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3ème Millénaire n.86 – Traduzione dr.ssa Luciana Scalabrini
Gli avvenimenti che si presentano sono sempre inediti, ma per paura ci sembra di riconoscere le situazioni. Il nostro primo istinto è di dire no a ciò che mette in questione i nostri riferimenti personali. Per preservare la nostra immagine, rifiutiamo, pretendiamo che qualcosa sia negativo o positivo. Il pensiero intenzionale sorge dalla paura di non essere niente. Tutta la nostra vita è accumulo di concetti, di assicurazioni. Il bisogno di sapere viene per fuggire alla realtà: la nostra non esistenza. Questa presa di coscienza è ascolto e liberazione da tutto ciò che è giudicato. Presenza alla situazione e al suo rifiuto della situazione. In un momento senza sapere, il pensiero è elastico, non reattivo e partecipa alla vita. E’ un pensiero che ringrazia, senza domande né esigenze. Se no il pensiero viene dalla paura e inesorabilmente lì riporta.
D. Paura di che? E.B. Paura di realizzare che non siete, che non siete mai stati. Che ciò che siete profondamente non è un oggetto, una percezione Che non potete appropriarvi di nulla. Quando comprendete che non siete un’entità personale, resta lo stupore. Aprite gli occhi e dite grazie. Non conoscerete mai altro che l’attività sensoriale. Per paura si è inventato un mondo normalizzato. Non c’è niente di normale. E’ tutto straordinario.
D. Qual è la ragione d’essere di questa paura? E.B. Le situazioni, gli avvenimenti sono l’attività dei nostri sensi, questa paura non ha alcuna ragione d’essere, tranne quando ci si prende per una persona. La paura di non esser niente è allo stesso tempo la porta per essere. Finché non si ascolta la paura, tutte quelle a cui si fa fronte sono paure subalterne. La paura primordiale è la paura originale. Prima o poi la si deve liberare da ogni oggettivazione e lasciarla imporsi in tutta la sua follia, la sua violenza. Quel passaggio è indispensabile. A poco a poco si realizza che si dice costantemente no alla paura, coprendola di concetti di giustificazione o di condanna. Pretendere di aver paura di qualcosa impedisce che la paura si manifesti pienamente e si riveli come apertura. La paura che si fugge ogni momento è la porta su se stessi che si cerca in tutte le situazioni. Quando non si mette l’accento sull’avvenimento apparente, resta la paura essenziale. Per sentirla, bisogna apprenderla libera da causa. Quando lo presentite, la paura può rivelarsi. Fino a che si crede legata a una situazione precisa, è rimandata.
D. La paura essenziale si apre su essere? E.B. Non deve aprirsi, è la risonanza di se stessi. Dal punto di vista della personalità è una paura. La morte della persona è la vita. E’ lo stesso avvenimento, lo stesso non avvenimento. Bisogna prima vivere nello stato di sogno, poi questo si s trasforma nello stato di veglia, poi si integra nel sonno profondo. Il sonno ci indica il nostro livello di disponibilità. Generalmente il lasciar andare si produce prima nel sogno, perché lì si trova la libertà di vivere la situazione senza restrizioni. Poi si esprimerà prima o poi nello stato di veglia.
D. E’ la paura di soffrire che mi fa mendicare la sicurezza? E.B. E’ la mancanza di visione della propria ricchezza. Di cosa abbiamo bisogno? Di niente. In questa non domanda è possibile una forma di pedagogia. Presentire il non bisogno permette di ascoltare la vita, di sentire quello che ci circonda. Senza la minima resistenza a quello che è lì, il funzionamento è facile. Quando si è compreso che non c’è niente da fare per se stessi, che non si domanda più niente, non si lascia più l’autonomia. Così si possono aiutare gli altri. Senza richieste, la relazione diventa facile. Lì si trova la sicurezza che si é cercata nella domanda.
D. Che fare quando si sente la paura nel corpo? E.B. Si sente la paura nel corpo perchè si è installata una specie di maturità. La maggior parte delle persone non sente la paura. Come la presentono, decidono di divorziare, di sposarsi, di vendere questo, di comperare quello, di cambiare religione, tradizioni ecc. I gusti, i desideri, il bisogno di cambiare vengono dalla paura. Chi sente la paura senza tentare di compensarla immediatamente, ha superato quella fuga. Al risveglio, quando la paura è presente, invece di tentare di sbarazzarvene, lasciatela diventare viva, attiva. Questa sensazione non è quella della paura, ma di difesa nei confronti della paura. E’ una massa di tensioni, un movimento che va lasciato vivere. La paura è in sé, non si è nella paura. La si sente negli occhi, la fronte, le gote, le tempie, la gola, i denti, il petto, il ventre, i reni, ecc. Si lascia che quella sensazione, che non si nomina più, sia quella che è, cioè calda, fredda, umida, secca, immobile, in movimento, oscura, chiara, pesante, leggera ecc. Si ascolta la panoplia sensoriale senza limite che si esprime. Immensa esplorazione tattile, come quando prendete una pillola di LSD e osservate gli effetti della sostanza agire in voi. Cosa avete da fare allora, non avete niente da fare, restate tranquilli e assistete. Lì è uguale, sentite la paura ed è l’inizio del viaggio. Le sensazioni diventano sempre più presenti. E’ un’esplorazione più ricca che andare sulla luna. State per scoprire il colpo d’occhio sulla vita: più sentite la paura, meno avete paura. Perché, quando si dice “ho paura”, non si sente la paura, si è in un’immagine, che impedisce di sentirla. Ma dal momento in cui la si accoglie, si va ben presto a scoprirsi in uno spazio senza paura, dove la sensazione di panico si può ingrandire, può espandersi, senza mai avere paura. Quella paura divora tutta la struttura. Una tensione che si dilata non è più una tensione. Si reintegra nel movimento naturale dell’energia. E’ sufficiente che possa di nuovo vivere la sua fluidità. La paura era solo una tensione separata dalla sua energia. La natura della paura è la non paura. In sé, non c’è energia di paura, l’energia è neutra, è fissata in una regione, come paura. Il vostro non- fare permette quello straordinario compimento. Perciò, se provate a togliere la paura con delle tecniche, di confrontarla, di attraversarla, di stimolarla, avrete sempre paura. Potrete fare cose straordinarie, impressionanti, magnifiche, coraggiose, e alle sei di sera, nella vostra camera, avrete paura. La paura è da rispettare, da ascoltare, da amare, da lasciar vivere e morire. Chi vorrà affrontarla, vivrà sempre con lei. Non avrà più paura di questo, ma avrà paura di altre cose. Il legionario non ha più paura di un coltello, di una granata, ma che la moglie lo tradisca. L’affrontarla non toglie la paura, ma la localizza da un’altra parte.
D. Sembra una follia, no? J.B. Tutto è follia per la persona, tutto ciò che mette in questione l’ immaginario, tutto ciò che è apertura sulla vita, cioè sulla morte, è follia. Ma la vera follia è sperare di essere senza paura, perché la persona non è che paura. Sul piano dell’apertura, della tranquillità, tutto ciò che la persona considera come sicurezza, saggezza, ricchezza è follia. L’ascolto è la fine di quell’immaginario. La follia è l’attesa e la speranza. La vera vita è la morte.
D. Ma è terrificante! J. B. Non siete una persona. Non è terrificante che quando pensate. Ma generalmente non pensate. Poiché non avete che la memoria del pensiero e il non pensiero non si memorizza e, la maggior parte del tempo, non pensate, va tutto bene. Quando, per qualche momento, il pensiero interviene, tutto è complesso, calcolo, esitazione, decisione. Ma ogni sera, qualunque sia stata l’intensità del pensiero, lasciate l’immagine del corpo, i pensieri, gli abiti, la giornata, lasciate morire tutto ciò. E’ la cosa più facile. Niente è più agevole che dormire. Questo prova che non c’è niente da compiere nella vita, solo dormire e lasciar morire ciò che non è. Tutte le sere questo si fa naturalmente e non chiede nessuna ricetta misteriosa, nessun esercizio, nessuna pratica, decisione, ascetismo, cambiamento. E’ sufficiente, la sera, lasciar sciogliere il corpo, il pensiero, il sentimento, ecc.
Nei molti momenti della giornata, riconoscerete quello stesso invito al sonno profondo, che allora si chiama meditazione. Dopo un pensiero, una percezione, lasciate morire tutto quello. Abbandonate la pretesa di essere qualsiasi cosa, ad avere un passato, un futuro.
Quando rimanete in quello spazio completamente non abitato, non pensato, appare la bellezza della vita, di un oggetto, di un paesaggio, di una paura. In quella apertura tutto è bellezza. Ma quando ci si nutre del pensiero, non si vede il pensiero che secondo i propri criteri, riferimenti, desideri. La bellezza è dappertutto. In questa disponibilità, la bellezza del bello e la bellezza del brutto diventano evidenti. Lì è la creatività. Quello avviene organicamente. Non potete fare niente per andare verso quella evidenza e non potete fare niente contro. Dunque la vita è facile. Siete condannati a essere tranquilli.
D. Il matrimonio è basato sulla paura? Allora come sposarsi? J.B. Come non sposarsi? Tutto ciò che si presenta è celebrazione. Il matrimonio è unità con ciò che si presenta nel momento. E’ l’ego, la paura che rifiuta di sposarsi, che vuole restare autonoma, differente, originale. Se non rivendicate niente, se siete uno con la percezione, allora il matrimonio avviene ogni momento. Per ragioni economiche, sociali, il matrimonio giuridico può essere funzionale. Questo non riguarda la vita profonda.
Il matrimonio di coabitazione deve essere rinnovato ogni giorno. Il vero matrimonio comincia e finisce ogni momento. Non c’è sicurezza.
Le persone si vogliono sposare perché, quando un uomo è sposato, non deve più fare la corte, offrire dei fiori. E’ più economico, ma non è un vero matrimonio. Il giorno in cui non offrite più dei fiori, il matrimonio è finito. Non si acquisisce niente, non potete possedere niente. Anche a quel livello mondano, ciò che è sentito deve precedere l’azione. Se vi date al matrimonio, è che vi sentite già sposati. Se è il caso, quando si ferma la risonanza e il legame si disfa, non manca niente. Se questo porta una certa facilità funzionale, perché non concretizzarla esteriormente. Se interiormente non vi sentite sposati con qualcuno, il matrimonio esteriore non porterà niente. Se un giorno vi risvegliate senza quella evidenza del matrimonio, e vi sentite separati, in quel momento, è possibile l’esteriorizzazione con un divorzio. Non divorziate per separarvi, ma perché lo siete già. Il divorzio formalizza la separazione. Tutti quegli elementi mondani sono il prolungamento di un sentire interno. Se avete un sentimento di intimità con qualcuno, se non ci sono personaggi mascherati con le fantasie rappresentative della propria religione, non manca niente. Il matrimonio non ha niente di religioso. Solo la morte è religiosa. Il matrimonio, come tutto quello che porta qualcosa, è per sua natura mondano. Invece l’intimità con una persona, un albero, un paese, è molto profonda. Certi danno la vita per il loro paese. E’ anche quello un matrimonio che deve rinnovarsi ad ogni momento. Tutto ciò che stabilizza, dà sicurezza, è una forma di mondanità. Ha il suo posto, ma non ha niente di sacro. La tranquillità, l’ascolto, sono sacri.
Sicuramente si può dire che tutto è sacro, ma nessuna attività, opera d’arte lo è in sé. E’ lo sguardo che rende sacro.
Per chi vive la non separazione, il matrimonio di momento in momento con ciò che si presenta, è sacro, ma per chi vive nella personalità, il matrimonio sarà sempre una forma di sicurezza. Ci si sposa per interesse: quando non conviene più, si cambia. Ci si serve dell’altro per trovare la sicurezza. E’ una distrazione mondana, che ha il suo posto come il bridge, il golf e le vacanze a sciare o al mare. L’intimità è esonerata dal passare attraverso i riti patologici delle religioni. Ma se la società, la cultura in cui vivete partecipano a questi sogni, questo è leggero. In occidente, quando incontrate qualcuno, vi stringete la mano, in oriente ci si saluta in altro modo. La vita è facile, qualunque sia il nostro ambiente. Poco importano le circostanze, a un certo momento non si è in nessun modo. Ci si può orientare verso un modo orientale o occidentale, avvicinare alla chiesa siriana o ortodossa, all’induismo o all’islam se necessario, ma non ci si nutre di quei pensieri codificati. Si conosce meglio la cultura di un paese che di un altro, ma si appartiene a ciò che si presenta nel momento. E’ il solo paese. Per prolungamento, l’ambiente dove ci si trova diventa il proprio paese, ma non in modo psicologico. Allora il matrimonio per sicurezza non avviene. Il matrimonio, espressione di una intimità, di una evidenza, senza attesa, senza domanda, senza cercare niente, può avere un posto funzionale. Ma attenzione a non creare l’immagine do uno che è maritato. Quando c’è uno sposato, non c’è più matrimonio essenziale, ma assicurazione e appropriazione. Il matrimonio è quella devozione a ciò che si presenta ad ogni istante. Un matrimonio senza immaginarsi di essere sposato. Chi si pensa sposato vive nel suo immaginario. In un momento di tranquillità non si è né maritati né celibi. Non si è un concetto. Da quella nudità, eventualmente si può esprimere una o l’altra modalità. Ma tutto viene da quella apertura. Chi cerca di costruirsi nel matrimonio o nel celibato, anche immaginario, non fa che costruirsi una personalità patetica, perché quella ricerca di un modo è la negazione della nostra immensità. Niente da costruire, ma tutto da lasciar vivere e morire. La vostra morte è il vostro vero matrimonio. Lasciare morire tutto ciò che non siete è la vostra festa di nozze essenziali, alla quale non siete invitati.
Da: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=870
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