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Estratto da La metafisica orientale (René Guénon)
Ho scelto come argomento di questa esposizione la metafisica orientale; forse sarebbe stato meglio dire semplicemente la metafisica senza qualificativi perché, in verità, la metafisica pura, per sua essenza al di fuori e al di là di tutte le forme e di tutte le contingenze, non è né orientale né occidentale: è universale. Sono soltanto le forme esteriori di cui essa è rivestita per necessità di esposizione, per esprimerne ciò che è esprimibile, sono tali forme che possono essere o orientali o occidentali; ma, sotto la loro diversità, è un fondo identico che si ritrova dappertutto e sempre, dovunque, per lo meno, ci sia metafisica vera, e questo per la semplice ragione che la verità è una. Se le cose stanno così, perché parlare più particolarmente di metafisica orientale? Il fatto è che nelle condizioni in cui si trova attualmente il mondo occidentale, la metafisica, in esso, è cosa dimenticata, in generale ignorata, perduta quasi interamente, mentre in Oriente essa è sempre oggetto di una conoscenza effettiva. Se si vuol sapere che cos'è la metafisica è perciò all'Oriente che ci si deve rivolgere; e anche quando si voglia ritrovare qualcosa delle antiche tradizioni metafisiche che hanno potuto esistere in Occidente, in un Occidente che, sotto molti aspetti, era allora singolarmente più vicino all'Oriente di quanto non sia oggi, è soprattutto con l'aiuto delle dottrine orientali e per confronto con queste ultime che si potrà riuscire a farlo, giacché tali dottrine sono le sole che, nel campo della metafisica, possano ancora essere studiate in modo diretto. Sennonché, a questo fine, è chiaramente evidente che occorre studiarle come fanno gli Orientali stessi, e non abbandonandosi a interpretazioni più o meno ipotetiche e talvolta del tutto fantasiose; troppo spesso si dimentica che le civiltà orientali esistono sempre e hanno ancora dei rappresentanti qualificati, dai quali sarebbe sufficiente informarsi per sapere veramente di cosa si tratti. Ho detto metafisica orientale, e non unicamente metafisica indù, perché le dottrine di questo tipo, con tutto quel che implicano, non si incontrano soltanto in India, contrariamente a ciò che qualcuno sembra credere, qualcuno che del resto non si rende ben conto della loro vera natura. Il caso dell'India non è affatto eccezionale, sotto questo riguardo; esso è esattamente quello di tutte le civiltà che possiedano quella che potrebbe esser detta una base tradizionale. A essere eccezionali e anormali sono al contrarlo le civiltà che di tale base siano sprovviste; e, a dire il vero, di simili civiltà noi non ne conosciamo che una, la civiltà occidentale moderna. Per tenere soltanto conto delle principali civiltà dell'Oriente, l'equivalente della metafisica indù si trova, in Cina, nel taoismo; esso si trova anche, d'altro canto, in certe scuole esoteriche dell'Islâm (occorre però capire chiaramente che tale esoterismo islamico non ha nulla in comune con la filosofia esteriore degli arabi, la cui ispirazione è greca per la sua maggior parte). La sola differenza è che, dappertutto all'infuori dell'India, queste dottrine sono riservate a un'élite più ristretta e più chiusa; è quel che avvenne anche in Occidente, nel medioevo, di un esoterismo piuttosto simile a quello dell'Islâm sotto più di un aspetto, esoterismo che era anch'esso altrettanto puramente metafisico quanto quest'ultimo, ma del quale i moderni, nella loro maggioranza, non sospettano neppure più l'esistenza. In India non si può parlare di esoterismo nel senso proprio della parola, perché in essa non si trova una dottrina a due volti, uno exoterico e uno esoterico; in India si può solo parlare di un esoterismo naturale, nel senso che ognuno approfondirà la dottrina di più o di meno, e andrà più o meno lontano secondo la misura delle sue proprie possibilità intellettuali, giacché per certe individualità umane esistono limitazioni che sono inerenti alla loro stessa natura e che è loro impossibile superare. Naturalmente le forme cambiano da una civiltà all'altra, poiché esse devono adattarsi a condizioni differenti; sennonché, pur essendo maggiormente abituato alle forme indù, non provo nessun scrupolo a servirmi di altre quando ciò sia necessario, se si verifica cioè che esse possano essere d'aiuto alla comprensione di certi punti; in un fatto come questo non vediamo inconvenienti, giacché in fondo non si tratta che di espressioni diverse della stessa cosa. Una volta ancora, la verità è una ed essa è la stessa per tutti coloro che, per un qualunque cammino, siano pervenuti alla sua conoscenza. Detto questo, è opportuno che ci si intenda sul significato da dare qui alla parola "metafisica", e ciò avrà tanto maggiore importanza in quanto ho spesso avuto occasione di constatare che non tutti la comprendono nello stesso modo. Io penso che la miglior cosa da fare, di fronte a parole che possono dar luogo a qualche equivoco, sia di restituir loro, per quanto possibile, il loro significato originario ed etimologico. Ora, stando alla sua composizione, la parola "metafisica" significa letteralmente "di là dalla fisica", intendendo "fisica" nell'accezione che tale termine aveva sempre avuto per gli antichi, accezione che è quella di "scienza della natura" in tutta la sua generalità. La fisica è lo studio di tutto quel che appartiene all'ambito della natura; ciò che riguarda la metafisica è quel che è di là dalla natura. Come si spiega, perciò, che alcuni possano sostenere che la conoscenza metafisica è una conoscenza naturale, sia per quel che riguarda il suo oggetto, sia per quel che concerne le facoltà per mezzo delle quali essa è ottenuta? è questo un vero e proprio controsenso, una contraddizione in termini; e tuttavia - cosa più stupefacente ancora - capita che simile confusione sia perpetrata da coloro stessi che dovrebbero aver conservato qualche idea della vera metafisica e dovrebbero saperla distinguere più chiaramente dalla pseudo-metafisica dei filosofi moderni. Ma, si dirà forse, se la parola "metafisica" si presta a confusioni del genere, non sarebbe meglio rinunciare a servirsene, sostituendola con un'altra che abbia meno inconvenienti? In verità ciò sarebbe inopportuno, poiché, a motivo della sua formazione, tale parola si adatta perfettamente a ciò a cui si applica; ed è inoltre pressoché impossibile, inteso che le lingue occidentali non possiedono nessun altro termine che si presti così bene a quest'uso. Di servirsi semplicemente della parola "conoscenza", come si fa in India, trattandosi in effetti della conoscenza per eccellenza, la sola che sia assolutamente degna di tal nome, non c'è neppure da pensarci, giacché la cosa sarebbe ancora meno chiara per degli Occidentali, abituati, in quanto a conoscenza, a non tener conto di nulla che non rientri nell'ambito scientifico e razionale. E inoltre, è forse necessario preoccuparsi tanto dell'abuso che di una parola è stato fatto? Se si dovessero scartare tutte quelle che si trovano in questo stesso caso, quante ne rimarrebbero ancora a nostra disposizione? Non basta forse che si prendano le precauzioni necessarie per evitare errori e malintesi? Non è che noi teniamo alla parola "metafisica" più di quanto non teniamo a qualsiasi altra parola; sennonché, fino a che non ci venga proposto un termine migliore per sostituirla, continueremo a servircene come abbiamo fatto finora. Sfortunatamente c'è gente che ha la pretesa di "giudicare" quel che non conosce, e poiché costoro assegnano il nome di "metafisica" a una conoscenza puramente umana e razionale (il che per noi è soltanto scienza o filosofia), immaginano che la metafisica orientale non sia niente di più né d'altro se non questo, dal che traggono logicamente la conclusione che la metafisica non può portare a questi o a quegli altri risultati. E tuttavia essa a simili risultati effettivamente conduce, ma proprio perché è cosa del tutto diversa da quel che presumono loro; tutto quel che essi prendono in considerazione non ha veramente nulla di metafisico dal momento che si tratta soltanto di una conoscenza d'ordine naturale, di un sapere profano ed esteriore; non è affatto di questo che noi intendiamo parlare. Vorremmo dunque intendere "metafisica" come un sinonimo di "soprannaturale"? Accetteremmo molto volentieri un accostamento simile, giacché, finché non si oltrepassi la natura, ossia il mondo manifestato in tutta la sua estensione (e non il solo mondo sensibile che di esso è soltanto un elemento infinitesimale), si è ancora nell'ambito della fisica; quel che è metafisico è - come già abbiamo detto - quel che è al di là e al di sopra della natura, ed è perciò propriamente ciò che è "soprannaturale". Ma qui si avanzerà indubbiamente un'obiezione: è quindi possibile andare in tal modo al di là della natura? Non esiteremo a rispondere in modo nettissimo: non solo ciò è possibile, ma ciò è. Questa non è però che un'affermazione, si dirà ancora; quali sono le prove che se ne possono dare? è veramente strano che si chieda di provare la possibilità di una conoscenza invece di cercare di rendersene conto da se stessi facendo il lavoro necessario per acquisirla. Per chi possieda simile conoscenza, quale interesse e quale valore possono avere tutte queste discussioni? Il fatto di sostituire la conoscenza in sé e per sé con la "teoria della conoscenza" è forse la più bella ammissione di impotenza della filosofia moderna. Del resto c'è in ogni certezza qualcosa di incomunicabile; nessuno può arrivare realmente a una qualsiasi conoscenza se non mediante uno sforzo strettamente personale, e tutto quel che un altro può fare è fornire l'occasione e indicare i mezzi per giungervi. è questa la ragione per cui sarebbe vano pretendere, in campo puramente intellettuale, di imporre una convinzione qualsivoglia; l'argomentazione migliore non potrebbe, a tal riguardo, sostituirsi alla conoscenza diretta ed effettiva. Ora, la metafisica quale noi l'intendiamo può essere definita? No, perché definire significa sempre limitare, e ciò di cui è questione è, in sé, veramente e assolutamente illimitato e per questa ragione non può lasciarsi rinchiudere in nessuna formula o in nessun sistema. In certo qual modo la metafisica può essere caratterizzata, ad esempio dicendo che essa è la conoscenza dei principi universali; ma non si tratta allora di una vera e propria definizione, e del resto tale caratterizzazione può darne solo un'idea abbastanza vaga. Vi aggiungeremo qualcosa se diciamo che l'ambito dei principi è molto più vasto di quanto non abbiano pensato certi Occidentali che hanno a ogni buon conto fatto della metafisica, ma in un modo parziale e incompleto. Così, quando Aristotele vedeva la metafisica come la conoscenza dell'essere in quanto essere, egli la faceva simile all'ontologia, assumeva, cioè, la parte per il tutto. Per la metafisica orientale l'essere puro non è né il primo né il più universale dei principi, poiché è già una determinazione; occorre perciò andare di là dall'essere e, anzi, è questo quel che più importa. Questa è la ragione per cui, in ogni concezione veramente metafisica, occorre sempre tener presente il posto che ha l'inesprimibile; anzi, tutto quel che si può esprimere non è letteralmente nulla nei confronti di ciò che oltrepassa qualsiasi espressione, così come il finito, qualunque sia la sua grandezza, è nullo nei riguardi dell'Infinito. Molto più che esprimere si può suggerire, e di tal tipo è il ruolo che in questo campo adempiono le forme esteriori; tutte queste forme, si tratti di parole o si tratti di simboli di qualunque genere, costituiscono soltanto un supporto, un punto d'appoggio per elevarsi a possibilità di concezione che le sopravanzano senza paragone; torneremo più avanti sull'argomento.
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