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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Massimo Pacilio, Conoscenza tradizionale e sapere profano

René Guénon critico delle scienze moderne,

Padova, Edizioni di Ar, 1998, pagg. 169, lire 28.000.

di Walter Catalano

 

Proseguendo lungo la via tracciata da Piero Di Vona con la sua serie di notevoli volumi dedicati al pensiero tradizionalista e a quello di Guénon in particolare, un gruppo sempre più nutrito di studiosi si dedica con solerzia alla riflessione sui molteplici spunti offerti dagli autori del tradizionalismo integrale. I risultati positivi non mancano ed i caratteri generali del dibattito vanno finalmente perdendo quei tipici e sgradevoli toni settari o chiesastici da conventicola di primule rosse vandeane o da ospizio per cavalieri teutonici in disarmo, che hanno finora connotato la maggioranza dei frequentatori abituali di questi territori culturali. Anche una casa editrice spesso funestata dall'evolomania e dal negazionismo come la Ar propone felicemente un testo ineccepibile come quello di Massimo Pacilio, saggista che, tenendo giustamente per sé eventuali polemiche nazional-rivoluzionarie o antimoderne, si mantiene nei limiti seri e corretti della ricerca di stampo accademico.

Presentato dallo stesso Di Vona, il lavoro di Pacilio si occupa dettagliatamente delle serrate critiche guenoniane contro le scienze moderne, critiche «rivolte non solo contro quella estensione ipertrofica del metodo scientifico che fu lo 'scientismo', ma espressamente contro la pretesa della scienza moderna di autofondarsi e autoleggittimarsi come sapere autenticamente conoscitivo». Posizione intellettuale, quella di Guénon, di particolare interesse «per il suo situarsi all'interno di una concezione non laica né immediatamente riferibile ad una religione, ma facente appello a quel patrimonio, la cui origine viene considerata anteriore ai tempi storici, rappresentato dalla Tradizione».
Così il pensatore di Blois, nelle parole di Pacilio, oppone alla metafisica - intesa in senso etimologico e «facendo astrazione da tutto quanto, a partire da Aristotele, è andato sotto questo nome» -che è «scienza sacra», una «scienza profana», rivolta soltanto al «mondo della manifestazione sensibile»: due domini irrimediabilmente separati «non in conseguenza del loro oggetto proprio, quanto per la prospettiva da cui si pongono». Il «punto di vista profano» -e profano è sinonimo di moderno- rinnega la sua fondazione metafisica prima dichiarando il dominio metafisico «inconoscibile, successivamente negandone del tutto l'esistenza».

Lo studioso seleziona fra le opere guenoniane utili alla sua indagine:

  • Introduzione generale allo studio delle dottrine indù,

  • Oriente e Occidente, La crisi del mondo moderno,

  • Il regno della quantità e i segni dei tempi, e

  • I principi del calcolo infinitesimale,

testo nel quale tralascia però le ampie parti dedicate alle polemiche con i matematici contemporanei e con Leibniz, per soffermarsi unicamente sulle concezioni matematiche di Guénon volte al recupero della disciplina in senso tradizionale.

Nei primi capitoli del saggio viene delineata la contrapposizione fra una concezione tradizionale, che fonda ogni possibile conoscenza «sui principi universali della metafisica, anche quando hanno come dominio specifico quello della natura», generando quelle «scienze tradizionali» che non sono che «cambiamenti di forme» limitati al modo di espressione di una conoscenza assoluta e principiale, ma il cui nucleo resta simbolico e sintetico; ed una concezione moderna, in cui un «sapere eminentemente analitico» provoca una «dispersione nella molteplicità» e nella specializzazione frammentaria «originatasi dal rifiuto dei principi universali della metafisica».
Per Guénon in Oriente esistono ancora scienze basate sul metodo sperimentale che pure rappresentano solo un «prolungamento nel dominio del contingente» della dottrina metafisica e che non pretendono una totale indipendenza rispetto ad essa come, dopo Cartesio, è accaduto in Occidente. Questa negazione del dominio della metafisica «assurgerà a teoria sistematica con il Positivismo, con il risultato di interdire a tutti ciò che rimaneva al di fuori delle sue possibilità investigative». Anche la filosofia moderna, dopo Kant, sostituisce alla conoscenza vera e propria una «teoria della conoscenza» che «facendo coincidere tutta l'intelligenza con la ragione [...] vincola la conoscenza all'esclusiva sfera della razionalità, dichiarando [...] inconoscibile ciò che non può passare attraverso la ragione». Questa posizione filosofica «in perfetta armonia con i bisogni di una civiltà puramente materiale», inaugura un carattere che, rinnegando la «speculazione disinteressata», è «prima di tutto pratico ed utilitaristico»: lo scienziato puro diventa ingegnere, inventore, costruttore di macchine.

Ma porre nell' "esperienza" il criterio di verità comporta la decisione sul «carattere ipotetico delle teorie scientifiche» e questa decisione conduce al bivio fra dogmatismo e superstizione scientista da un lato e agnosticismo, probabilismo e pragmatismo dall'altra. Tutti i domini della conoscenza vengono così invasi da quella che Guénon chiama «fantasia individuale», in cui individualismo sta per «negazione di ogni principio superiore all'individualità, e, di conseguenza, [...] riduzione della civiltà, in tutti i domini, ai soli elementi puramente umani». La pretesa moderna che la prova sperimentale costituisca l'unico criterio di verità non è che una «superstizione del fatto» e molte scienze sperimentali moderne non sono che «residui» di scienze tradizionali.
Chimica ed astronomia, ad esempio, non rappresentano che la degenerazione e la materializzazione di alchimia ed astrologia, discipline «di ordine cosmologico» in cui la relazione fra macrocosmo e microcosmo non era ancora spezzata. L'una e l'altra deriverebbero dalla «parte inferiore» delle scienze antiche: la chimica prenderebbe avvio dalle ricerche di coloro che, incapaci di comprendere il valore metafisico dell'alchimia, si ostinavano a cercare l'oro materiale venendo chiamati con disprezzo "soffiatori" o "bruciatori di carbone" dai veri cultori della dottrina; l'astronomia da quelle dei compilatori di oroscopi e di pronostici, più che degli astrologi propriamente detti. Un identico processo degenerativo avrebbe originato la matematica e la psicologia moderne: la prima non sarebbe che la «parte puramente exoterica» della matematica pitagorica, in cui si sarebbe inserita una falsa nozione: quella di infinito matematico (in realtà indefinito, semplice estensione del finito); la seconda che avrebbe per oggetto unicamente «i fenomeni mentali come tali», considerati indipendenti da qualsiasi riferimento alla «componente spirituale dell'uomo».

Assai pericoloso, l'equivoco della psicologia porterebbe per Guénon -attraverso la nozione di subcosciente- alla sostituzione del dominio spirituale con il dominio psichico. Avviato da William James con il suo classico di sociologia della religione The Variety of Religious Experience -in cui si identificava «nel subconscio il mezzo con il quale l'uomo può entrare in comunicazione con il Divino»- questo processo sarebbe stato completato dalla psicanalisi nell'interpretazione sia freudiana che junghiana.

Scrive Pacilio: «L'irruzione del subconscio, ossia degli elementi inferiori della psiche, conferisce un carattere 'infero' alla psicanalisi stessa, la quale assume, meglio di ogni altra scienza moderna, una funzione specificatamente 'sovversiva', nel significato etimologico del termine: ossia di sostituire ciò che sta sopra con ciò che sta sotto».
A questo proposito è significativa per Guénon l'epigrafe virgiliana posta da Freud all'inizio de L'interpretazione dei sogni: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo». L'interpretazione psicanalitica dei simboli ne stravolge il significato autentico, diffondendo uno psichismo inferiore come surrogato della spiritualità. Secondo il tradizionalista francese infatti, «il simbolismo può essere riferito solo al 'superconscio', vale a dire al mezzo con cui si stabilisce una comunicazione con il sopra-umano».

In sostanza, argomenta Pacilio parafrasando Guénon,

«se la conoscenza è propriamente legata all'essenza delle cose, ovvero se qualsiasi forma di sapere è conoscenza dell'essenza, allora la scienza moderna [...] non può essere annoverata tra le forme della conoscenza, in quanto esaurisce il suo compito nel puro riferirsi alla quantità. Non ci troveremmo di fronte ad una conoscenza oggettiva, ma, come abbiamo già detto, di fronte ad una rappresentazione transeunte, il cui scopo è di carattere puramente strumentale. All'elevazione di questa pseudo-conoscenza ad unica possibilità di sapere, è corrisposta la perdita irrimediabile [...] di quella autentica intellettualità che sola garantiva un'autentica conoscenza dei principi universali della metafisica».

Sono, quelli che abbiamo ricordato, ovviamente solo alcuni dei temi e degli argomenti fra i molti proposti dal libro di Pacilio e lasciamo il piacere della scoperta del resto a chi voglia avventurarsi in prima persona nella lettura dell'esauriente volume. Un'attenta lettura che ci permetteremmo di consigliare, come necessaria ed utile, non solo a chi abbia particolare interesse per le idee guenoniane, ma ai simpatizzanti ed ai sostenitori di quella deep ecology rappresentata da autori come Goldsmith, i quali, confrontandone le innegabili analogie e le radicali differenze con il miglior pensiero tradizionalista, potrebbero forse arricchire di suggestioni e spunti ulteriori le loro già drastiche obbiezioni al paradigma scientifico e al modello tecnologico.

 

 

Da: http://www.estovest.net/letture/pacilioguenon.html

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