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Discorso alla Facoltà di
Teologia di R.W. Emerson
(1)
In questa fulgida estate abbiamo gustato a fondo il respiro della vita. L'erba
cresce, i germogli esplodono, i prati sono punteggiati di fuoco e oro, il colore
dei fiori. L'aria è piena di uccelli e dolce dell'aroma del pino, il balsamo di
Galaad e dell'odore del nuovo fieno. La notte non porta alcuna oscurità al cuore
con la sua gradita ombra. Attraverso il buio trasparente le stelle riversano i
loro raggi di luce quasi spirituale. L'uomo sotto queste luci sembra un bambino
piccolo e il suo immenso globo un giocattolo. La notte fresca, quasi fosse un
fiume, bagna il mondo e prepara i suoi occhi di nuovo per l'alba purpurea. Il
mistero della natura non si mostrò mai in modo più felice. Il grano e il vino
sono stati liberamente elargiti a tutte le creature, e il silenzio mai
interrotto con cui procede l'antica liberalità non ha ancora prodotto una sola
parola di spiegazione. Si è costretti a rispettare la perfezione di questo mondo
in cui i nostri sensi conversano. Quale vastità, quale ricchezza, quale invito
il mondo rivolge, da ogni sua parte, a ogni facoltà dell'uomo! Nei suoi terreni
fertili, nel suo mare navigabile, nelle sue montagne di metallo e di pietra,
nelle sue foreste di ogni tipo di alberi, nei suoi animali, nei suoi ingredienti
chimici, nell'energia e nel movimento della luce, del calore, dell'attrazione e
della vita, è ben degno di esser sottomesso e gustato dal nerbo e dal cuore dei
grandi uomini. La storia si compiace di onorare i piantatori, i meccanici, gli
inventori, gli astronomi, i costruttori di città e i capitani.
Ma quando la mente si apre e rivela le leggi che attraversano l'universo e
rendono le cose quelle che sono, allora all'improvviso il mondo si contrae a
mera illustrazione e favola della mente stessa. Che cosa sono io? e che cos'è
ciò che esiste? chiede lo spirito umano con una curiosità che, appena accesa,
non si spegnerà più. Ecco le leggi superiori, che la nostra imperfetta capacità
di comprendere può vedere tendere in questa direzione o in quella, ma senza mai
chiudere pienamente il cerchio. Ecco le infinite relazioni, così simili e così
dissimili, molte, eppure una sola. Vorrei studiare, vorrei scoprire, ammirare
per sempre. Queste opere del pensiero sono state l'attrazione che ha occupato lo
spirito umano in ogni età.
Una più segreta, dolce e irresistibile bellezza appare all'uomo quando il suo
cuore e la mente si aprono al sentimento della virtù. Allora subito viene messo
a conoscenza di ciò che sta sopra di lui. Impara che il suo essere è senza
limiti; impara di essere nato per il bene e per la perfezione, pur giacendo ora
in basso nel male e nella debolezza. Ciò che venera è ancora suo, anche se egli
non lo ha ancora compreso. Egli deve. Conosce il senso di quella grande
parola, anche se la sua analisi non è in grado di renderne conto. Quando in modo
innocente, o attraverso una percezione intellettuale arriva a dire: «Io amo il
Giusto, la Verità è bellissima dentro e fuori per sempre. Virtù, io sono tuo;
salvami; serviti di me; ti servirò giorno e notte, nelle grandi, nelle piccole
azioni, così da essere non virtuoso, ma virtù»: allora il fine della creazione
trova compimento, e Dio se ne compiace.
Il sentimento della virtù è reverenza e gioia dinanzi a certe leggi divine.
Percepisce che questo gioco familiare della vita che noi giochiamo nasconde,
sotto quelli che sembrano stupidi dettagli, principi stupefacenti. Il bambino
tra i suoi giocattoli impara l'effetto della luce, il movimento, la gravità, la
forza muscolare; e nel gioco della vita umana, l'amore, la paura, la giustizia,
il desiderio, l'uomo e Dio interagiscono. Queste leggi rifiutano di essere
adeguatamente enunciate. Esse non saranno scritte su carta, o pronunciate dalla
lingua. Esse eludono il nostro pensiero caparbio; eppure le leggiamo
continuamente in ogni volto degli altri, in ogni azi6ne degli altri, nel nostro
stesso rimorso. Nel discorso dobbiamo separare e descrivere o suggerire
attraverso la faticosa enumerazione di molti particolari tratti morali che sono
invece tutti inglobati in ogni azione e in ogni pensiero virtuoso. Pure, siccome
questo sentimento è l'essenza di tutta la religione, rivolgerò la vostra
attenzione verso i precisi oggetti di questo sentimento, con l'enumerazione di
alcune classi di fatti in cui questo elemento è ben visibile.
L'intuizione del sentimento morale è la percezione delle leggi dell'anima.
Queste leggi si applicano da sole. Esse sono fuori del tempo, fuori dallo
spazio, e non sono soggette alle circostanze. Perciò nell'anima dell'uomo c'è
una giustizia le cui retribuzioni sono immediate e complete. Colui che compie
una buona azione viene immediatamente nobilitato. Chi invece compie un'azione
meschina viene sminuito dall'azione stessa. Chi elimina impurità, proprio per
questo si riveste di purezza. Se un uomo è giusto nel cuore, allora, nella
misura in cui lo è, è Dio; la salvezza divina, l'immortalità di Dio, la maestà
di Dio entrano in quell'uomo con la giustizia. Se un uomo dissimula, inganna,
egli inganna se stesso, e si preclude la possibilità di conoscere il suo stesso
essere. Un uomo alla vista del bene assoluto adora, con una totale umiltà. Ogni
passo verso il basso, è un passo verso l'alto. L'uomo che rinuncia a se stesso,
trova se stesso.
Considerate come questa rapida intrinseca energia operi ovunque, riparando gli
errori, correggendo le apparenze, e spingendo i fatti verso una certa armonia
con i pensieri. Il suo operare nella vita, anche se risulta lento per i sensi, è
alla fine altrettanto sicuro del suo operare nell'anima. Attraverso questa
energia l'uomo è trasformato nella Provvidenza di se stesso, dispensando bene
alla sua bontà, e male al suo peccato. Il carattere è sempre conosciuto. I furti
non arricchiscono mai; la carità non impoverisce mai; anche le pietre grideranno
che qualcuno è stato ucciso. La più piccola presenza di una bugia, per esempio,
la traccia della vanità, il tentativo di fare una buona impressione, di apparire
favorevolmente, guasteranno di colpo l'effetto. Ma dì la verità e tutta la
natura e tutti gli spiriti ti aiuteranno con un inaspettato appoggio. Dì la
verità, e tutte le cose animate o inanimate ti saranno garanti, e le stesse
radici dell'erba sotto la terra sembreranno agitarsi e muoversi per testimoniare
a tuo vantaggio. Considerate di nuovo la perfezione della Legge così come
applica se stessa agli affetti, e diventa la legge della società. Noi ci
associamo a seconda del nostro essere. Il bene, per affinità, cerca il bene; ciò
che è vile, per affinità, cerca ciò che è vile. Per questo le anime procedono
verso il cielo o verso l'inferno, di loro volontà.
Questi fatti hanno sempre suggerito all'uomo la sublime fede che il mondo non è
il prodotto di un potere multiforme, ma di un'unica volontà, di un'unica mente;
e che un'unica mente è ovunque attiva, in ogni raggio della stella, in ogni
increspatura dello specchio d'acqua; e tutto ciò che si oppone a quella volontà
è ovunque ostacolato e rimosso, perché le cose sono fatte in questo modo e non
in un altro. Il bene è positivo. Il male è puramente privativo, non assoluto: è
come il freddo, che è la privazione del caldo. Tutto il male non è che morte o
non-entità. La benevolenza è assoluta e reale. L'uomo ha tanta vita, quanta ha
benevolenza. Giacché tutte le cose procedono da questo stesso spirito, che è
diversamente chiamato amore, giustizia, temperanza, nelle sue diverse
applicazioni, proprio come l'oceano riceve differenti nomi sulle innumerevoli
spiagge che egli bagna. Tutte le cose procedono dallo stesso spirito, e tutte le
cose cospirano con lui. Mentre l'uomo persegue buoni fini, egli è forte
dell'intera forza della natura. Non appena divaga da questi fini, egli priva se
stesso del potere, o di tutto ciò che può essergli di sostegno; la sua
circolazione periferica si riduce, egli rimpicciolisce sempre più, fino a
diventare un granello di polvere, un punto, fino a che l'assoluta malvagità non
diventa morte assoluta.
La percezione di questa legge delle leggi risveglia nella mente un sentimento
che chiamiamo religioso, e che produce la nostra più alta felicità.
Straordinario è il suo potere di affascinare e di comandare. E un'aria di
montagna, che riempie di balsamo il mondo. E mirra e balsamo, e cloro e
rosmarino. Questa legge rende sublimi il cielo e le colline, è la canzone
silenziosa delle stelle. L'universo è reso sicuro e abitabile da questa legge,
non dalla scienza o dal potere. Il pensiero può operare in modo freddo e
intransitivo sulle cose, e non trovare nessuno scopo o unità; ma l'alba del
sentimento della virtù nel cuore produce ed è la garanzia che la Legge è sovrana
su tutte le nature; e i mondi, il tempo, lo spazio, l'eternità, sembrano
scoppiare di gioia.
Questo sentimento è divino e rende divini. È la beatitudine dell'uomo. Lo rende
non limitabile. Attraverso questo sentimento l'anima dapprima conosce se stessa.
Questo sentimento corregge l'errore capitale dell'uomo bambino, che cerca di
essere grande seguendo il grande, e spera di ricavare vantaggi da un altro,
mostrando che la fonte di tutto il bene è nell'uomo stesso, e che egli, come
ogni altro uomo, è un'insenatura nelle profondità della Ragione. Quando dice «io
devo», quando l'amore lo scalda, quando egli sceglie, istruito dall'alto, le
buone e le nobili azioni, allora, profonde melodie, che vengono dalla Suprema
Saggezza, vagano attraverso la sua anima. Allora egli può adorare e essere
nobilitato dalla sua adorazione, perché non può mai essere inferiore a questo
sentimento. Nei più sublimi voli dell'anima, la rettitudine non è mai lasciata
alle spalle, l'amore non è mai superato.
Questo sentimento sta a fondamento della società, e crea successivamente tutte
le forme di culto. Il principio di venerazione non muore mai. L'uomo caduto
nella superstizione, nella sensualità, non è mai completa-mente privo delle
visioni del sentimento morale. In modo simile, tutte le espressioni di questo
sentimento sono sacre e permanenti in proporzione alla loro purezza. Le
espressioni di questo sentimento ci colpiscono più grandemente, più
profondamente di tutte le altre composizioni. Le sentenze dei tempi più antichi,
che guidano questa pietà, sono ancora fresche e fragranti. Questo pensiero
dimorò sempre nel più profondo delle menti degli uomini nel devoto e
contemplativo Oriente (2);non
solo in Palestina, dove esso ha raggiunto la sua più pura espressione, ma in
Egitto, in Persia, in India, in Cina. L'Europa è sempre debitrice al genio
orientale del suo divino impulso. Quello che hanno detto questi sacri autori,
viene considerato gradevole e vero da tutti gli uomini equilibrati. E
l'impressione unica fatta sul genere umano da Gesù, il cui nome non è tanto
scritto, quanto scavato come solco di aratro nella storia di questo mondo, è una
prova della sottile virtù che ci fu attraverso di lui infusa. Nello stesso
tempo, mentre le porte del tempio rimangono aperte, notte e giorno, di fronte a
ogni uomo, e gli oracoli di questa verità non si interrompono mai, essa è
protetta da una sola severa condizione: si tratta di un'intuizione. Non può
essere ricevuta di seconda mano. Veramente non si tratta di un'istruzione, ma di
una provocazione, che posso ricevere da un'altra anima. Quello che questa mi
annuncia, lo devo trovare vero in me, o rifiutare del tutto; e sulla base della
sua parola, o come suo sostituto, chiunque egli sia, non posso accettare nulla.
Al contrario, l'assenza di questa fede primaria segna la presenza della
degradazione. Come è il flusso, così è il riflusso. Allontaniamo questa fede, e
le stesse parole che essa ha espresso e le cose che essa ha fatto diventano
false e dannose. Allora cade la chiesa, lo stato, l'arte, le lettere, la vita.
Quando la dottrina della divina natura viene dimenticata, una malattia infetta e
sminuisce la costituzione. Una volta l'uomo era tutto; ora egli è un'appendice,
un elemento di disturbo. E poiché lo Spirito Supremo, che abita nell'uomo, non
può essere completamente eliminato, la dottrina che lo riguarda soffre di questa
perversione, che la divina natura è attribuita a una o due persone, e negata a
tutto il resto, e negata rabbiosamente. La dottrina dell'ispirazione è perduta;
la volgare dottrina della maggioranza delle voci usurpa il posto della dottrina
dell'anima. I miracoli, la profezia, la poesia, la vita ideale, la santità
esistono puramente come storia antica; non sono nella fede, né nell'aspirazione
della società; quando vi si allude, si suscita il riso. La vita diventa comica e
meschina non appena i nobili fini dell'essere svaniscono alla vista, e l'uomo
diventa miope, e riesce solo a considerare ciò che parla ai sensi.
Queste opinioni generali, che, nel momento in cui sono generali, nessuno
contesterà, trovano ampia illustrazione nella storia della religione, e
specialmente nella storia della chiesa cristiana. In essa, tutti noi abbiamo
trovato la nostra nascita e il nostro nutrimento. Le sue verità voi, miei
giovani amici, state ora per cominciare a insegnare. Come culto, o il rito
stabilito del mondo civilizzato, la chiesa cristiana che ha un grande interesse
storico per noi. Voi non avete bisogno che io parli delle sue parole benedette,
che sono state la consolazione dell'umanità. Mi sforzerò di adempiere il mio
dovere verso di voi, indicando due errori nella sua prassi, che di giorno in
giorno appaiono più gravi dal punto di vista che abbiamo proprio ora assunto.
Gesù Cristo appartenne alla vera razza dei profeti. Egli ha visto con gli occhi
aperti il mistero dell'anima. Attirato dalla sua severa armonia, rapito dalla
sua bellezza, visse in essa, in essa fu. Egli solo in tutta la storia ha stimato
la nobiltà dell'uomo. Un solo uomo fu fedele a ciò che è in voi e in me. Vide
che Dio incarna se stesso nell'uomo, e sempre di nuovo procede a prendere
possesso del suo Mondo. Egli disse nel giubilo della sublime emozione: «Io sono
divino. Attraverso me, Dio agisce; attraverso me parla. Se vuoi vedere Dio,
guardami; o guardati, quando anche tu pensi come io penso adesso». Ma quale
distorsione hanno subito la sua dottrina e la sua memoria nella sua stessa età,
in quella che è seguita e nelle successive! Non c'è dottrina della Ragione che
sopporterebbe di essere insegnata attraverso l'Intelletto. L'intelletto ha colto
questo nobile canto dalle labbra del poeta, e lo ha espresso, nell'età seguente:
«Questo era Jehovah sceso dal cielo. Vi ucciderò, se direte che egli era un
uomo». Gli idiomi del suo linguaggio e le figure della sua retorica hanno
usurpato il posto della sua verità; e le chiese non sono costruite sui suoi
principi, ma sui suoi tropi. Il cristianesimo è diventato un Mito, come
l'insegnamento poetico della Grecia e dell'Egitto, prima. Cristo parlò di
miracoli; poiché sentì che la vita dell'uomo è un miracolo, e tutto quello che
l'uomo fa, e comprese che questo miracolo quotidiano risplende via via che
cresce la presenza divina nell'uomo. Ma la parola «Miracolo», come viene
pronunciata dalle chiese cristiane, dà una falsa impressione; è un Mostro. Non è
tutt'uno con il fiorire del trifoglio e il cadere della pioggia.
Ha sentito rispetto per Mosè e i profeti, ma nessuna impropria debolezza nel
posporre le loro iniziali rivelazioni all'ora e all'uomo presente; alla
rivelazione eterna nel cuore. Perciò Cristo fu un vero uomo. Avendo visto che la
legge in noi comanda, egli non avrebbe sopportato che essa fosse comandata.
Coraggiosamente, con la mano, e il cuore, e la vita, egli dichiarò che essa era
Dio. Così egli fu un vero uomo. Perciò egli è, penso, la sola anima nella storia
che abbia apprezzato il valore dell'uomo.
1. Da questo punto di vista diventiamo sensibili al primo difetto del
cristianesimo storico. Il cristianesimo storico è caduto nell'errore che
corrompe tutti i tentativi di comunicare la religione. Come appare oggi a noi, e
come è apparso nelle diverse età, il cristianesimo non è la dottrina dell'anima,
ma un'esagerazione del personale, del positivo, del rituale. Ha indugiato e
ancora indugia nella dannosa esagerazione intorno alla persona di Gesù.
L'anima non conosce persone. Essa invita ogni uomo a espandersi nell'intero
cerchio dell'universo, e non avrà preferenze se non per l'amore spontaneo. Ma a
causa di questa monarchia orientale di un cristianesimo che l'indolenza e la
paura hanno costruito, l'amico dell'uomo è trasformato in colui che lo
oltraggia. La maniera in cui il suo nome è circondato con espressioni che una
volta erano manifestazioni di ammirazione e di amore, ma ora sono pietrificate
in titoli ufficiali, uccide ogni generosa simpatia e sentimento di affinità.
Tutti quelli che mi ascoltano sentono che il linguaggio che descrive Cristo
all'Europa e all'America non rappresenta lo stile dell'amicizia, e
dell'entusiasmo per un cuore nobile e buono, ma è corretto e formale: dipinge un
semidio, come gli orientali o i Greci descriverebbero Osiride o Apollo.
Secondo le mortificanti imposizioni della nostra prima istruzione catechistica,
perfino l'onestà e il rinnegamento di se stessi non sarebbero che splendidi
peccati, se non portassero il nome cristiano. Si preferirebbe essere
Un pagano, nutrito in una fede ormai logora (3)
piuttosto che essere defraudati del diritto umano dì rivolgersi direttamente
alla natura, per trovarvi nomi e luoghi, terra e professioni, perfino virtù e la
verità non preclusi e monopolizzati. Tu non sarai neppure un uomo. Non
possederai il mondo; non oserai e non vivrai secondo la infinita Legge che è in
te, e in compagnia con l'infinita Bellezza che il cielo e la terra riflettono
per te in tutte le bellissime forme, ma dovrai subordinare la tua natura alla
natura di Cristo, dovrai accettare le nostre interpretazioni, e prendere il suo
ritratto come il volgo lo disegna.
Il meglio è sempre ciò che mi restituisce a me stesso.
Il sublime è eccitato in me dalla grande dottrina stoica: «obbedisci a te
stesso». Ciò che mostra Dio in me, mi fortifica. Ciò che mostra Dio fuori di me,
mi trasforma in una verruca e in un porro. Non c'è più una necessaria ragione
per il mio essere. Già le lunghe ombre del prematuro oblio si insinuano su di
me, e io morirò per sempre.
I cantori divini sono gli amici della mia virtù, del mio intelletto, della mia
forza. Mi ammoniscono che i lumi che brillano nella mia anima non sono miei, ma
di Dio; che essi hanno avuto qualcosa di simile, e non furono disobbedienti alle
visioni celesti. Così io li amo. Nobili provocazioni escono da loro, e mi
invitano anche ad emanciparmi, a resistere al male; a sottomettere il mondo; a
Essere. E così, attraverso questi santi pensieri, Gesù ci serve, e solo in
questo modo. Cercare di convertire un uomo attraverso i miracoli è una
profanazione dell'anima. Una vera conversione, un vero Cristo, ora, come sempre,
si deve ottenere accogliendo in noi pensieri bellissimi. E vero che una grande e
ricca anima, in mezzo a persone semplici, come la sua, predomina in modo tale
sugli altri che, come appunto ha fatto, dà nome al mondo. Sembra ai semplici che
il mondo esista per lui: essi non si sono ancora imbevuti così profondamente del
suo senso da accorgersi che solo tornando a se stessi, o al Dio che è in loro,
possono continuare a crescere. E un beneficio limitato darmi qualcosa; è invece
un grande beneficio mettermi in grado di fare qualcosa di me stesso. Sta per
venire il momento in cui tutti gli uomini vedranno che il dono di Dio all'anima
non è una santità vanagloriosa, prepotente ed esclusiva, ma una dolce e naturale
bontà, una bontà come la tua e la mia, e che così invita la tua e la mia a
essere e a crescere.
L ingiustizia del volgare tono predicatorio non è meno odiosa per Gesù che per
le anime che questo tono profana. I predicatori non vedono che essi rendono
infelice il suo vangelo, e lo privano delle caratteristiche che fanno la sua
bellezza e degli attributi celesti. Quando vedo un maestoso Epaminonda o
Washington, quando vedo tra i miei contemporanei un vero oratore, un giudice
retto, un caro amico, quando vibro davanti alla melodia e alla fantasia
racchiuse in un poema, vedo la bellezza che deve essere desiderata. E così
amabilmente, e con il consenso ancora più intero del mio essere, risuona
nell'orecchio la severa musica dei cantori che hanno cantato del vero Dio in
tutte le età. Ora non degradiamo la vita e i dialoghi di Cristo fuori del
cerchio di questo incanto, sottolineandone l'isolamento e il carattere
eccezionale. Lasciamoli così come si sono manifestati, vivi e caldi, parte della
vita umana e del paesaggio e del lieto giorno.
2. Il secondo difetto del tradizionale e limitato modo di usare del pensiero di
Cristo è una conseguenza del primo; cioè, che la Natura Morale, quella Legge
delle leggi le cui rivelazioni portano grandezza, vale a dire Dio stesso,
all'anima disponibile ad accoglierlo, non è esplorata come la fonte
dell'insegnamento stabilito nella società. Gli uomini sono giunti a parlare
della rivelazione come di qualcosa di dato e fatto tanto tempo fa, come se Dio
fosse morto. L'offesa fatta alla fede soffoca la voce del predicatore; e la
migliore delle istituzioni diventa una voce incerta e inarticolata.
È certo che la conversazione con la bellezza dell'anima genera un desiderio e un
bisogno di impartire agli altri la stessa conoscenza e lo stesso amore. Se
l'espressione viene negata, il pensiero giace come un fardello sull'uomo. Il
veggente è sempre uno che parla. In qualche modo il suo sogno viene detto; in
qualche modo egli lo rende pubblico con gioia solenne: l'adorazione della sua
anima prende forma qualche volta con il pennello sulla tela, qualche volta con
lo scalpello sulla pietra, qualche volta in torri e navate di granito; qualche
volta in inni di musica indefinita; ma è nelle parole, che essa trova la sua
espressione più chiara e duratura.
L'uomo innamorato di questa eccellenza diventa il suo sacerdote o poeta. Il
ministero è coevo al mondo. Ma osserva la condizione, la limitazione spirituale
del nobile ufficio. Solo lo spirito può insegnare. Nessun profano, nessun uomo
sensuale, nessun bugiardo, nessuno schiavo può insegnare, ma può dare solamente
colui che ha; può creare solamente, colui che è. Solo l'uomo su cui scende
l'anima, attraverso cui l'anima parla, può insegnare. Il coraggio, la pietà,
l'amore, la sapienza, possono insegnare; e ogni uomo può aprire la sua porta a
questi angeli, e essi gli porteranno il dono delle lingue. Ma l'uomo che cerca
di parlare come i libri insegnano, come i sinodi usano, come la moda indica, e
come l'interesse comanda balbetta. Taccia.
A questo santo ministero voi proponete di dedicare voi stessi. Vorrei che voi
sentiste la vostra chiamata nelle vibrazioni del desiderio e della speranza.
Questo ministero è il primo nel mondo. Appartiene a quella realtà che non
sopporta d'essere diminuita da falsificazioni. Ed è mio compito dirvi che il
bisogno di una nuova rivelazione non è mai stato più importante di adesso. Dalle
opinioni che ho appena espresso, voi potrete ricavare la triste convinzione, che
condivido e sostengo, con la maggioranza, dell'universale decadenza e quasi
morte della fede nella società. L'anima non è al centro della predicazione. La
Chiesa vacilla ormai prossima alla caduta, quasi tutta completamente priva di
vita. In questa occasione, dichiarare con compiacimento a voi, la cui speranza e
il cui impegno è di predicare la fede di Cristo, che la fede di Cristo è
predicata, sarebbe criminale. E tempo che queste mormorazioni a stento
trattenute di tutti gli uomini pensosi per la carestia nelle nostre chiese,
questo lamento del cuore privato della consolazione, della speranza e della
grandezza che vengono solo dalla maturazione della natura morale, è tempo che
siano ascoltati, attraverso il sonno dell'indolenza, e al di là del vano rumore
della solita routine. Questo grande e perpetuo ministero del predicatore non è
adempiuto. Predicare è l'espressione del sentimento morale in applicazione dei
doveri della vita. In quante chiese, da parte di quanti profeti, dimmi, l'uomo è
reso consapevole del fatto che egli è un'Anima infinita, che la terra e il cielo
passano nella sua anima, che egli si abbevera continuamente all'anima di Dio?
Dove risuona ora la persuasione, che attraverso la sua stessa melodia porta in
paradiso il mio cuore, e così afferma la sua origine celeste? Dove udrò parole
come quelle che nelle età più antiche hanno portato gli uomini ad abbandonare
tutto e seguire, padre e madre, casa e terra, moglie e figlio? Dove udrò queste
maestose leggi dell'essere morale pronunciate in modo tale da riempire
l'orecchio, e da farmi sentire nobilitato dall'offerta della mia migliore azione
e passione? La prova della vera fede, certamente, deve essere il suo potere di
affascinare e comandare l'anima, come le leggi della natura controllano
l'attività delle mani, un potere così imponente che troviamo piacere e onore
nell'obbedire. La fede dovrebbe unirsi con la luce dell'alba e del tramonto, con
la nuvola che vola sulle ali del vento, con l'uccello che canta, e il profumo
dei fiori. Ma ora il Sabato del sacerdote ha perduto lo splendore della natura;
è sgradevole, siamo felici quando è finito, possiamo fare, facciamo molto
meglio, in modo più santo e dolce, da soli, perfino seduti nei nostri banchi.
Dovunque il pulpito è usurpato da un formalista, il fedele è defraudato e privo
di consolazione. Ci ritiriamo appena le preghiere cominciano, preghiere che non
ci sollevano, ma ci feriscono e offendono. Ci avvolgiamo ben stretti nei nostri
mantelli, assicurandoci più che possibile una solitudine in cui non si ascolta
più. Una volta ho ascoltato un predicatore di fronte al quale fui fortemente
tentato di dire che non sarei più andato in chiesa. La gente, pensai, va in
certi posti per abitudine, altrimenti nessuna anima sarebbe entrata nel tempio
in quel pomeriggio. Una tempesta di neve stava cadendo intorno a noi. Quella
tempesta era reale, il predicatore al suo confronto era puramente spettrale, e
l'occhio avverti il triste contrasto guardandolo, e guardando poi fuori dalla
finestra dietro di lui la bellissima meteora della neve. Egli era vissuto
invano. Non aveva una sola parola che suggerisse il fatto che egli avesse riso o
pianto, fosse sposato o innamorato, fosse stato apprezzato, o ingannato, o
mortificato. Se anche egli avesse vissuto o operato, nessuno di noi avrebbe
potuto ricavarne una maggior saggezza. Non aveva appreso il segreto capitale
della sua professione, cioè saper convertire la vita in verità. Nessun fatto di
tutta la sua esperienza personale era ancora entrato nella sua dottrina. Quell'uomo
aveva arato e piantato e parlato e comprato e venduto; aveva letto libri; aveva
mangiato e bevuto; la testa poteva dolere, il cuore battere; egli sorrideva e
soffriva; eppure, nonostante tutto questo, in tutto il suo discorso non c'era
un'indicazione, un accenno, che egli avesse mai vissuto. Non aveva tratto una
sola riga dalla storia reale. Il vero predicatore può essere sempre riconosciuto
dal fatto che manifesta la sua vita alla gente, la vita passata attraverso il
fuoco del pensiero. Ma di quel cattivo predicatore non si poteva dire, dal
sermone, in quale età del mondo egli fosse capitato a vivere; se avesse un padre
o un figlio; se fosse proprietario o nullatenente, un cittadino o abitante della
campagna o qualsiasi altro dato biografico.
Sembrava strano che la gente venisse in chiesa. Si poteva pensare che le loro
case fossero tanto poco accoglienti, da costringerli a preferire quel vuoto
clamore. Questo mostra che c'è un'imponente attrazione nel sentimento morale,
che può prestare una debole sfumatura di luce anche all'ottusità e all'ignoranza
che si propongono nel nome e al posto di questo sentimento. Il buon ascoltatore
è sicuro di essere stato qualche volta toccato; è sicuro che c'è qualcosa che
merita d'essere perseguito e che esistono parole adatte. Quando egli ascolta
queste vane parole, conforta se stesso mettendole in relazione al suo ricordo di
ore migliori, e così esse risuonano e riecheggiano incontrastate.
Non ignoro che quando predichiamo in modo non degno, ciò non è sempre del tutto
invano. C'è un buon orecchio, in alcune persone, che consente alla virtù di trar
vantaggio da ogni sorta di nutrimento. C'è una verità poetica nascosta in tutti
i luoghi comuni delle preghiere e dei sermoni: per quanto stoltamente espressi,
essi possono saggiamente essere ascoltati, giacché ciascuno di essi rappresenta
una speciale espressione che eruppe in un momento di pietà da qualche anima
affranta o giubilante, un momento così straordinario da dover essere ricordato.
Le preghiere e perfino i dogmi della nostra chiesa sono come lo zodiaco di
Dendera e i monumenti astronomici degli indù, completamente isolati da qualunque
cosa oggi esistente nella vita e nelle occupazioni della gente. Le preghiere e i
dogmi indicano l'altezza a cui le acque una volta salirono. Ma questa docilità è
un monito circa il cattivo uso che ne possono fare i buoni e i dovuti. In una
larga parte della comunità il servizio religioso fa sorgere ben altri pensieri
ed emozioni. Non abbiamo bisogno di rimproverare il servo negligente. Ci assale
piuttosto la pietà dinanzi alla pronta punizione della sua accidia. Guai
all'infelice uomo che è chiamato a stare sul pulpito senza dare il pane di vita.
Tutto ciò che accade, lo accusa. Supponiamo che chieda offerte per le missioni,
interne o all'estero. Istantaneamente la sua faccia si copre di vergogna, nel
proporre alla parrocchia di inviare denaro a cento o a mille miglia di distanza,
per provvedere ad altri quello stesso povero vitto che la gente di quella
parrocchia ha in casa e da cui fuggirebbe lontano cento o mille miglia.
Supponiamo che esorti a vivere secondo i precetti divini; può forse chiedere a
una creatura come lui di venire agli incontri nel giorno del Signore, quando
tutti, lui compreso, conoscono quale miseria possono aspettarsene? Li inviterà
privatamente alla Cena del Signore? Non osa. Se nessun cuore riscalda questo
rito, il suo vuoto, arido, stridente formalismo è troppo evidente, perché egli
possa stare dinanzi a un uomo intelligente ed energico e invitarlo senza timore.
Per strada, che cosa può dire al bestemmiatore del villaggio? Questi vedrà la
paura nel volto, nell'aspetto e nel portamento del ministro.
Non rischiare che questa perorazione risulti meno sincera per non aver tenuto
conto delle giuste proteste delle brave persone. Conosco e onoro la purezza e la
rigorosa coscienza di molti membri del clero. La vitalità che il culto pubblico
mantiene è dovuta alla sparsa compagnia di uomini pii che officiano qua e là
nelle chiese e che, accettando la tradizione degli antichi con una devozione
perfino eccessiva, tuttavia non da altri che dal loro stesso cuore hanno
accettato i genuini impulsi della virtù, e così ancora sanno indurci ad amare e
onorare una vita santa. Inoltre, le eccezioni non sono tanto da trovare in pochi
eminenti predicatori, quanto nelle ore migliori, nelle più vere ispirazioni di
tutti, anzi, nei momenti sinceri di ogni uomo. Ma, pur ammesse le eccezioni, è
pur sempre vero che la tradizione caratterizza il modo di predicare di questa
terra; che la tradizione viene dalla memoria, e non dall'anima; che essa mira a
ciò che è abituale e non a ciò che è necessario ed eterno; e che perciò il
cristianesimo storico distrugge il potere della predicazione, ritirandola
dall'esplorazione della natura morale dell'uomo, in cui sono riposti il sublime
e le risorse della meraviglia e del potere. Quale crudele ingiustizia è il fatto
che quella Legge, che è la gioia dell'intera terra e che sola può rendere il
pensiero ricco e amato; che quella Legge la cui fatale certezza le orbite
astronomiche poveramente imitano, sia travestita e sprezzata, cacciata con urla
e lamenti, senza che ne sia articolato un solo tratto, una sola parola. Il
pulpito nel perdere di vista questa Legge perde ragion d'essere, e cerca a
tastoni senza sapere cosa. E per mancanza di questa educazione l'anima della
comunità è malata e priva di fede. Nulla più le manca di una rigorosa, alta,
stoica disciplina cristiana che le faccia conoscere se stessa e la divinità che
vi parla attraverso. Ora l'uomo ha vergogna di se stesso; tollerato, compatito,
si nasconde e Si muove furtivamente nel mondo; a stento in mille anni si trova
qualcuno che osi essere saggio e buono, attirandosi dietro le lacrime e le
benedizioni degli altri uomini.
Certamente ci sono stati periodi in cui, non potendosi l'intelletto esercitare
riguardo a certe verità, era possibile una fede maggiore nei nomi e nelle
persone. I Puritani in Inghilterra e in America hanno trovato nel Cristo della
Chiesa Cattolica e nel dogma ereditato da Roma lo spazio per la loro austera
pietà e i loro desideri di libertà civile. Ma il loro credo sta svanendo, e
nessun altro sorge al suo posto. Penso che nessun uomo possa entrare con i suoi
pensieri in una delle nostre chiese senza sentire che quella presa che il
pubblico culto aveva sulle gente è ormai inefficace o sta per diventarlo. Non
trova più rispondenza né nell'affetto dei buoni né nel timore dei malvagi. In
campagna, nei paraggi della città, metà della parrocchie sono destituite di
fedeli. Si comincia a scorgere un indice di carattere e di religiosità nel fatto
di rinunciare a frequentare riunioni religiose. Ho udito una persona devota, che
apprezzava il giorno del Signore, dire amaramente: «Nelle domeniche, sembra sia
male andare in chiesa». E il motivo in cui i migliori ancora perseverano è ora
solo una speranza e un'attesa. Quello che una volta era una mera circostanza,
che i migliori e i peggiori di una parrocchia, i poveri e i ricchi, i colti e
gli ignoranti, i giovani e i vecchi, si incontrassero un giorno in una casa,
tutti eguali, in segno di un eguale diritto spirituale, è diventato il motivo
principale per andare in quella sede.
Amici miei, in questi due errori, credo di trovare le cause della decadenza
della chiesa e di un devastante scetticismo, che riversano su di noi una
influenza maligna e rattristano il cuore degli uomini buoni. Quale calamità più
grande può cadere su una nazione della perdita della religione? Se questo
avviene tutto decade. Il genio abbandona il tempio per frequentare il senato o
il mercato. La letteratura diventa frivola. La scienza è fredda. L'occhio della
giovinezza non è illuminato dalla speranza di altri mondi, e l'età è priva di
onore. La società vive per sprecare tempo in frivolezze, e quando gli uomini
muoiono non ne parliamo.
E ora, fratelli miei, chiederete, che cosa possiamo fare in questi giorni
sconfortanti? Il rimedio è già stato indicato quando indicavamo i motivi della
nostra critica alla Chiesa. Abbiamo messo in contrasto la Chiesa con l'Anima.
Nell'anima allora dunque cerchiamo la redenzione. In un'anima, nella vostra
anima, ci sono risorse per il mondo. Dovunque arriva un uomo, arriva una
rivoluzione. Ciò che è antico è per gli schiavi. Quando arriva un uomo, tutti i
libri diventano leggibili, tutte le cose trasparenti, tutte le religioni sono
forme. Egli è religioso. E l'uomo colui che opera miracoli. Egli si manifesta in
mezzo a miracoli. Tutti lo benedicono e maledicono. Egli dice si e no,
solamente. Il carattere statico della religione, la convinzione che l'età
dell'ispirazione sia passata, che la Bibbia sia chiusa, la paura di sminuire la
figura di Gesù rappresentandolo come un uomo, tutto questo indica con
sufficiente chiarezza la falsità della nostra teologia. Il compito di un vero
maestro è quello di mostrarci che Dio è, non che è stato; che Egli parla, non
che ha parlato. Il vero cristianesimo la fede, come quella di Cristo,
nell'infinità dell'uomo - è perduto. Nessuno crede nell'anima dell'uomo, ma
solamente in qualche uomo, in qualche persona vecchia e defunta. Ahimè! nessun
uomo va da solo. Tutti gli uomini vanno a gruppi da questo o quel santo o poeta,
evitando il Dio che vede nel segreto. Essi non possono vedere nel segreto, amano
essere ciechi in pubblico. Pensano che la società sia più saggia della loro
anima, e non sanno che un'anima, la loro, è più saggia del mondo intero.
Considerate come le nazioni e le razze trascorrano velocemente sul mare del
tempo e non lascino nemmeno un'increspatura che indichi dove esse hanno
galleggiato o sono affondate: basterà una sola anima buona a rendere i nomi di
Mosè, o di Zenone, o di Zoroastro venerabili per sempre. Nessuno prova l'austera
ambizione di essere l'Io della nazione e della natura, ma ciascuno vorrebbe per
sé una comoda posizione gregaria all'interno di qualche denominazione cristiana,
o di qualche raggruppamento settario, al seguito di un qualche uomo eminente.
Abbandona una sola volta la tua conoscenza di Dio, il suo sentimento, e assumi
una conoscenza di seconda mano, come quella di 5. Paolo, o di George Fox, o di
Swedenborg e ti troverai lontano da Dio per tutta la durata di questa conoscenza
di seconda mano. Se essa, come nel nostro caso, dura secoli, l'abisso si
spalanca a tal punto che gli uomini possono a stento convincersi che c'è
qualcosa di divino in loro.
Lasciate che vi ammonisca, prima di tutto, ad andare soli; a rifiutare i buoni
modelli, perfino quelli che sono sacri nell'immaginazione degli uomini, e a
osare di amare Dio senza mediatori o veli. Troverete abbastanza amici che
proporranno alla vostra emulazione dei Wesley e degli Oberlin, Santi e Profeti.
Ringraziate Dio per questi uomini buoni, ma dite «anch'io sono un uomo».
L'imitazione non può superare il modello. L'imitatore si condanna a una
mediocrità senza speranza. L'inventore ha creato il modello perché questo era
naturale per lui, in lui esso è affascinante. Nell'imitatore è naturale
qualcos'altro, ed egli si priva della sua stessa bellezza, inseguendo un altro,
irraggiungibile.
Tu stesso, appena creato nunzio dello Spirito Santo, getta alle tue spalle ogni
conformismo, e metti gli uomini direttamente in contatto con la divinità. Sii
per loro un uomo, anzitutto e solamente; moda, costumi, autorità, piacere,
denaro, non sono niente per te, non sono bende sui tuoi occhi, che ti
impediscano di vedere: vivi il privilegio dell'anima incommensurabile. Non
essere troppo ansioso di visitare periodicamente ogni singola famiglia della tua
comunità parrocchiale: quando incontri uno di questi uomini o donne, cerca di
essere con loro or' uomo divino; cerca di essere esempio di pensiero e virtù per
loro; fa' in modo che le loro timide aspirazioni trovino un amico in te; che i
loro impulsi conculcati siano genialmente sollecitati dall'atmosfera che saprai
creare; che i loro dubbi sappiano che tu hai dubitato, e che il loro sentimento
di meraviglia riconosca che anche tu hai provato meraviglia. Confidando nella
tua anima, guadagnerai maggiore fiducia negli altri uomini. Nonostante tutta la
nostra saggezza da quattro soldi, tutta la nostra schiavitù verso l'abitudine,
non ci può essere dubbio che tutti gli uomini hanno pensieri sublimi, apprezzano
le poche ore reali di vita, amano essere ascoltati, amano essere sollevati alla
contemplazione dei principi. Imprimiamo con un segno luminoso nella nostra
memoria i pochi colloqui che abbiamo avuto, nei cupi anni della routine e del
peccato, con anime che hanno reso più sagge le nostre, che hanno espresso quello
che noi pensavamo, che ci hanno detto quello che noi sapevamo, che ci hanno
permesso di essere quello che eravamo dentro. Svolgi presso gli uomini il
servizio sacerdotale e, presente o assente, sarai seguito dal loro amore come da
un angelo.
E a questo fine, non dobbiamo puntare a comuni gradi di merito. Non possiamo
forse abbandonare a chi l'ama la virtù che risplende per la lode della società,
e inoltrarci noi invece nelle profonde solitudini dell'ingegno, del valore
assoluto? Facilmente raggiungiamo il livello medio sociale di bontà. La lode
della società può essere assicurata a poco prezzo, e quasi tutti gli uomini si
accontentano dei facili meriti, ma l'immediato effetto della conversazione con
Dio sarà di metterli da parte. Vi sono meriti sublimi. Ci sono persone che non
sono attori, né parlatori, ma vere e proprie autorità, persone troppo grandi per
fama, per il risalto dei loro caratteri, persone che disdegnano l'eloquenza, per
le quali tutto quel che noi riconosciamo come arte e come artista sembra troppo
strettamente legato allo spettacolo e a scopi reconditi, alla esagerazione del
finito e dell'individuale, e alla perdita dell'universale. Gli oratori, i poeti,
i capi ci possiedono solamente come fanno le belle donne oneste, con il nostro
permesso e omaggio. Trascuriamo quelle persone a favore di preoccupazioni
spirituali, trascuriamole, come ben sapete fare, a favore di scopi nobili e
universali, e esse istantaneamente sentiranno che avete ragione, e che devono
risplendere in luoghi più bassi. Quelle persone sentono anche il vostro diritto,
perché essi come voi sono aperti all'influsso dello Spirito che tutto conosce,
che annienta, con la vastità del suo meriggio le piccole ombre e gradazioni
dell'intelligenza nelle opere che consideriamo più sagge, anzi le più sagge. In
tale alta comunione studiamo i grandi tratti della rettitudine: un'audace
benevolenza, un'indipendenza dagli amici, in modo tale che gli ingiusti desideri
di quanti ci amano non impediscano la nostra libertà, e sappiamo invece esser
preparati molto in anticipo a resistere per amore della verità all'impeto, per
quanto spontaneo, degli affetti e degli appelli alla simpatia e, nella più alta
forma in cui questo tratto straordinario si dà a conoscere, apprendiamo quella
certa saldezza nel valore, che non ha niente a che vedere con l'opinione e
rappresenta la virtù in modo tanto essenziale e chiaro, che si dà dato per
scontato che un certo gesto giusto, coraggioso, generoso sarà compiuto, senza
che alcuni pensi a tessere elogi. Potresti fare dei complimenti a un bellimbusto
che compie una buona azione, ma non loderesti un angelo. Il silenzio che accetta
il merito come la cosa più naturale nel mondo, è l'applauso più grande. Anime
come queste, quando appaiono, sono la Guardia Imperiale della Virtù, la perpetua
riserva, sono come i dittatori che si impongono alla fortuna. Non occorre
lodarne il coraggio, sono il cuore e l'anima della natura. Amici miei, ci sono
risorse in noi cui non abbiamo attinto. Ci sono uomini che si sentono sollevati
all'udire una minaccia; uomini a cui una crisi che intimidisce e paralizza la
maggioranza, non richiedendo le virtù della prudenza e della parsimonia, ma
comprensione, impassibilità, disponibilità al sacrificio, giunge gradita e amata
come una sposa. Napoleone disse di Massena che non era se stesso fino a quando
la battaglia non gli andasse incontro, e che poi, quando i morti cominciavano a
cadergli intorno a schiere, ridestava le sue capacità di grande organizzatore, e
si rivestiva di terrore e vittoria. Così, è nelle aspre crisi, nell'instancabile
pazienza, e nelle aspirazioni che non tengono conto della simpatia, che un
angelo può apparire. Ma queste sono altezze che noi possiamo a stento ricordare
e considerare senza contrizione e vergogna. Ringraziamo Dio che queste cose
esistono.
E adesso facciamo quello che possiamo per riaccendere il fuoco nascosto, quasi
spento sull'altare. I mali della chiesa attuale sono manifesti. Il problema si
ripropone, che cosa faremo? Lo confesso, tutti i tentativi di progettare e
stabilire un Culto con nuovi riti e forme mi sembrano vani. E la fede che ci
costruisce, non siamo noi a costruirla, e la fede produce le sue proprie forme.
Tutti i tentativi di ideare un nuovo sistema sono altrettanto freddi del nuovo
culto della divinità della Ragione introdotto dai francesi, oggi cartapesta e
filigrana, domani follia e omicidio. Lasciate piuttosto che il respiro della
nuova vita penetri in voi attraverso le forme già esistenti. Una volta che sei
vivo tu, scoprirai che esse diventeranno plastiche e nuove. Il rimedio alla loro
deformità è prima di tutto l'anima, e in secondo luogo l'anima, e per sempre,
l'anima. Una sola pulsazione di virtù può elevare e vivificare un intero papato
di forme. Il cristianesimo ci ha dato due inestimabili vantaggi; prima di tutto
il giorno del signore, il giubileo del mondo intero, la cui luce sorge
egualmente benvenuta nello studio del filosofo, nella soffitta del lavoratore,
nelle celle della prigione, e dovunque suggerisce, perfino alla persona più
abietta, la dignità della vita spirituale. Si levi per sempre un tempio, che
restauri un nuovo amore, una nuova fede, una nuova vista, con uno splendore
maggiore del suo primo, dinanzi agli uomini. E il secondo vantaggio è
l'istituzione della predicazione, il discorso dell'uomo agli uomini, che
essenzialmente è il più flessibile di tutti gli organi, di tutte le forme. Che
cosa impedisce che ora, dovunque, sui pulpiti, nelle sale per conferenze, nelle
case, nei campi, dovunque l'invito degli uomini o le vostre stesse occasioni vi
conducano, voi diciate precisamente la verità, così come la vostra vita e la
vostra coscienza ve la insegnano, e solleviate i cuori deboli che attendono una
nuova speranza e una nuova rivelazione.
Guardo con ansia al momento in cui quella suprema Bellezza che ha mandato in
estasi le anime degli orientali, e soprattutto degli ebrei, e attraverso le loro
labbra ha espresso oracoli per ogni età, possa esprimersi anche in occidente. Le
Scritture ebraiche e greche contengono pensieri immortali, che sono stati
nutrimento per la vita di milioni di uomini. Ma esse non hanno un'integrità
epica, sono frammentarie, non appaiono all'intelletto nel loro ordine. Attendo
il nuovo Maestro che seguirà quelle leggi luminose a tal punto da vederle
formare un cerchio pieno, da vederne la grazia completa e circolare, da vedere
il mondo come lo specchio dell'anima, da vedere l'identità della legge di
gravitazione con la purezza del cuore e da mostrare che la Necessità e il Dovere
sono una cosa sola con la Scienza, con la Bellezza e con la Gioia.
NOTE
(1) Discorso agli studenti
dell'ultimo anno del Harvard Divinity School, la domenica sera del 15
luglio 1838.
(2) Emerson ricavò la convinzione
del primato storico dell'Oriente probabilmente da J. M. de Gérando, Histoire
comparée des systèmes de philosophie.
(3) Wordsworth, il sonetto «The
World is too much with us», v. 10.
Da:
http://www.robpiccoli.it/Emerson/home_it.html
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