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Tratto dall’archivio di 3emillenaire, a cura di L. Scalabrini. D. Perché aver lavorato tanto tempo ad un approccio corporale, mentre tutti i maestri delle grandi tradizioni non hanno smesso di ripetere che non si è il corpo e non si è il pensiero? E.B. Prima di dire ciò che non si è, bisogna conoscere. Dire “non sono la mente”, è un concetto. Perciò, prima di sapere ciò che si è o non si è, bisogna studiare, investigare ciò che attiene al corpo, cioè il mentale. D. Cos’è l’approccio tradizionale del Cachemire? E.B. È unicamente constatare molto chiaramente ciò che sono la macchina corporale e la macchina mentale. D. Avete detto in una conferenza: “Finché si è soddisfatti della vita fenomenica, non viene nessuna domanda”. Bisogna avere dei problemi per entrare in un approccio corporale come quello che voi insegnate? E.B. No! È possibile nascere con una domanda che s’impone molto presto. Senza aver avuto sconfitte, ci si interroga su ciò che è al di là dei fenomeni. Altri sembrano nascere senza quella ricerca. Sono all’inizio le differenti situazioni di sconfitta o di riuscita, o di ciò che è vissuto come tale, che portano all’interrogazione. Si possono avere moglie e figli meravigliosi, essere in buona salute, riuscire sul lavoro e avere dentro di sé una domanda molto profonda. D. In psicologia transpersonale si parla di crisi d’emergenza spirituale. Parlateci di quelle crisi. E.B. Penso che non ci sia che una crisi: quando vi rendete conto che tutto ciò che fate, tutto ciò che pensate viene dalla memoria, che ciò che incontrate viene dal passato e non potete avere la minima idea creatrice. Allora avete il presentimento profondo che ciò che cercate non è nella situazione, non è nella percezione. Constatate che potete solo andare avanti. Tutto ciò che pensate è davanti a voi e vi rendete conto che potete solo proiettare il conosciuto, la memoria. La libertà, il nuovo non possono essere nella memoria e nella proiezione. La crisi emerge dall’evidenza che non potete pensare che il vecchio, mentre è il nuovo che cercate. Tutta la vostra vita e tutte le vostre azioni sono fatte per trovare, per trovare il non-desiderio e non potete che ripetere gli schemi che riproducono gli errori passati. La vostra interrogazione non può più essere davanti. Il pensiero non ha gli elementi per arrivare al non-pensiero. Quando si incontra quel momento nella vita è uno choc; sapete molto bene dove non volete andare, ma non vedete dove non si trova ciò che cercate. È una crisi profonda; anche i giovani la provano. All’età di 14, 15 anni ci si rende conto che non si vuole essere come il padre o la madre, che non si vuole fare una vita borghese, ci si accorge che la società inganna. A questa età si sa molto bene ciò che non si vuole, ma non si ha il presentimento di ciò che si vuole. Sono crisi veramente profonde. D. Sono affascinato che sia l’incondizionato, il non detto l’essenziale. Però non si può circoscriverne l’incondizionato, l’indefinito col definito. Quali sono i principali ostacoli? E.B. Non ci sono ostacoli. Non ci sono che aiuti. Tutto ciò che si incontra, ciò che chiamate condizionato, è un’espressione dell’incondizionato. Si dice in Cachemire: “Il mondo è il fiore, la coscienza è la gemma”. Il mondo è un’espressione della coscienza. Il condizionato porta in sé il marchio dell’incondizionato. Se sono visti con libertà, il corpo conosce la salute e il mentale la direzione. Bisogna scoprire in noi quella attitudine di avere le mani vuote. Così non si proietta più il conosciuto, il passato e si è aperti all’ignoto. In quel momento, il condizionato, ciò che si chiama oggetto, può completamente articolarsi. Il condizionato proviene dall’incondizionato, per natura, vi si riassorbe. Dunque, quando si lascia una situazione completamente libera, quando l’incondizionato è presentito nel condizionato, si reintegra coscientemente. C’è riassorbimento. Per questo non c’è ostacolo. Tutto ciò che si presenta nella vita, è un’occasione per presentire il creatore. Non c’è il caso nella vita. Le possibilità, le riuscite, le sconfitte, la pace, la guerra, tutti questi elementi, se sono guardati in modo completamente libero rivelano profondamente la coscienza. Per riprendere le vostre parole, è l’arte di lasciare che l’incondizionato si riveli nel condizionamento. Non c’è separazione. D. Il lavoro corporale è la disponibilità, ma non è la comprensione. Potete spiegarlo meglio? E.B. Il lavoro corporale, che espressione orribile! È abominevole! È difficile trovare una formulazione giusta. Si potrebbe forse dire “ascoltare il corpo”, “accogliere il corpo”, “accogliere la sensazione”. Il fatto che voi non siete un cammello o un coccodrillo non è un caso. Siete nato, vi si è dato un corpo. Voi vi esprimete con una certa struttura, bisogna ascoltarla. È il senso civico della vita. Bisogna ascoltare i doni, ciò che vi è stato donato. È unicamente un ascolto. In questo ascolto, scoprite il funzionamento della macchina. Questa è la prima cosa. Eventualmente, quell’ascolto vi metterà in contatto con una tradizione che vi permetterà di attualizzare certi elementi. La comprensione è un’altra cosa. La comprensione alla quale si fa allusione è quella profonda presa di coscienza di non essere un oggetto. È una convinzione intima che non può trovarsi in una percezione. Non è legato all’approccio corporale. Quando un corpo è stato avvicinato con amore, quando lo psichismo è stato affrontato con amore, senza volere intromettersi, unicamente con uno sguardo, la loro espressione fiorisce. Questa fioritura è il terreno sul quale quella comprensione, quel presentimento di autonomia, di libertà si possano concretizzare. L’approccio corporale separato da una tradizione, quando esprime unicamente l’espressione di un corpo più competitivo, di un mentale più così o colà, è una forma di sacrilegio. L’approccio corporale o il lavoro psicologico hanno unicamente un valore per mettere la struttura in stato di accogliere il presentimento di ciò che è al di là del corpo, al di là del mentale. Se no è una riduzione. D. Il corpo, nella nostra civiltà, è stato molto valorizzato e molto svalutato. Il modo in cui ne parlate è un invito ad un altro ascolto del corpo. È come se voi diceste: “ascolta il tuo essere”. Mi sbaglio in questa interpretazione? E.B. Il corpo non è all’esterno. È coscienza. Si tratta di non limitarsi al corpo. La corporeità è l’espressione del retroterra. Dunque, ascoltare la sensorialità è la prima cosa. Non potete conoscere ciò che vi circonda senza quello. Tutto quello che conoscete del mondo non è che percezione. Il vostro corpo ha visto, inteso, sentito, gustato o toccato. Da questi cinque sensi nasce il concetto che vi fa dire: “è un albero”. Questo albero, se non lo vedete, se non potete toccarlo, sentirlo, gustarlo, non esiste. Nel mondo sono unicamente i cinque sensi che ci informano. Prima di sapere ciò che conviene politicamente a un paese, prima di avere delle idee cosiddette astratte, bisogna prima conoscere quello che percepisce la società. È la sensorialità. Quando ricevete una parola dal vostro fidanzato che vi dice che siete la più bella delle donne, se uscite in strada trovate tutto armonioso. Se ricevete una lettera da qualcuno che vi dice che siete spaventoso, o vi informa che qualcuno che amate è morto, siete tristi. Uscite sulla strada e il mondo è triste. Ciò che si conosce, lo si conosce unicamente attraverso il nostro sistema psicofisiologico. Prima di avere un’opinione sul mondo, sulle cose, bisogna anzitutto che quel sistema sia in stato di ricettività. Così smetteremo di sovraimporre continuamente i nostri desideri, le nostre paure sul mondo e sulla società. Se non si è in pace con se stessi, non si può fare la pace. Volere pacificare il mondo mentre interiormente si è violenti, è una mancanza di visione. La pace non è il risultato della violenza, ma quello della pace. Bisogna cominciare con l’essere in pace con la propria struttura. Bisogna amare la propria struttura. Quella è la prima cosa e forse può essere anche l’ultima. D. Non bisogna diffidare della propria struttura, del proprio corpo, della propria mente? E.B. Siete completamente neutro. Non è il vostro corpo, è un corpo. Se è il vostro corpo, non potete ascoltarlo; perché preferite che sia come questo o quello. Dunque voi dovete fare fronte a questo corpo. Un po’ come si arrivaste da un paese straniero. Quando uscite dall’aereo, non avete pregiudizi. Non potete che guardare. È del tutto differente. Non potete paragonare a ciò che voi conoscete. Quando ascoltate la musica tibetana o musica del Sul dell’India per la prima volta non avete riferimenti. Dunque siete obbligato ad ascoltare. Non dite: “è melodioso o non è armonico”. La parola non si presenta. Siete unicamente obbligati a stare completamente in ascolto, senza confronti. In quel momento la qualità intrinseca della musica può vivere in voi. Con il corpo è la stessa cosa. Bisogna imparare ad ascoltare il corpo senza sapere nulla. Essere completamente come un bambino che sta nascendo. Ascoltate l’istante. Non c’è niente da cambiare. Si vede solo ciò che accade. D. Voi dite che le tensioni non sono che pensieri, che è il pensiero che crea la densità o la pensantezza o addirittura la limitatezza che si sente nelle spalle, sulla schiena o sulla nuca… E.B. Sì, assolutamente. È il pensiero che allo stesso modo la può eliminare. D. Il pensiero può eliminare le tensioni? E.B. Sicuramente. In un momento di grande felicità, non vi riferite più a voi stessi. La struttura corporea si trova aperta. In un momento di tristezza, non è che difesa. D. Per voi, tutto l’approccio corporale, le posture non sono che un pretesto alla fine. È decorativo? E.B. Bisogna ben fare qualche cosa. È completamente gratuito! Se andate in Giappone praticherete il tiro con l’arco o ancora vi eserciterete all’arte dei fiori. Quando fate un mazzo di fiori non è per il mazzo in sé. Voi presentite il vostro silenzio interiore e, fino a un certo punto, lo mettete in atto nel bouquet. Se conoscete l’arte, chi guarderà il vostro lavoro sarà messo in contatto con il suo proprio silenzio. L’ascolto corporeo è un’arte tra le altre molto pedagogico, nel senso in cui il corpo è il primo oggetto. Ci si può trovare senza fiori e senza arco, non ci si può trovare senza corpo. L’oggetto corpo mi sembra soprattutto appropriato per presentire il silenzio perché, per sua stessa natura, è nutrito di coscienza. Ma ci sono altri modi altrettanto rispettabili. D. Voi dite a un certo momento che l’hara è una localizzazione, che è una forma di tensione. Se si conosce bene l’approccio cachemiriano, non si sente più il proprio corpo. C’è distacco. O è il contrario? E.B. Non è che non si senta più il corpo. Non si sente più il proprio corpo come massa di reazione, di pensantezza o di difesa. Non lo si sente più come antagonista. Voi comprendete un altro corpo. Per ciò che concerne il distacco, importa sapere che non c’è niente da cui ci si deve staccare. Accogliete ciò che si presenta a voi. Non c’è niente da escludere. Volere escludere le cose attiene alla violenza. Non ci si concentra, si è aperti. Le situazioni portano verso di voi. Non siete voi che andate verso le situazioni. Non avete nelle mani nessuna pretesa di autonomia. Nel mondo fenomenico, tutto è legato. Il corpo e il pensiero sono completamente condizionati. La sola libertà è vedere questi condizionamenti. Potete essere libero dal condizionamento, ma il corpo e il pensiero saranno sempre condizionati. Si può essere legati a loro o sentirsi liberi da loro! È verso quello che mira una via tradizionale. Per lasciare il condizionamento diventare molto chiaro, bisogna investigare il corpo e lo psichismo, vedere come funziona non per decondizionarlo ma per chiarire i condizionamenti. Quando il vostro corpo è calmo siete più liberi dal corpo che quando è in crisi. Quando il vostro mentale è tranquillo siete più aperti al presentimento del silenzio che quando siete in depressione. Perciò si può giustificare su un piano relativo una certa induzione a un silenzio corporeo e mentale. A un momento stabilito, bisogna lasciare la sensibilità corporea completamente riassorbirsi nel retroterra, nel silenzio. È quello non dipende dal vostro stato corporeo. D. Se capisco bene, nel vostro approccio sono ammesse tutte le tecniche. Si tratta di utilizzarle come presa di coscienza del limite. Prendere coscienza dei limiti è trascenderli. E.B. Completamente! D. Si utilizza il condizionato come metodo pedagogico per arrivare a trascenderlo, per andare al di là, per lasciar vivere l’incondizionato. Questo vuol dire che la natura umana come è non può entrare in contatto diretto con l’incondizionato?
E:B: Non c’è separazione. La natura umana o il condizionato, è
l’incondizionato. È unicamente il nostro sguardo che ci fa vedere condizionati.
Quando guardate, quando lasciate libera una percezione vi riporta all’origine di
tutte le percezioni, al silenzio. Il corpo, lo psichismo sono l’espressione
dell’incondizionato. Ciò che esce dall’incondizionato e si dissolve non può
essere altro che l’incondizionato. È solo il nostro modo di vedere che ci fa
separare le cose, che ci fa parlare di un incondizionato e poi di un
condizionato. E.B. Guardate. Osservate che il vostro corpo e il vostro psichismo sono condizionati. Non si tratta di volere o di rifiutare che c’è limitazione. Non c’è interpretazione. Rendersi conto dei limiti rivela il presentimento della libertà; se no non potreste dire: “C’è un condizionamento”. Quando si dice “Sono in collera”, non si è più in collera. Quando siete in collera non sapete che siete in collera. Quando dunque dite : “ il mio corpo è condizionato”, vuole dire che c’è in voi un profumo di incondizionato. Questo basta! Lasciate il vostro corpo, il vostro psichismo esprimersi. La natura profonda è l’incondizionato. La creazione porta il marchio del creatore. È solo dal punto di vista della creazione che c’è un creatore. Per il Cachemire l’elemento condizionato o incondizionato è vissuto come il “gioco” di Dio che si perde e si ritrova. È un modo poetico di esprimersi. La percezione punta verso ciò che sta dietro la percezione. Presto o tardi vi accorgerete che la vostra vita che sembra separata è un’espressione di libertà. Non c’è differenza. Lasciate che questa evidenza prenda corpo. Momentaneamente sul piano pedagogico si dirà forse che il corpo e la psiche sono condizionati perché c’è identificazione. In un secondo tempo direte “ non sono il mio corpo non sono il mio psichismo”. Ma in un terzo tempo il corpo e lo psichismo sono veramente l’espressione di ciò che li illumina. È una questione di pedagogia perché questa percezione, quel presentimento del silenzio dietro la percezione è quello che proviene dal sonno profondo. Se non ci fosse il silenzio non si sarebbe attirati dalla meditazione. Non si sarebbe tentati dal silenzio. È il sonno profondo che sostiene in noi quello stato di silenzio. D. In America del Nord certi seminari propongono l’apertura del chakra in un week-end. Tutte quelle manipolazioni dei centri energetici, con o senza cristalli, sono dannose?
E.B. L’arte del pranayama,del respiro, è l’arte reale. Tutta la creazione,
tutto ciò che si manifesta mostra la concretizzazione del respiro. Quando si
presenta ciò che è il respiro, si può dire che la manifestazione si rivela.
L’arte del respiro è usata per celebrare l’essenza della manifestazione, non per
svilupparne certe ramificazioni. D. Per voi sembra evidente che lo yoga debba appoggiarsi su una tradizione. E.B. Lo yoga è una tradizione; indipendente da una tradizione, non esiste, è una caricatura. Non vuol dire niente. Una postura è una cosa straordinaria, bisogna capire che non è una persona che fa yoga; non vuol dire niente. Quando il mattino nella vostra camera vi librate nel pranayama e le posture si esprimono col vostro corpo non c’è niente di personale. È tutto ciò che è attorno che partecipa, raggiungete i cicli della creazione, vi ricongiungete con la linfa che scorre negli alberi, il mattino. Le varie specie animali vegetali e ciò che è al di là dell’umano. Integrate il vostro ruolo nella creazione. È un evento cosmico una postura di yoga o il pranayama. Non li fate perché dopo vi sentirete meglio o dormirete meglio. Non ne ha assolutamente niente a che fare; è solo un sacrificio, un’offerta, è gratuito. D. Che vuol dire per voi sacrificio? E.B. Offrire ciò che non si è a ciò che si è. Offrite il vostro corpo, il vostro psichismo, il vostro mentale alla coscienza. Offrite la vostra espressione fenomenica. Questo è lo yoga, non è personale, non porta niente,soprattutto non la comprensione, che è originale. È perché c’è comprensione che eventualmente, se la vita vi orienta in quella direzione, andate, come si dice volgarmente, a praticare lo yoga. Ma la pratica dello yoga non ha mai portato nessuna comprensione.
Attività e pratica dello yoga Abhinavagpta, Tantraloka Vedere come il corpo è continuamente abusato, come lo psichismo è limitato, viene da una visione chiara. Lasciamo naturalmente quegli strumenti divenire un terreno per ciò che è al di là del corpo e dello psichismo. Dunque non c’è niente da acquistare. D. Quando si fa meditazione senza scopo né profitto, il fatto di fare meditazione senza perseguire un risultato, non è uno scopo in sé?
E.B: No. D. Quando parlate del risveglio del mattino, di quel passaggio, non so perché penso alla morte. Mi piacerebbe che parlaste della morte. E.B. Quale morte? La morte è un concetto. Se si vuole essere seri non si può parlare della morte. Profondamemente si porta tutti in sé quel presentimento di non poter morire, se no non ci sarebbero gli atti eroici. D. è l’emozione che fa uscire il soldato dalla trincea? Si è parlato di psichismo, del mentale, del corpo. Non si è ancora parlato delle emozioni. Ho sempre pensato che l’emozione era il carburante di ogni cosa intrapresa. Vorrei che parlaste delle emozioni. E.B. Nel senso della tradizione non è l’emozione che fa muovere il soldato, ma l’evidenza dell’istante. Un cattivo soldato sarà mosso dall’emozione, si. L’odio o la paura lo farà muovere. Ma un vero soldato, nel senso tradizionale, è uno che non ha né odio né paura. Fa quello che deve essere fatto, ha un presentimento indipendente da ogni opinione. I soldati di ogni esercito hanno un gusto di quel presentimento quando sono spinti a dare la loro vita. Poi, disgraziatamente, spesso pensano che la loro causa sia la migliore e lì cadono nella dualità. Ma, prima di pensare che la loro causa sia la migliore, quando si dà la vita, c’è un momento che è al di là di ogni causa, che è fondamentale. Se no non ci sarebbero azioni eroiche. D. Prima di entrare nello studio della televisione, dicevate che le persone spesso vivevano quel presentimento di eternità… E.B. Se non si è attualizzata la presenza fondamentale durante la vita corporale, il momento della morte può essere vissuto come opportunità. Un certo numero di persone ha la capacità di accettare la morte senza emozione. Se non parla più di denaro, di ciò che sta per lasciare, se lascia sparire la famiglia, i sogni, il nome, vuol dire che arriva all’umiltà. Ma si muore generalmente come si è vissuto. Se si è vissuti con la paura, si muore con la paura. Non si può fabbricare il momento della morte. D. Non avete anche detto che il momento della morte è più importante di quello della nascita? E.B. Non c’è morte. Non c’è nascita. Sono concetti. La sola vera nascita è il momento dove il presentimento di essere brucia la vostra struttura. Ma la nascita fisica è un accidente. Vostra madre incontra vostro padre e voi nascete. Non c’è niente di libero lì. Quando leggete Maitre Eckhart o Ibn Arabi, voi sentite l’autonomia. Rendersi conto di quella libertà è la sola nascita. E lì non c’è morte. Il resto, è romanticismo.
Da: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=1913
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