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Il cuore nello shivaismo
tantrico (Pierre Feuga)
Nelle tradizioni gnostiche dell'India (sâmkhya, vedânta, jñânayoga), il cuore,
hrid o hridaya, non è associato al sentimento ma alla conoscenza; non è la sede
delle sensazioni, emozioni o passioni ma quello dell'intelletto,
della pura intuizione intellettuale (buddhi o mati=opacità),che vede le cose
direttamente nella loro vera luce senza passare tramite il mentale (manas).
nelle più antiche upanishad,
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Cos’è è dunque questo Sé (ātman)? - È questo
Essere infinito,il purusha che si identifica con l'intelletto e che risiede
nel mezzo degli organi - è questa Luce che brilla dentro del cuore"
(Brihadāranyaka-up, IV, III, 7)
-
"In questo soggiorno di Brahman c’è un piccolo
loto, una casa nella quale c’è una piccola cavità, occupata dall'etere
(ākāsha); si deve ricercare Ciò che è in questo luogo e lo si conoscerà"
(Chāndogya-up, VIII, I).
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"Brahman è realtà, conoscenza, infinito. Quello
che si sa è che è nascosto nel cavo del cuore e nel supremo firmamento, e
che si realizzano tutti i desideri col saggio Brahman", Taittirîya-up. II).
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il cuore è considerato come il centro dell'
"anima vivente" individuale (jîvâtman), e coincide nella sua essenza al
Principio supremo dell'universo, Paramâtman o Brahman.
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L'individualità umana è al tempo stesso
somatica e psichica o, in termini indù, grossolana e sottile.
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il "santuario" del cuore, o "caverna", è il
centro di tutto questo insieme e non solamente del corpo materiale.
In quanto organo centrale del sistema circolatorio sembra comandare e ritmare la
vita e, quando questo muscolo si ferma, apparentemente, la vita si ferma. Ma è
solo la vita del corpo a fermarsi, di questo corpo «fatto di cibo » (annamaya).
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La vita sottile, può continuare, prolungarsi
sotto altre forme individualizzate o esistere di nuovo intorno ad un altro
centro, dunque, simbolicamente, attorno ad un altro "cuore."
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Ma ciò non è importante. Perché, al di là della
Vita stessa, al di là di tutte le "vite" - anche se non si concepisce queste
ultime come un seguito meccanico e semplicistico di "reincarnazioni" -
questo cuore metafisico esiste finché c’è Coscienza.
La Coscienza non nasce né muore, non cresce né decresce, non è non sottomessa al
tempo ne’ allo spazio, non ha forma, non ha causa, opposizione o supplemento.
Semplicemente È.
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È sorgente di vita, è il Cuore che trascende la
vita.
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È il "Sé" più intimo dell'essere(âtman),
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è lo stesso essere (sat),
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è la Coscienza, il chit, di cui l'unico oggetto,
non è distinto dallo stesso Sé,
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è la Beatitudine (ânanda).
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Conosce ogni cosa ma nessuno La conosce, non
così come si conoscerebbe un "altro".
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Per conoscerla, bisogna essere il Sé ("il Sé si
conosce di per Sé").
Questo insegnamento, semplice ed insondabile,
-
è di fatto il "cuore" di tutta la Tradizione
indù; ne costituisce l'essenziale, il nocciolo indistruttibile.
Non è esagerato affermare che chiunque l'abbia intellettualmente compreso,
comprensione poi soprattutto seguita effettivamente da una debita
"realizzazione" - potrebbe essere dispensato dallo studiare tutto il resto,
tutte le altre speculazioni, pratiche o tecniche che non sono, secondo l'
espressione dei Veda, che "divertimenti di bambini" e "castelli nelle nuvole."
Il tantrismo è un riadattamento ortodosso dei Veda nei tempi "oscuri"
(kali-yuga). La dottrina dell' "identità suprema" tra il Sé individuale ed il Sé
universale, è al centro dell'insegnamento delle Upanishad, la si trova negli
Agama ed è mantenuta e preservata nei Tantra,
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tanto quanto l'importanza attribuita al cuore in
quanto simbolo dell'ātman
-
e "luogo" di un'identificazione senza ritorno o,
in una parola, del "Risveglio" (unmesha, bodha).
Chi conosce il tantrismo per il sistema di chakra, sviluppati dallo hatha-yoga e
dal kundalîni-yoga - sistema pregiudicato e snaturato da troppi lavori mediocri
- pensa al chakra del cuore od anâhata a dodici petali, ma sarebbe vittima di
una confusione perché anāhata, dove è detto che debba essere aperto il "nodo di
Vishnu", cioè il nodo del pensiero egoistico, non è il soggiorno del Sé.
-
questo luogo è raffigurato da un loto ad otto
petali sotto al pericarpio dell'anâhata. È su questo loto rosso di cui la
corolla è girata verso l'alto che l'adorazione mentale (mânasa-pûjâ) dell’ishta-devatâ
deveessere praticata. È lì che si trova il "passaggio" da dove l'anima del
saggio si ritira al momento della morte.
Per comprendere pienamente la dottrina del Cuore bisogna volgersi verso il ramo
più metafisico del tantrismo indù, conoscere lo shivaismo non dualista del
Cachemire o Trika, - nome generico in effetti per parecchie scuole fiorenti tra
l' X ed il XII secolo.
Trika significa "triade", termine che può essere interpretato a differenti
livelli:
-
la coscienza (Shiva), l'energia (Shakti) e
l'individuo limitato sono solamente uno;
-
le tre vie di ritorno verso l'assoluto
corrispondono ad ognuno di questi termini (via divina, via dell'energia, via
dell'individuo), la scuola Spanda, o Trika studia le tre energie di Shiva
(il suo "tridente"): volontà, conoscenza, attività.
-
Altre triadi implicite: soggetto conoscente,
conoscenza, oggetto conosciuto;
-
Agama, Spanda, Pratyabhijñâ, sono i testi o
shāstra riconosciuti dagli shivaiti del Cachemire.
-
il mantra supremo di questi, AHAM, l'Io
universale, che corrisponde all’ HÛM tibetano, è composto di tre elementi: A
+ HA + M. -
-
A ed HA sono rispettivamente la prima e l'ultima
lettera dell'alfabeto sanscrito e simboleggiano Shiva e Shakti. M
simboleggia l'individuo.
-
le lettere comprese entrano A e HA rappresentano
i differenti poteri cosmici che presiedono alla manifestazione, le mātrikā.
Nei Tantra, si incontra abbastanza di frequente l'espressione di "Cuore
universale", "Cuore divino" o "Cuore del Signore." Terminologia che è sempre in
relazione alla nozione di "vibrazione" (spanda), secondo i commenti:
-
L'universo intero deriva da una vibrazione
originaria, che è detta fuori dal tempo, da uno stress (big bang), o da una
vibrazione o pulsazione:
-
l'universo "batte" e vibra. Questa pulsazione,
questa vibrazione, è eterna.
-
È il Cuore dello Shiva supremo (Paramashiva),
detto anche:
Bhairava, il Terribile,
tattva o mahâsattvâ (Realtà estrema),
svarûpa (essenza),
shûnyatâ (vacuità),
âtman (Sé),
Coscienza assoluta (chiti, chaitanya, samvid)
-
sua caratteristica essenziale è la libertà (svâtantrya).
Questa Coscienza è sovranamente libera e può negare Sé stessa, nascondersi
dietro Sé stessa, oscurare la sua essenza, luminosa con l'aiuto della
mâya-shakti (energia dell'illusione), dividersi in soggetto ed oggetto, "io"
(aham) e "questo" (idam), apparire sotto forma di un mondo molteplice e mutare
in tutto ciò con cui "giocherà" a perdersi. Il gioco è l'espressione stessa
della libertà, e da questo gioco aspirerà più tardi, quel Sé che niente saprebbe
incatenare, a "liberarsi."
Nella sua realtà di base, tuttavia, Paramashiva è immutabile, uguale al
Parabrahman delle Upanishad. È Luce indifferenziata, indivisa, inalterabile, a
volte coscienza-luce (prakâsha), splendente del suo proprio scoppio, ed energia
cosciente (vimarsha) o energia, shakti che prende liberamente coscienza di Sé
stessa con un primo brivido, un atto puro e vibrante (spanda), identico al
respiro di vita (prâna).
Quel che più di tutto importa comprendere, è che la coscienza del soggetto e
quella dell'oggetto, simboleggiate nel tantrismo da una coppia divina (yâmala),
ne formano solamente una, non c'è traccia di dualismo ne' di panteismo, di
creazionismo o di evoluzionismo, in questa dottrina. Shiva-Shakti costituiscono
la realtà indissolubile di Paramashiva o Cuore universale.
Per ottenere questo stato - espressione che è solo un modo di dire perché in
verità non c'è niente da ottenere, poiché siamo già questo cuore, - si parla, in
alcune scuole, di riconoscenza", (pratyabhijñâ) o di "slancio" (udyama), due
modi abbastanza simili per sottolineare il carattere puramente intuitivo,
immediato e dinamico di ciò che è chiesto.
la riconoscenza, per ricuperare questa natura basta la propria "shivaità", cioè
"riconoscere" questa nel proprio cuore con una presa di coscienza folgorante che
non lascia spazio all'alternativa ed al dubbio, illuminazione non progressiva,
non programmata, possibile in ogni istante nella percezione di un oggetto
qualsiasi, (o lo "si è" o non lo si è, non lo si può essere "a metà").
Lo slancio è ciò che permette l'identificazione con l'assoluto, è un'adesione,
improvvisa ed incondizionata della coscienza al fenomeno, come appare
all'istante, sul vivo, senza sovrapposizioni. Questo un atto puro è "stupore"
(chamatkara), e non si può mai produrre nel mentale che non utilizza che il
noto, ma unicamente nel cuore, un solo atto per afferrare il brivido iniziale
dell'energia. Ma, affinché questa verità "possa colpirci", bisogna lasciare le
astrazioni e sposare la via (che, nella sua forma superiore, diventa una
"non-via", anupāya, immergersi nella vita cocente, fatta di sorprese e di
ostacoli.
Il mentale è composto di quattro facoltà principali:
-
ragione,
-
memoria,
-
volizione
-
immaginazione passiva, (da distinguere da
bhāvanā = creazione mentale, progettazione, , devozione, fede. bhava [bhav]
esistenza, presenza, condizioni, stato, l'essenza).
Con nessuna di queste quattro facoltà, né per la loro coniugazione, è possibile
raggiungere il risveglio [libera-zione]. Ma, una volta ottenuto il risveglio,
"si realizza" che il mentale è anche in Shiva poiché tutto, assoluta-mente tutto
è nella Coscienza. Da allora il pensiero è percepito come una forma, una
manifestazione della Co-scienza, e cessa di essere una pastoia. Bisogna notare
del resto che il "collocamento a morte del manas nel cuore" che è uno dei "tre
gioielli" del tantrismo, non implicare la cessazione definitiva di ogni attività
mentale. Ciò che è rotto, "ucciso", è la relazione tra l'ego ed i pensieri.
Resta un pensiero che però non ha più un "pensatore."
Il tantrismo, in effetti, ha poca stima per la speculazione pura e la rinuncia
ascetica. Non svela i suoi segreti che in una pratica, in seno ad un mondo che
ritiene "reale" - differentemente dal vedanta di Shankara - poiché Shiva è la
Totalità, a volte trascendente ed immanente, e niente, neanche il cambiamento,
nemmeno l'illusione o l'ignoranza sono estranee a Shiva.
-
La principale differenza tra i due
"non-dualismi", quello del vedānta e quello del Trika, è incentrata sulla
concezione della libertà. Il seguace del vedānta pensa essenzialmente a
liberarsi", ad essere "libero da", ed egli mette per ciò l'accento sulla
rinuncia, l'eliminazione, l'isolamento.
-
L'approccio del Cachemire è inglobante, non
esclude niente. È essere "libero di" ma in un senso positivo: "libero di
fare".
Questo slancio del cuore che cortocircuita ogni ragione, i dottori del Trika la
paragonano alla precipitazione an-simante del padre o della madre che balzano
per salvare la vita del proprio bambino; o allo stato interiore dell'uomo che
cerca di ricordarsi di una parola dimenticata: dopo sforzi ripetuti e vani,
improvvisi la parola sgorga nella coscienza, "come un prodotto diretto del
cuore".
Intensificata, canalizzata, dominata, questa energia grezza riceve allora il
nome di bhāvanā. Si tratta di una fa-coltà tantrica essenziale, che è
impossibile rendere con una sola parola.
-
È al tempo stesso immaginazione creatrice,
imaginatio vera, dicevano gli alchimisti, e non imaginatio phan-tastica,
(l’immaginale descritto da Corbin)
-
è potere intuitivo, capacità di evocazione
sensoriale,
-
concerne i cinque sensi e non solamente la
vista, come si crede spesso,
-
ha una elevata plasticità psichica ed una
sensibilità spirituale iper-acuta, - la sua energia, in ogni caso, è come si
dice, adatta a "fissare" il pensiero, (quasi in senso ermetico) il paradosso
che è che, per dare la sua massima resa, non deve essere forzata con uno
sforzo corporale o mentale.
-
Allentamento perfetto, acquietamento, "stato
naturale" costituiscono il campo o lo sfondo su quale bhā-vanā può spiegarsi
pienamente.
Tutte le sensazioni sottili ed ogni evocazione, partono dal cuore, da cui tutto
viene e lì tutto si riassorbe. L'interferenza mentale inferiore o egoistica (che
sono la stessa cosa, il mentale esiste solamente per la sopravvivenza dell'ego),
distrugge lo "stupore" e noi ci rituffa nel mondo della dualità.
Questo accade perché, in questa via, vigilanza e lucidità sono indispensabili,
quanto l ' "immaginazione vera." Inoltre bisogna precisare che la spontaneità
non è lo "spontaneismo", come lo intendono certe correnti mo-derne. Non si
tratta di una "mistica selvaggia", di una questua cieca ed infra-razionale di
sensazioni occulte, non è ricerca di inquietudine o di estasi ad ogni costo.
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Essere aperto alla Totalità non vuole dire
accettare qualsiasi cosa.
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Come ogni via indiana, il Trika suppone dunque
un'iniziazione, un clima spirituale, un inquadramento, una prospettiva. La
straordinaria libertà e varietà dei mezzi proposti può essere seducente ma
non deve far dimenticare per niente la sua esigenza ed il suo carattere
irriducibile ad ogni volgarizzazione.
-
Per entrare lì, per non ci si deve perdere, si
deve avere una "vocazione", una predisposizione "eroica" o "divina." É un
sistema elitario, anche se non si stabilisce su criteri di razza, di casta,
di sesso, di morale con-venzionale o di sapere libresco.
-
Là la scelta viene fatta ancora con il cuore e
la trasmissione si opererà "da cuore a cuore".
Come schiudere il cuore, come accedere al suo interno? Se il cuore è veramente
la porta e la chiave, l'apertura e la via, "l'accesso al senza-accesso" secondo
l'espressione shivaita, esistono dei mezzi - oltre alla semplice fede, lo
slancio, il fervore - per trasmutare questa certezza teorica in esperienza di
vita?
Abhinava-Gupta risponde:
"Occorre che il saggio penetri nel suo cuore nel momento in cui la sua energia è
molto eccitata; quando si im-merge nella pura energia soggettiva; quando accede
all'estremità di tutte le nâdî; quando l'energia si ritrae nel Sé universale e
sboccia, integrandosi a tutto l'universo. "
Uno dai Tantra più venerati del Cachemire, il Vijñâna-Bhairava, dice:
Il primo di questi mezzi fa allusione all' "effervescenza dell'energia"
(shaktishobha), allo shock vibratorio che può suscitare, in un essere di
sensibilità affinata e dotato anche di vîrya, ( la stessa radice del latino vir
= forza, da cui virile ma anche vergine, in sanscrito ha un accezione come di
“eroismo,nobiltà”).
Ogni piacere sensuale difatti rinvia all'energia della felicità divina
(ânandashakti), o "punta" verso questa beatitudine, o ne è un riflesso se si
guardano le cose in senso inverso; ogni desiderio, intimamente, è desiderio del
Sé nella sua pienezza. Il godimento, che sia estetico o da innamorati, è per sua
natura unificazione, abolisce o sospende la dualità tra soggetto ed oggetto. Il
profano vive generalmente questi momenti come se fossero un pignoramento avido
od un compenso ad un malessere - un chiarore breve in un'esistenza smorta -
-
lo yogî ci si stabilisce con freschezza lucida
fino a ritrovare il "sapore", rasa, della sua vera natura. Assiste in sé
allo spiegamento ed al riassorbimento dell'energia, egli, "torna", per così
dire, all'energia in coscienza, sposa così il movimento passionale o
emozionale, se ne rende padrone e se ne stacca.
Per suscitare lo stupore, per immergere nel cuore vibrante (sahridaya), i
maestri del Cachemire ci suggeriscono questo mezzo ma anche, come sullo stesso
piano, molti altri. Ascoltiamo Somânanda, fondatore della scuola Pratyabhijñâ:
-
"Si percepisce la prima vibrazione della
volontà nella regione del cuore nel momento in cui ci si ricorda di qualche
cosa che si deve compiere, ma che si era dimenticato; nell'istante preciso
in cui si apprende una notizia che causa una grande felicità; quando si
prova una paura inattesa; quando si percepisce in modo imprevisto una cosa
che non si era mai vista; e tanto quando si recita un testo in un modo molto
ritmato o durante una corsa scatenata.
-
In queste molteplici circostanze, tutte le
energie della coscienza sono frementi (vilolatâ) ed sono mescolate le une
con le altre in un solo atto vibrante. " Così tutte le emozioni fortuite
della vita (gioia, sorpresa, apprensione, spavento, panico, delusione,
vessazione, frustrazione, curiosità, collera, fame, sete, capogiro ed anche
starnuto...) possono essere positivamente sfruttate e ri-orientate, almeno
quando raggiungono un certo parossismo, una certa intensità vibratoria e
soprattutto quando "sono denudate",
-
Nell'istante preciso della loro apparizione,
ogni emozione o passione, tutto, ogni tendenza psichica è "pu-ra", unica,
indifferenziata; la coscienza la penetra totalmente, la dualità non esiste.
L'errore ed il pericolo nascono solamente quando l' "io", in un primo tempo
unito all'esperienza, se ne distingue (cosa che accade molto rapidamente),
le pensa e le riguarda come argomento, agente, sperimentatore: sono furioso,
sono triste, sono gioioso, ecc.
-
più il movimento emozionale è forte, più l'ego è
lento a ricostituirsi: è "scavalcato" e privo dei suoi riferimenti, questo
istante di smarrimento può essere una fortuna spirituale. Il silenzio, il
vuoto, lo spodestamento sostituiscono il tumulto e, non avendo più niente da
afferrare né a cui aggrapparsi, l'essere all'estremo delle risorse può
trovarsi infine faccia a faccia con la sua vera natura, il "re è nudo".
Si deve affondare nella vacuità del cuore e realizzare questo vuoto non come un
nulla, non come una pausa provvisoria o un rifugio consolatore ma come l’essenza
originaria e immateriale, - ciò che Abhinavagupta chia-mava il più alto
immergersi, o riassorbirsi, nella pura energia soggettiva.
È allora la "Riconoscenza" un ritrovare, ma in un modo inatteso, un essere caro,
dopo una lunga separazione.
La maggior parte di questi mezzi di risveglio sono in qualche modo forniti dalla
vita ed non li si può provocare, li si può solamente accogliere per trasformarli
quando spuntano. Se hanno il favore degli shivaiti, è proprio a causa di questo
carattere non costruito, non mentale, non prevedibile, rispetto ad altri
procedimenti.
La conoscenza approfondita dei chakra, delle nâdi, altrimenti detta del corpo
energetico, fa parte di questa tradizione, anche se la descrizione che ne dà
differisce talvolta di quella delle scuole meglio conosciute in Occidente.
-
i chakra, (se ne distingue essenzialmente
cinque) sono intesi come"ruote" vorticose e vibranti;
il cosmo in sé è una Ruota immensa, omogenea e perfetta di cui il mozzo è la
Coscienza divina, Cuore uni-versale. Questa dottrina è sviluppata soprattutto
nella scuola Krama.
-
le nâdi - nella stessa prospettiva dinamica -
non sono dei condotti statici ed identici per tutti, per cui l'energia
circola ma delle "correnti", dei "flussi" che si deve imparare a captare, a
vivificare, a dilatare o ad acquietare, particolarmente a partire dal cuore.
-
Lo spostamento di queste energie molto sottili è
descritto di buon grado come un brulichio ed il Vijñâna-Bhairava (66) fa
anche allusione alle tecniche di sfioramento o di "solletico" delle ascelle
o di altri luoghi particolarmente sensibili per suscitare lo sboccio della
coscienza.
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per comprendere l'affinità tra la sensibilità
tattile ed i cuori, bisogna riferirsi al sistema di corrispondenze tra gli
elementi (bhûta), le facoltà di sensazione e di azione, indriya, ed i
chakra. Il cuore corrisponde all'a-ria, al tatto alla “facoltà di presa” ed
alla pelle, così come alla facoltà di godimento ed al sesso, se si segue il
Satcakranirûpana, ma questo punto di vista non è comune a tutte le scuole.
-
In quanto al cuore, quando non è visualizzato
come una ruota radiosa a dodici petali, è descritto come un cofanetto
rotondo e cavo, fatto di due loti intrecciati,: il loto superiore, secondo
un commento, raffigura la conoscenza ed il loto inferiore, l'oggetto,
conosciuto; tra essi, nel vuoto intermedio (madhya), risiede il soggetto che
conosce (V.B). 49.
Si esalta, con termini come kha, hridâkâsha, vyoman, antarvyoman, paravyoman, la
"distanza del cuore", l' "etere del cuore", la "volta" o il "firmamento del
cuore." Espressioni che valgono più per il loro potere evocativo che per il loro
rigore dottrinale. Rinviano alla nozione connessa al doppio senso di "mezzo" e
di "vacuità", il mozzo vuoto della ruota che fa girare la ruota: è uno dei sensi
del resto del parola kha, e ci si potrebbe chiedere certo, in buona ortodossia
vedantica, che cosa significhi veramente uno "spazio vuoto", (un "contenente
senza contenuto").
Bisogna specificare altra parte che la "vacuità" nella dottrina Trika è
differente da quella che si incontra nei te-sti Mâdhyamika, sebbene alcune
influenze reciproche non siano escluse e che, su un piano operativo, il
tantrismo, indù ed il tantrismo buddista offrono delle grandi similitudini. Non
si tratta qui di svuotare dall'essere, eliminare il Sé che resta
indistruttibile, insostituibile per gli indù perché si confonde con la Coscienza
stessa, ma di svuotare "questo essere", se si può dire, di tutto questo ciò che
è "oggettivo", mentale o materiale, nome-e-forma), consiste nello
"dis-oggettivare".
-
"la vacuità è la Coscienza che, riflettendo su
sé stessa, si percepisce come distinta da tutto, l'oggettività dicendosi:
"non sono ciò (neti, neti)." Tale è lo stato più elevato al quale accede lo
yogin", Tantrâloka VI, 10. Gli indù non rinunciano mai al Sé ma essi non lo
concepiscono neanche come un limite. Il Sé è essere al tempo stesso sia il
non-essere, che oltre all'essere e non-essere, oltre alla pienezza e vacuità
Ciò richiede un'arte.
-
Rievocare, per mezzo della bhâvanâ, la vacuità
in non importa in quale punto del corpo, in modo istanta-neo ed abbagliante;
-
o stendere questa vacuità all' "oggetto corpo"
tutto intero; meditare su questo come se non contenesse niente al'interno,
la pelle è solamente un "muro", una pellicola diafana tra due vuoti, ecc.:
-
tutto ciò, in una certa misura, si apprende ma
cozzerà spesso contro resistenze insospettate. L'individuo non accetta
facilmente di lasciare la prigione che lui stesso si è costruito.
Una cosa è giocare filosoficamente con l'idea della vacuità ma è un'altra
questione realizzarla direttamente nel proprio corpo e nel proprio mentale, fino
a non essere più che una forma vuota, un'energia senza contorni, senza limiti,
risplendente e vibrante. Richiedono un'arte anche le pratiche del respiro quando
sono interiorizzate e non ridotte ad un semplice vir-tuosismo respiratorio in
vista di ottenere dei "poteri."
-
Il respiro respirato (prâna in questa
tradizione) parte dal cuore e va' a morire in un "punto" localizzato a
dodici larghezze di dito dell'estremità del naso, il "dvâdashânta,
esterno");
-
da questo punto, con l'ispirazione (apâna), il
respiro ritorna riposarsi nel cuore: è là lo stadio elementare del metodo
che, tuttavia, inseguito seriamente, porta già l'equilibrio e la quiete.
-
In un stadio ulteriore e superiore, il, respiro
sarà verticalizzato, condotto dal cuore, in basso, fino alla coro-na della
testa, in alto, il "dvâdashânta interno"),
-
l'espirazione essendo sempre concepita come
forza ascendente e l'ispirazione come forza discendente. In questo
trasferimento, del resto spontaneo, dell'orizzontalità alla verticalità,
dall' ampiezza all'esaltazione,
-
si sarebbe tentati di scorgere ciò che altre
tradizioni hanno chiamato il passaggio dai "piccoli misteri" ai "Grandi
Misteri" .
Se la conquista del cuore esprime il ritorno allo "stato primordiale" o edenico,
se equivale alla reintegrazione del centro dell'essere umano dove riflette il
Centro supremo, allora si è obbligati ad ammettere che questo stato, per alto e
meraviglioso che sia, rappresenta solamente una prima tappa dei "cieli"
sopraformali simboleggiati nei chakra superiori, ed infine la vera trascendenza
o "Liberazione" (moksha che segna la traversata della fontanella).
Nel Trika bisogna guardare più avanti, perché questa tradizione non stabilisce
una gerarchia tanto netta tra i centri e non considera la progressione da uno
all'altro in un modo tanto sistematico.
-
l'energia è dovunque - come la coscienza - e
può sbocciare a partire da qualsiasi chakra. Se si raccomanda di svegliarla
a partire dal cuore, è soprattutto perché questo centro, per sua natura
"vuoto" e mediano, possiede spontaneamente un potere unificante che si
trasmette senza sforzo a tutti gli altri
-
Ma, anche se si localizza Shakti nel cuore e
Shiva nella fontanella, o l'inverso che si incontra anche, ciò non implica
mai uno rapporto di subordinazione poiché Shakti è Shiva e Shiva è Shakti
Abbiamo parlato del movimento dei respiri. Sarebbe più giusto in fondo a parlare
degli intervalli tra i respiri.
-
È tra questi difatti che il risveglio buca,
sgorga e risplende, il movimento, l'alternanza ci mantiene sempre nella
dualità. Intervalli dunque tra i respiri, (la parola"ritenzione" esprime
male questi intermezzi)
-
quindi anche tra i pensieri, le percezioni, i
desideri ed anche tra gli oggetti materiali, (tutto quello che è fa-glia,
apertura, interstizio).
Si considera molto importante, quando un movimento psichico si ferma, da sé, per
sfinimento, senza precipi-tarsi meccanicamente in un altro movimento, un'altra
attività, un altra ideazione ma rimanendo in questo riposo, senza attesa e senza
proiezione. La vacuità allora sperimentata cela un'incommensurabile energia, una
potenzialità di risveglio, alla condizione sempre di non identificarsi a questo
stato perché, nella prospettiva tantrica, ripetiamolo,
-
il vuoto non è estremo: è ancora un oggetto,
dunque un ostacolo, finché ci si contrappone ad un argomento che si
percepisce come "vuoto" e si percepisce sé come "essendo vuoto."
-
diversamente, bisogna essere capace di
realizzare il sé vuoto come vuoto. Allora questo "vuoto-dal-vuoto"
(espressione che si trova anche nello speculazione mahâyâniche) "può essere
ribaltato" per riassorbirsi nella Pienezza, sentita qui non come il
"contrario" del vuoto ma come Paramashiva, il senza-limite, la Totalità, la
negazione di ogni negazione, dunque l'assoluta Positività.
Per questo sono importanti tutti gli intervalli tra gli stati di coscienza cioè
l'inizio dei due stati che l'individuo conosce in quanto tale:
-
lo stato di veglia e lo stato di sogno,
l'addormentamento è un passaggio inafferrabile per l'uomo ordinario tra il
mondo degli oggetti sensibili ed il mondo degli oggetti mentali.
-
Ponendo la propria coscienza nel suono del
cuore, ponendola attivamente perché, di fatto, questo trasferimento si
produce da solo nel sonno, si ottiene la "padronanza dei sogni", questo
significa la capacità di passare dallo stato passivo ed allucinatorio del
sogno abituale, carico dei resti dello stato di veglia, allo stato,
pienamente cosciente e spiritualmente diretto, del sogno lucido (V.B). 55.
-
L'altro passaggio, quello dal sonno al
risveglio, non dovrebbe di meno trattenere l'attenzione.
Nello stesso modo che Shiva produce l'universo aprendo gli occhi e lo riassorbe
chiudendoli, ogni individuo crea ogni mattina il suo proprio mondo svegliandosi
e lo riassorbe addormentandosi.
Difatti il mondo non esiste indipendentemente dalla coscienza. L'oggetto appare
con il soggetto, e sparisce quando il soggetto non c'è. Vegliando, sognando,
dormendo senza sogni, passiamo di mondo, questo signi-fica da uno stato di
coscienza, all'altro, e nessuno è più o meno "reale" dell'altro. Da un punto di
vista estremo, l'universo non ha mai avuto inizio e non è mai finito per la
semplice ragione che il tempo non esiste, non c’è un passato, che è un semplice
fenomeno della memoria, ne’ il futuro, sempre proiezione della memoria, e
neanche un presente (che, appena pensato, è già passato).
Non ci sono che istanti sempre "attuali", appena la coscienza li afferra questi
non esistono più, non c'è una so-stanza chiamata "Tempo" che collegherebbe
questi istanti tra loro, da nessuna parte.
L'istante, in verità, è solamente la "durata di un atto di coscienza." (Abhinavagupta,
Tantrasâra, 60)
Questa coscienza unica "misura", sopporta le cose e presta loro una realtà. Lo
yogî che non crede al Tempo, sa infilarsi nel vuoto interstiziale che divide gli
istanti successivi, li disgiunge e li slega, per raggiungere il Cuore,
l'istante-shock, l'istante eterno.
Al termine di questo viaggio al centro del Sé di cui abbiamo schizzato solamente
alcuni aspetti, il pellegrino, diventato "re degli yogî" (yogîndra), avrà
acquistato, senza veramente cercarlo, il doppio potere di Shiva: quello di
ritrarre il mondo in uno solo punto, (samâdhi ad occhi chiusi: nimîlaramâdhi), e
quello di manife-starlo, in una libera e totale espansione dei sensi, (samâdhi
ad occhi spalancati: unmîlanasamâdh)i. Ed allora cosa gli resterebbe da
compiere? Liberato di tutto, è libero da tutto. Niente gli è esterno. Percepisce
tutto in lui come suo proprio Sé ed il suo corpo limitato è diventato il corpo
cosmico di Bhairava, la "Meraviglia cosmica" (vapus). Uno con Shakti,
indiscernibile da lei, "si conosce di per sé stesso." Nei confronti degli
"altri" - che non vede più come realmente separati di lui - è solamente grazia,
amore, sfavillio di doni e di favori. Se non è diventato ancora un "liberato in
vita" (jîvan-mukta), la morte che non è altro, anche lei, che un intervallo e
gli darà l'opportunità di fondersi infine nel Cuore di Shiva, il Molto-benefico.
Da:
http://tradurretradireetradizione.blogspot.it/search?updated-max=2011-04-01T13:42:00-07:00&max-results=7
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