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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Prefazione e Qualche conclusione di La crisi del mondo moderno (René Guénon)


 

Prefazione dell'Autore

Che si possa parlare di una crisi del mondo moderno, prendendo la parola "crisi" nel suo significato più comune, è cosa che i più ormai non mettono in dubbio; e, almeno a questo riguardo, si è prodotto un mutamento abbastanza sensibile rispetto al periodo che immediatamente ci precede: per la forza stessa degli avvenimenti, certe illusioni cominciano a dissiparsi e noi, da parte nostra, non possiamo che rallegrarcene, poiché, malgrado tutto, in ciò si ha un sintomo già buono, l'indizio di una possibilità di rettificazione della mentalità contemporanea, qualcosa che appare come una debole luce in mezzo al caos attuale. è così che la fede in un "progresso" indefinito, prima considerata come una specie di dogma intangibile e indiscutibile, non è più ammessa così generalmente; alcuni intravedono più o meno vagamente, più o meno confusamente, che la civiltà occidentale, invece di continuare sempre a svilupparsi nello stesso senso, potrebbe pur subire un giorno un arresto o perfino crollar del tutto per via di qualche cataclisma. Forse costoro non vedono chiaramente ove risiede il pericolo, e le paure chimeriche o puerili che essi talvolta manifestano provano a sufficienza i! persistere di non pochi errori nella loro mente. Tuttavia, è già qualcosa che essi sospettino un pericolo, anche se essi lo presentono, più che non lo comprendano per davvero, e, giungano a concepire che questa civiltà, di cui i moderni sono così infatuati, non occupa un posto privilegiato nella storia del mondo: essa può aver la stessa sorte di tante altre già scomparse in epoche più o meno lontane, alcune delle quali non hanno lasciato che tracce minime, vestigia appena percettibili o difficilmente riconoscibili.

Se dunque si dice che il mondo moderno subisce una crisi, ciò che così si vuole abitualmente esprimere è che esso è giunto ad un punto critico, o, in altri termini, che a breve scadenza, volendolo o no, in un modo più o meno brusco, con o senza una catastrofe, dovrà inevitabilmente sopravvivere un mutamento di orientazione. Questo significato dato al termine "crisi" è del tutto legittimo e corrisponde in parte a quel che noi stessi pensiamo: ma solo in parte, poiché, ponendoci da un punto di vista più generale, noi crediamo che tutta l'epoca moderna nel suo insieme rappresenti per il mondo un periodo di crisi. Sembra d'altronde che ci si avvicini alla soluzione, il che rende oggi più particolarmente sensibile che in qualsiasi altro periodo il carattere anormale di uno stato di cose il quale dura già da qualche secolo, ma le cui conseguenze mai furono così visibili quanto ora. Questa è anche la ragione per cui gli avvenimenti oggi si svolgono con una velocità accelerata. Ciò, senza dubbio, può continuare ancora per qualche tempo, ma non indefinitamente Ed anche se non si è in grado di fissare un limite preciso, pure si ha l'impressione che un simile stato di cose non può durare ancora per molto.

Nella parola "crisi" sono però contenuti anche altri significati che la rendono ancor più atta ad esprimere quanto vogliamo dire. Infatti la sua etimologia, che spesso nell'uso comune si perde di vista, ma alla quale bisogna riportarsi così come si deve sempre fare quando si vuol restituire ad una espressione la pienezza del suo senso proprio e del suo valore originario - la sua etimologia, dicevamo, la fa in parte apparire come un sinonimo di "giudizio" e di "discriminazione". La fase da dirsi propriamente critica in un qualunque ordine di cose è quella che conduce a breve scadenza ad una soluzione favorevole o sfavorevole, è quella in cui interviene una decisione, in un senso o nell'altro. Di conseguenza, è allora che è possibile formulare un giudizio circa i risultati acquisiti, soppesare il "pro" e il "contro", operando una specie di discriminazione dei risultati, positivi gli uni, negativi gli altri, e veder così da che parte la bilancia s'inclina definitivamente. Beninteso, noi non abbiamo affatto la pretesa di fare in modo completo un tale bilancio, cosa che d'altronde sarebbe prematura, poiché la crisi non si è ancora risolta, né è possibile dire quando e come lo sarà. Del resto, è sempre preferibile astenersi da previsioni insuscettibili d'esser confortate da ragioni chiaramente comprensibili per tutti e quindi correnti il rischio di esser male interpretate, tanto da aumentare la confusione, anziché eliminarla. Noi possiamo solo proporci di contribuire - fino ad un certo punto e nella misura che i mezzi di cui disponiamo ce lo permetteranno - a dare a coloro che ne son capaci la coscienza di qualcuno dei risultati che sembrano già ben definiti, e a preparare così, sia pure in modo assai parziale e indiretto, gli elementi da servire per il futuro "giudizio"; dopo il quale s'inizierà un nuovo periodo della storia dell'umanità terrestre.

Nella mente di certe persone, qualcuna delle espressioni ora usate evocherà senza dubbio l'idea del cosiddetto "giudizio universale" o "giudizio ultimo", e, invero, non a torto; che questa idea venga intesa letteralmente o simbolicamente, ovvero in entrambi i modi - giacché essi invero non si escludono per nulla - ciò qui poco importa, e non è questo né il luogo né il momento per chiarire interamente un tale punto. In ogni caso, quel mettere il "pro" e il "contro" sulla bilancia, quel separare i risultati positivi e negativi, di cui abbiamo detto or ora, può certamente far pensare alla ripartizione degli "eletti" e dei "dannati" in due gruppi immutabili ormai definiti. Anche se si tratta solo di un'analogia, si deve ben riconoscere che è almeno una analogia legittima e ben fondata, conforme alla natura, stessa delle cose. Il che esige qualche spiegazione ulteriore.

Non è certo a caso che tante menti siano oggi ossessionate dall'idea della "fine del mondo". è cosa, in parte, da deplorare, poiché le stravaganze alle quali questa idea mal compresa dà luogo, le divagazioni "messianiche" che ne seguono in vari ambienti, tutte queste manifestazioni procedenti dallo squilibrio mentale dell'epoca nostra, non fanno che aggravare questo stesso squilibrio, e in una misura non del tutto indifferente. Ma, in fondo, è pur certo che qui si ha un fatto, di cui non possiamo esimerci di tener conto. Allorché si constatano cose del genere, l'attitudine più comoda è certo quella che consiste nello scartarle senz'altro, nel considerarle errori o fantasticherie senza importanza. Noi tuttavia pensiamo che, per quanto si tratti effettivamente di errori, sia opportuno, sì denunciarli come tali, ma cercare anche le cause che possono averli provocati e la parte di verità più o meno deformata che, malgrado tutto, può trovarvisi contenuta, poiché l'errore, non avendo in fondo che una forma negativa di esistenza, non può presentarsi mai come errore assoluto e come tale è una parola vuota di senso. Considerando le cose in questo modo, ci si accorge facilmente che l'anzidetta preoccupazione della "fine del mondo" è strettamente legata allo stato di malessere generale nel quale noi presentemente viviamo: il presentimento oscuro di qualcosa che sta per finire, agendo incontrollatamente su certe imaginazioni, vi produce in modo del tutto spontaneo imagini disordinate e spesso grossolanamente materializzate, che a loro volta si traducono esteriormente nelle stravaganze, cui abbiamo or ora alluso. Una tale spiegazione non è però una scusa per quest'ultime: o, almeno, se si possono scusare coloro che cadono involontariamente nell'errore, perché a ciò predisposti da uno stato mentale di cui non sono responsabili, ciò non potrebbe mai essere una ragione per scusare l'errore stesso. Del resto, per quel che ci riguarda, non ci si potrà certo rimproverare una indulgenza eccessiva per le manifestazioni "pseudoreligiose" del mondo contemporaneo, non meno che per tutti gli errori moderni in genere (1). Noi sappiamo perfino che alcuni sarebbero piuttosto tentati di rimproverarci il contrario, e forse ciò che noi qui diciamo farà loro meglio comprendere come è che noi consideriamo quest'ordine di cose, sforzandoci di porci sempre dal solo punto di vista che importi, quello della verità imparziale e disinteressata.

Non è tutto: una spiegazione puramente "psicologica" dell'idea della "fine del mondo" e delle sue attuali manifestazioni, per legittima ch'essa sia sul suo piano, ai nostri occhi non saprebbe apparire del tutto sufficiente. Fermarsi ad essa, significherebbe lasciarsi influenzare da una di quelle illusioni moderne, contro cui noi insorgiamo dovunque se ne presenti l'occasione

Noi dicevamo che certe persone sentono confusamente la fine imminente di qualcosa di cui esse non possono definire con esattezza la natura e la portata; bisogna ammettere che di ciò esse hanno una percezione effettivamente reale, benché vaga e soggetta a false interpretazioni o a deformazioni imaginative, giacché, quale si sia questa fine, la crisi che in essa deve necessariamente sboccare è visibilissima e una quantità di segni non dubbi e facilmente riconoscibili conducono tutti in modo concordante alla stessa conclusione. Questa fine non è certo la "fine del mondo", nel senso totale in cui molti vogliono intenderla, ma è almeno la fine di un mondo: e se quel che deve finire è la civiltà occidentale nella sua forma attuale, è comprensibile che coloro che si sono abituati a non veder più nulla fuor di essa, a considerarla come "la civiltà" per eccellenza, credano facilmente che tutto finirà con essa e che, se essa scomparirà, sarà veramente "la fine del mondo".

Noi diremo dunque, per ricondurre le cose alle loro giuste proporzioni, che sembra invero che noi ci avviciniamo alla fine di un mondo, cioè alla fine di un'epoca o di un ciclo storico, il quale può d'altra parte essere in corrispondenza con un ciclo cosmico, secondo quel che nel riguardo viene insegnato da tutte le dottrine tradizionali. Già nel passato vi sono stati molti avvenimenti di questo genere e senza dubbio ve ne saranno ancora molti nell'avvenire; avvenimenti d'importanza varia, a seconda che con essi si terminano dei periodi più o meno vasti e che essi concernono l'insieme dell'umanità terrestre, ovvero l'una o l'altra delle sue parti, una razza o un popolo determinato. Vi è da supporre che allo stato presente del mondo il cambiamento che interverrà avrà una portata assai generale e che, quale si sia la forma da esso rivestita e che noi non cercheremo allatto di definire, investirà più o meno l'intera terra. In ogni caso, le leggi che reggono siffatti avvenimenti possono essere applicate analogicamente a tutti i gradi o piani; onde quel che si può dire sulla "fine del mondo" nel senso più completo possibile, ma tuttavia di solito riferito al solo mondo terrestre, resta vero, nelle dovute proporzioni, anche per il caso della semplice fine di un qualunque mondo, intesa in un senso assai più ristretto.

Queste osservazioni preliminari aiuteranno molto a far capire le considerazioni che seguiranno. In altre opere, noi abbiamo già avuto l'occasione di far assai spesso cenno alle "leggi cicliche". Riuscirebbe forse arduo esporre completamente tali leggi in una forma facilmente accessibile alle menti occidentali; tuttavia è necessario aver qualche nozione sull'argomento, dato che ci si voglia formare un'idea vera di quel che è l'epoca attuale e di ciò che essa propriamente rappresenta nella storia del mondo. Per cui noi cominceremo col mostrare che i caratteri di siffatta epoca son proprio quelli che le dottrine tradizionali hanno indicato in ogni tempo per il periodo ciclico a cui essa corrisponde; il che equivarrà anche a mostrare che quanto da un certo punto di vista è anomalia e disordine è tuttavia l'elemento necessario di un ordine più vasto, la conseguenza inevitabile delle leggi che reggono lo sviluppo di ogni manifestazione. Del resto - diciamolo subito - ciò non costituisce una ragione per limitarsi a subire passivamente il perturbamento e l'oscurità che sembrano momentaneamente trionfare, poiché, se così fosse, non avremmo che da starcene in silenzio. Ragione invece vi è di lavorare, finché sia possibile, per preparare l'uscita da questa "età oscura", la cui fine più o meno prossima, benché non del tutto imminente, è già preannunciata da molti indizi. Anche questo rientra in un'idea superiore di ordine, poiché ogni equilibrio è il risultato della azione simultanea di due tendenze opposte; se l'una o l'altra di esse potesse interamente cessar di agire, l'equilibrio sarebbe perduto per sempre e il mondo stesso svanirebbe. Ma una tale supposizione sta fuor della realtà, i due termini di una opposizione non traendo senso che l'un dall'altro. Quali possano pur essere le apparenze, si può esser sicuri che tutti gli squilibri parziali e transitori concorreranno, alla fine, a realizzare l'equilibrio totale.

Note

1. Il Guénon ha esaminato e criticato le forme più caratteristiche delle correnti pseudoreligiose contemporanee soprattutto nelle due opere L'Erreur Spirite e Le Théosophisme (N.d.T. Julius Evola).


 

Qualche Conclusione

Nel presente libro abbiamo voluto essenzialmente mostrare come l'applicazione dei dati tradizionali permetta di risolvere i problemi che attualmente si impongono nel modo più immediato, di spiegare lo stato presente dell'umanità terrestre e, in pari tempo, di giudicare non secondo idee convenzionali o preferenze sentimentali, ma secondo verità, tutto quel che costituisce propriamente la civiltà moderna. Non pretendiamo di aver esaurito il soggetto, né di averne sviluppato completamente tutti gli aspetti; del resto, i principi ai quali noi costantemente ci ispiriamo ci obbligano a presentare delle vedute essenzialmente sintetiche, e non analitiche come quelle del sapere "profano"; senonché tali vedute, appunto perché sintetiche, vanno assai più lontano nel senso di una vera spiegazione che non una qualunque analisi, ogni analisi non potendo avere, in realtà, che un mero valore descrittivo. In ogni caso, noi pensiamo di aver detto abbastanza per permettere a coloro che son capaci di comprendere di trarre da quanto si è esposto almeno una parte delle conseguenze contenutevi; ed essi debbono persuadersi che un tale lavoro è di ben altro profitto che non una lettura che non lascia alcun posto alla riflessione e alla meditazione. A tali facoltà abbiamo voluto invece fornire un punto di partenza adatto, un appoggio sufficiente per elevarsi di là dalla vana moltitudine delle opinioni individuali.

Ci resta da dire qualcosa su ciò che si potrebbe chiamare la portata pratica di un tale studio; questa portata, potremmo trascurarla, ovvero potremmo disinteressarcene se ci fossimo mantenuti nel dominio della dottrina metafisica pura, in relazione alla quale ogni applicazione è solo contingente e accidentale: ma qui, è proprio delle applicazioni che si tratta. Le quali, a parte ogni punto di vista pratico, hanno peraltro una doppia ragion d'essere: esse sono le conseguenze legittime dei principi, lo sviluppo normale di una dottrina che, essendo una e universale, deve abbracciare senza eccezione tutti gli ordini della realtà; in pari tempo, per alcuni almeno, esse sono un mezzo preparatorio per innalzarsi ad una conoscenza superiore, secondo quel che si è spiegato a proposito della "scienza sacra".

Quando si è nel campo delle applicazioni, è lecito inoltre considerarle anche in sé stesse e nel loro valore intrinseco, sempreché non si sia da ciò condotti a perdere di vista la loro connessione ai principi; un pericolo del genere è reale - appunto da ciò essendo derivata la degenerescenza che ha dato luogo alla "scienza profana" - ma esso cessa di esistere per coloro che sanno che tutto deriva e dipende dalla intellettualità pura e che quanto non procede coscientemente da essa può solo essere illusorio. Come l'abbiamo spesso ripetuto, tutto deve cominciare dalla conoscenza; e quel che sembra essere più remoto dall'ordine pratico proprio in quest'ordine si dimostra maggiormente efficace essendo l'elemento senza il quale è impossibile conseguire qualcosa di realmente valido e di diverso da una vana e superficiale agitazione. Per cui, tornando più specialmente al problema che qui ci interessa, possiamo dire che se tutti capissero che cosa veramente sia il mondo moderno, questo stesso mondo cesserebbe subito di esistere, la sua esistenza, come quella dell'ignoranza e di tutto quel che è limitazione, essendo puramente negativa; essa deriva solo dalla negazione della verità tradizionale e super-umana.

Un mutamento si produrrebbe allora senza catastrofi, mutamento impossibile per altra via. Abbiamo dunque torto nell'affermare che una tale conoscenza è suscettibile di conseguenze pratiche veramente incalcolabili? Ma, da un altro lato, è purtroppo assai difficile ammettere che ognuno possa arrivare a questa conoscenza, da cui la gran parte degli uomini sono oggi certamente assai più lontani di quanto mai lo siano stati. è vero che ciò non è per nulla necessario, bastando una élite poco numerosa, ma costituita in modo abbastanza saldo, per dare la direzione alla massa, la quale obbedirebbe alle sue suggestioni senza nemmeno sospettare l'esistenza e i mezzi di azione di tale élite. La costituzione effettiva di una élite del genere è però ancora possibile in Occidente?

Noi non abbiamo l'intenzione di tornare su quanto abbiamo già avuto occasione di esporre altrove circa la funzione dell'élite intellettuale nelle diverse circostanze che si possono considerare possibili in un avvenire più o meno imminente. Ci limiteremo dunque a dire quanto segue: quale si sia il modo in cui dovrà compiersi il mutamento costituente quel che si può dire il passaggio da un mondo all'altro, e che si tratti inoltre di cicli più o meno vasti, questo stesso mutamento, anche se avrà l'apparenza di una brusca frattura, non comporterà mai una discontinuità assoluta, essendovi una concatenazione di cause che collega insieme tutti i cicli. L'élite di cui parliamo, se riuscisse a costituirsi finché si è ancora in tempo, potrebbe preparare il mutamento in modo che esso si svolga nelle condizioni più favorevoli e che il perturbamento da cui esso sarà inevitabilmente accompagnato sia in un certo modo ridotto ad un minimo. Ma quand'anche così non fosse, le rimarrebbe sempre un altro compito, ancor più importante: contribuire a conservare quel che deve sopravvivere al mondo presente e servire all'organizzazione del mondo futuro. è evidente che non bisogna aspettare che la discesa sia finita per preparare la risalita, risalita che avrà luogo necessariamente, perfino se non si potrà evitare che intanto la discesa dia luogo a qualche cataclisma. Così, in ogni caso, il lavoro fatto non sarà perduto: non può esserlo nei riguardi dei benefici che l'élite ne trarrà per sé stessa, ma non lo sarà nemmeno nei riguardi dei suoi ulteriori risultati per l'insieme dell'umanità.

Ora, le cose vanno considerate nel modo seguente: l'élite esiste ancora nelle civiltà orientali e, anche ammettendo che vi si riduca sempre di più di fronte all'invasione spirituale europea, non per questo essa cesserà di esistere fino all'ultimo, perché è necessario che così sia per custodire il deposito di una tradizione imperitura e per assicurare la trasmissione di tutto quel che deve essere conservato. Invece in Occidente l'élite non esiste più. Ci si può dunque chiedere se qui essa si ricostituirà prima della fine dell'epoca nostra, cioè se, malgrado la sua deviazione, il mondo occidentale prenderà parte a questa conservazione e trasmissione. Se ciò non accadrà, la conseguenza sarebbe che la sua civiltà finirà interamente, in essa non essendovi più nessun elemento utilizzabile per l'avvenire e ogni traccia dello spirito tradizionale essendovi scomparso.

Così posto, il problema non può avere che una importanza secondaria rispetto al risultato finale; esso presenta tuttavia un certo interesse da un punto di vista relativo, che noi dobbiamo pur considerare, se vogliamo tener conto delle condizioni particolari del periodo in cui viviamo. In via di principio, basterebbe far rilevare che questo mondo occidentale, malgrado tutto, è la parte di un insieme dal quale esso sembra essersi staccato dopo l'inizio dei tempi moderni, e che nell'integrazione ultima di un ciclo tutte le parti debbono in un qualche modo potersi ritrovare. Ma ciò non implica necessariamente una restaurazione preliminare della tradizione occidentale, poiché questa può essersi conservata soltanto allo stato di possibilità permanente nella sua stessa scaturigine, al di fuori della forma speciale da essa rivestita ad un dato momento. Ciò, solo a titolo di accenno, poiché, per far capire interamente ciò di cui si tratta, bisognerebbe trattare dei rapporti esistenti fra la tradizione primordiale e le tradizioni subordinate, cosa che qui noi non possiamo pensare di fare. Questo sarebbe il caso più sfavorevole per il mondo occidentale preso in sé stesso, e il suo stato attuale fa temere che proprio tale caso dovrà realizzarsi. Noi abbiamo però detto che vi sono dei segni che ci permettono di pensare che ogni speranza in una migliore soluzione non è ancora del tutto perduta.

In Occidente esiste oggi un numero di persone, più grande di quel che si creda, le quali cominciano a prender conoscenza di quel che manca alla loro civiltà: se esse restano in vaghe aspirazioni e in ricerche troppo spesso sterili, se accade perfino che esse smarriscano definitivamente la via, ciò avviene per il loro mancare di dati reali, che nulla potrebbe sostituire, e per l'inesistenza di una organizzazione che possa dar loro il necessario orientamento dottrinale. Beninteso, qui non parliamo di coloro che han potuto trovare questo orientamento nelle tradizioni orientali tanto da trovarsi, intellettualmente, fuori dal mondo occidentale: costoro, d'altronde, non rappresentano che un caso d'eccezione e non potrebbero esser considerati come parti integranti di una élite occidentale. Essi sono in realtà un prolungamento delle élites orientali, il quale potrebbe esercitare una funzione di collegamento dopo che l'élite occidentale sia giunta a costituirsi. Quanto alla élite occidentale, essa quasi per definizione potrebbe solo costituirsi attraverso una iniziativa propriamente occidentale, nel che sta tutta la difficoltà. Una tale iniziativa sarà possibile in due soli modi: o l'Occidente ne troverà in sé stesso i mezzi, con un ritorno diretto alla sua propria tradizione, ritorno che sarebbe come lo spontaneo svegliarsi di possibilità latenti; ovvero alcuni elementi occidentali compiranno quest'opera di restaurazione con l'aiuto di una certa conoscenza delle dottrine orientali, conoscenza che, pur non potendo essere assolutamente diretta, poiché essi debbono restare occidentali, potrebbe tuttavia conseguirsi grazie ad una specie d'influenza di secondo grado, esercitantesi attraverso intermediari come quelli cui or ora abbiamo alluso. La prima di queste due ipotesi è poco probabile, giacché essa implica l'esistere, in Occidente, di almeno un centro in cui lo spirito tradizionale si sia conservato integralmente: e noi abbiamo detto che, malgrado certe affermazioni, l'esistenza di un centro del genere appare assai dubbia. è la seconda ipotesi che bisogna dunque esaminare più da vicino.

In questo caso, anche se non è necessario assolutamente, pure sarebbe bene che l'élite in formazione assumesse come punto d'appoggio una organizzazione occidentale avente già una sua esistenza effettiva; ora, sembra che in Occidente non vi sia più che un'unica organizzazione possedente un carattere tradizionale e conservante una dottrina tale da fornire al lavoro di cui si tratta una base appropriata: è la Chiesa Cattolica. Senza nulla cambiare nella forma religiosa sotto la quale essa si presenta all'esterno, basterebbe restituire alla dottrina di questa il senso profondo che essa ha realmente, ma del quale i suoi rappresentanti attuali sembrano non aver più coscienza: tanto poco, quanto dell'unità essenziale di questa dottrina con le altre forme tradizionali, le due cose essendo d'altronde inseparabili. Sarebbe la realizzazione del Cattolicesimo nel vero senso della parola, poiché questo termine, etimologicamente, esprime l'idea della universalità, cosa troppo dimenticata da coloro che vorrebbero farne la denominazione esclusiva di una forma speciale e puramente occidentale, priva di ogni legame effettivo con le altre tradizioni; e si può dire che se allo stato presente delle cose il Cattolicesimo ha solo una esistenza virtuale, ciò accade per il fatto che in esso non troviamo realmente la coscienza dell'universalità. Ma non è men vero che l'esistenza di una organizzazione avente un tale nome indica una base possibile per la restaurazione dello spirito tradizionale nella sua accezione più completa, tanto più che, nel Medioevo, essa già servì di sostegno a questo spirito nel mondo occidentale. Non si tratterebbe insomma che di un ripristino di quel che già esistette prima della deviazione moderna con gli adattamenti necessari alle condizioni di un'altra epoca. E se alcuni si stupiranno o protesteranno contro una idea del genere, ciò vorrà solo dire che essi stessi, a loro insaputa e forse loro malgrado, sono imbevuti di spirito moderno fino al punto di aver perduto interamente il senso di una tradizione, della quale essi conservano soltanto la scorza. Interesserebbe sapere se il formalismo della "lettera", che è ancora una delle varietà del "materialismo" quale da noi è stato precedentemente spiegato, ha soffocato definitivamente la spiritualità, ovvero se quest'ultima ne è stata solo oscurata in modo passeggero e può svegliarsi ancora nel seno stesso dell'organizzazione esistente; ma solo lo sviluppo futuro degli avvenimenti permetterà di rispondere a ciò.

D'altronde può darsi che questi stessi avvenimenti prima o poi imporranno ai dirigenti della Chiesa Cattolica come una necessità ineluttabile ciò di cui essi non sanno comprendere l'importanza diretta in funzione di intellettualità pura. Sarà certo deplorevole se, per indurli a riflettere, occorreranno circostanze così contingenti, come quelle relative al dominio politico, considerato fuori da ogni principio superiore; ma bisogna pur ammettere che l'occasione per lo sviluppo di possibilità latenti può essere offerta a ciascuno dai mezzi più alla portata della sua facoltà attuale di comprensione. Per cui, diremo quanto segue: di fronte all'aggravarsi di un disordine che sempre più si generalizza, bisogna far appello all'unità di tutte le forze spirituali esercitanti ancora un'azione nel mondo esterno, in Oriente così come in Occidente; e, da parte dell'Occidente, non ci è dato di vedere che quelle della Chiesa Cattolica. Se quest'ultima, per tale via, potesse venire in contatto con i rappresentanti delle vere tradizioni orientali, dovremmo rallegrarci di questo primo risultato, che potrebbe precisamente costituire il punto di partenza per quel che abbiamo in vista, perché senza dubbio presto ci si accorgerà che un'intesa semplicemente esteriore e "diplomatica" sarebbe illusoria e non potrebbe avere le conseguenze desiderate; per cui bisognerebbe pur venire a ciò da cui normalmente si avrebbe dovuto cominciare, ossia a considerare un accordo in funzione dei principi, accordo la cui condizione necessaria e sufficiente è che i rappresentanti dell'Occidente ritornino ad essere veramente coscienti di questi principi, così come lo sono quelli dell'Oriente. La vera intesa, diciamolo ancora una volta, può compiersi solo dall'alto e dall'interno, quindi nel dominio che può venire chiamato indifferentemente intellettuale o spirituale, per noi i due termini avendo in fondo esattamente lo stesso senso. In seguito, l'intesa partendo da questo punto si svilupperebbe necessariamente anche in tutti gli altri domini, allo stesso modo che, una volta che un principio sia posto, v'è solo da dedurne o "esplicitarne" tutte le conseguenze compresevi. Per tutto ciò, vi è un solo ostacolo: il proselitismo occidentale, che non può decidersi ad ammettere che talvolta si ha bisogno di "alleati" che non siano dei "sudditi"; o, per parlare più esattamente, è il difetto di comprensione di cui il proselitismo non è che uno degli effetti.

Quest'ostacolo potrà venire sormontato? Se non lo potrà, l'élite, per costituirsi, non dovrà più contare che sugli sforzi di coloro che saranno qualificati a tanto per la loro capacità intellettuale, al di fuori di ogni ambiente definito, e naturalmente bisognerà anche contare sull'aiuto dell'Oriente. L'opera dell'élite sarebbe allora più difficile e la sua azione non potrebbe esercitarsi che a più lunga scadenza, poiché essa dovrebbe crearsi da sé tutti gli strumenti necessari, invece di trovarseli pronti come nell'altro caso. Ma noi non crediamo che per gravi che tali difficoltà siano, esse possano impedire quel che, in un modo o nell'altro, dovrà esser compiuto.

Onde è opportuno dichiarare ancora questo: già ora nel mondo occidentale sono visibili indici certi di un movimento ancora indeterminato, ma che potrà, anzi in via normale dovrà, condurre alla ricostituzione di una élite intellettuale, a meno che una soluzione violenta della crisi non intervenga troppo rapidamente, ad impedirgli di svilupparsi sino in fondo. Occorre appena dire che la Chiesa, in vista della sua futura funzione, avrebbe tutto l'interesse di portarsi in un qualche modo oltre questo movimento anziché lasciare che esso si compia senza di essa ed esser poi costretta a seguirlo onde conservare una influenza che minaccerebbe di sottrarlesi. Non è necessario porsi da un punto di vista molto alto e arduo per comprendere che, insomma, è la Chiesa che avrebbe i maggiori vantaggi nell'assumere un'attitudine che, d'altronde, lungi dall'esigere da parte sua il menomo compromesso d'ordine dottrinale, avrebbe anzi per risultato lo sbarazzarla da ogni infiltrazione dello spirito moderno e per via della quale nulla verrebbe a modificarsi esternamente. Sarebbe piuttosto paradossale vedere un Cattolicesimo integrale realizzarsi senza il concorso della Chiesa Cattolica, che allora si troverebbe forse nella singolare posizione di dover accettare di esser difesa, contro i più terribili attacchi da essa mai subiti, da persone che i suoi dirigenti, o almeno coloro che essa lascia parlare in loro nome, in un primo tempo avrebbero cercato di squalificare facendoli oggetto delle accuse più infondate. Da parte nostra, ci dispiacerebbe se qualcosa di simile dovesse accadere: ma se si vuole che le cose non giungano fino a tale punto è tempo che coloro che, per la loro posizione, hanno le maggiori responsabilità, agiscano con piena conoscenza di causa e non permettano che tentativi, i quali possono avere conseguenze della massima importanza, rischino di esser frustrati dall'incomprensione o dalla malevolenza di qualche individualità più o meno subalterna, cosa che già si è verificata e che mostra ancora una volta fino a qual punto oggi il disordine regni dappertutto. Noi prevediamo che non ci si sarà affatto grati di tali avvertimenti, da noi dati in piena indipendenza e in un modo del tutto disinteressato; poco importa, e noi non per questo cesseremo di dire quel che deve esser detto, quando occorrerà e nella forma che riterremo più adeguata alle circostanze. Ciò che qui diciamo, è solo la sintesi delle conclusioni da noi tratte da certe "esperienze" assai recenti, fatte, naturalmente, su di un piano puramente intellettuale. Almeno per il momento, non è il caso di entrare, nel riguardo, in dettagli che del resto in sé stessi risulterebbero poco interessanti: ma possiamo affermare che, in quanto precede, non vi è una sola parola scritta senza avervi prima ben riflettuto. A ciò sarebbe perfettamente inutile opporre sottigliezze filosofiche che noi vogliamo ignorare; noi parliamo seriamente di cose serie e non abbiamo tempo da perdere in discussioni verbali che per noi non hanno alcun interesse; e intendiamo tenerci assolutamente fuori da ogni polemica, da ogni disputa di scuola o di partito, allo stesso modo che respingiamo recisamente ogni tentativo di applicare a noi una qualunque etichetta occidentale, non essendovene nessuna che sia al caso. Che ciò piaccia o meno a certuni, così stanno le cose e nulla, nel riguardo, può farci cambiare attitudine.

Ed ora dobbiamo fare un avvertimento anche a coloro che, per la loro capacità di una comprensione più alta, anche se non per il grado di conoscenza da essi effettivamente raggiunto, sembrano destinati a divenire gli elementi di una possibile élite. è certo che lo spirito moderno, il quale è veramente "diabolico" in ogni senso della parola, cerca con tutti i mezzi d'impedire che questi elementi, oggi isolati e dispersi, giungano alla coesione necessaria per esercitare un'azione reale sulla mentalità generale. Spetta dunque a quelli che più o meno completamente hanno già preso coscienza dello scopo verso il quale debbono tendere i loro sforzi, di non lasciarsi sviare dalle difficoltà che incontreranno, quali esse siano. Per coloro che non sono ancora giunti al punto a partir dal quale un orientamento infallibile non permette più di scostarsi dalla retta via, son sempre da temersi le deviazioni più gravi: la massima prudenza è dunque necessaria, e noi vorremmo anzi dire che essa deve spingersi fino alla diffidenza, poiché l'"avversario", che fino a quel punto non sarà ancora definitivamente vinto, sa assumere le forme più varie e talvolta più inattese. Accade spesso che quelli che credono di essere sfuggiti al "materialismo" moderno siano captati da cose che, pur sembrando opporsi ad esso, in realtà sono dello stesso ordine. Data la loro conformazione mentale, a tale riguardo occorre mettere specialmente in guardia gli Occidentali contro la suggestione che su di essi possono esercitare "fenomeni" più o meno straordinari. Da ciò derivano in massima parte gli errori "neo-spiritualisti" e si può prevedere che questo pericolo si accentuerà, le forze oscure che alimentano il disordine attuale trovando qui uno dei loro più potenti mezzi d'azione.

è perfino probabile che noi non si sia più tanto lontani dall'epoca cui si riferisce questa predizione evangelica, già da noi altrove ricordata: "Sorgeranno dei falsi Cristi e dei falsi profeti, che faranno grandi prodigi e cose stupefacenti, fino a sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti".

Gli "eletti" sono, come la parola lo indica, coloro che fan parte dell'élite intesa nella pienezza del suo vero senso: per questo - diciamolo in tale occasione - noi abbiamo usato il termine malgrado l'abuso che di esso fa il mondo "profano". Se costoro, per via della "realizzazione" interiore a cui sono giunti, non possono più venir sedotti, le cose vanno diversamente per quelli che, non avendo ancora che alcune possibilità di conoscenza, sono propriamente soltanto i "chiamati"; onde l'Evangelo dice che "molti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti". Noi entriamo in un'epoca in cui sarà particolarmente difficile "distinguere il grano dalla mala erba", effettuare realmente quel che i teologi chiamano "la discriminazione degli spiriti"; ciò, per via di manifestazioni disordinate che s'intensificheranno e moltiplicheranno, e altresì per via del difetto di vera conoscenza in coloro, la funzione normale dei quali dovrebbe essere di guidare gli altri, mentre oggi troppo spesso non sono che delle "guide cieche". Si vedrà allora se, in tali condizioni, le sottigliezze dialettiche saranno di una qualche utilità, e se una "filosofia", sia anche la migliore possibile, basterà per arrestare lo scatenamento delle "potenze infernali". Questa è un'altra ancora delle illusioni da cui alcuni debbono guardarsi; poiché vi sono troppe persone le quali, ignorando che cosa sia l'intellettualità pura, si imaginano che una conoscenza semplicemente filosofica, la quale, perfino nel migliore dei casi, è appena un'ombra della vera conoscenza, sia capace di rimediare a tutto e di attuare la rettificazione della mentalità contemporanea; allo stesso modo che vi sono altri che credono di trovare nella stessa scienza moderna un mezzo per innalzarsi a delle verità superiori, laddove questa scienza si fonda proprio sulla negazione di tali verità. Tutte queste illusioni sono altrettante cause di sviamento; una quantità di sforzi ne resta dissipata in pura perdita; ed è così che molti fra quelli che oggi vorrebbero sinceramente reagire contro lo spirito moderno sono ridotti all'impotenza, perché, non avendo saputo trovare i principi fondamentali senza di cui ogni azione è assolutamente vana, essi si lasciano trascinare in vicoli ciechi, dai quali non possono più uscire.

Coloro che riusciranno a vincere tutti questi ostacoli e a trionfare dell'ostilità di un ambiente opposto ad ogni spiritualità, saranno senza dubbio pochi; ma, ancora una volta, non è il numero che qui importa, poiché qui siamo in un campo le cui leggi sono affatto diverse da quelle della materia. Non vi è dunque ragione di disperare; e quand'anche non si potesse sperare di raggiungere un risultato sensibile prima che il mondo moderno precipiti, questo non sarebbe un motivo per non cominciare un'opera la cui portata reale va ben oltre l'epoca attuale. Coloro che fossero tentati di cedere allo scoraggiamento debbono pensare che nulla di quanto viene compiuto in quest'ordine può mai andar perduto; che il disordine, l'errore e l'oscurità possono trionfare solo in apparenza e in modo affatto momentaneo; che tutti gli squilibri parziali e transitori debbono necessariamente concorrere alla costituzione del grande equilibrio totale e che nulla potrà mai prevalere in modo definitivo contro la potenza della verità: la loro divisa sia quella adottata in altri tempi da certe organizzazioni iniziatiche dell'Occidente: Vincit omnia Veritas.

 

Da: http://www.loggia-rene-guenon.it/Sito/Guenon/Bibliografia/Libri/Testi/CrisiMondoModerno/ Prefazione.htm

 

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