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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Piero Di Vona, René Guénon contro l'Occidente

Il Cerchio, Rimini 1998, pagg. 122, lire 25.000.

di Walter Catalano

da «Diorama Letterario», n. 215, giugno 1998.

 

 

«L'avversione per la metafisica è uno degli aspetti fondamentali che definiscono la filosofia contemporanea. Questo suo aspetto è l'immagine oscura ed il riflesso negativo, nei quali si rispecchiano le aspirazioni profonde del pensiero contemporaneo, e la sua radicale incapacità di soddisfarle. In quest'avversione si annida la dimenticanza di ciò che sia e sia stata quella scienza che si chiama ontologia».

Queste sono le premesse da cui Piero Di Vona parte per il suo secondo libro dedicato ai delicati rapporti di opposizione e di affinità che il pensiero di René Guénon intrattiene con la tradizione dell'ontologia occidentale, tanto gloriosa quanto poco conosciuta e studiata. Se in René Guénon e la metafisica (Sear, 1987), di cui ci siamo già occupati su queste pagine, Di Vona tracciava un'analisi precisa e circostanziata delle relazioni e dei debiti contratti dalle complesse concezioni guenoniane nei confronti della tradizione filosofica occidentale, soprattutto moderna, in questo suo secondo lavoro lo studioso ripercorre, in modo più sintetico e divulgativo, un analogo itinerario.

Lontano dalla dedizione e dal rispetto reverenziale a lui tributato da sodali e seguaci -patriarca del tradizionalismo, autorità indiscussa e indiscutibile che pontifica dall'alto del suo ipse dixit- Guénon assume per Di Vona sembianze assai meno ieratiche: la sua ammissione tra i filosofi «è un fatto recentissimo, che lui non avrebbe gradito e non tutti i competenti sono disposti ad accettare». Come filosofo dunque, Guénon si riduce a depositario di un paradigma, di una possibile interpretazione del mondo, ma non dell'unica, dell'assoluta verità; come filosofo, Guénon è passibile di critiche e confutazioni.

La visione guenoniana della metafisica occidentale non è sostenuta, secondo Di Vona, da una conoscenza sufficientemente approfondita dell'ontologia, essendosi egli accontentato «di quella conoscenza dell'ontologia che poteva essergli offerta dalla cultura del nostro tempo» e non avendo «potuto o voluto approfondire e correggere le sue conoscenze per la sua avversione a frequentare le biblioteche pubbliche». Per verificare la fondatezza dell'accusa di Guénon contro l'ontologia occidentale -accusa secondo cui questa si limiterebbe allo studio dell'essere, studio per di più unicamente teorico e pertanto incapace di produrre una «realizzazione metafisica», e da cui deriverebbe la susseguente, globale critica di Guénon alla civiltà occidentale:

«ha una fondamentale importanza comprendere e stabilire con quanta ampiezza e con quale profondità questo scrittore francese conoscesse l'ontologia occidentale nelle sue dottrine teoriche. Solamente questa indagine può permettere di stabilire con certezza se le idee che Guénon pretende siano superiori e di maggiore dignità speculativa e metafisica rispetto al concetto di ente dell'ontologia occidentale, meritino davvero tanta considerazione e trascendano il concetto di ente, come Guénon sostiene. Tali idee, che Guénon ritiene proprie delle metafisiche orientali, sono quelle della non dualità, dell'infinito, della possibilità universale, del non essere e del cosiddetto zero metafisico».

Come ha sempre fatto anche nei suoi studi precedenti, Di Vona puntualizza scrupolosamente il suo fermo rifiuto «di trattare e di discutere della realizzazione metafisica e dell'iniziazione. [...] Noi sappiamo di essere un semplice studioso, e non vogliamo negare per questo e per principio che all'uomo possano aprirsi certe possibilità, cui in modo tanto frequente quanto inopportuno si riferiscono i cultori di discipline magiche e di dottrine dette esoteriche. Ma proprio per questo riteniamo che su certi argomenti sia di rigore un riserbo assoluto».

Per poter svolgere la sua analisi partendo da basi solide e corrette, Di Vona nel primo capitolo del libro riassume, in modo rapido ma preciso, i concetti fondamentali, la definizione e la storia dell'ontologia occidentale. Ignorata dai filosofi antichi e dai teologi medioevali e inventata solo nel secolo XVII, la parola ontologia è il nome moderno di una scienza antica che risale al IV libro della Metafisica di Aristotele in cui si teorizza di «una scienza dell'ente in quanto ente e delle proprietà che spettano ad esso per se stesso». In paragrafi brevi ed incisivi, Di Vona ripercorre gli elementi basilari della disciplina: il significato della parola ente, la dottrina dei concetti trascendenti, le teorie sull'univocità e sull'analogia dell'ente, ecc. Alla fine del capitolo, anche il lettore meno edotto in materia ha sufficientemente chiari i termini del problema e può sostenere il confronto con gli argomenti e le confutazioni di e contro Guénon.

Il secondo capitolo è infatti dedicato interamente alla critica rivolta da Guénon all'ontologia occidentale, critica che «è rimasta immutata ed uniforme durante tutto il corso della sua vita intellettuale». Per il tradizionalista di Blois, l'Antichità ed il Medioevo possedettero in una certa misura quella metafisica vera che il pensiero moderno avrebbe irrimediabilmente perduto, ma gli Occidentali confusero sempre filosofia e metafisica, ed i Medievali subordinarono indebitamente quest'ultima alla teologia. Inoltre, per metafisica in Occidente si è sempre inteso essenzialmente ontologia, cioè dottrina dell'essere, senza mai considerare ciò che «sta oltre e al di là dell'essere». Per Guénon l'essere è solo «la prima affermazione e la prima determinazione». L'uso della parola essere per indicare anche ciò che trascende l'essere -necessità causata dai limiti dello stesso linguaggio umano- ha un significato unicamente «analogico e simbolico». Per «stati molteplici dell'essere», Guénon intende dunque una moltitudine di ordine completamente diverso dalla «molteplicità soltanto aritmetica, numerica e quantitativa». I debiti espliciti verso la dottrina della multitudo trascendens di S. Tommaso d'Aquino, del resto mai nascosti da Guénon, si uniscono alle critiche contro gli Scolastici (la riduzione della metafisica ad ontologia) ed alle polemiche contro il neo-tomismo, «tentativo di adattamento del Tomismo non privo di gravi concessioni alle idee moderne anche presso coloro che si proclamano volentieri antimoderni» (il colpo è vibrato in particolare contro Maritain).

Il terzo capitolo esamina in dettaglio le concezioni metafisiche di Guénon: prima fra tutte che il principio supremo di tutte le cose, inesprimibile ed incomunicabile ma non inconoscibile, non è l'essere. Seguendo il Vedanta non dualista secondo la dottrina di Samkara, Guénon fa sua la formula «Brahma è la Verità, la Conoscenza, l'Infinito». Per Di Vona «del Vedanta egli diede un'interpretazione personalistica che certo andava incontro alle molte correnti personalistiche del presente e del passato secolo». Ma, chiarisce Di Vona, «mettersi dalla parte della metafisica per Guénon significa porsi al di là dello spirito e della materia [...] al di là di ogni dualismo e di ogni monismo», assumere la dottrina della non dualità (adwaita vada).

«Questa non riduce più un termine di una contrapposizione all'altro, ma considera i due termini contrapposti nell'unità di un principio comune ed universale che li contiene entrambi, non più come opposti, ma come complementari».

Oltre al Vedanta, Di Vona identifica un altro antecedente di questa idea fondamentale: «molto più modestamente questa dottrina non è che l'interpretazione data della dialettica hegeliana da parte di un filosofo francese contemporaneo a Guénon: Octave Hamelin». Un «legame inconfessato», quello con la dialettica hegeliana, cui Di Vona riconduce anche l'idea guenoniana di infinito:

«la negazione di ogni determinazione equivale all'affermazione assoluta e totale, dichiara Guénon, riprendendo tacitamente pensieri ben moderni e comunemente noti di Spinoza e di Hegel, senza che ci sia bisogno di risalire più indietro fino allo Pseudo Dionigi ed al Neoplatonismo».

L'essere per Guénon, in quanto principio della manifestazione, prima determinazione, non può coincidere con l'infinito: «Egli fa rientrare nell'Essere solamente le possibilità di manifestazione considerate nell'attualità del loro manifestarsi. Fuori dall'Essere c'è tutto il resto. Ma questo resto è ciò che più conta». L'essere dunque «non può essere manifestato ed è in se stesso immanifestato», «L'Essere è il Non-essere affermato».

Da qui ci proiettiamo al quarto capitolo conclusivo, in cui Di Vona, confutando molti argomenti guenoniani, prende le difese dell'ontologia. Uno dei principali punti deboli delle vedute che Guénon «adorna di un preteso linguaggio taoista», secondo Di Vona, è il concetto che l'essere sia in se stesso immanifestato: questo equivarrebbe a dire «che l'essere non può mai essere constatato e constatabile in nessuna esperienza possibile. Ora, che l'essere, quello che è notissimo ad ogni mente e che è più manifesto di ogni altra cosa, sia immanifestato nel suo principio, e per di più non sia nemmeno infinito, è un'affermazione ben strana e singolare». Evidenziando altri aspetti non troppo solidi delle dottrine sull'essere di Guénon, Di Vona giunge ad affermare:

«Sia che le confusioni che abbiamo illustrato fossero inconsapevoli, sia che fossero volute, è certo che Guénon aveva un'idea molto vaga ed imprecisa di che cosa fosse veramente la trascendenza dell'ente, e delle sue proprietà trascendentali: questa idea non gli permetteva veramente di comprendere la profonda dottrina scolastica della trascendenza del concetto di ente».

Anche riguardo al senso «analogico e simbolico», attribuito da Guénon alla parola essere, quando questa è usata per designare anche l'immanifestato, questa «analogia» è molto lontana dalle complesse teorie sull'analogia dell'ente dibattute dai teorici dell'ontologia.
L'analogia per Guénon

«va compresa sempre in senso inverso [...] nel senso di un detto della Tabula Smaragdina, capitale testo della tradizione alchemica occidentale. Questo testo dice che ciò che in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto. L'idea che ebbe Guénon dell'analogia ci riporta per questa via all'uso che si faceva nell'occultismo del suo tempo di certi testi presi dall'alchimia».

Quello che Guénon chiama non-Essere, zero metafisico, possibilità universale,

«non ci presenta che una tra le tante varianti di processo neoplatonico, che appartengono anche alla cultura del nostro tempo, con l'aggravante che quella di Guénon appare ripresa dall'occultismo contemporaneo. Basta ricordarsi dell'Enciclopedia di Hegel e di certi sistemi neohegeliani per ritrovare il terreno ottocentesco, sul quale, insieme con altre, è sbocciata la teoria guenoniana del processo metafisico».

Di Vona conclude la sua brillante trattazione affermando che non sia tanto l'ontologia occidentale ad essere parziale ed incompleta, quanto la visione che ne ebbe Guénon: visione perfettamente univoca con quella attinta

«dalla cultura media del suo tempo e dei filosofi del suo tempo. [...] Questa non è certo una colpa di Guénon, ma della cultura moderna e contemporanea [...] l'aver lasciato che la scienza dell'ontologia [...] per un malinteso senso di modernità sia rimasta dimenticata e sepolta per i secoli posteriori al Settecento».

Non resta altro, a questo punto, che augurarci, per amore del dibattito e del confronto delle idee, che qualche esponente dell'«ortodossia guenoniana», qualche tradizionalista toccato nel vivo, raccolga garbatamente la sfida intellettuale di Di Vona e, con altrettanta competenza e chiarezza, prenda le difese di Guénon confutando sullo stesso terreno le argomentazioni del filosofo napoletano. Sarebbe una querelle appassionante.

 

 

Da: http://www.estovest.net/letture/divonaoccidente.html

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