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Tantra, la spontaneità
dell'estasi (Daniel Odier)
(Traduzione : Laura Villa, 13 gennaio 2003)
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TANTRA, L'ESPANSIONE
"Tantra" deriva dalla radice "tan" che significa espansione, vastità, totalità.
La medesima parola è usata anche per definire la trama del tessuto.
Trasmesso da numerose linee di tradizione di cui alcune trovano origine cinque o
seimila anni fa nella valle dell'Indo, il tantra è una via non-duale giunta al
suo apogeo tra il VII ed il XIII sec. nel regno dell'Oddyana, nel vicino Kashmir
e nell'Assam, posto agli antipodi della catena himalayana. Dall'Oddyana, nell'VIII
sec., Padmasambhava introdusse il tantra in Tibet, mentre nello stesso periodo
esso si diffondeva in tutta l'India, nel Nepal e persino in Cina, Giappone ed
Indonesia. Questa via mistica ha segnato in profondità il buddhismo e l'induismo
pur conservando interamente le proprie caratteristiche shivaite.
La mia maestra, la yogini kashmira Lalita Devi, appartiene alla linea
Pratyabhijna - "riconoscimento spontaneo" - che, unita alla linea Spanda -
"fremito, vibrazione interiore" - , rappresenta la via tantrica più spoglia
poichè si rivolge direttamente all'essenza originale dell'essere.
Il lavoro dello yoga kashmiro verte sul riconoscimento spontaneo della nostra
essenza divina o assoluta, che si traduce nel fremito interiore della
non-dualità. Questo percorso, chiamato anche Sahajiya o via del risveglio
spontaneo, è descritto nel Vijnanabhairava tantra, il più antico testo sullo
yoga che ci sia pervenuto.
La ricerca tantrica è totalmente imperniata sul concetto che non vi sia nulla da
aggiungere o da eliminare nell'essere, poiché soltanto la libera manifestazione
della sua umanità è Coscienza. Il tantrismo è l'ascesa laica per eccellenza,
situato al di là del dogma, delle credenze, della religiosità, dei precetti
morali e completamente integrato alla realtà quotidiana. È una via femminile e
sferica che include tutti gli esseri e riconosce pienamente la potenza della
donna. È una via di ritorno alla fonte originaria, all'essere embrionale che
contiene il "Tutto".
Più che esporre il pensiero del tantra, ho preferito presentare in questo libro
alcune pratiche che permettono un'intuizione immediata del suo substrato
filosofico.
Abhinavagupta, il grande filosofo tantrico che visse in Kashmir nel X sec., in
uno dei suoi poemi dà questa meravigliosa definizione della via assoluta:
"Ora poniti fuori dalla progressione spirituale, fuori dalla contemplazione,
fuori dall'abile loquacità, fuori dalla ricerca, fuori dalla meditazione sulle
divinità, fuori dalla concentrazione e dalla recitazione dei testi. Dimmi,
qual'è la Realtà assoluta che non lascia spazio ad alcun dubbio ? Ascolta bene!
Smetti di aggrapparti a questo o a quello, e restando nella tua vera natura
assoluta, gioisci tranquillamente della realtà del mondo".
REINTEGRARE LA TOTALITA'
Lo yoga kashmiro esposto nel Vijnanabhairava tantra è una via millenaria di
ritorno al Sé. La modalità dinamica della ricerca e della pratica permette di
riunire i diversi fili che costituiscono la trama del tessuto cosmico,
rendendoci così coscienti dell'intreccio, della specificità e dell'unione nel
Tutto di ciascun filo. Praticare è affidarsi al gioco infinito che ci rivela ad
un tempo l'architettura intima dell'essere e la sua espansione nello spazio, è
divenire espressione della totalità.
Il tantrika non ricerca nulla all'esterno di se stesso, il suo motto potrebbe
essere "né dei, né maestri". Shiva (l'energia maschile) e Shakti (l'energia
femminile) non formano una coppia, sono "uno" e risiedono nel corpo del
praticante. Simbolicamente sono rappresentati da un linga (fallo) che emerge da
una yoni (vulva) anziché penetrarla; mentre nell'iconografia li troviamo spesso
riprodotti in unione sessuale per esprimere il Tutto. Numerose pitture tantriche
mostrano yogin o yogini in meditazione e nel loro spazio interiore fluttuano
simboli di ogni genere per raffigurare la non esclusione del mondo esterno.
La pratica dello yoga si rivolge direttamente alla nostra fonte più profonda.
Partendo da un'accettazione globale di ciò che siamo nel singolo istante, si
traduce nella reintegrazione del nostro corpo, normalmente abbandonato e ridotto
al silenzio, mutilato da un'oscura incoscienza.
La nostra vita non è un insieme di momenti lodevoli o condannabili, né
un'espressione di bellezza o di abiezione, è piuttosto un flusso costante, una
manifestazione dell'assoluta creatività del tutto che rimuove ogni staticità. Lo
yoga è il fiume la cui la corrente porta con sé le differenze e le conduce al
mare della tranquillità. La nostra natura include la totalità, contiene l'intera
tavolozza umana e quando per idealismo spirituale vogliamo abbandonare l'oscuro,
perdiamo la luce.
Praticare è divenire il mondo, comprendere che è il nostro riflesso, che nessuna
delle sue espressioni ci è estranea. Dall'orrore assoluto al sublime, noi siamo
ciò che vediamo. Appena cerchiamo di identificarci con una sola parte del tutto,
indossiamo una maschera. Questo oblio della nostra natura globale può
trasformare la via spirituale nell'identificazione a un ideale che ci rende
sterili e ci porta ad essere null'altro che il fantasma di noi stessi, a
scivolare fuori dal tutto originale. Nella ricerca tantrica non si aspira
all'astrazione dal tessuto umano, ma al contrario al suo totale emergere come
coscienza dell'espansione. È la grande difficoltà di questa via, spesso
paragonata a una folle corsa sulla lama del rasoio
La pratica restituisce movimento ai nostri pensieri, alle nostre emozioni e alla
nostra sensorialità. Attraverso questo movimento il corpo/mente ingloba
l'espansione ed in essa l'ego si dissolve: il giudizio differenziatore si sfuma,
l'agitazione mentale si cheta, il concetto di separazione svanisce nello spazio.
Comprendiamo allora che tutte le forme rigide sono come una foto istantanea che
blocca arbitrariamente il flusso e che ogni volta che siamo affascinati da
un'immagine specifica lottiamo invano contro la fluidità del mondo.
Quando neghiamo il corpo e la fluidità siamo una fonte tranquilla che esprime la
propria violenza; quando siamo nella pace e nell'accettazione, nella fluidità e
nell'amore, siamo una fonte violenta che esprime la propria tranquillità. Quando
infine ci riconosciamo, riconosciamo di essere lo specchio del mondo. Attraverso
questa comprensione dissolviamo il senso di colpa ancestrale e siamo pronti a
praticare lo yoga del ritorno di ogni sensazione, ogni pensiero ed ogni emozione
alla fonte di tutte le cose, che è spazio, tranquillità, gioia. Questa
accettazione, questa reintegrazione della totalità viene chiamata "Essere".
SEDERSI IN SILENZIO
ESSERE IL MONDO
La seduta silenziosa ci permette di uscire dall'immobilismo che trova
espressione nell'azione priva di coscienza. Nel tantra c'è una grande libertà
riguardo alla postura. Molte terrecotte e le sculture più antiche della valle
dell'Indo rappresentano yogin o yogini seduti con le ginocchia alzate vicino al
petto e gli avambracci posati sulle ginocchia, altre mostrano la classica
posizione del loto o del mezzo loto.
La seduta è il laboratorio della tranquillità. Poco alla volta le concrezioni
intime si ammorbidiscono, la respirazione addominale profonda e silenziosa si
radica e di tanto in tanto perdiamo l'illusione della separazione. In questo
modo reintegriamo il tutto in una dissoluzione momentanea di quella staticità
che costituisce la base dell'ego. Questa esperienza è il samadhi, l'apertura di
una sfera priva di centro, all'interno della quale il mondo scorre, si manifesta
e si riassorbe con creatività spontanea. Definirla esperienza è eccessivo,
perché in quel momento non c'è più il centro, non c'è più lo sperimentatore, c'è
soltanto l'espressione dell'espansione.
Per sedersi semplicemente e lasciar andare l'ego occorre qualche anno di pratica
regolare, anche se questa "esperienza" può accadere inopinatamente sin dal primo
giorno. Quando pratichiamo la seduta con piacere, possiamo cominciare ad
esplorare l'espansione e ci familiarizziamo col passaggio da uno stato di
tranquillità a uno stato di contrazione e chiusura. L'insegnamento della seduta
è proprio l'alternanza di questi due stati che appaiono opposti.
Un giorno perdiamo di vista alti e bassi, dilatazione e contrazione e facciamo
esperienza della continuità, come fossimo un'onda dell'oceano che dal suo punto
più basso trae la forza per risalire. Assaporato il piacere dell'onda, emerge la
sensazione più profonda di essere acqua e dimenticando la dualità di alto-basso,
contrazione-rilassamento, noi siamo infine fluidità.
Si produce uno shock : comprendiamo all'improvviso che noi siamo ciò che
cerchiamo. La via ha raggiunto la semplicità: nella seduta si sgretolano tutti i
sogni spirituali e le proiezioni. Ritorniamo al nocciolo incandescente della
nostra natura, che i testi chiamano "il rubino del Sé", e riconosciamo che
niente e nessuno ha il potere di alterarlo sia in positivo che in negativo. A
questo punto la nostra dipendenza da un sistema, da un insegnante, da stati
meditativi, da obiettivi spirituali cessa completamente.
Nella tradizione tantrica la seduta è solo un istante della ricerca, nulla
pareggia la meditazione in azione. Quando il corpo/mente ha riscoperto la sua
fonte, l'introduzione del movimento evita che la seduta e la tranquillità si
feticizzino e divengano momenti privi di creatività. Il tantra à completamente
calato nella vita sociale, mira a integrare la percezione della seduta nella
vita attiva così da non avere alcuna separazione tra l'esperienza interiore e
l'azione, il mondo interiore ed esteriore. La meditazione si pratica anche con
gli occhi aperti per testimoniare la comunicazione con il mondo.
L'uscita dalla seduta è particolarmente importante, quando avviene con dolcezza
ci permette di fluire nell'attività successiva mantenendo lo stato di
meditazione. Meditare è essere totalmente presenti a ciò che accade, e dal
momento in cui la seduta è consolidata è obiettivo dello yoga condurci
all'integrazione del movimento e dello spazio.
Lo yoga kashmiro è fondamentalmente non posturale, poco alla volta include
movimenti molto dolci e molto semplici compiuti senza volontà, unicamente
attraverso la presenza al respiro. Può seguire uno yoga più fisico, ma soltanto
dopo una lunga preparazione. Lalita Devi insegnava che per diventare un buon
hata yogin occorrevano quindici o vent'anni di pratica complessa, mentre facendo
una preparazione sarebbero bastati pochi anni per integrare il movimento e lo
spazio raggiungendo così l'obiettivo dello yoga.
VERSO LA FLUIDITA'
Quando accettiamo di essere a immagine del mondo pratichiamo pienamente la
seduta; quando riconosciamo l'emergere della tranquillità la includiamo nel
movimento; quando il movimento comincia a essere pregno della presenza non duale
realizziamo lo yoga.
Le due stanze del Vijnanabhairava tantra che si praticano all'inizio dell'ascesi
ci introducono all'idea che tutto può essere yoga appena lasciamo che lo spazio
penetri il nostro corpo, le nostre emozioni, il nostro pensiero. Una di esse
precisa :"Là dove trovi soddisfazione, l'essenza della felicità suprema ti sarà
rivelata se resti in questo spazio senza fluttuazione mentale". L'altra :"Il
desiderio esiste in te come in tutte le cose. Realizza che si trova anche negli
oggetti e in tutto ciò che la mente può afferrare. Allora, scoprendo
l'universalità del desiderio, penetra il suo spazio luminoso"
Entrare nella realtà invertendo il polo del desiderio è per noi la prima
pratica. Dall'istante del risveglio, il tantrika si dedica a comunicare col
mondo, animato o inanimato che sia, e riconoscendo il desiderio al di fuori di
sé modifica immediatamente il proprio modo di relazionarsi. Grazie alla
percezione di ogni minima traccia di soddisfazione nella vita quotidiana, scopre
un universo vibrante all'interno della banalità ed il suo essere profondo si
apre alla gioia e all'appagamento.
Queste pratiche portano realmente a far comparire la coscienza in ciascun
momento della vita.
Il tantrika sceglie di creare ogni giorno la propria pratica lasciandosi andare
alla presenza e traendone una profonda soddisfazione. Alzarsi, posare i piedi a
terra, nutrirsi, farsi una doccia, vestirsi, uscire, guardare il cielo, sono le
prime pratiche dello yoga. Per qualche secondo siamo interamente presenti a ciò
che facciamo e ogni volta che ci riusciamo reintegriamo la totalità.
Il nostro corpo/mente riconosce immediatamente l'impatto profondo del nutrimento
che gli offriamo e così immaginando che il cielo ci desideri guarderemo
veramente il cielo, immaginando che l'acqua ci desideri potremo veramente
raggiungere la fluidità e assaporando il delicato profumo di un the integreremo
lo spazio.
Il testo non ci parla di una soddisfazione limitata legata all'ego, piuttosto
mette in risalto che la presenza cortocircuita il mentale differenziatore e ci
fa toccare la "fluidità suprema". Lo yoga della realtà ci spinge ogni giorno a
vivere pienamente l'istante e a trovare all'interno stesso della ripetizione
banale l'essenza della nostra libertà fondamentale.
Uno dei punti più importanti di questo yoga è scoprire continuamente l'energia
minima di cui abbiamo bisogno per essere presenti al mondo. Essa si modifica di
ora in ora, è in relazione diretta con tutti gli elementi della nostra vita:
l'aria, la luce, il cibo, la fluidità del corpo o le sue contratture, le cose
viste o ascoltate, i momenti del ciclo, i corpi con cui entriamo in contatto,
gli istanti di presenza o di automatismo.
Poco alla volta arriviamo a una vera intimità con i nostri ritmi biologici, le
nostre emozioni, i nostri pensieri. Lo yoga si pratica per brevi tocchi leggeri,
come un gioco che duri qualche secondo. Lo yogin si accorda così al ritmo veloce
della mente, senza più tentare di immobilizzarlo attraverso la staticità.
Accomuniamo lo yoga al gioco perché ritrovare il gusto del gioco trasforma la
banalità in un'esperienza intensa dove più nulla ci appare non degno di
attenzione, al contrario tutto ci riconduce regolarmente alla nostra fonte.
Ci ricordiamo allora che Shiva, nella mitologia, è il creatore della danza e
dello yoga e il nostro corpo si alleggerisce, si àncora alla realtà, si
fluidifica ed entra nella grande danza dell'universo dove tutto comunica, dove
tutto esprime l'armonia silenziosa della totalità. Il corpo si fa ricettore del
tutto e la sua accettazione diviene ciò che un maestro ha chiamato la lettura
del "grande sutra del corpo".
RITUALE QUOTIDIANO
Il rituale è una celebrazione che segna alcune tappe dello yoga della presenza e
interviene molto tardi, poiché nel tantra il grande rituale è vivere nella
coscienza. Anziché recitare formule (mantra) o compiere celebrazioni davanti
alle immagini di Shiva, Tara o Kalì, i primi anni di pratica sono interamente
dedicati a comunicare con ciò che accade. Quando siamo in grado di seguire i
meandri di una continuità fluida che ci lascia scivolare sinuosi nel quotidiano,
quando il nostro corpo ha riconosciuto la sua universalità, la sua
non-separazione, allora possiamo celebrare questa unione compiendo un rituale a
Kalì, figura preminente nella nostra tradizione.
Anche i rituali sessuali, che tanto hanno affascinato gli Occidentali, avvengono
molto raramente, non sono un mezzo magico di realizzazione, ma una grande
celebrazione che determina l'entrata del tantrika nella non-dualità, sono il
segno che lo yoga della presenza è perfettamente radicato, che il rituale
d'identità con Kalì è realizzato secondo tre modalità. La prima di esse è molto
formale e consiste nell'offerta del fuoco, dell'acqua, dei fiori, dei profumi,
del cibo e del corpo/mente del praticante; la seconda si svolge mentalmente,
senza la presenza di divinità o di accessori poiché il tantrika si è
riconosciuto come divinità; la terza include la grande unione sessuale o
energetica e suggella l'uguaglianza assoluta tra il maestro e il discepolo che
può essere riconosciuta sin dall'inizio della sadhana (la pratica spirituale).
Toccare il reale in modo continuo implica la spontaneità e l'abolizione del
tempo. Non c'è più nulla che non sia il presente, non perché ci sia una volontà
di essere nel qui e ora, ma nella comprensione profonda che tutto avviene nel
presente, anche i ricordi, anche le proiezioni. Vivere questa istantaneità
permette di accedere poco alla volta a un'espressione autentica, non ragionata
della nostra appartenenza al tutto. Anche le azioni esteriori sono riconosciute
come parte del tutto. Entriamo in risonanza con il mondo.
Questo lavoro, questo gioco, comincia dall'osservazione di ciò che è. Il
tantrika non proietta alcun cambiamento, non pronuncia alcun voto, non si
attiene ad alcuna regola morale poiché il suo obiettivo è di considerare la
realtà così come è. Non aderisce ad alcun programma, non esamina il passato ma
osserva con passione il funzionamento del proprio essere non mutilato. Invece di
bloccare comportamenti e attitudini spirituali sul terreno dell'ego, osserva il
modo in cui percepisce, pensa, agisce.
Questa presenza alla realtà del comportamento rivela un'immagine umana totale ed
autentica, anche se non conforme a un ideale o a una morale. A partire da questo
riconoscimento il tantrika entra in un'accettazione del reale che scioglie i
nodi psicologici stretti da tutti i conformismi. Quando il comportamento è
osservato nella sua realtà si modifica profondamente, diviene fluido e approda
infine alla spontaneità in armonia con il Tutto.
È questo il lavoro sottile e continuo in cui si impegna il tantrika; non
accettando alcuna forma stabilita, lascia emergere la propria libertà
fondamentale, ritorna alla fonte e non aspetta nulla dall'esterno. La relazione
che intrattiene con colui che lo guida è di altra natura, è una relazione di
indipendenza fondata sul riconoscimento dell'uguaglianza assoluta di tutti gli
esseri. La sottomissione non fa parte della sadhana. Questa via si rivolge a
tutti coloro che sono pronti a non credere nulla, a non subire nulla, a non
ammettere nulla senza averlo sperimentato personalmente. Resta soltanto il
piacere che provano due esseri umani di ritrovarsi l'uno di fronte all'altro
nella nudità totale. Insieme vanno verso la spoliazione, verso una semplicità
radicale e gioiosa.
LA PRESENZA ALLA REALTA'
Quando abbiamo accettato la nostra identità col tutto, quando la seduta è
stabilizzata e le centotrenta pratiche dello yoga della presenza sono in
funzione, allora comincia un'attenzione leggera ma continua ai processi
interiori. È un metodo semplice ed efficace che potenzia e ricongiunge le
diverse pratiche yogiche.
All'inizio la presenza alla realtà si centra su tre momenti : le percezioni
sensoriali, l'attività cognitiva e infine la nascita, lo sviluppo e
l'espressione delle emozioni. In tal modo tracciamo un collegamento tra le
diverse pratiche focalizzate di volta in volta su una sola manifestazione, come
il respiro, il movimento corporeo, il pensiero o le emozioni. Si tratta ora di
prendere coscienza dell'interazione sottile e rapida tra i sensi, la mente e
l'emozione. È un lavoro difficile, ma particolarmente chiarificatore sulle
modalità del nostro funzionamento.
Notiamo come una percezione dei sensi metta in moto il mentale e come
un'emozione interpreti il fremito sensoriale. Tale coscienza ci aiuta a scoprire
che l'emozione passa a volte dal mentale, ma molto più spesso è la risposta
diretta del corpo ad uno stimolo esterno. Portare alla luce questo legame
diretto permette di gustare sempre più profondamente ciò che i tantrika chiamano
la percezione nuda, cioè non filtrata, non censurata dal mentale. Il mentale,
che ha la mania di appropriarsi delle percezioni e di credersi indispensabile al
nostro funzionamento, si trova corto-circuitato dalla presenza diretta e poco
alla volta si abitua a non intervenire. Questa è una tappa fondamentale dello
yoga.
In un secondo tempo portiamo la nostra attenzione ad osservare come nella
percezione diretta del mondo il tempo sia abolito: esiste solo una successione
di momenti presenti, un flusso di realtà che accade naturalmente. Questa presa
di coscienza ci decondiziona dalla successione temporale.
In un terzo momento lasciamo scorrere liberamente la nostra nuova percezione
chiara e toccante del mondo e scopriamo che l'ego cessa di identificarsi con gli
avvenimenti, cessa di essere il centro arbitrario dell'attività, cessa di essere
attivato da ciò che accade. Allora cominciamo a vivere la fluidità e il nostro
comportamento diviene sempre più libero entrando spontaneamente in armonia con
ciò che ci circonda.
Abbiamo la sensazione di essere totalmente vivi, la nostra tavolozza sensoriale
si arricchisce, le emozioni nascono, si manifestano e ritornano naturalmente
allo spazio da cui sono emerse. Lasciamo cadere le maschere ed entriamo in un
rapporto diretto e autentico con la vita. Ogni movimento è accompagnato fino
allo spazio, ogni sensazione ritorna alla tranquillità, le emozioni non sono più
ridotte da un ego che vuole questo e rifiuta quello.
Comincia a stabilirsi un'accettazione totale della vita, una gioia profonda
permea qualsiasi cosa, l'essenza intrinsecamente libera del nostro essere si
manifesta ad ogni occasione. Non vediamo più le cose a partire da un centro
egotico, la nostra prospettiva è assolutamente priva di centro, reintegriamo la
vastità dello spazio. Ci avviamo a divenire un essere umano totale e vibrante. I
testi e gli insegnamenti sono assimilati alla vita, non abbiamo più bisogno di
cercare, di essere approvati, di essere definiti dall'avvallo di qualcun altro.
In questo istante realizziamo che tutto è coscienza. L'insieme delle percezioni,
delle emozioni e dei pensieri è la coscienza assoluta. Non c'è più nulla che non
sia pregno di assoluto. Possiamo infine toccare la trasparenza, agire senza
affidarci al discorso interiore, percepire ed esprimerci senza fare ricorso a
dei riferimenti, senza essere legati ai pilastri del tempo che sino a quel
momento ci hanno assoggettati al divenire. Ogni luogo diventa sacro, ogni
attività è l'espressione del tutto, gustiamo ciò che Saraha chiamava "il
meraviglioso sapore della Realtà". Liberati dalle catene degli opposti, possiamo
finalmente sperimentare il Soham, il "Io sono", l'essere assoluto che trascende
l'essere e il non-essere. Gli Shivaiti lo chiamano il "Sé", i buddhisti tantrici
lo chiamano il "Non-Sé", è uno stato al di là di ogni distinzione, ogni coppia
di opposti, uno stato che è totalità e abolisce l'adesione ai concetti. Non c'è
che fremito (Spanda) e riconoscimento della nostra natura assoluta (Pratyabhijna).
In questa peregrinazione attraverso l'unione del nostro corpo/mente col mondo
perdiamo totalmente l'idea che un'entità, che un "me" possa conoscere
un'esperienza che si chiama risveglio, perché tutto ciò non può che manifestarsi
nel momento dell'abolizione totale del ricercatore.
Giunti a questo livello è possibile che "ciò" accada, poi non ci resta che
lasciar scorrere la vita sulla pepita ancora avvolta dalle concrezioni delle
abitudini mentali, dei riflessi fisici, delle inclinazioni psicologiche. Dopo
venti o trent'anni, restando in questa attenzione leggera e continua, forse
raggiungeremo la realizzazione perfetta, diverremo un essere umano integro che
sente tutto ciò che percepiscono gli altri senza deviare dalla propria natura
originale. Ma perché pensare a questo ? L'inizio della liberazione è l'essenza
della liberazione totale, il primo secondo di semplice presenza alla realtà è in
sostanza il risveglio totale. È la grande felicità dello Spontaneo!
Da:
http://www.danielodier.com/it/ittantra.php
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