato di coscienza: <<Il sentire cosmico e il sentire teatrico s'incontrano nel sentire filosofico. L'operatività sensibile dell'aísthēsis e la ricettività intelligente del ménos, sono entrambe presenti nel filosofare, che costituisce perciò la manifestazione più completa e più ricca del farsi sentire, la conoscenza di un prodigioso presente sempre nascente in cui la meditazione e la possessione, la calma e l'entusiasmo si sostengono e si rafforzano reciprocamente[44]>>[45] Se questo è vero, dobbiamo tuttavia ancora un'ultima volta "giocare Perniola contro Perniola", opponendo alla sua personificazione storica del sentire filosofico, indicata in Socrate, il Nietzsche di José Bergamín[46]: <<Nelle sue testimonianze scritte –e scritte col sangue- Nietzsche ci mostra di aver vissuto quel problema (cioè la morale, n.d.a.) fino alla fine, di aver perduto la ragione in quella agonia, in quella lotta morale con l'angelo (o con il demonio) in quella battaglia contro se stesso. Nietzsche l'immoralista, l'intempestivo, l'anticristiano, è effettivamente, come dice Mann, un posseduto, un energumeno dell'esigenza morale. Un posseduto dalla morale, non un possessore della morale come Socrate, che egli tanto odiava, padrone di un demone morale- e familiare- che l'accompagnava sempre come un cagnolino domestico che col suo sorridente movimento della coda gli metteva sempre un bel no davanti agli occhi […] Nietzsche ci ha lasciato le pagine forse più chiaroveggenti che sia dato di leggere sull'ebbrezza poetica e musicale, da Platone in poi. Lo si è chiamato, a ragione, un filosofo lirico […] Nietzsche ci ha lasciato in testimonianza la sua esperienza personale dell'ispirazione, dello stato di delirio poetico, a proposito del suo Zarathustra […] Poiché occorre ricordare che quel che Nietzsche ci dice per illustrare la sua estasi non è molto diverso da ciò che i mistici hanno detto della loro esperienza poetica di cieli e di inferni. Ricordiamo santa Teresa e san Giovanni, Eckhart o Plotino>>[47]. [1] José Bergamín, Decadenza dell'analfabetismo, Rusconi, Milano 1972, p.127. [2] Grazia Marchianò, L'estetico e l'estatico: due dimensioni a confronto, in "Rivista di estetica" n.18, 1984. [3] Altri importanti contributi dello stesso autore al nostro tema sono contenuti in Grazia Marchianò, La cognizione estetica tra Oriente e Occidente, Guerini e Associati, Milano 1987, cfr. in particolare la sezione intitolata Senso e corporeità, pp. 57-110. [4] Cfr. anche i nostri precedenti lavori su un'estetica dello sciamanesimo: Antonello Colimberti, La sciamanizzazione dell’arte, Prefazione a Idem (a cura di) Musiche e sciamani, Textus, L’Aquila 2000; Idem, Il sogno sciamanico, in “Altrove” n. 8, 2001; Idem, La transe sciamanica e il suo immaginario, in “Altrove”, n. 11, 2004. [5] In questa sede il termine estasi vale come sinonimo di stato modificato di coscienza. [6] Cfr. in traduzione italiana Charles Tart, Stati di coscienza, Astrolabio, Roma 1977; Ken Wilber, Lo spettro della coscienza, Crisalide, Latina 1999; Idem, Il Progetto Atman. Una visione traspersonale dello sviluppo umano, Crisalide 2003; Stanislav Grof, Psicologia del futuro. Le nuove dimensioni della mente: individuale, transpersonale, cosmica, Red Edizioni, Como 2001. [7] Cfr. Ernest R. Hilgard, Divided Consciousness: multiples Controls in Human Thought an Action, Wiley & Sons, New York 1977. In lingua italiana si possono leggere Giuseppe Miti, Personalità multiple. Uno studio sui disturbi associativi, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992, e Giovanni Liotti (a cura di) Le discontinuità della coscienza, Franco Angeli, Milano 1993. [8] Fra le numerose opere ci limitiamo a segnalare quelle degli ultimi anni: Marco Margnelli, L'estasi, Sensibili alle foglie, Roma 1996; Idem, Le stigmate, Edizioni Segno, Tavagnacco (UD) 2003; Idem, Il corpo e l'estasi, Edizioni Segno, Tavagnacco (UD) 2003; Idem, Natura e struttura di alcuni stati coscienza, Poletto Editore, Gaggiano (MI), 2004 (quest'ultima opera, presentata da George Lapassade, può essere considerata la vera e propria summa delle ricerche di Margnelli, prematuramente scomparso proprio mentre cominciava a portare a matura sintesi le sue ricerche). [9] Cfr, Ioan M. Lewis, Le religioni estatiche. Studio antropologico sulla possessione spiritica e sullo sciamanismo, Ubaldini Editore, Roma 1972 e Idem, Possessione, stregoneria, sciamanismo. Contesti religiosi nelle società tradizionali, Liguori Editore, Napoli 1993. [10] Fra le numerose opere ci limitiamo a segnalare quelle degli ultimi anni: George Lapassade, Stati modificati e transe, Sensibili alle foglie, Roma 1993; Idem, Transe e dissociazione, Sensibili alle foglie, Roma 1996; Idem, Dal candomblé al tarantismo, Sensibili alle foglie, Dogliani (CN) 2001. [11] Fra le numerose opere ci limitiamo a segnalare Renato Curcio, Reclusione volontaria, Sensibili alle foglie, Tivoli (RM) 1987, e Renato Curcio, Nicola Valentino, Nella roccia di Erech, Sensibili alle foglie, Dogliani (CN) 2001. [12] Cfr. Walter Benjamin, Sull'haschisch, Einaudi, Torino 1975. Sulla teoria dell'ebbrezza benjaminiana cfr. Ferruccio Masini, Dialettica dell'ebbrezza, in AA.VV., Walter Benjamin:Tempo, Storia, Linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 17-33. [13] Cfr. Aldous Huxley, Le porte della percezione. Paradiso e inferno, Mondadori, Milano 1980, e i saggi contenuti in Idem, Huxley, Wasson Graves, L'esperienza dell'estasi 1955-'63, Nautilus, Torino 1999. [14] Se l'intera opera di Zolla può essere letta come una filosofia dell'estasi, il suo coronamento è dato da Elémire Zolla, Il dio dell'ebbrezza. Antologia dei moderni Dionisiaci, Einaudi, Torino 1998 (con ampio e magistrale saggio introduttivo intitolato La figura mitica di Dioniso dall'antichità ad oggi, pp.VI-C). [15] Pietro Prini, L'ebbrezza mistica, in "Annuario filosofico" n.7, 1991, pp.37-44. [16] Paolo Pellegrino, Il ritorno di Dioniso. Il dio dell'ebbrezza nella storia della civiltà occidentale, Congedo Editore, Galatina (Lecce) 2003. [17] Massimo Donà, Filosofia del vino, Bompiani, Milano 2003. Dello stesso autore su temi affini cfr. anche Magia e filosofia, Bompiani, Milano 2004. [18] Roberto Calasso, La follia che viene dalle Ninfe, Adelphi, Milano 2005. per una considerazione estetico-filosofica complessiva delle opere di Calasso cfr. Mario Perniola, Le ultime correnti dell'estetica in Italia, In Storia della letteratura italiana. Scenari di fine secolo, I, Garzanti, Milano 2001, pp. 37-76. [19] Fra numerose opere sulla nascita dell'estetica moderna segnaliamo l'agile, ma impeccabile volume di Leonardo Amoroso, Ratio & aesthetica. La nascita dell'estetica e la filosofia moderna, Edizioni ETS, Pisa 2000. [20] Il termine estetica della dissociazione è usato da Daniela Baroncini nel suo saggio Remy De Gourmont e l'estetica della dissociazione, Premessa a Remy De Gourmont, La dissociazione delle idee, Alinea Editrice, Firenze 2000. [21] La necessità di un superamento di tale conflitto è segnalata da Gilberto Camilla, in Per una scienza degli Stati di Coscienza, Introduzione a "Altrove" n.1, 1994, pp. 11-18. [22] Su Perniola in relazione al nostro tema cfr. il breve articolo di Aldo Marroni significativamente intitolato Riti di possessione e sentire filosofico, contenuto in Idem, Inestetiche. Desoggettivazione e conflitto nel sentire contemporaneo, Edizioni Tracce, Pescara 2000, pp. 53-59. [23] Mario Perniola, Presa diretta. Estetica e politica, Cluva Editrice, Venezia 1986, Capitolo Quarto Dall'estetico al superestetico, pp. 70-71. [24] Ibidem, p. 72. [25] Cfr. Erwin Rohde, Psiche. Il culto delle anime e la fede nell'immortalità presso i Greci, Laterza, Bari 1982. [26] Per le diverse letture di tale nozione marxiana cfr. Gianni Sofri, Il modo di produzione asiatico. Storia di una controversia marxista, Einaudi, Torino 1969. [27] Cfr. George Lapassade, Saggio sulla trance, Feltrinelli, Milano, 1980, in particolare il Capitolo secondo dal significativo titolo La transe e il terrore, pp. 49-56. [28] Cfr. Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza, Adelphi, Milano 1984. [29] Ibidem, pp. 101-102. [30] Ibidem, p. 128. [31] Cfr. Ibidem l'intera terza parte intitolata Vestigia della mente bicamerale nel mondo moderno, in cui parla in altrettanti capitoli di profeti e possessione, poesia e musica, ipnosi, schizofrenia. [32] Ibidem. p. 405. [33] Cfr. Giorgio Galli, Cromwell e Afrodite. Democrazia e culture alternative, Kaos Edizioni, Milano 1995. [34] Sul rapporto di Freud con la transe e la dissociazione cfr George Lapassade, Il viraggio freudiano, in Idem, Transe e dissociazione, Sensibili alle foglie, Roma 1996, pp. 61-78 ; cfr. anche Gianni De Martino, Freud e l'estasi, in "Altrove" n.7, 2000, pp. 37-47. [35] Segnaliamo en passant che così come per la nascita dell'estetico, anche per i suoi ultimi esiti (ovvero quello che Perniola chiama il superestetico) occorrerà "giocare Perniola contro Perniola". In questo caso la parte del fantasma irrazionale, passa dal dionisismo all'ermetismo (e persino alla psicologia transpersonale!), che sulla tracce di Umberto Eco, viene addirittura accusato di collusione con l'odierna società della comunicazione! Cfr. Mario Perniola, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004, pp. 9-13. [36] A metà strada si colloca il saggio Dioniso pre-estetico, estetico, superestetico, in Maurizio Grande (a cura di) Studi sul Dionisismo, Bulzoni Editori, Roma 1988. [37] Cfr Mario Perniola, Del sentire, Einaudi, Torino 1991. [38] È ciò che altrove Perniola chiama anche superestetico. [39] Quest'ultima espressione è utilizzata da Perniola in un breve saggio su Heidegger. Cfr. Mario Perniola La transestetica heideggeriana, cap. undicesimo di Idem, Transiti. Come si va dallo stesso allo stesso, Cappelli Editore, Bologna 1985, pp. 205-215. [40] Proprio con l'opera Del sentire, Perniola qualifica definitivamente la propria estetica come una estetica del sentire, contrapposta alle quattro vie dell'estetica novecentesca: estetica della vita, estetica della forma, estetica della conoscenza, estetica dell'azione. Cfr Mario Perniola, L'estetica del novecento, Il Mulino, Bologna 1997. [41] Ibidem, p. 98. [42] Per un'interpretazione attuale di tale esperienza ci permettiamo di rinviare a Antonello Colimberti, Note per un Estetica Bioregionale della Natura, in "I fogli di Oriss" n. 24, dicembre 2005, pp. 118-126. [43] Mario Perniola, Del sentire, op. cit, pp. 104, 105, 106 passim. [44] Sul rapporto tra meditazione (o contemplazione) e possessione cfr. anche Elémire Zolla, Contemplazione e possessione, in "Conoscenza religiosa", n.1, gennaio-marzo 1976, pp. 1-22. [45] Ibidem, p. 126. [46] Se Bergamin, come si nota dai passi seguenti, identifica il sentire filosofico di Nietzsche dal lato della possessione (sentire teatrico), Giangiorgio Pasqualotto, da par suo, lo identifica dal lato della meditazione (sentire cosmico). Cfr. Giangiorgio Pasqualotto, Nietzsche e il buddismo zen, Capitolo quarto in Idem, Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'oriente e d'occidente, Pratiche Editrice, Parma 1989, pp. 103-146. [47] José Bergamín, Frontiere infernali della poesia, Anabasi, Milano 1993, pp. 172, 181, 183, passim.
Da: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=3160
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