"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
La concezione corrente, secondo cui lo spirito risiede in
qualche modo nel corpo, non può che sembrare molto strana a chiunque possieda
anche soltanto le più elementari nozioni di metafisica, non solo perché lo
spirito non può essere «localizzato », ma perché, anche se si tratta solo di un
«modo di dire» più o meno simbolico, è evidente in esso l' illogicità ed il
capovolgimento dei rapporti normali. In effetti, lo spirito non è altro che Atma,
il principio di tutti gli stati dell' essere in tutti i gradi della sua
manifestazione; orbene, tutte le cose sono necessariamente contenute nel loro
principio, e in realtà non possono in alcun modo esserne fuori, né tanto meno
rinchiuderlo nei loro limiti; sono dunque tutti questi stati dell' essere, e per
conseguenza anche il corpo che è semplicemente una modalità d' uno di questi, a
dover essere in definitiva contenuti nello spirito, e non viceversa: Il «meno»
non può contenere il «più », né tanto meno produrlo, il che è d' altronde
applicabile a diversi livelli, come vedremo in seguito; ma consideriamo per il
momento il caso estremo, quello che concerne il rapporto tra il principio stesso
dell' essere e la modalità più ristretta della sua manifestazione individuale
umana. A tutta prima si potrebbe essere tentati di concludere che la concezione
corrente sia dovuta unicamente ad ignoranza da parte della grande maggioranza
degli uomini, e corrisponda ad un semplice errore di linguaggio ripetuto senza
riflettere per la forza dell'abitudine; ma la questione non è cosi semplice, e
questo errore, se errore esiste, ha ragioni ben più profonde di quanto a prima
vista si potrebbe credere.
A queste considerazioni, bisogna premettere che l' immagine spaziale del
«contenente» e del «contenuto » non deve essere presa alla lettera, poiché uno
solo di questi due termini, il corpo, possiede effettivamente il carattere
spaziale, lo spazio non essendo niente altro che una delle condizioni proprie
dell' esistenza corporea. L' impiego del simbolismo spaziale e di quello
temporale, come abbiamo ripetutamente spiegato, non solo è legittimo, ma anche
inevitabile, in quanto necessariamente dobbiamo servirci d' un linguaggio il
quale, essendo quello dell' uomo corporeo, è anch' esso sottoposto alle
condizioni determinanti l' esistenza di quest' ultimo come tale: basta aver
sempre presente che tutto quanto non appartiene al mondo corporeo non può
essere, in realtà, né nello spazio né nel tempo... Secondo la dottrina indù, si
sa infatti che jivatma, il quale è in realtà Atma stesso, ma
considerato nel suo rapporto con l' individualità umana, risiede nel centro di
questa ed è rappresentato simbolicamente dal cuore; ciò non vuole affatto dire
che jivatma sia racchiuso nell' organo corporeo che porta questo nome,
o in un organo sottile corrispondente; implica invece che, in un certo senso,
sia situato nell' individualità, e più precisamente nella parte più centrale di
questa. Atma non può essere veramente né manifestato né
individualizzato e, a maggior ragione, non può essere incorporato; e tuttavia,
in quanto jivatma, appare come se fosse individualizzato e incorporato;
evidentemente questa apparenza non può essere che illusoria riguardo ad Atma, e
nondimeno ha una sua esistenza da ,un certo punto di vista, quello stesso punto
di vista, proprio della manifestazione individuale umana, per cui jivatma
sembra essere distinto da Atma. È dunque da questo punto di vista che si può
dire che lo spirito è situato
nell' individuo; e inoltre si potrà dire che è situato nel corpo, a condizione
di non scorgervi una «localizzazione» in senso letterale, se lo si considera dal
punto di vista più particolare della modalità corporea di tale individualità;
non si tratta dunque d' un vero e proprio errore, ma solamente dell' espressione
d' una illusione che, pure essendo tale se riferita alla realtà assoluta,
corrisponde tuttavia ad un certo grado della realtà, quello stesso degli stati
di manifestazione ai quali detta illusione si riferisce, e che diventa errore
solo quando si ha la pretesa di applicarla alla concezione dell' essere totale,
come se il principio stesso di quest' ultimo potesse essere influenzato o
modificato da uno dei suoi stati contingenti.
Abbiamo finora fatto una distinzione tra la modalità corporea dell'
individualità e l' individualità integrale, quest' ultima comprendente anche
tutte le modalità sottili; e, a questo proposito, possiamo aggiungere un'
osservazione la quale, benché accessoria, aiuterà senza dubbio a comprendere ciò
che principalmente abbiamo in vista. All' uomo ordinario, la cui coscienza è in
qualche modo «sveglia» unicamente nella modalità corporea, tutto ciò che più o
meno oscuramente viene percepito delle modalità sottili, appare come incluso nel
corpo, perché questa percezione corrisponde solo al rapporto che quelle hanno
con questo, piuttosto che a ciò che sono in se stesse; in realtà, le modalità
sottili non possono essere contenute nel corpo e venir condizionate dai suoi
limiti, anzitutto perché è proprio in esse che si trova il principio immediato
della modalità corporea, e poi perché esse sono suscettibili d' una estensione
incomparabilmente maggiore, per la natura stessa delle possibilità che
comportano. Queste modalità, inoltre, se effettivamente sviluppate, appaiono
come «prolungamenti» estendentisi in ogni senso al di là della modalità
corporea, cosicché questa viene interamente a trovarsi, per così dire, «avvolta»
da esse; sotto questo aspetto, per chi abbia realizzato l' individualità
integrale, avviene una specie di «rivolgimento », se così ci si può esprimere,
rispetto al punto di vista dell' uomo ordinario. In questo caso, del resto, le
limitazioni individuali non sono ancora superate, ed è per ciò che all' inizio
parlammo d' una possibile applicazione a diversi livelli; fin d' ora però si
potrà comprendere, per analogia, che un «rivolgimento» si opera ugualmente, in
un altro piano, quando l' essere sia passato alla realizzazione
sopra-individuale. Fin quando l' essere non raggiungeva Atma, altro che
nei suoi rapporti con l' individualità, cioè come jivatma, questo gli
appariva come incluso nell' individualità e non poteva di certo apparirgli
altrimenti poiché era incapace di oltrepassare i limiti della condizione
individuale; ma quando egli raggiunge Atma direttamente ed in sé
stesso, l' individualità, e con essa tutti gli altri stati individuali e
sopra-individuali, gli appaiono invece compresi in Atma, com' è
effettivament,e dal punto di vista della realtà assoluta, poiché essi non sono
nient' altro che le possibilità stesse di Atma, al di fuori del quale
niente può avere un grado qualsiasi di realtà.
Abbiamo così precisato i limiti entro i quali, da un punto di vista relativo, si
può dire che lo spirito è contenuto sia
nell' individualità umana che nel corpo; e, inoltre, ne abbiamo indicato la
ragione, ragione che in definitiva è inerente alla condizione stessa dell'
essere per il quale questa prospettiva è legittima e valida. Ma non è tutto:
bisogna ancora tener presente che lo spirito si considera situato non solo nell'
individualità in generale, ma in un suo punto centrale, al quale corrisponde il
cuore nell' ordine corporeo; ciò richiede altre spiegazioni, le quali
permetteranno di conciliare i due punti di vista, apparentemente opposti,
riferentisi rispettivamente, alla realtà relativa e contingente dell' individuo
ed alla realtà assoluta di Atma. È facile rendersi conto che queste
considerazioni devono basarsi essenzialmente su una applicazione del senso
inverso dell' analogia, applicazione che nello stesso tempo dimostra, in modo
particolarmente chiaro, le precauzioni che si richiedono nella trasposizione del
simbolismo spaziale, in quanto, contrariamente a quello che avviene nell' ordine
corporeo, cioè nello spazio inteso nel senso proprio e letterale, si può dire
che nell' ordine spirituale è l' interno a comprendere l' esterno, ed il centro
a contenere tutte le cose. Una delle migliori «illustrazioni» dell' applicazione
del senso inverso, è data dalla rappresentazione dei diversi cieli,
corrispondenti agli stati superiori dell'essere, mediante altrettante
circonferenze o sfere concentriche come se ne ha un esempio in Dante. In una
simile rappresentazione sembra a tutta prima che i cieli siano tanto più vasti,
cioè meno limitati, quanto più sono elevati e quindi anche più «esteriori », nel
senso che figurano più distanti dal centro, quest' ultimo essendo allora
costituito dal mondo terrestre; è questo il punto di vista
dell' individualità umana, rappresentato precisamente dalla terra, punto di
vista che corrisponde ad una verità relativa, la quale è tale nella misura in
cui l' individualità è reale nel suo ordine, e per il fatto che bisogna
necessariamente partire da
quest' ultima per passare agli stati superiori. Ma quando l' individualità venga
superata e si operi il «rivolgimento» di cui abbiamo parlato (che in realtà è un
« raddrizzamento» dell' essere), tutto l' insieme della rappresentazione
simbolica viene ad essere in qualche modo rovesciato; è allora il cielo più
elevato ad essere nello stesso tempo il più centrale, poiché in esso risiede il
centro universale stesso; e, per contro, il mondo terrestre viene in questo modo
a situarsi all' estrema periferia. In questo «rivolgimento» di posizione,
bisogna inoltre osservare che il cerchio corrispondente al cielo più elevato
deve tuttavia rimanere il più ampio e comprendere tutti gli altri (infatti,
secondo la tradiziòne islamica, il «Trono» divino abbraccia tutti i mondi); e
deve essere così perché, nella realtà assoluta, è il centro che contiene tutto.
L' impossibilità di raffigurare materialmente questo punto di vista, secondo cui
il più vasto è nello stesso tempo il più centrale, non fa che esprimere le
limitazioni alle quali il simbolismo geometrico è inevitabilmente sottoposto per
il fatto stesso
d' essere il linguaggio della condizione spaziale, cioè di una delle condizioni
proprie del nostro mondo corporeo, e quindi esclusivamente inerenti all' altro
punto di vista, quello dell' individualità umana.
Per quanto riguarda il centro, si vede nettamente qui che, per il rapporto
inverso esistente tra il centro effettivo (quello
dell' essere totale oppure dell' Universo, a seconda che si considerino le cose
dal punto di vista «microcosmico» o «macrocosmico») e il centro dell'
individualità o del suo particolare dominio d' esistenza, il primo, che è il più
grande
nell' ordine della realtà principiale, diventa in certo qual modo (senza venir
per nulla alterato o modificato in sé stesso) l' ultimo ed il più piccolo nell'
ordine delle apparenze manifestate. Si tratta dunque, continuando a servirci del
simbolismo spaziale, del rapporto esistente tra il punto geometrico e ciò che
potremmo analogicamente chiamare il punto metafisico: quest' ultimo è il vero
centro primordiale, che contiene in sé tutte le possibilità, ed è quindi quanto
v' è di più grande; non è assolutamente «situato », poiché nulla lo può
contenere o limitare, mentre sono tutte le cose a situarsi rispetto ad esso (va
da sé che anche ciò deve intendersi simbolicamente, perché qui non si tratta
unicamente delle possibilità spaziali). Il punto geometrico poi, che come tale è
situato nello spazio, è evidentemente ciò che v' è di più piccolo anche in senso
letterale perché privo di dimensioni, il che vuol dire che non occupa
rigorosamente nessuna estensione; ma questo «niente» spaziale corrisponde
direttamente al «tutto» metafisico, e questi, si potrebbe dire, sono i due
aspetti estremi dell' indivisibilità considerata rispettivamente nel Principio e
nella manifestazione. Per quel che riguarda le considerazioni circa il «primo» e
l' «ultimo », è sufficiente aver presente, come abbiamo già spiegato, che il
punto più alto ha il suo diretto riflesso nel punto più basso; ed a questo
simbolismo spaziale si può aggiungere un simbolismo temporale, per il quale ciò
che è primo nel dominio principiale, e quindi nel «non-tempo », appare come
ultimo nello sviluppo della manifestazione.
Tutto ciò è facilmente applicabile a quanto abbiamo preso in considerazione all'
inizio: in effetti è proprio lo spirito (Atma) il centro universale che
contiene ogni cosa; ma esso, riflettendosi nella manifestazione umana, appare
appunto per ciò come «localizzato» al centro dell' individualità e, più
precisamente ancora, al centro della sua modalità corporea, poiché
quest' ultima, in quanto termine della manifestazione umana, ne è anche la
modalità «centrale », ed è quindi appunto il suo centro, per quanto riguarda l'
individualità, ad essere propriamente la rappresentazione ed il riflesso diretto
del centro universale. Questo riflesso non è che un'apparenza, così come lo è la
stessa manifestazione individuale; ma fintantoché
l' essere è limitato dalle condizioni individuali, questa apparenza è per lui la
realtà e non può essere altrimenti, perché è esattamente dello stesso ordine
della sua coscienza attuale. Solo quando l' essere ha superato questi limiti, l'
altro punto di vista diventa per lui reale, cosi com' è (ed èsempre stato) in
modo assoluto; il suo centro è allora nell' universale, e
l' individualità (ed a più forte ragione il corpo) non è più che una delle
possibilità contenute in questo centro; per il «rivolgimento» che si è così
effettuato, i veri rapporti tra tutte le cose si trovano ristabiliti, quali non
hanno mai cessato
d' essere per l' essere principiale. Aggiungeremo che questo «rivolgimento» è in
stretta relazione con il cosiddetto «spostamento delle luci» del simbolismo
cabalistico, ed anche con la seguente espressione che la tradizione islamica
attribuisce agli awliya: «I nostri corpi sono i nostri spiriti, ed i nostri
spiriti sono i nostri corpi» (ajsamna arwahna, wa arwahna ajsamna), la
quale, non solo indica che tutti gli elementi dell' essere sono completamente
unificati nella «Identità Suprema», ma anche che il «nascosto,» è diventato l'
«apparente» ed inversamente. Sempre secondo la tradizione islamica, l' essere
che è passato dall' altra parte del barzakh è in qualche modo l'
opposto degli esseri ordinari (e questa è ancora una stretta applicazione del
senso inverso dell' analogia tra l' « Uomo Universale» e l' uomo individuale):
«se cammina sulla sabbia, non lascia tracce; se cammina sulla roccia, i suoi
piedi vi lasciano l' impronta [1].
Se è al sole, non proietta ombra; nell' oscurità, una luce emana da lui».
1- Ciò ha un evidente rapporto con il simbolismo delle
«impronte di piedi» sulle rocce, che risale alle epoche «preistoriche» e che si
ritrova in quasi tutte le tradizioni; senza abbordare considerazioni troppo
complesse su questo soggetto, possiamo dire che, in generale, queste impronte
rappresentano la «traccia» degli stati superiori nel nostro mondo.