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Julius Evola: René Guénon, Oriente e OccidenteRené Guénon, East and
West, recensione a René Guénon, La Crise du Monde Moderne
La
nuova edizione del libro di René Guénon "La Crisi del Mondo Moderno"
offre l'opportunità di un resoconto critico delle principali idee esposte
dall'autore, che può essere di qualche interesse. Queste idee sono strettamente
connesse al problema delle relazioni tra Oriente e Occidente e al destino che
attende la nostra civiltà nel suo complesso. Esse sono del più grande interesse
in quanto Guénon dissente da tutti coloro che qualche tempo fa hanno scritto
intorno al "tramonto dell'Occidente", sulla "crisi dello spirito europeo" e così
via -tutte idee che oggi, dopo il nuovo collasso causato dal secondo conflitto
mondiale, sono riemerse con rinnovato vigore. Guénon non si occupa di casi
individuali o di reazioni confuse, né ha a che fare con la filosofia nel senso
correntemente dato a questo termine; le sue idee traggono la loro origine dalla
Tradizione, ampiamente ed impersonalmente intesa. Guénon prende come punto di partenza -e crediamo sia essenziale e possa essere accettato senza discussione- che la reale antitesi non è tra Oriente e Occidente, ma tra civiltà tradizionale e civilizzazione moderna; non è pertanto né geografica né storica, ma ha un carattere morfologico e tipologico. Possiamo invero definire come "tradizionale" un tipo universale di civiltà che è stato realizzato, anche se in varie forme e più o meno completamente, tanto in Oriente quanto in Occidente. La civiltà
"tradizionale", tutte le civiltà tradizionali, hanno dei punti metafisici di
riferimento. Sono caratterizzate dal riconoscimento di un ordine superiore a
tutto ciò che è umano e temporale; dalla presenza e dall'autorità esercitata da
élite che traggono da questo piano trascendente i principi e valori
necessari per raggiungere un più alto sistema di conoscenza, come pure per far
sorgere un'organizzazione sociale basata sul riconoscimento di principi
gerarchici e per dare all'esistenza un significato veramente profondo. In
Occidente, il Medio Evo ci offriva ancora un esempio di civiltà tradizionale
così intesa. Secondo l'opinione di
Guénon la situazione in Oriente è differente. L'Oriente conserva ancora aspetti
viventi delle "civiltà tradizionali" che altrove sono già scomparse. Guénon
ritiene che il mondo moderno possa superare la crisi di cui sta soffrendo solo
con un ritorno ad una civiltà di tipo tradizionale. Ma ciò non può nascere dal
nulla. Dato che l'Occidente ha da lungo tempo perso il contatto con le sue
passate forme tradizionali delle quali, a parte il mondo religioso inteso in
senso assai ristretto, quasi niente rimane, Guénon considera che il contatto fra
le élite dell'Occidente e i rappresentanti dello spirito tradizionale
dell'Oriente è un punto di essenziale importanza per assicurare una ripresa, per
"galvanizzare", per così dire, le forze latenti. Queste idee di Guénon, sotto i loro aspetti generali, ci sembrano del tutto accettabili e va ascritto a suo merito di formularle su linee rigorose, con una obbedienza senza compromessi alla verità e solo alla verità. Dobbiamo tuttavia fare delle riserve quando passiamo dal generale al particolare, alla prospettiva 'mondana' e ai simboli necessari per una azione effettiva. Se ci volgiamo
all'Oriente, le sue vedute devono essere aggiornate, dato che da quando è
apparsa la prima edizione del suo libro, molte cose sono cambiate, e cambiate
rapidamente. Diviene ogni giorno più evidente che l'Oriente stesso, inteso come
rappresentante la civiltà tradizionale, sta passando attraverso una crisi. La
Cina non rientra più nel quadro. In India le
correnti nazionalistiche e modernistiche stanno regolarmente guadagnando
terreno. Nei paesi arabi e perfino nel Tibet
regna la confusione. Così gran parte dell'Oriente di Guénon sembra divenire una
cosa del passato e quei settori dell'Oriente nei quali lo spirito tradizionale
ancora sopravvive grazie ad una continuità ininterrotta e che potrebbero
adempiere alla funzione cui ci siamo sopra riferiti, andrebbero trovati, ammesso
che ancora si trovino, in qualche piccolo e piuttosto esclusivo gruppo di nobili
spiriti, destinati dal corso degli eventi a svolgere un ruolo sempre più piccolo
nei destini storici dei loro popoli. È da sperare che almeno questi piccoli
gruppi riescano a rimanere immuni dalle influenze modernizzanti alle quali,
purtroppo, la maggior parte degli Orientali, che cercano di far conoscere in
Europa o in America l'uno o l'altro degli aspetti della loro civiltà, hanno
ceduto. Altrimenti i problemi, come sono posti da Guénon, saranno privati del
loro termine più importante. E qui conviene fare alcune considerazioni sulle leggi cicliche che hanno una parte così importante nell'insegnamento tradizionale, e alle quali Guénon stesso fa frequente riferimento. In contrasto con i miti ottimistici e progressisti dei secoli XVII e XVIII, queste leggi parlano di una graduale perdita di spiritualità e tradizione tanto maggiore quanto più ci si allontani dal punto di partenza; e tutti i caratteri negativi e critici della civiltà moderna sono giustificati dal fatto che corrispondono all'ultima fase di un ciclo, alla fase conosciuta in India come l'"età oscura", Kali-Yuga, descritta molti secoli fa in termini che riflettono in una maniera sorprendente la fisionomia dell'Occidente attuale. Si può dire che
l'Occidente è ora l'epicentro dell'"età oscura". Siccome però queste leggi hanno
una portata generale non possiamo escludere che un domani possa essere trovata
una soluzione del tutto particolare per le relazioni fra Oriente e Occidente.
Dato che noi Occidentali siamo avanzati molto rapidamente nel cammino verso il
basso, siamo anche più vicini al punto terminale del ciclo presente e questo
significa che siamo anche più vicini al punto di partenza di altre civiltà in
cui le forme tradizionali ancora sopravvivono. Siamo d'altronde legittimati a
pensare che, in obbedienza a tali leggi, l'Oriente dovrà percorrere la nostra
stessa Via Crucis, e con un passo ancora più veloce - si pensi solo
alla Cina! L'intero problema consisterà così nel vedere se le forze occidentali
riusciranno a condurci al di là della crisi; al di là del punto zero del ciclo.
Se così sarà, potrebbe ben succedere che l'Oriente si troverà al punto in cui
sta oggi l'Occidente quando quest'ultimo sarà già passato oltre l'"età oscura";
i rapporti fra i due sarebbero così invertiti. Nel considerare la possibilità di ricostruire l'Occidente su direttive che potrebbero non solo salvarlo dalla catastrofe, ma perfino porlo a capo del movimento storico quando le forze di un nuovo periodo ciclico saranno messe in movimento, una quistione di principio deve essere affrontata quando si esamina lo specifico punto di vista assunto da Guénon. Egli reputa che una delle cause della crisi del mondo moderno sia da trovarsi nella negazione teorica e pratica della priorità che deve essere data alla conoscenza, alla contemplazione e alla pura intellettualità sull'azione. Guénon dà in realtà a questi termini un significato che differisce ampiamente da quello usuale. Egli li usa per esprimere attività spirituali correlate all'ordine trascendente di quei puri principi metafisici, che hanno da sempre costituito il fondamento permanente per ogni tradizione sana. È pure ovvio che non si può sollevare alcuna obiezione alla priorità asserita, qualora per azione, si intenda attività disordinata, non illuminata e senza fini determinati, dominata esclusivamente da considerazioni contingenti e materiali, miranti solo a conseguimenti mondani, che ora è l'unica forma di azione che la civiltà moderna riconosce ed ammira. Ma se è considerata la pura dottrina, allora il caso è ben diverso. Bisogna ricordare che contemplazione -o pura conoscenza- e azione sono sempre state messe in relazione, la prima alla casta sacerdotale, la seconda a quella guerriera o regale (brâhman e kshâtram, per usare i termini indù). La contemplazione è un simbolo specificamente religioso-sacerdotaIe, mentre l'azione e il simbolo del guerriero e del re. Detto questo, dobbiamo
rifarci ad un insegnamento che Guénon stesso riferisce in più di una occasione,
cioè che questa dualità di dignità non esisteva all'inizio: i due poteri
erano assorbiti in un vertice che era ad un tempo regale e sacerdotale. L'antica
Cina, il primo periodo ariano indù, l'Iran, la Grecia arcaica, l'Egitto, la Roma
delle origini e poi la Roma imperiale, il Califfato, e così via, tutte civiltà
che parlano di ciò. È come risultato di regressione e degenerazione che le due
dignità si separarono e furono spesso perfino in lotta, come effetto di un
reciproco disconoscimento. Ma stando così le cose, nessuna delle due direzioni
può reclamare l'assoluta priorità sull'altra. Tutte e due sono sorte nella
stessa maniera e tutte e due si sono allontanate molto dall'ideale originale e
dallo stato tradizionale: e se noi avessimo come proposito la restaurazione,
sotto qualche forma di questo vertice, ognuno dei due elementi, quello
sacerdotale-contemplativo, o quello guerriero-attivo, potrebbe essere preso come
pietra di fondamento e punto di partenza. In tal caso l'azione non dovrebbe
essere certo interpretata in senso moderno, ma in senso tradizionale, quello
della Bhagavad-Gita, o nello Jihad islamico, o negli ordini
ascetici di cavalleria del Medio Evo occidentale. Non può esserci alcun
dubbio che il mondo occidentale e l'uomo occidentale siano caratterizzati dalla
priorità data all'azione; Guénon stesso lo ammette. Ora, se la tradizione nel
suo senso universale è una nella sua essenza metafisica non umana, questa
ammette nondimeno varie forme corrispondenti alle diverse attitudini e alle
qualificazioni prevalenti dei popoli e delle società. Ora, in primo luogo Guénon
non riesce a spiegare la sua asserzione che l'unica forma di tradizione che
fosse accettabile per l'Occidente avesse un carattere religioso, vale a dire,
nel caso migliore diretto verso la contemplazione come suo ideale. Su questo
punto i fatti possono essere accertati, ma non si può parlare della forma
tradizionale più adatta allo specifico carattere degli Occidentali che sono
maggiormente inclini all'azione e che in assenza di una tradizione che
trasfigurasse e integrasse gli ideali dell'azione, hanno degradato quest'ultima
alle espressioni materialistiche e selvagge che tutti conosciamo. Ma anche se consideriamo il futuro, cioè la possibilità di una restaurazione dell'Occidente su linee tradizionali, sorge la stessa quistione. Se l'Occidente è incline all'azione, allora l'azione deve essere il punto di partenza e ci si deve guardare dallo stigmatizzare come eretico ed antitradizionale tutto ciò che non si basa sulla premessa della priorità sull'azione della contemplazione e della conoscenza unilateralmente interpretata. Si dovrebbero invece studiare forme di civiltà che pur essendo tradizionali, pur accordando importanza a tutto ciò che ha un carattere metafisico e non esclusivamente umano, hanno tuttavia alla loro base simboli presi dal mondo dell'azione. Solo una tradizione di questo tipo potrebbe avere una presa reale sulle nazioni dell'Occidente e fornire loro qualcosa di organico, di congeniale ed efficace. È strano che nei numerosi riferimenti alle civiltà orientali, Guénon ignora praticamente il Giappone. Ciò è ancora il risultato della sua "equazione personale", della sua mancanza di simpatia e comprensione di civiltà in cui l'interpretazione brahmanico-sacerdotale della tradizione non predomina. Ma è il Giappone che fino a ieri ci offriva l'esempio più interessante di una civiltà che si è modernizzata all'esterno come mezzo per un fine di difesa e offesa, ma che nella sua essenza era fedele ad una tradizione millenaria che apparteneva a un tipo regale e guerriero e non a quello contemplativo. La casta dei Samurai era la sua spina dorsale, una casta in cui i simboli dell'azione non escludevano ma piuttosto postulavano degli elementi di un carattere sacro e talvolta perfino iniziatico. Con tutte le numerose differenze che li dividono, questo schema di civiltà aveva rapporti visibili con quello del Sacro Romano Impero e non può esserci alcun dubbio che se l'uomo occidentale dovesse rivivificare per sé una vocazione superiore, tradizionale, ideali di questa sorta, debitamente adattati e purificati, lo attirerebbero molto di più di quelli di tipo contemplativo e di pura conoscenza. Guénon usa
l'espressione élite intellectuelle in riferimento a
coloro che nell'Occidente dovrebbero organizzare - sia indipendentemente sia in
collaborazione con esponenti dell'Oriente ancora tradizionale - e gradualmente
suscitare un cambiamento nella mentalità, per fermare il processo di
dissoluzione prima che questo completi il suo fatale ed irrevocabile progredire
attraverso l'intero mondo moderno.
Da: http://www.estovest.net/testi/evolamoderno.html
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