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Fiducia in se stessi
di R.W. Emerson
Ne te quaesiveris
extra (1)
L'uomo è la propria stella; e l'anima che può foggiare un onesto e perfetto
uomo comanda ogni luce, ogni influsso, ogni fato; nulla per lui accade o presto
o troppo tardi. I nostri atti sono i nostri angeli, buoni o cattivi, le fatali
ombre che ci camminano accanto in silenzio.
Fletcher e Beaumont, La fortuna dell'uomo onesto. Epilogo.
Getta il marmocchio sulle rocce, allattalo al capezzolo della lupa, allevalo
col falco e con la volpe, vigore e speditezza siano mani e piedi per lui.
Leggevo, l'altro giorno, alcuni versi scritti da un eminente pittore, versi
originali e non convenzionali. L'anima sempre avverte come un ammonimento in
versi del genere, quale che ne sia l'argomento. Il sentimento che instillano
vale più di ogni pensiero che essi possano contenere. Credere nel proprio
pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche
vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Date voce alla convinzione
latente in voi, ed essa prenderà significato universale; giacché ciò che è
interno diventerà esterno, a tempo debito, e il primo nostro pensiero ci sarà
restituito dalle trombe del Giudizio Finale. Familiare com'è una tale voce a
ciascuno di noi, il merito maggiore che noi attribuiamo a Mosè, a Platone e a
Milton è che essi non tennero in nessun conto libri e tradizioni, ed espressero
non ciò che gli altri uomini pensavano, ma ciò che essi pensavano. Ognuno
dovrebbe imparare a scoprire e a tener d'occhio quel barlume di luce che gli
guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei
sapienti. E invece ognuno dismette, senza dargli importanza, il suo pensiero,
proprio perché è il suo. E intanto, in ogni opera di genio riconosciamo i nostri
propri pensieri rigettati; ritornano a noi ammantati di una maestà che altri
hanno saputo dar loro. Grandi opere d'arte non ci offrono una lezione che sia
per noi
più significativa. Esse ci insegnano ad affidarci alle nostre impressioni
genuine con serena inflessibilità soprattutto allorché l'intero clamore di voci
è dalla parte opposta. Anzi, potrebbe essere un estraneo, domani, a dirci
precisamente, con magistrale buon senso, quello che noi abbiamo nel frattempo
pensato e avvertito, e noi saremo costretti, con vergogna, a ricevere da un
altro quella che era la nostra propria opinione.
Arriva un tempo, nell'educazione di ciascun uomo, in cui egli si convince che la
competizione è ignoranza; che l'imitazione è suicidio; che deve saper accettare
se stesso per il meglio e per il peggio, come parte sua; che per quanto il
grande universo sia buono e generoso, nemmeno un chicco di nutriente grano può
arrivare à lui se non attraverso la fatica prodigata su quel pezzo di terra che
gli è stato dato da dissodare. Il potere che è in lui è qualcosa di nuovo in
natura, e nessuno, eccetto lui stesso, può sapere che cosa sia quello che egli
può fare, né può mai saperlo finché non ha provato. Non per nulla una faccia, un
carattere, un fatto possono maggiormente colpirlo, e un altro lasciarlo
indifferente. Né è senza una prestabilita armonia che vi sia, per così dire,
questa scultura nella memoria. L'occhio fu collocato là dove un raggio sarebbe
caduto, di modo che potesse testimoniare di quel particolare raggio. Noi
esprimiamo noi stessi soltanto a metà e quasi ci imbarazza quell'idea divina che
ciascuno di noi rappresenta. Si può, certo, senz'altro ritenere che essa sia
qualcosa di buono, di equanime e di giusti esiti, per cui a buon diritto se ne
dovrebbe parlare; ma Dio non vuole che siano dei codardi a rendere manifesta la
sua opera. Un uomo si sente sollevato e lieto quando ha riposto tutto se stesso
nella propria opera e ha fatto del suo meglio; ma ciò che ha detto o fatto in
diversa maniera non gli darà pace. È una liberazione che non libera. Nei
tentativi, il suo genio l'abbandona; nessuna musa lo soccorre; non ha più
inventività, non ha speranze.
Confida in te stesso: ogni cuore vibra a una tale corda di ferro. Accetta il
posto che il divino provvedere ha trovato per te, la società dei tuoi
contemporanei, la connessione degli eventi. Gli uomini grandi sempre fecero
così, e affidarono se stessi fanciullescamente al genio della loro età,
testimoniando la loro percezione che l'assolutamente affidabile aveva preso
posto nei loro cuori, operando attraverso le loro mani, prendendo possesso di
tutto il loro essere. E siamo ora anche noi uomini, e dobbiamo accogliere con la
più alta convinzione il nostro trascendente destino; e non come minorenni e
invalidi riparati in un cantuccio, non come codardi in fuga davanti a una
rivoluzione, ma come guide, redentori e benefattori obbedienti allo sforzo
Onnipotente e avanzanti sul Caos e le Tenebre.
(2)
Quali graziosi oracoli ci offre la natura, a tale riguardo, nel viso e nel
comportamento di fanciulli, di infanti e perfino di animali! Essi non hanno mai
quell'umore d'incertezza e renitenza, quella sfiducia che s'impossessa di noi
solo perché la nostra aritmetica ha calcolato le forze e i mezzi che si
oppongono a un nostro proposito. Essendo dunque integra la loro mente, il loro
occhio è ancora indomato, e noi guardando i loro volti restiamo confusi e
perplessi. L'infanzia non si conforma a nessuno; tutto si conforma ad essa,
tanto che un bambino riesce di solito a tener testa a quattro o cinque degli
adulti che chiacchierano e scherzano con lui. Così Dio ha dotato la giovinezza e
la pubertà, nonché l'età matura, di un loro proprio sapore e fascino, rendendo
ciascuna età desiderabile e amabile con le sue particolari istanze, nella misura
in cui ognuna se ne starà per proprio conto. Non crediate che il giovane non
abbia una sua forza solo perché non è in grado di parlare con voi e con me.
Uditelo! Nella stanza accanto la sua voce è abbastanza chiara ed eloquente.
Sembra che sappia bene come parlare ai suoi coetanei. Timido o ardito, saprà
sempre come rendere noi più anziani assolutamente non indispensabili.
La noncuranza di ragazzi che hanno il pranzo assicurato e che disdegnerebbero,
simili a grandi signori, di fare o di dire alcunché che suoni come pacato e
conciliante, è l'atteggiamento stesso, sano è solido, della natura. Un ragazzo è
in un salotto ciò che è la platea in un teatro: indipendente, irresponsabile,
osserva dal suo cantuccio uomini e fatti che gli passano davanti, li giudica,
trincia sentenze sui loro meriti, nel modo rapido e sommario dei ragazzi,
definendoli buoni, cattivi, interessanti, stupidi, eloquenti, fastidiosi. Né si
dà mai pensiero di conseguenze e di interessi; egli emette un verdetto
assolutamente indipendente, genuino. Siete voi che dovete corteggiarlo; non sarà
certo lui a corteggiare voi. L'uomo invece è, per così dire, sbattuto in
prigione dalla sua stessa consapevolezza. Non appena ha finito di agire o di
parlare con un certo éclat, ecco che è già una persona consegnata
a un suo impegno, tenuta d'occhio dalla simpatia o dall'astio di centinaia di
persone, dei cui sentimenti non potrà, d'ora in avanti, non tener conto. Non c'è
un fiume Lete per questo. (3)
Ah, se gli fosse ancora possibile rientrare nella sua neutralità! Solo chi
riesce a evitare tutti i vincoli e, avendo osservato, a osservare ancora,
dall'alto della sua imperturbabile, inviolata, incorruttibile e impavida
schiettezza, deve sempre essere oggetto di rispetto. Solo lui potrebbe
pronunciare le sue opinioni su tutto ciò che accade, opinioni che, non essendo
considerate mai di carattere personale ma generali e necessarie, penetrerebbero
come dardi nell'orecchio degli uomini, ponendoli in timore e rispetto.
Sono queste le voci che noi udiamo in solitudine, ma che diventano fioche e non
più udibili appena rientriamo nel mondo. La società dovunque cospira contro la
maturazione di ciascuno dei suoi membri. La società è come una compagnia i cui
soci hanno concordato che al fine di meglio assicurare il pane a ciascun
azionista, colui che lo mangia rinuncia però a libertà e cultura. La virtù più
ricercata è il conformismo. La fiducia in se stessi ne è la piena antitesi. Il
conformismo non ama le realtà vere, né gli spiriti creativi, ma solo nomi e
consuetudini.
Chiunque voglia essere un uomo, dev'essere un non-conformista. Chi vuol cogliere
palme immortali non deve farsi intralciare dal nome della bontà, ma deve
indagare se di bontà si tratta. Niente è infine sacro al di fuori dell'integrità
della mente. Assolviti da te stesso, e avrai il suffragio del mondo. Ricordo una
risposta che, giovanissimo, diedi con prontezza a uno stimato consigliere che
era solito importunarmi con le sue care, antiquate teorie chiesastiche. Alla mia
domanda: «Che ho io a fare con la sacralità della tradizione, se io vivo
totalmente della mia interiorità?», quell'amico rispose: «Ma simili impulsi
possono venirti dal basso, non dall'alto». E io: «A me non sembra che siano
tali; ma se io sono il figlio del diavolo, vivrò allora da diavolo!». Nessuna
legge può per me essere sacra se non quella della mia natura. Buono e cattivo
sono solo nomi da applicare celermente a quello o a questo; è giusto solo ciò
che è consono alla mia costituzione, è ingiusto ciò che le si oppone. Ognuno
dovrebbe portarsi davanti a ogni ostacolo come se ogni cosa fosse solo apparente
ed effimera, tranne lui stesso. Provo un senso di vergogna quando penso con
quanta facilità tutti finiamo invece col capitolare di fronte a nomi e insegne,
grandi società e istituzioni defunte. Ogni individuo decoroso, di cui si parli
più o meno bene, mi influenza e mi domina più di quanto non sia giusto. Dovrei
procedere diritto e deciso, ed esprimere in ogni maniera la rude verità delle
cose. Se malizia e vanità indossano i panni della filantropia, le faremo dunque
passare? Se un fanatico arrabbiato si facesse paladino di questa generosa causa
dell'Abolizione (4)
e venisse da me con le sue ultime notizie dall'isola di Barbados,
(5) perché non dovrei
dirgli: «Va', ama anzitutto tuo figlio; ama il tuo spaccalegna; sii affabile e
modesto; fa' questo, e non verniciare la tua dura e incaritatevole ambizione con
quest'improbabile tenerezza per negri che vivono a più di mille miglia da te.
Questo tuo amore per ciò che è lontano è intanto trascuratezza in casa tua». E,
certo, sarebbe questo un saluto piuttosto aspro e scortese, ma la verità e più
bella di ogni affettazione d'amore. La tua bontà deve avere un suo taglio
affilato, altrimenti non è nulla. La dottrina dell'odio dovrebbe essere
predicata come un contraltare della dottrina dell'amore, quando questa si fa
gemente e piagnucolosa. Io fuggo padre e madre, moglie e fratello quando il mio
genio mi chiama. (6)
Vorrei scrivere sul frontone della mia soglia
(7): Estro. Spero che sia
qualcosa di più di un estro, alla fine, ma non staremo a passare la giornata in
spiegazioni. Né aspettatevi che vi dica perché cerco o perché escludo la
compagnia. E non riparlatemi, come ha fatto oggi un brav'uomo, del mio dovere di
mettere tutti i poveri in migliore condizione. Sono forse essi i miei poveri? Io
dico a te, stupido filantropo, che io rimpiango il dollaro, il centesimo, la
monetina che io do a persone che non appartengono a me e alle quali io non
appartengo. Vi è, al contrario, tutta una categoria di persone dalle quali, per
ogni spirituale affinità, accetterei di essere comprato e venduto; per loro
andrei anche in prigione, se fosse necessario; ma le vostre promiscue carità
popolari, le scuole aperte agli stupidi, la Costruzione di case-di-riunione per
i vani scopi per i quali molte di esse operano; elemosine elargite ai beoni, e
le Società di Assistenza mille volte fallite: benché mi tocchi confessare, con
un certo imbarazzo, che qualche volta soccombo anch'io e do il mio dollaro, un
cattivo dollaro, che via via avrò la fermezza però di rifiutare.
Le virtù sono, secondo l'opinione generale, più l'eccezione che la regola. Vi è
l'uomo, e vi sono le sue virtù. Gli uomini compiono quella che si chiama una
buona azione, qualche episodio di coraggio e di carità, quasi come se avessero
da espiare, con qualche ammenda, la loro quotidiana assenza dal corteo della
vita. Tali azioni sembrano compiute come per una giustificazione o un'attenuaziòne
del loro esistere al mondo - così come gli invalidi e gli infermi pagano una
loro retta più alta. Le loro virtù sono penitenze. Io non voglio espiare, ma
vivere. La mia vita vale per se stessa e non per dare spettacolo. Preferisco che
sia in tono minore, ma genuina e univoca, piuttosto che brillante e instabile.
Desidero che sia sana e serena, e che non abbia bisogno di diete e salassi. Io
chiedo, prima d'ogni cosa, che tu dimostri d'essere un uomo, e mi rifiuto di
trasferire tale qualificazione dall'uomo alle sue azioni. So che per me non
comporta differenza se mi astengo da quelle azioni che sono reputate eccellenti
o se le compio. Non posso acconsentire a pagare per un privilegio quando so che
si tratta di un mio intrinseco diritto. Per scarse e misere che siano le mie
qualità, io esisto di fatto, e non ho bisogno, per rassicurare me stesso e per
rassicurare i miei amici, di nessun'altra testimonianza accessoria.
Quel che io debbo fare è quanto riguarda me, non ciò che la gente ne pensa. Una
tale regola, tutt'altro che facile da applicare sia nella vita pratica che in
quella intellettuale, potrebbe servire come esatta distinzione tra grandezza e
mediocrità. Tutto è poi reso arduo dal fatto che c'è sempre qualcuno che crede
di sapere quali siano i tuoi doveri meglio di quanto non sappia tu stesso. È
facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine,
vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla
conserva con perfetta serenità l'indipendenza della solitudine.
L'obiezione al tuo conformarti a usi e costumi diventati per te lettera morta è
che ciò disperde le tue energie. Dissipa il tuo tempo e offusca la fermezza del
carattere. Se tu mantieni in vita una chiesa defunta, se dai il tuo contributo a
una consunta società biblica, se dai il tuo voto a un grande partito a favore o
contro il governo, se ti metti a stendere la tovaglia sulla tavola come una
donnetta di casa, io avrò difficoltà a discoprire sotto tutti questi schermi il
preciso uomo che tu sei: e, naturalmente, altrettanta energia è sottratta alla
tua propria vita. Fa' il tuo lavoro, e io ti riconoscerò. Fa' il tuo lavoro, e
rinforzerai te stesso. Ognuno deve considerare che sorta di mosca cieca sia
questo gioco del conformismo. Se io so a quale setta appartieni, anticiperò le
tue argomentazioni. Sento annunciare, da un predicatore, quale tema per il suo
sermone, quello dei vantaggi che deriverebbero da una delle istituzioni della
sua chiesa. Ma non so già, fin dall'inizio, che da lui non può venirmi una
parola nuova e spontanea? Non so già che, nonostante tutta questa ostentazione
di disponibilità a esaminare i fondamenti della sua istituzione, egli non ne
farà nulla? Non so già che egli è vincolato con se stesso a non guardare che a
un solo lato, al lato consentito, non come uomo, ma come ministro della sua
parrocchia? Egli è un avvocato d'ufficio, e queste arie da libera tribuna non
sono che vuota affettazione. Ebbene, buona parte degli uomini si è tappata gli
occhi con questa o quella benda, e si è completamente legata a qualcuna di
queste congreghe d'opinione. Un tale conformismo li rende falsi non in questo o
in quel particolare, autori solo di questa o di quella bugia, ma falsi in ogni
cosa. Ogni loro verità non è mai del tutto vera. Il loro due non è il vero due,
il loro quattro non è il vero quattro; e così, ogni loro parola ci imbarazza, e
noi non sappiamo da dove cominciare per rimetterli in sesto. Nel frattempo la
natura non è da meno nell'approntarci l'uniforme-prigione del partito al quale
abbiamo aderito. Veniamo tutti ad assumere un unico taglio di volto e figura, e
acquistiamo gradualmente la più graziosa espressione asinina del mondo. Vi è, in
particolare, una mortificante esperienza che non manca anche di circolare, in
generale, nella storia: parlo, cioè, dello «sciocco viso della lode»,
(8) di quel forzato
sorriso che assumiamo in società, quando non ci sentiamo a nostro agio, come
risposta a una conversazione che non ci interessa affatto. I muscoli, non messi
in moto con spontaneità ma mossi da una volontà prevaricatrice, s'irrigidiscono
lungo i tratti esterni del viso, provocando la più sgradevole delle sensazioni.
Per il tuo non-conformismo il mondo ti colpirà e non ti avrà in nessuna
considerazione. E perciò un uomo ha da sapere che conto deve fare di una faccia
acida. Per la strada o nel salotto di un amico la gente lo guarda di sbieco. Se
una tale ostilità avesse la sua origine in quello stesso disdegno e in quella
ostinatezza che egli prova, potrebbe benissimo tornarsene a casa con malinconica
dignità; ma le facce acide o benevole della moltitudine non hanno mai causa
profonda, sono indossate o dismesse come soffia il vento o come ordina un
giornale. E tuttavia il malcontento di una moltitudine è più temibile di quello
di un senato o di un corpo accademico. È abbastanza facile per un uomo saldo,
che conosce il mondo, affrontare la rabbia delle categorie più coltivate. La
loro collera è decorosa e prudente, di gente cauta, vulnerabile anch'essa. Ma
quando a una tale rabbia un po' femminea si aggiunge l'indignazione popolare,
quando insorgono i più incolti e i più poveri, quando la cieca forza bruta che
giace nel fondo della società è spinta a ringhiare e a irridere, occorre allora
l'abito della magnanimità e della religiosa reverenza per trattarla, alla
maniera di un dio, come un'inezia senza importanza.
L'altro timore che ci allontana dalla fiducia in se stessi è quello di dover
perdere la nostra coerenza; ci trattiene un ossequio per azioni e parole fatte o
dette in passato, dato che gli occhi altrui non hanno altri elementi, per
calcolare la nostra orbita, se non le nostre passate azioni, e noi siamo
riluttanti a deluderli.
Ma perché dover così tenere la vostra testa sulle vostre spalle? Perché portarvi
dietro questo cadavere delle vostre memorie, per il timore di smentire qualcosa
che abbiate sostenuto in questo o in quell'altro pubblico luogo? Supponete di
contraddirvi; e con questo? A me sembrerebbe, piuttosto, buona norma di saggezza
quella di non fare esclusivo assegnamento sulla sola memoria e di farne poco,
anzi, anche in atti di pura memoria; ma di trascinare in giudizio quel passato
in un presente dai mille occhi e di vivere in un giorno sempre nuovo. Nelle
vostre teorie metafisiche avete negato personalità alla divinità, e tuttavia
quando un devoto moto dell'anima vi sorprende, cedetegli cuore e vita, anche a
costo di rivestire Dio di forme e colori. Abbandonate pure le vostre teorie,
così come Giuseppe lasciò la sua veste nelle mani della meretrice, e fuggite via
anche voi. (9)
Una stupida coerenza è l'ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini
politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha,
semplicemente, nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra
sul muro. Dite quello che pensate ora con parole dure, e dite domani quello che
il domani penserà con parole altrettanto dure, per quanto ciò possa essere in
contraddizione con qualunque cosa abbiate detto oggi. «Ah, ma così sarete
sicuramente fraintesi!»
- E proprio talmente un male, dunque, l'essere fraintesi? Pitagora fu frainteso,
e Socrate e Gesù e Copernico e Galileo e Newton furono fraintesi, e così fu di
ogni più puro e saggio spirito che abbia preso carne. Essere grandi vuol dire
essere fraintesi.
Io penso che nessun uomo può violentare la sua natura. Tutte le sortite della
sua volontà sono ben sorvegliate dalla legge del suo essere, così come le
ineguaglianze delle Ande e dell'Himalaya diventano insignificanti nella curva
della sfera terrestre. Né importa come vogliate misurarlo e metterlo alla prova.
Un forte carattere è come un acrostico o come una strofe alessandrina: che sia
letta dall'alto, dal basso, o di traverso, significa sempre la stessa cosa. In
questa piacevole, anacoretica vita nei boschi che Dio mi concede, fate che io
registri giorno per giorno ogni mio onesto pensiero senza nulla avere in
prospettiva né in retrospettiva, e io non dubito che essa vi apparirà armoniosa
e simmetrica, anche se io stesso non riesco bene a vederlo e ad accorgermene. Il
mio libro dovrebbe profumare di pini e risuonare di ronzii d'insetti. La rondine
sopra la mia finestra dovrebbe intrecciare anche nella mia trama quel filo o
quella pagliuzza che porta nel becco. Noi passiamo per quello che siamo. Il
carattere ci dà ammaestramenti che vanno al di là delle nostre volontà. Gli
uomini immaginano di manifestare virtù e vizi solo attraverso azioni palesi, e
non vedono che virtù o vizio emettono in ogni momento un loro proprio respiro.
Vi sarà come un accordo in una qualsiasi varietà di azioni, di modo che
ognuna di esse sia quella appropriata e naturale nel suo momento. Derivando
tutte da un'unica volontà, le azioni si armonizzeranno tra loro, per quanto
dissimili possano tra loro sembrare. Tale varietà la si perde di vista, a
distanza ravvicinata, a una scarsa altezza di pensiero. Una sola tendenza le
unifica tutte. La rotta della migliore nave è pur sempre una linea a zig-zag
fatta di centinaia di deviazioni. Ma guardate quella rotta da una certa
distanza, ed essa si raddrizzerà sulla tendenza media. Una vostra azione genuina
si spiegherà da sola e spiegherà altre vostre azioni genuine. Il vostro
conformismo non spiegherà mai nulla, invece. Agite da voi stessi, e ciò che
avete già compiuto da voi stessi vi giustificherà ora. La grandezza si appella
al futuro. Se posso essere oggi così fermo da agire in modo giusto, sprezzando
gli occhi fissati su di noi, devo aver già agito in tal modo in passato, tanto
da ben difendermi ora. La forza del carattere è cumulativa. Tutti i passati
giorni di virtù portano in questo il loro salutare contributo. Cos'è che fa la
maestà degli eroi del Senato e del campo di battaglia, che riempie tanto
l'immaginazione? Non altro che la consapevolezza di una sequela di grandi giorni
e di vittorie alle spalle. Sono essi che spandono una luce unitaria sul
protagonista che avanza. Ed è questo che mette il tuono nelle parole di Chatham,
(10) e dignità
nel portamento di Washington, e l'America nell'occhio di Adams.
(11) L'onore ci è
sacro perché non è effimero. E sempre virtù antica. Lo veneriamo oggi perché non
è di oggi. Lo amiamo e gli rechiamo omaggio perché non è una trappola per la
nostra dedizione e il nostro omaggio, ma dipende solo da sé, deriva da se stesso
ed è perciò di vecchio immacolato lignaggio, anche se si mostra in qualcuno che
sia giovane d'anni.
Io spero che non si debba più parlare in questi giorni di conformismo e di
coerenza. Che siano squalificate, queste parole, e da ora in poi ridicolizzate.
Al posto del gong che chiama per il pranzo, vi sia un piffero spartano a farsi
udire. Non stiamo a inchinarci e non stiamo più a scusarci. Un grande sta per
venire a pranzo a casa mia. Io non me ne starò a compiacerlo; vorrei anzi che
fosse lui a voler compiacere me. Starò qui con benevola umanità, e per quanto io
voglia far tutto con la massima cortesia, vorrei farlo anche con il massimo di
verità. Affrontiamo e debelliamo la morbida mediocrità, lo squallido
accontentarsi dei tempi, e lanciamo in faccia alle consuetudini e ai commerci e
ai doveri il fatto, che è poi lo sbocco di tutta la storia, che vi è un grande
responsabile Pensatore e Attore che opera dovunque opera un uomo, e che un uomo
vero non appartiene a un altro tempo e luogo, ma è il centro delle cose.
Dov'egli è, lì è la natura. Egli misura voi e gli uomini tutti e tutti gli
accadimenti. Di solito ognuno in società ci ricorda qualcosa d'altro o qualche
altra persona. Il semplice carattere, la realtà, non vi ricordano nient'altro:
prendono il posto dell'intera creazione. L'uomo deve aver tanto in sé da rendere
indifferente ogni altra circostanza. Ogni uomo vero è una causa, una nazione e
un'età; richiede spazi e numeri e tempo infiniti per condurre pienamente a
compimento il suo disegno; e la posterità non farà che seguire le sue orme come
un corteo di clienti. Un uomo Cesare è nato, e per secoli dopo di lui abbiamo un
Impero Romano. Cristo nasce, e milioni di animi maturano e si attaccano al suo
genio, tanto che lo si identifica con la virtù e con tutto il possibile
dell'uomo. Un'istituzione è solo l'ombra lunga di un uomo: il monachesimo, di
quella dell'eremita Antonio; la Riforma, di quella di Lutero; il quaccherismo è
l'ombra di Fox; il metodismo è l'ombra di Wesley; l'abolizionimo, di Clarkson.
(12)
Milton definì Scipione «la vetta di Roma»,
(13) e tutta la storia si risolve
agevolmente nella biografia di poche persone vigorose e serie.
Lasciate dunque che un uomo prenda consapevolezza del suo valore, e tenga le
cose sotto i suoi piedi. Che non si aggiri gettando occhiate furtive, né vada a
rintanarsi su e giù con l'aria di un trovatello, di un bastardo, di un
contrabbandiere, in un mondo che esiste per lui. Ma l'uomo della strada, non
riscontrando in se stesso nessun valore corrispondente al vigore che edificò una
torre o che scolpì un dio nel marmo, si sente povero e meschino allorché guarda
a queste cose. Per lui un palazzo, una statua, o un libro prezioso hanno un'aria
estranea e proibitiva, non dissimile da quella ché avvolge una sfarzosa carrozza
con cocchieri in livrea; ed è come se stessero a chiedergli: «Chi è lei,
signore?». Eppure, tutto è suo, tutti sono corteggiatori che richiedono la sua
attenzione, che chiedono alle sue facoltà di venire allo scoperto e di prendere
possesso di ciò che gli appartiene. Il quadro attende un mio verdetto; non sarà
esso a darmi ordini, ma sarò io a stabilire le sue pretese alla lode. La ben
nota storia di quel beone che, prelevato ubriaco fradicio dalla strada, fu
condotto nel palazzo del duca, lavato e ripulito e poi rivestito e fatto
distendere nel letto del duca, e trattato, al risveglio, con ogni ossequioso
riguardo, come se fosse il duca stesso, per sentirsi infine dire che s'era
trattato solo di un folle sogno, (14)
deve la sua popolarità al fatto che essa simboleggia perfettamente la condizione
dell'uomo, che sta nel mondo un po' come un ubriaco, ma che di tanto in tanto si
ridesta, esercita la sua ragione e s'accorge di essere proprio lui il vero
principe.
Il nostro modo di leggere è da accattoni e da sicofanti. Nella storia, la nostra
immaginazione ci porta a vedere in modo falso le cose. Regni e signorie, potere
e grandi patrimoni rappresentano una fraseologia più fastosa di quanto non
sianoi semplici nomi di un John e di un Edward che svolgono in una casa modesta
il loro quotidiano lavoro; eppure, le cose della vita sono le stesse sia per gli
uni che per gli altri; la somma totalé è la stessa per gli uni e per gli altri.
Perché allora tutta questa deferenza per Alfredo e per Scanderberg e per
Gustavo? (15)
Diciamo che essi ebbero, certo, le loro virtù; ma esaurirono forse tutta.la
virtù? Un grande risultato può dipendere da un vostro atto privato, oggi, così
come ieri segui i pubblici passi di quei famosi uomini. E quando ogni privato
cittadino opererà secondo le proprie originali vedute, il lustro sarà trasferito
dalle azioni dei re a quelle degli uomini comuni.
Il mondo è stato ordinato dai suoi re, che hanno in tal modo magnetizzato gli
occhi delle nazioni. E da questo colossale simbolo è stata trasmessa la muta
riverenza che l'uomo deve all'uomo. Il soddisfatto lealismo col quale gli uomini
hanno dunque tollerato che il re, il nobile o il grande proprietario si
aggirassero fra loro con leggi esclusive e che imponessero, contro quella degli
altri, una loro propria scala di valutazione, e pagassero, per i benefici, non
con denaro ma con cariche e onori, rappresentando la legge stessa nelle loro
persone, era il geroglifico con cui essi confusamente testimoniavano la loro
coscienza del loro diritto e della loro dignità, il diritto di ciascun uomo.
Il magnetismo esercitato da ogni autentica azione si spiega allorché cerchiamo
le ragioni della fiducia in se stessi. Chi è il Fiduciario? Che cos'è l'Io
originario, su cui una fiducia universale può aver fondamento? Qual èla natura e
quale il potere di quella stella che confonde ogni scienza, senza parallasse,
priva di elementi calcolabili, che manda raggi di bellezza anche nelle azioni
più ordinarie e più spurie, se solo vi appaia il minimo marchio di indipendenza?
La nostra ricerca ci conduce a quella fonte che è tutt'insieme l'essenza del
genio, della virtù e della vita, e che chiamiamo Spontaneità o Istinto.
Qualifichiamo questa primaria saggezza come Intuizione, mentre tutti i
successivi insegnamenti sono tuizioni. In quella forza profonda, dietro
la quale l'analisi non può andare, tutte le cose trovano la loro comune origine.
Giacché quel senso di esistenza che nelle ore più pacate sorge in noi, non
sappiamo come, non è diverso dalle cose, dallo spazio, dalla luce, dal tempo,
dall'uomo, ma è tutt'uno con tutto ciò che procede, chiaramente, dalla fonte
stessa da cui procedono il loro vivere e il loro esistere. Noi, dapprima,
partecipiamo dell'essenza vita-le in virtù della quale le cose esistono, e poi
vediamo queste cose come apparenze nella natura, e dimentichiamo che abbiamo
partecipàto della loro causa prima. Qui è la sorgente dell'azione e del
pensiero. Qui sono i polmoni di quella inspirazione che dà all'uomo saggezza e
che non può essere negata senza cadere nell'empietà e nell'ateismo. Stiamo nel
grembo di un'immensa intelligenza, che ci fa ricevitori della sua verità e
organi della sua attività. Quando riusciamo a discernere ciò che è giusto,
quando riusciamo a discernere ciò che è vero, non facciamo altro, da parte
nostra, che permettere ai suoi raggi di passare. Se poi chiediamo da dove tutto
questo provenga, se cerchiamo di penetrare nell'anima che ne è la causa, ogni
filosofia si dichiara in difetto. Che sia presente o assente è tutto quello che
possiamo affermare. Ognuno distingue tra gli atti volontari che compie e le sue
percezioni involontarie, e sa che alle sue percezioni involontarie è dovuta la
massima fede. Può sbagliare nell'esprimerle, ma sa bene che queste cose sono
così, come il giorno e la notte, e non possono esser messe in questione. Le mie
azioni premeditate e le mie acquisizioni sono erratiche: la più pigra
fantasticheria, la più labile emozione naturale attirano, da parte mia,
curiosità e rispetto. La gente irriflessiva contraddice altrettanto prontamente
le affermazioni derivanti sia dalle percezioni che dalle opinioni, e ciò, anzi,
con ancor maggiore prontezza, poiché non distingue tra percezione e nozione. Si
pensa che sia io a scegliere di vedere questo o quello. Ma la percezione non ha
nulla di capriccioso, ha invece carattere di necessità. Se ne scorgerò qualche
tratto, anche i miei figli lo vedranno dopo di me, evia via tutta l'umanità,
benché possa darsi che nessuno l'abbia mai visto prima di me. Giacché, appunto,
la percezione che ne ho è un fatto indiscutibile nello stesso modo in cui lo è
il sole.
Sono così netti e puri i rapporti dell'anima con lo spirito divino, che sarebbe
sacrilego ogni tentativo di interporre ulteriori sforzi. Il fatto è che quando
Dio parla, dovrebbe comunicare non una sola cosa, ma tutte le cose insieme;
dovrebbe riempire il mondo della sua voce; dovrebbe spargere intorno a sé luce,
natura, tempo, anime, dal centro del pensiero in atto; e nuovamente datare e
ricreare il tutto. Ogni volta che una mente si fa semplice e riceve in sé la
divina saggezza, tutte le vecchie cose passano via: strumenti, precettori,
testi, templi, tutto crolla; essa vive ora, nel presente, e assorbe passato e
futuro nel momento presente. Ogni cosa è resa sacra dal suo rapporto con essa,
l'una o l'altra. Tutte le cose sono dissolte, dalla loro causa, nel loro centro,
e nell'universale miracolo si dileguano i miracoli particolari e più ordinari.
Se, a questo punto, qualcuno pretende di conoscere Dio e di parlarne
riportandovi alla fraseologia di qualche vecchia decrepita nazione in estranea
terra, in altro mondo, voi non credetegli. È forse la ghianda superiore alla
quercia, che ne è la pienezza e il compimento? È il genitore migliore del figlio
nel quale ha versato la piena maturità del suo essere? Da dove proviene allora
questa adorazione del passato? I secoli cospirano contro l'energia e
l'autorevolezza dell'anima. Tempo e spazio non sono che colorazioni psicologiche
che fa l'occhio, ma l'anima è luce: dov'essa è, li è il giorno; dov'essa non è
più, lì è la notte; e la storia sarebbe impertinenza e ingiuria se volesse
essere qualcosa di più di un piacevole apologo o di una parabola del mio essere
e del mio divenire.
L'uomo è timido e sta troppo a scusarsi; non sta più saldo e diritto; non osa
dire «io penso», «io sono», ma passa a citare qualche santo o qualche filosofo.
Si vergogna di fronte a un filo d'erba o a una rosa che sboccia. Queste rose
sotto la mia finestra non stanno a far riferimenti a precedenti o a migliori
rose; sono ciò che sono; esistono insieme con Dio nell'oggi. Il tempo non esiste
per loro. Vi è semplicemente la rosa: perfetta in ogni momento del suo esistere.
Prima che un solo bocciolo si sia dischiuso, la sua vita è già tutta in atto;
nel fiore interamente sbocciato non ve n'è di più; nella spoglia radice non ve
n'è di meno. La sua natura è pienamente soddisfatta ed essa soddisfa parimenti
la natura, in ogni momento. L'uomo invece pospone o ricorda; non vive nel
presente in atto, ma con l'occhio rivolto all'indietro sta a rimpiangere il
passato, oppure, incurante delle ricchezze che lo circondano, si solleva in
punta di piedi a prevedere il futuro. Non potrà essere felice e forte finché non
viva anche lui con la natura nel presente, al di sopra del tempo.
Questo dovrebbe essere abbastanza chiaro. Eppure, guardate quanti forti
intelletti non osano ancora ascoltare Dio direttamente, a meno che egli non
parli attraverso la fraseologia di non so qual Davide, o Geremia, o Paolo. Ma
non staremo sempre a fondare un così alto valore su alcuni pochi testi, su
alcune poche vite. Siamo come fanciulli che meccanicamente ripetono le frasi di
nonne e tutori e, via via che crescono, degli uomini di talento e di carattere
che abbiano modo di conoscere, sforzandosi di ricordare le esatte parole da
quelli pronunciate; ma più tardi, quando saranno entrati nello stesso punto di
vista di coloro che esprimevano quei detti' ne avranno piena comprensione e
vorranno allora lasciar perdere le parole, giacché saranno ormai in grado ogni
volta, all'occasione, di usarne di altrettanto efficaci. Se viviamo in
sincerità, vedremo ogni cosa con sincerità. È facile per l'uomo forte esser
forte, così come per il debole esser debole. Quando possederemo la nuova
percezione, saremo lieti di alleggerire la nostra memoria di tutto il cumulo dei
suoi tesori come di vecchie cianfrusaglie. Se uno vive con Dio, la sua voce si
farà dolce come il mormorio del ruscello e il brusio del grano.
E ora, infine, resta ancora non detta la verità più alta a proposito di questo
argomento; probabilmente, non potrà mai essere detta, giacché tutto quello che
noi diciamo è soltanto il remoto ricordo dell'intuizione originaria. Il pensiero
col quale potrei quanto meno avvicinarmi ad essa, quanto più è possibile, è
questo. Quando il bene è nelle tue vicinanze, quando hai la vita in te stesso,
ciò non avviene attraverso le comuni e abituali vie; tu non scorgerai le
impronte di nessun altro; non vedrai faccia d'uomo; non udrai il nome di
nessuno: il modo, il pensiero, il bene, tutto sarà completamente inconsueto e
nuovo; escluderà esempi ed esperienze. Prenderai la via che si allontana
dall'uomo, non quella che porta all'uomo. Tutte le persone che sempre
esistettero sono, di quell'altissima verità, gli obliati ministri. Timore e
speranza sono parimenti al di sotto di essa. Vi è qualcosa di basso persino
nella speranza. Nell'ora della visione nulla vi è che possa definirsi
gratitudine, e neanche propriamente gioia. L'anima che si è innalzata al di
sopra della passione contempla l'identità e l'eterna casualità, percepisce
l'esistenza di Vero e Giusto, e si placa nella consapevolezza che tutto procede
nel modo migliore. Vasti spazi di natura, l'Oceano Atlantico, il Mare del Sud;
lunghi intervalli di tempo, di anni, di secoli, non contano più nulla. Questo
che penso e sento fu alla base di ogni precedente stato di vita e di
circostanze, così come ora è alla base del mio presente in atto e di ciò che si
chiama vita e di ciò che si chiama morte.
Ciò che importa è la
vita, non l'aver vissuto. L'energia cessa nel momento in cui si posa; essa si
concentra nel momento di transizione da un passato a un nuovo stato, nel
superare un abisso, nel mirare a uno scopo. C'è una cosa che il mondo
particolarmente ha in odio, il fatto cioè che l'anima diviene; poiché ciò
degrada per sempre il passato, volge le ricchezze in povertà, ogni reputazione
in vergogna, confonde il santo col briccone, spinge dalla stessa parte sia Gesù
che Giuda. Perché allora discorriamo di fiducia in se stessi? Nella misura in
cui l'anima è presente, vi sarà un'energia non fiduciosa ma agente.
Parlare di fiducia è un misero modo esteriore di dire. Parlate piuttosto di ciò
che dà fiducia in quanto opera ed esiste. Chi ubbidisce più di me è padrone di
me, pur senza alzare me pur senza alzare neppure un dito. Intorno a lui dovrò
girare per effetto della legge di gravitazione spirituale. Quando parliamo di
eminente virtù pensiamo che si tratti di un'espressione retorica. E non vediamo
che virtù è Altezza, e che un uomo o una società d'uomini, plastici e permeabili
ai principi, devono per legge di natura dominare e cavalcare città, nazioni, re,
ricchi, poeti, che tali non siano.
Ed è questo il fatto ultimo al quale rapidamente perveniamo a questo proposito,
così come per ogni altro argomento: alla conclusione che tutto si risolve
insomma nel sempre-beato UNO. L'autoesistenza è l'attributo della Suprema Causa,
e costituisce la misura del bene a seconda del grado in cui entra in ogni forma
inferiore. Tutte le cose reali sono tali per quel tanto di virtù che contengono.
Commercio, condizione familiare, caccia, spedizioni di baleniere, guerra,
eloquenza, peso personale, rappresentano qualcosa, ed esigono il mio rispetto
come esempi della sua presenza e di un'impura azione. Vedo che la stessa legge
opera in natura sia per la conservazione che per la crescita. La natura non
tollera niente nei suoi regni che non sappia sostenersi da sé. La genesi e
maturazione di un pianeta, la sua posizione e la sua orbita, l'albero piegato
che si raddrizza dopo il forte colpo di vento, le risorse vitali di ciascun
animale e vegetale, sono dimostrazioni dell'anima che basta a se stessa e che è
pertanto fiduciosa in se stessa.
Così, tutto si concentra. Non andiamocene errando di qua e di là; stiamocene
seduti in casa in compagnia della Causa. Lasciamo confusa e stupefatta la calca
invadente di uomini e di libri e di istituzioni con un semplice riconoscimento,
da parte nostra, del fatto divino. E ordinate a questi invasori di togliersi le
scarpe, giacché Dio è qui dentro. (16)
Che sia la nostra docilità a giudicarli, e sia la nostra docilità alla nostra
propria legge a dimostrare quanto povere siano natura e fortuna in confronto con
le nostre più genuine ricchezze.
Ma ora siamo una massa. L'uomo non ha rispetto per l'uomo, né lo ammonisce
perché resti a casa sua, per porsi in comunicazione con l'oceano interiore; se
ne va in giro, invece, a chiedere una tazza d'acqua dalle urne di uomini
estranei. Dobbiamo camminare da soli. Io amo la chiesa silenziosa, prima che
abbiano inizio le funzioni, più di ogni predica. Come lontane, fresche e caste
ci appaiono le persone, ognuna come cinta da un sacro spazio! Così restiamocene
sempre. Perché dovremmo assumerci le colpe di un amico, o della moglie, o del
padre, o del figlio, solo perché siedono intorno al nostro focolare, o perché
hanno, come si dice, lo stesso sangue? Tutti gli uomini hanno il mio sangue, e
io ho quello di tutti gli uomini. Non per questo adotterò la loro petulanza o
follia, fino al punto di dovermene vergognare. Il vostro isolarvi non dev'essere
però meccanico, ma spirituale, dev'essere cioè un'elevazione. Sembra talvolta
che il mondo tutto stia cospirando per importunarvi con enfatiche inezie.
L'amico, il cliente, il figlio, la malattia, il timore, il bisogno, la carità,
tutti bussano d'improvviso alla porta del tuo rifugio e dicono: «Vieni fuori da
noi». Ma tu, tieni duro; non mescolarti nella loro confusione. Il potere che gli
uomini hanno di infastidirmi io lo ricambio con una ben labile curiosità nei
loro riguardi. Nessun uomo può accostarsi a me se non attraverso un mio atto.
«Noi abbiamo quel che amiamo, ma col desiderare ci priviamo dell'amore.»
Se non possiamo tutto d'un colpo sollevarci alla santità dell'obbedienza e della
fede, cerchiamo almeno di resistere alle nostre tentazioni; decidiamoci a
entrare in uno stato di guerra, a ridestare Thor e Wotan, il coraggio e la
tenacia, nei nostri cuori sassoni. (17)
In questi nostri tempi così morbidi, ciò non si può fare solo parlando il
linguaggio della verità. Frenate queste bugiarde ospitalità, queste bugiarde
affettazioni. Non state a vivere nell'attesa di questa gente delusa e deludente
con cui ci intratteniamo. Diciamo loro: «O padre, o madre, o moglie, o fratello,
o amico, ho vissuto finora con te solo secondo le apparenze. D'ora in avanti
voglio appartenere alla verità. Sappiate che da ora in avanti non intendo
ubbidire ad altra legge che non sia la legge eterna. Non avrò altri obblighi che
quelli della prossimità. Mi sforzerò di nutrire i miei genitori, di sostenere la
mia famiglia, di essere il casto sposo di una sola moglie: ma questi rapporti
devo ora soddisfarli in modo nuovo e inconsueto. Mi appello contro i vostri
comportamenti. Io devo essere me stesso. Non posso più dividere me stesso per
te, o per te. Se potete amarmi per quello che sono, ne saremo tutti felici. Se
non potete, cercherò, ancora, di meritare che lo possiate. Non nasconderò più
predilezioni e avversioni. Tanto confiderò in ciò che è profondo e sacro, che
farò apertamente, davanti al sole e alla luna, tutto quanto dentro di me, mi
darà gioia e il cuore mi suggerirà. Se sarete nobili, vi amerò; se non lo
sarete, non infastidirò più voi e me stesso con ipocrite attenzioni. Se siete
altrettanto sinceri, ma non condividete la mia verità, aggregatevi ai vostri
compagni; io cercherò i miei. Ciò faccio non per egoismo, ma con umiltà e
spirito di verità. Ed è ugualmente nel vostro interesse, e nel mio, e
nell'interesse di tutti gli uomini, per quanto a lungo possiamo aver abitato tra
le menzogne, vivere con spirito di verità. Suona aspro, oggi, tutto questo?
Presto amerete ciò che è dettato dalla vostra natura, così come dalla mia, e se
tutti seguiremo una tale verità, essa ci condurrà fuori sani e salvi, alla fine.
qa in tal modo tu farai soffrire questi tuoi amici. Sì, ma io non posso vendere
la mia libertà, le mie possibilità per salvare la loro suscettibilità. E
inoltre, tutti hanno i loro momenti di ragione, non appena si sia volto lo
sguardo verso la regione dell'assoluta verità; allora, essi mi giustificheranno
e faranno altrettanto.
La comune massa crede che il vostro rifiuto di criteri correnti sia un rifiuto
di ogni criterio, che sia un atteggiamento assolutamente antinomiano:
(18) e così proprio il
materialista più insolente si servirà della veste filosofica per indorare i suoi
crimini. Ma la legge della coscienza resta ben salda. Vi sono due confessionali,
e in uno dei due dobbiamo essere assolti. Puoi adempiere al tuo giro di doveri
facendo luce in te stesso in un modo diretto o in un m6do riflesso.
Considera se hai soddisfacentemente coltivato i tuoi rapporti col padre, con
la madre, col cugino, col vicino, con la città, con il gatto e con il cane, se
nessuno di loro può farti un rimprovero. Ma io posso benissimo trascurare un
tale criterio riflesso e assolvermi da me stesso. Ho le mie proprie severe
esigenze, il mio perfetto cerchio. Il quale nega il nome di dovere a molti degli
obblighi che sono chiamati doveri. Se riuscirò ugualmente a saldare i miei
debiti, ciò mi dispenserà dal seguire il codice corrente. Ma se qualcuno
immagina che questa mia legge abbia maglie un po' troppo larghe, fate in modo
che egli stia ai suoi ordini anche per un giorno solo.
E in effetti essa richiede qualcosa di semidivino in colui che, rigettati i
comuni motivi d'umanità, si è avventurato a confidare in se stesso come maestro
e guida. Alto sia il suo cuore, fidente la sua volontà, chiara la sua vista,
così che egli possa veramente, nel modo più serio, essere per se stesso
dottrina, società, legge, e il semplice proposito sia, per lui, forte come lo è
la ferrea necessità per gli altri!
Se qualcuno considerasse gli attuali aspetti di quella che è chiamata, per
distinzione, società, si renderebbe conto, certamente, della necessità di
una tale etica. E come se ci avessero ormai strappato muscoli e cuori, e siamo
diventati timorosi di tutto, disperati e piagnoni. Abbiamo paura della verità,
paura della morte, e paura l'uno dell'altro. La nostra epoca non offre esempi di
personalità grandi e perfette. Avvertiamo la carenza di uomini e donne capaci di
rinnovare la vita e il nostro stato sociale, e vediamo invece che, per la
maggior parte, le persone sono insolventi, incapaci di soddisfare le loro
esigenze, e hanno ambizioni del tutto sproporzionate alla loro forza reale, e
s'appoggiano e stanno continuamente a chiedere, giorno e notte. La nostra
conduzione domestica è da accattoni; le nostre arti, le nostre occupazioni, i
nostri matrimoni, la nostra religione, non li abbiamo scelti noi, ma la società
li ha scelti per noi. Siamo soldatini da salotto. Fuggiamo le ruvide battaglie
del fato, che sono la culla di un'autentica energia.
Se i nostri giovani sbagliano in qualche loro prima iniziativa, perdono
immediatamente coraggio. Se il giovane mercante fallisce, tutti dicono che è
rovinato. Se il più brillante ingegno studia in una delle nostre università
e l'anno successivo non si è ancora installato in un ufficio al centro o nei
sobborghi di Boston o di New York, sembrerà agli amici e a lui stesso che vi
siano buoni motivi per scoraggiarsi e compiangersi per tutto il resto della
vita. Un qualsiasi risoluto giovanotto del New Hampshire o del Vermont, che
tenta un po', via via, tutte le attività, che attacca il cavallo, coltiva, e
vende in giro, apre una scuola, fa il predicatore, dirige un giornale, si fa
eleggere deputato, si compra una cittadinanza, e così via, lungo il seguito
degli anni, e sempre cade in piedi come un gatto, vale almeno cento di questi
bellimbusti di città. Quel giovanotto procede col passo dei suoi giorni e non
prova nessuna vergogna per non «aver studiato per una professione», giacché egli
non posticipa la sua vita, ma la vive già. Ha non una sola possibilità, ma cento
possibilità. Si faccia avanti uno stoico a rivelare le umane risorse e a dire
agli uomini che essi non sono salici bisognosi di appoggiarsi, ma possono e
devono far da sé; e che con l'esercitare la fiducia in se stessi, nuovi poteri
verranno alla luce; che un uomo è la parola fatta carne,
(19) nato per diffondere guarigione e
salute per le nazioni; che dovrebbe vergognarsi della nostra compassione, e che
nel momento in cui egli incomincerà ad agire da sé, gettando via dalla finestra
leggi, libri, idolatrie e costumanze, non avremo più commiserazione per lui, ma
gratitudine e rispetto; giacché un tale maestro riporterà a splendore la vita
dell'uomo e renderà caro il suo nome alla storia universale.
È facile dedurne che una più intensa fiducia in se stessi provocherà una
rivoluzione in ogni campo e aspetto delle relazioni umane: nella religione,
nell'educazione, nei proponimenti, nei modi di vivere e di associarsi, nell'uso
dei beni, nelle finalità speculative.
1. A quali preghiere si affidano gli uomini! Quella che essi definiscono un pio
dovere non ha nulla di coraggioso né di dignitoso. E una preghiera che guarda,
si potrebbe dire, verso l'esterno e sta a richiedere un qualche apporto estraneo
che dovrebbe arrivare fino a noi attraverso una virtù anch'essa estranea,
finendo col perdersi in interminabili labirinti di naturale e soprannaturale, di
mediazioni e di miracolosità. Una preghiera che sta a implorare un vantaggio
particolare, qualcosa che non sia tutto il bene, è già viziata. La preghiera è
la contemplazione dei fatti della vita dal più alto dei punti di vista. È il
soliloquio di un'anima contemplante e giubilante. È lo spirito di Dio che
dichiara buone le sue opere. (20)
La preghiera pensata, invece, come un mezzo per realizzare un
fine personale è una meschinità, è un furto. Suppone un dualismo e non una unità
in natura e nella coscienza. Non appena l'uomo sarà tutt'uno con Dio, non
pregherà più. Vedrà la preghiera in ogni atto. La preghiera dell'agricoltore
che, in ginocchio, sta a sarchiare il suo campo, la preghiera del vogatore che,
in ginocchio, dà un colpo fermo al suo remo, sono vere e proprie preghiere
risonanti per tutta la natura, anche se per modeste finalità. Caratach, nella
Bonduca di Fletcher, allorché viene ammonito a non trascurare di scrutare
nella mente del dio Audate, così replica:
Il suo celato significato sta
nei nostri sforzi,
i nostri valorosi atti sono i nostri migliori dei.
Un'altra specie di false preghiere è costituita dai nostri rimpianti. La
scontentezza è mancanza di fiducia in se stessi, è infermità del volere.
Deplorate pure le calamità se potete con questo dare un aiuto a chi ne è
vittima; altrimenti, badate al vostro lavoro e già s' incomincia a porre un
rimedio al male. La nostra simpatia è anch'essa di bassa lega. Ci accostiamo con
aria sciocca a quelli che piangono e sediamo e gemiamo insieme a loro, invece
che trasmettere ad essi verità ed energia con rudi scosse elettriche, cercando
di rimetterli in comunicazione con la loro propria essenza. Il segreto della
fortuna sta nella gioia che abbiamo tra le mani. E sempre caro agli dei e agli
uomini colui che si aiuta da sé. Per lui si spalancano tutte le porte; ogni
lingua lo saluta, ogni onore l'incorona, ogni occhio lo segue con desiderio. Il
nostro amore gli va incontro e lo abbraccia perché non ha avuto bisogno di noi.
Con sollecitudine e con deferenza lo carezziamo e lo celebriamo perché ha
proceduto per la sua strada sdegnando la nostra disapprovazione. Gli dei lo
amano perché gli uomini lo hanno odiato. «Al mortale perseverante» disse
Zoroastro «i beati Immortali sono benevoli.»
(21)
Così come le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà, le loro
credenze sono una malattia dell'intelletto. Essi dicono, insieme con quegli
stolti Israeliti: «Non ci parli Iddio, altrimenti ne moriremo. Parla tu, parli
un qualsiasi uomo a noi, e noi gli ubbidiremo».
(22) Dovunque mi si frappongono
difficoltà a incontrare Dio nel mio fratello, perché egli ha serrato le porte
del suo tempio e recita soltanto le favole del Dio di suo fratello o del Dio del
fratello di suo fratello. Ogni mente nuova èuna classificazione nuova. Se si
tratta di una mente di non comune attività e vigore, un Locke, un Lavoisier, un
Hutton, un Bentham, un Fourier, (23)
essa impone la sua nuova classificazione ad altri uomini, ed ecco!, un nuovo
sistema prende origine: che sarà accolto in proporzione sia alla profondità del
pensiero, sia al numero di aspetti che riuscirà a toccare e a convogliare nel
campo di osservazione del discepolo. Ma questo appare principalmente evidente
nelle credenze religiose e nelle chiese, che sono anch'esse classificazioni di
qualche mente possente che agisce sull'elementare senso del dovere e del
rapporto dell'uomo con l'Altissimo. Così sono il calvinismo, il quaccherismo, il
swedenborghismo. (24)
Il discepolo, nel subordinare ogni cosa alla nuova terminologia, prova lo stesso
piacere della ragazza che ha appena imparato la botanica e vede, grazie ad essa,
una nuova terra e nuove stagioni. Avverrà che per un certo tempo il discepolo
riscontrerà che il suo vigore intellettuale si è accresciuto attraverso lo
studio del pensiero del suo maestro. Ma nelle menti meno equilibrate la nuova
classificazione viene idolatrata, diventa il fine e non il mezzo anch'esso
rapidamente esaustibile, di modo che le mura del sistema tendono a confondersi
davanti ai suoi occhi, sul lontano orizzonte, con le mura stesse dell'universo;
e le grandi luminarie del cielo appariranno, a tali menti, come sospese
sull'arco che il loro maestro ha innalzato. Non riescono a immaginare come voi,
estranei, possiate aver diritto a guardare, come osiate guardare:
«Evidentemente, ci avete rubato la luce, in un modo o nell'altro». Non si sono
ancora resi conto che una luce non sistematica, indomabile, irromperà in ogni
capanna, anche nella loro. Lasciamoli perciò cinguettare ancora per poco e
credere che quella luce appartenga soltanto a loro. Se sono onesti operano bene,
tra non molto il loro recinto tutto nuovo e pulito diventerà troppo basso e
angusto, comincerà a scricchiolare e a pencolare, marcirà e si disintegrerà, e
quell'immortale luce, giovane e gioiosa, con milioni di sfere e milioni di tinte
s'irradierà sull'universo così come nel primo mattino.
2. È per carenza di autoformazione che la superstizione del Viaggiare, i cui
idoli sono l'Italia, l'Inghilterra, l'Egitto, conserva il suo fascino per ogni
americano colto. E, tuttavia, coloro che resero l'Inghilterra, l'Italia, o la
Grecia venerabili all'immaginazione, fecero ciò standosene ben piantati là
dov'erano, come un asse terrestre. Nei momenti più fermi sentiamo tutti che il
dovere è tutt'uno con il nostro posto. L'anima non è viaggiatrice; il saggio se
ne sta a casa, e quando una necessità, o i suoi doveri in qualche occasione lo
chiamano fuori, o in paesi stranieri, è a casa sua anche lì e farà a tutti
capire, con l'espressione del suo comportamento, che egli va, come missionario
di saggezza e virtù, a visitare città e persone da sovrano, e non come un
intruso o come un valletto.
Io non ho nessuna gretta prevenzione contro la circumnavigazione del globo per
scopi d'arte, di studio e di generosa disposizione d'animo, purché uno si sia
dapprima ben addomesticato, o non vada fuori con la speranza di trovar qualcosa
di superiore a quanto già conosce. Chi poi viaggia per diletto o per procurarsi
qualcosa che non porta già con sé, viaggia fuori da se stesso, e invecchia, per
quanto giovane sia, tra vecchie cose. A Tebe, a Palmira, la sua volontà e
intelligenza invecchiano e si sgretolano come quelle città stesse. Aggiunge
rovine a rovine.
Il viaggiare è un paradiso per gli sciocchi. Già i nostri primi viaggi ci
rivelano quanto poco possano i luoghi. A casa io sogno che a Napoli, a Roma,
potrei inebriarmi di bellezza, liberarmi della mia malinconia. Preparo allora il
mio baule, abbraccio gli amici, m'imbarco, attraverso il mare, e infine mi
sveglio a Napoli, e lì accanto a me, ecco ancora la dura realtà, il mio triste
io, inattaccabile, identico, dal quale ero fuggito via. Visito il Vaticano, i
palazzi. Mostro d'inebriarmi di visioni e suggestioni, ma non sono affatto
inebriato. Il mio gigante viene con me dovunque io vada.
3. Ma la frenesia dei viaggi è un sintomo di una più profonda insanità, che ha
colpito l'intera sfera dell'azione intellettuale. L'intelletto ama vagabondare,
e il nostro sistema educativo incoraggia l'irrequietezza. Le nostre menti vanno
vagando mentre i nostri corpi sono costretti a starsene in casa. Non facciamo
che imitare, e che cos'è l'imitazione se non un viaggiare della mente? Le nostre
càse sono edificate secondo un gusto straniero; i nostri scaffali sono guarniti
di ornamenti stranieri; le nostre opinioni, i nostri gusti, le nostre facoltà
cercano appoggi, si mettono dietro al Passato e al Lontano. L'anima creò le arti
dovunque esse siano fiorite. Fu nella sua mente che l'artista ricercò il suo
modello: e applicando poi la sua idea alla cosa da farsi e alle condizioni che
andavano osservate. E perché dovremmo noi copiare il modello dorico o quello
gotico? Bellezza, grazia, grandiosità di idee, espressione estrosa sono vicini a
noi così come a chiunque altro, e se l'artista americano studierà con speranza e
amore le precise cose che devono essere fatte da lui, in relazione con il clima,
il suolo, la durata del giorno, i bisogni del popolo, la forma e le consuetudini
di governo, egli innalzerà una casa nella quale tutte queste cose si
ritroveranno perfettamente adeguate, e anche gusto e sentimento ne saranno
soddisfatti.
Insisti su te stesso; non star mai ad imitare. In ogni momento potrete
presentare il vostro proprio dono con la forza accumulata della dedizione di
tutta una vita; mentre, invece, del talento che hai preso a prestito da un altro
hai solo un'estemporanea e dimezzata padronanza. Ciò che ognuno può fare al
meglio nessuno può insegnarglielo se non il suo Fattore. Nessuno sa che cosa
sia, né può saperlo, finché non l'abbia estrinsecato. Dov'è il maestro che può
aver dato insegnamenti a Shakespeare? Dov'è il maestro che può aver istruito
Franklin, o Washington, o Bacone, o Newton? Ogni uomo grande è unico. Lo
scipionismo di Scipione è precisamente quella parte che egli non poté avere in
prestito da nessuno. Né Shakespeare sarà mai ricreato con lo studio di
Shakespeare. Fa' quello che ti è assegnato, e non dovrai sperare né osare di
più. Vi è, in questo momento, per te una possibilità di espressione ardita e
grandiosa, come quella dello scalpello colossale di Fidia, o della cazzuola
degli Egiziani, o della penna di Mosè o di Dante, e tuttavia differente da
queste. Né sarebbe mai possibile che l'anima, così ricca, così eloquente, con
una lingua dalle mille punte, accondiscenda a imitare se stessa; ma se puoi
udire quel che dicono questi patriarchi, certamente riuscirai a rispondere ad
essi con lo stesso vibrante tono: giacché l'orecchio e la lingua sono due organi
di una sola natura. Abita nelle nobili e nitide regioni della tua vita,
obbedisci al tuo cuore, e riprodurrai il Mondo Originario.
4. Come la Religione, l'Educazione, l'Arte guardano al di fuori, così fa anche
il nostro spirito sociale. Tutti si fanno vanto dei progressi della società, ma
nessuno progredisce.
Non esiste avanzamento della società. Essa perde prontamente da un lato quello
che guadagna dall'altro. Ed è soggetta a continui mutamenti: è barbarica,
civilizzata, cristianizzata, è ricca, è scientifica; ma il mutamento non
significa miglioramento. Per ogni cosa data qualcosa è tolto. La società
acquisisce nuove arti e perde vecchi istinti. Quale contrasto tra l'americano
ben vestito, che sa leggere, scrivere, pensare, fornito di orologio, di matita e
di una lettera di cambio in saccoccia, e il neozelandese nudo, i cui unici beni
consistono in una mazza, in una lancia, in una stuoia e in un indivisibile
ventesimo di tettoia sotto cui dormire! Ma confrontate lo stato di salute fisica
di entrambi, e vedrete che l'uomo bianco ha perduto il suo vigore originario. Se
i viaggiatori raccontano il vero, la ferita inferta a un selvaggio con un colpo
d'ascia, è già rimarginata e risanata dopo un giorno o due, mentre il medesimo
colpo spedirebbe il bianco direttamente nella tomba.
L'uomo civilizzato ha costruito carrozze e vetture, ma ha perduto l'uso dei suoi
piedi. Si appoggia alle stampelle, ma gli viene meno, spesso, il sostegno dei
muscoli. Ha un prezioso orologio svizzero, ma non possiede più la capacità di
dire l'ora guardando il sole. Ha con sé un almanacco nautico di Greenwich, e
così, sicuro di poter disporre, all'occorrenza, di ogni informazione, l'uomo
della strada non sa più riconoscere in cielo nemmeno una stella. Non osserva più
il solstizio; conosce appena l'equinozio; e tutto l'immenso calendario luminoso
dell'anno non ha un quadrante nella sua mente. I suoi taccuini gli indeboliscono
la memoria; le sue biblioteche gli sovraccaricano l'intelletto; le agenzie di
assicurazione accrescono il numero degli incidenti, e ci si potrebbe chiedere se
le macchine non costituiscano un ingombro; se non abbiamo perduto, a furia di
raffinarci, una parte d'energia e, a causa di un cristianesimo arroccato in
forme e istituzioni stabilizzate, una parte del vigore e di più selvatiche
virtù. Giacché ogni stoico era uno stoico; ma tra i cristiani, dov'è il
cristiano?
Non vi è, a livello morale, un maggior numero di deviazioni che a livello di
altezza o di volume. Non vi sono oggi uomini più grandi di quanti ve ne fossero
in passato. Una singolare parità può essere osservata tra i grandi uomini delle
prime e delle ultime epoche, né tutta la scienza e l'arte e la religione e la
filosofia del diciannovesimo secolo valgono a formare uomini che siano più
grandi degli eroi di Plutarco, ventitré o ventiquattro secoli fa. Non è nel
tempo che la razza umana progredisce. Focione, Socrate, Anassagora, Diogene,
sono uomini grandi, ma non hanno lasciato il loro stampo. Chi è realmente del
loro stampo non porterà i loro nomi, ma apparterrà esclusivamente a se stesso, e
sarà a sua volta il fondatore di un'altra scuola. Le arti e le invenzioni di
ciascun periodo ci offrono soltanto, di quel periodo, i costumi e le
consuetudini, ma non trasmettono il vero vigore all'uomo. Il danno causato dal
progresso meccanico può compensarne i vantaggi. Hudson e Behring ottennero tali
risultati con i loro semplici battelli da pesca da far meravigliare Parry e
Franklin, (25)
il cui equipaggiamento esauriva tutte le risorse della scienza e dell'arte.
Galileo scopri con un cannocchiale da teatro la più splendida serie di fenomeni
celesti di quante mai ve ne fossero state prima. Colombo scoprì il Nuovo Mondo
con una nave priva di ponte. È curioso osservare il periodico venir meno e
sparire di strumenti e macchine che erano stati introdotti con alte lodi pochi
anni o secoli prima. Il grande genio ritorna all'uomo essenziale. Noi
annoveravamo i progressi dell'arte bellica fra i trionfi della scienza, e
tuttavia Napoleone conquistò l'Europa con il bivacco, cioè ritornando al nudo
valore militare e scaricandolo di ogni accessorio. L'imperatore riteneva
impossibile approntare un perfetto esercito, dice Las Cases,
(26) «senza abolire armi, depositi, commissari e
carriaggi, finché il soldato non avesse ricevuto, a imitazione del costume
romano, la porzione di grano da macinare nel suo mortaio e non si preparasse da
sé il proprio pane».
La società è come un'onda. L'onda si muove in avanti, ma resta immobile la massa
d'acqua di cui essa è composta. La stessa particella non s'innalza dal fondo
fino alla cima. La sua unità è solo fenomenica. Molte persone che compongono
oggi una popolazione saranno morte nel prossimo anno, e la loro esperienza
morirà con esse.
Anche la fiducia nella proprietà dei beni, inclusa la fiducia nei governi che la
proteggono, è indice di carenza di fiducia in se stessi. Gli uomini hanno per
tanto tempo distolto lo sguardo da se stessi, volgendolo alle cose, che sono ora
giunti a considerare le istituzioni religiose, civili ed educative come
guardiani della proprietà privata, e deprecano ogni assalto a tali istituzioni
in quanto lo avvertono innanzi tutto come assalto alla proprietà. Misurano la
reciproca stima in base a quello che ognuno possiede, e non in base a quello che
ognuno è. Ma un uomo consapevole prova un senso di disagio riguardo ai suoi
beni, che nasce dal nuovo rispetto che ha per la sua natura. Egli ha in odio ciò
che possiede soprattutto se vede che è soltanto frutto del caso, se è venuto a
lui per eredità, o donativo, o crimine; egli sente allora che quello non è vero
possesso, che non appartiene a lui, che non ha radici in lui e sta lì solo
perché nessuna rivoluzione o nessun predone l'ha portato via. Ma ciò che,
invece, un uomo è, lo acquisisce sempre per intrinseca necessità; e quello che
l'uomo acquista in tal modo, è proprietà vivente, che non aspetta nessun cenno
di governanti, o di folle, o di rivoluzioni, o di incendi, o di tempeste, o di
bancarotte, ma perpetuamente si rinnova dovunque l'uomo respiri. «La tua sorte,
la tua parte di vita» disse il califfo. Ali «vanno in cerca dite; perciò cessa
tu dal cercarle.» (27)
Ed è la nostra dipendenza da tali beni esterni che ci conduce al nostro servile
rispetto per i numeri. I partiti politici si radunano spesso in assemblee; più
grande è l'afflusso e più strepitoso è l'annuncio: «La delegazione dell'Essex! I
democratici del New Hampshire! I liberali del Maine!». E il giovane patriota si
sente più forte, rispetto a prima, di un altro migliaio di occhi e di braccia.
Allo stesso modo, i riformatori tengono le loro convenzioni e votano e prendono
decisioni in massa. Non così, o amici! Il Dio vorrà degnarsi di entrare e di
abitare in voi, certo: ma per via del tutto opposta. È solo per come un uomo
mette da parte ogni supporto estraneo e se ne sta solo con se stesso che io
potrò vederlo forte e vincente. Egli è indebolito da ogni nuova recluta che
s'aggiunge. Non è un uomo superiore a una città? Non chiedere nulla di altri e,
nell'incessante mutazione, tu solo, come salda colonna, apparirai ben presto
come colui che regge tutto quanto ti circonda. Chi sa che la vera forza è
innata, chi sa che ogni debolezza gli deriva dal suo aver ricercato il bene
fuori di sé e in ogni luogo, e, avendo ciò compreso, si rivolge senza alcuna
esitazione al suo più severo e interiore pensiero, può di colpo risollevarsi e
raddrizzarsi nella sua posizione eretta, comandare alle sue membra, operare
miracoli; così come chi sta diritto sui suoi piedi è più forte di colui che
volesse reggersi sulla sua testa.
Alla stessa maniera userete di tutto ciò che si definisce Fortuna. La maggior
parte degli uomini gioca con lei, e vince tutto, e perde tutto, così come gira
la sua ruota. Ma tu lascia come illecite tali vincite, e tratta di Causa ed
Effetto, cancellieri di Dio. Opera e accumula nell'ambito della Volontà, e avrai
incatenato la ruota della Casualità, e potrai sedere da allora in avanti fuori
da ogni timore, libero dalle sue rotazioni. Una vittoria politica, un aumento di
redditi, la guarigione da un'infermità, il ritorno di un amico, o qualsiasi
altro favorevole evento, risollevano il tuo animo, e tu pensi allora che lieti
giorni si preparano per te. Non crederlo. Niente potrà recarti pace se non il
trionfo dei principi.
NOTE
(1) «Non Cercarti fuori di te»: secondo
una lunga tradizione di saggezza, che Emerson si propone di integrare con un
senso di intervento più rude e «vitalistico» («con mani e piedi»), come appare
evidente dai versi del secondo «motto».
(2) Milton, Paradise Lost, I, 543.
(3) Leté era il fiume d'oltretomba le cui acque davano l'oblio della precedente
vita terrena.
(4) Dell'abolizione, cioè, della schiavitù dei negri negli Stati del Sud.
(5) Isola delle Antille, allora colonia inglese, dove la schiavitù era stata
abolita (nel 1833).
(6) Matteo, X, 34-37.
(7) Esodo, XII, 21: «...e aspergerete il frontone e i due stipiti della porta».
(8) «With a foolish tace of praise» (Alexander Pope, nella Epistle to Dr.
Arbuthnot, v. 212).
(9) Giuseppe respinse la protezione della moglie di Putifarre (Genesi,
XXXIX, 12).
(10) Lord Chatham e' William Pitt (1708-1778), il celebre statista e
oratore inglese.
(11) John Adams fu, dopo Washington, il secondo Presidente degli Stati Uniti
(1796-1800); e John Quincy Adams fu Presidente dal 1825 al 1829. Ma
probabilmente Emerson si riferisce qui a Samuel Adams (1722-1803), ardente
patriota e fautore dell'indipendenza americana.
(12) George Fox (1624-1691) fondò, in Inghilterra, la «Società degli Amici»
(detti poi quaccheri, cioe quakers, «tremolanti»). John e Charles
Wesley fondarono il metodismo (nel 1739), movimento di risveglio
evangelico in seno all'anglicanesimo. Thomas Clarkson (1760-1846) fu fervente
promotore di iniziative antischiaviste in Inghilterra.
(13) «the height of Rome» (Paradise Lost, IX, 510).
(14) E' anche nella Bisbetica domata di Shakespeare.
(15) Re Alfredo, detto «il Grande», regnò nella Britannia anglosassone nel
secolo IX. Scanderherg (Giorgio Castriota), che si batte con valore ed eroismo
contro i turchi, è l'eroe nazionale albanese (1403--1468). Gustavo I (Gustavo
Vasa) fu il fondatore della dinastia reale svedese (secolo XVI); Gustavo Adolfo
portò la Svezia a intervenire nella Guerra dei Trent'anni. Cadde nella battaglia
di Lùtzen (1632).
(16) Esodo, III, 5: «E disse: "Non avvicinarti. Togliti i sandali dai
piedi, perché il luogo dove tu stai è terra santa"'».
(17) Nella mitologia nordica, Thor era il dio della guerra; e Wotan o Odino (Woden,
nei testi anglosassoni) era il «capo» degli dei. È chiaramente avvertibile, in
tale valorizzazione della «rude» eredità anglosassone, l'influsso esercitato da
Carlyle.
(18) Cioè ispirato al rifiuto di ogni legge e obbligazione. L'antinomismo
indicò, nell'ambito delle tendenze più estreme del protestantesimo, la radicale
superiorità della Grazia su ogni aspetto di formalismo legale-ritualistico.
(19) Giovanni, I, 14.
(20) Genesi, I, 25.
(21) Citazione dell' Avesta, il libro dell'antica religione persiana, la
cui fondazione si attribuiva a Zoroastro (Zaratustra).
(22) Esodo, XX, 19.
(23) Emerson non amava troppo, ovviamente, l'empirismo, ma ammirava in Locke (e
anche in Jeremy Bentham, il filosofo dell'utilitarismo) l'energia e l'acutezza
della mente indagatrice. Lavoisier è il grande chimico e fisico francese. James
Hutton (1726-1797) fu considerato «il fondatore della geologia». Quanto a
Fourier, si tratta non del famoso filosofo e politico «utopista», ma del
matematico Jean-Baptiste Fourier (1768-1830).
(24) Il gruppo religioso fondato dai seguaci di Emanuel Swedenborg (1688-1772),
il teosofo-scienziato svedese che eserciterà notevole influsso sullo stesso
Emerson.
(26) Il conte Emmanuel de Las Cases (1766-1842): che seguì Napoleone
nell'esilio, l'autore del Memoriale di Sant'Elena.
(27) Il califfo Ali, genero di Maometto. Detti e proverbi a lui attribuiti
erano apparsi in traduzione inglese nel 1832.
Da:
http://www.robpiccoli.it/Emerson/home_it.html
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