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Shaykh 'Abd al Wahid Yahya
INTRODUZIONE INCONTRO FRA GENIO E
SANTITA'
Introduzione
La situazione dell’Occidente verso la fine del
secolo scorso presentava già visibili i segni dell’imbarbarimento cui assistiamo
oggi e non differiva, se non apparentemente, da quella di ogni altro popolo che
fosse precipitato nel corso della propria storia in quello stato di anarchia che
fa seguito all’oblio delle verità fondamentali. L’idolatria della ragione
cominciava a cedere pericolosamente il passo a forme ancora peggiori quali il
teosofismo e lo spiritismo, e in generale la pseudospiritualità offriva una
gamma di possibilità atte a ingannare “persino gli eletti se ciò fosse
possibile”. Quel che era rimasto di organizzazioni autenticamente tradizionali
come la Massoneria confermava il detto corruptio optimi pessima e rischiava, con
il suo stesso confondersi a organizzazioni pseudotradizionali, di divenire più
pericoloso di quelle stesse. Da parte sua la Chiesa Cattolica risentiva
fortemente degli attacchi del modernismo. In questa situazione la presenza di
René Guénon risultò veramente provvidenziale: la sua sola opera scritta, di
un’estensione e profondità senza pari, lo dimostra, recando in sé un sigillo
divino che qualsiasi intelligenza sana non può evitare di riconoscere.
Fin da giovane, chiamato a una funzione
eccezionale, egli penetrò in tutte le organizzazioni, tradizionali – o sedicenti
tali – presenti in Occidente e ne verificò direttamente l’ortodossia
intellettuale e la regolarità operativa o rituale, fornendo nei propri scritti
un quadro delle possibilità spirituali realmente esistenti che a tutt’oggi
permette a molti occidentali, ma anche a molti orientali
[1],
di ritrovare la vera via della Tradizione in questa “selva oscura” di crescente
confusione e pseudospiritualità.
In questi tempi si è infatti completamente
dimenticato che Verità e Tradizione designano due aspetti della stessa Realtà e
che sono pressoché sinonimi, fino a disconoscere la Verità stessa e a non darsi
più pena di vivere conformemente a essa. Si è voluto concepire la Verità come
astratta, soggettiva e mutevole, laddove essa è invece, per definizione,
concreta, oggettiva, immutabile, dovendo essere, per sua stessa natura,
onnicomprensiva. Riconoscere ciò significa riconoscere la necessità della
Tradizione, non essendo questa altro che la trasmissione di un insegnamento
non-umano operata di generazione in generazione da parte di uomini consacrati.
D’altronde, l’illusione del relativismo ha raggiunto negli ultimi secoli in
Occidente un livello mai toccato in nessun altro luogo e tempo, ed è stata
aggravata dallo stordimento provocato negli occidentali, ormai sradicati dalla
propria Tradizione, dal contatto con le altre civiltà. L’opera di René Guénon è
venuta allora a ricordare come, al di là dei veli delle differenti forme,
credenze, dogmi e riti, si dissimuli la stessa Verità, così come gli stessi
concetti possono venire espressi in lingue differenti. Tuttavia, similmente a
ciò che avviene nel racconto biblico della torre di Babele, oggi la maggior
parte degli uomini non comprende più la Verità unica e onnicomprensiva e rimane
legata solo ad aspetti di questa, finendo per erigerli a propri idoli;
incomprensione che non inficia però in alcun modo la Verità in sé, che permane
immutabile e alla quale sempre possono accedere quei pochi uomini rimasti di
buona volontà.
René Guénon ha ricordato l’Unità metafisica che
conferisce realtà a ogni Rivelazione, unità simboleggiata in questo mondo dai
legami che ogni forma tradizionale deve necessariamente mantenere con la
Tradizione Primordiale unica. Nello stesso tempo, però, ha ripetutamente
insistito sulla necessità di rispettare la specificità di ogni forma rivelata,
mettendo in guardia da ogni tentativo di ricostituzione formale ed esteriore
dell’Unità perduta. Il ritorno di tutte le forme alla loro unità primordiale
potrà avvenire infatti soltanto al momento escatologico: sempre più spesso,
invece, assistiamo a fenomeni di sincretismo, ovvero ad aberranti fusioni di
simboli e riti appartenenti a tradizioni differenti, compiute per ricercare una
vicinanza tutta mondana e antropomorfica fra uomini dimentichi di ogni principio
realmente trascendente. L’errore moderno in tutte le
sue forme è sempre riconducibile a una perdita del senso dell’Unità e
dell’Eternità, e alla conseguente illusione di potere prima o poi lasciare alle
proprie spalle definitivamente quella sofferenza e quell’imperfezione che sono
invece inerenti al mondo in quanto tale. L’alternarsi ciclico di periodi più o
meno felici, nel mondo come nella vita di ciascuno, è un fatto di un’evidenza
indiscutibile; la possibilità di una maggiore stabilità anche esistenziale
risiede comunque esclusivamente nel conformarsi dei singoli e delle comunità ai
fini trascendenti. Ogni squilibrio trova il proprio completamento non in un
tempo futuro, ma nell’intemporalità stessa del Principio che lo contiene e da
cui solo il velo dell’illusione cosmica lo tiene separato. La vera Giustizia non
lascia nulla al di fuori di sé: perché farsi ingannare da coloro che in nome di
un vantato progresso promettono un benessere a prezzo del sacrificio di
generazioni passate, presenti o future? Essi immolerebbero, per così dire, la
propria esistenza per vantaggi materiali e contingenti dei quali i posteri
dovrebbero approfittare per la costituzione di una ipotetica società terrena
perfetta. Il primo beneficiario di un vero sacrificio non è forse invece sempre
colui che lo compie, partecipandone gli altri solo di riflesso?
L’opera di Guénon, come abbiamo detto, ha
un’estensione e una profondità senza pari. In presenza di una testimonianza così
eccezionale e, soprattutto, in una fase di decadimento avanzata come la nostra,
si è costretti a riconoscere che ci si trova di fronte a un caso unico, i cui
legami con l’ambiente circostante non esauriscono affatto la natura trascendente
della sua ispirazione, pertanto irriducibile a qualsiasi grossolana spiegazione
sociologica o psicologica. Considerare non già l’individuo ma la sua funzione
spirituale, consapevoli della sua provvidenzialità, è quindi l’unico modo per
tentare di assimilarne veramente l’insegnamento. Per queste ragioni, chi volesse
realmente mettersi sulle tracce di coloro che continuano oggi a riferirsi
fedelmente all’insegnamento di René Guénon, non è forse necessariamente presso
gli scrittori che si sono ispirati alla sua opera che dovrebbe ricercarle. Con
la sua morte la fase di adattamento dell’espressione della dottrina metafisica
alla mentalità occidentale poteva dirsi conclusa; i problemi che si pongono sono
operativi: quale delle ipotesi sulla possibile sorte dell’Occidente, formulate
da René Guénon nelle opere Orient et Occident e La Crise du Monde
Moderne, presenta maggiori probabilità di attuarsi?
[2] Certo, già diverso tempo prima che René Guénon morisse, alcuni occidentali, riconosciuta la propria vocazione metafisica in seguito agli insegnamenti contenuti nei suoi scritti, presero la via dell’Islâm e furono da lui stesso indirizzati presso lo Shaykh algerino Ahmad al ‘Alawî,[3] morto a Mostaganem nel 1934. Fu quindi l’‘Alawiyya la prima confraternita islamica ad avere nell’Occidente contemporaneo una presenza numericamente rilevante. Primo frutto dell’insegnamento di Guénon nel mondo occidentale, essa ha permesso una prima riunione di alcune aspirazioni spirituali sparse, ed è stata di fondamentale importanza per permettere il costituirsi di un terreno fertile su cui si potesse esercitare l’azione delle influenze spirituali provenienti dall’Oriente islamico in Occidente, ma non deve essere assolutamente confusa con questa azione stessa che non si lascia circoscrivere ad alcuna struttura esteriore. Il vero frutto deve riguardare l’universalità della dottrina tradizionale che, lungi dal ricoprirsi di nuovi veli, dovrà apparire in modo sempre più trasparente, conformemente al detto evangelico: “Non vi è nulla di nascosto che non debba essere manifestato” [4].
[1]
Sull’importanza della conoscenza delle opere di René Guénon in Oriente
(tradotte anche in palî e in urdu) si veda l’interessante saggio di Michel
Vâlsan, “L’oeuvre de Guénon en Orient”, contenuto nel volume L’Islâm et la
fonction de René Guénon, Les Editions de l’Oeuvre, Parigi 1984.
[2]
Orient et Occident, Payot, Parigi 1924; tr. it.: Oriente e Occidente, ed.
Studi Tradizionali, Torino 1965; La Crise du Monde moderne, Edition Bossard,
Parigi 1927; tr. it. Edizioni Mediterranee, Roma 1972 (purtroppo questa
edizione risente di numerose modifiche dovute al traduttore-curatore).
[3]
Si veda l’opera di Martin Lings A moslem Saint of the Twentieth Century,
Allen & Unwin, Londra 1961; tr. fr.: Un saint musulman du XX siècle, Ed.
Traditionnelles, Parigi 1967; tr. it. Un santo sufi del XX secolo, lo
Sceicco Ahmad Al-’Alawi, Ed. Mediterranee, Roma 1994.
[4]
È naturale che questo non significa che debba anche essere compresa dalla
maggioranza degli uomini che al contrario sarà sempre più accecata dalle
proprie passioni, magari dissimulate sotto un velo religioso o meglio
pseudoreligioso.
"Incontro fra genio e santità" (Dal libro dello Shaykh 'Abd al Wahid Pallavicini "L'Islam Interiore") L’accostamento fra
René Guénon e lo Shaykh Ahmad al ‘Alawî non è certo arbitrario, poiché queste
due personalità furono contemporanee ed ebbero modo, se non di incontrarsi
personalmente, perlomeno di intrattenere una corrispondenza fra Mostaganem e il
Cairo. E, se poco o niente ci è dato sapere del contenuto dei loro rapporti
epistolari, molto si sa invece dell’impatto che entrambi ebbero non solo sui
propri connazionali o su coloro che ebbero modo di conoscerli personalmente
durante la loro vita, ma anche su tutti coloro che in modo più o meno diretto
hanno potuto beneficiare del loro insegnamento. Lo Shaykh al ‘Alawî
è il fondatore di una tarîqah, di una confraternita islamica, che porta
il suo nome, la ‘Alawiyyah (da non confondersi con la setta alawita
siriana) che è una derivazione della tarîqah Darqâwiyyah, alla quale lo
Shaykh aveva appartenuto, essa stessa una derivazione della tarîqah
Shâdhîliyyah alla quale René Guénon era stato ricollegato, dopo la sua
adesione all’Islâm con il nome di ‘Abd al Wâhid Yahya. Alla venerata
memoria del proprio Maestro, lo Shaykh ‘Abd-ar-Rahmân Elysh al Kebîr, René
Guénon dedicò una delle sue opere maggiori: “Il simbolismo della croce”,
aggiungendo nella dedica che proprio a tale Maestro era dovuta la prima idea del
libro. Dall’introduzione di questo stesso libro vorremmo citare un passaggio che
ci possa aiutare a chiarire l’argomento che vogliamo trattare. D’altro lato lo
Shaykh Ahmad al ‘Alawî, egli stesso già ricollegato alla tarîqah ‘Isâwiyyah,
o “gesuitica”, e considerato a propria volta un santo di tipo ‘Isawâ, o “cristico”,
rappresenta in seno alla derivazione Shâdhîlî-Darqâwî l’espressione del
movimento di rivivificazione dell’Islâm iniziatosi nel XIX secolo con gli altri
due grandi Ahmad di origine maghrebina: lo Shaykh Ahmad Tijani e lo Shaykh Ahmad
Ibn Idrîss (radiyAllâhu ‘anhumâ, che Dio sia soddisfatto di entrambi). La
sua figura viene così descritta dal dottor Marcel Carret, che ebbe modo di
visitarlo e curarlo durante gli ultimi anni di vita: Così, la cosiddetta
conversione di René Guénon dal Cristianesimo all’Islâm non deve essere certo
fraintesa come un rigetto della sua religione d’origine, ma come un’accettazione
dell’Islâm, un inserimento in quella che egli chiamava la Tradizione
primordiale, in arabo dînu-l-qayyîmah, nella sua ultima espressione che,
come tale, incorpora tutte le precedenti Rivelazioni, senza opporvisi. Non si tratta di
cercare un compromesso o un comune denominatore fra le varie posizioni
dottrinali delle nostre religioni, ma di ricostruire invece l’integrità dei
credenti, quella che era tale al momento profetico dell’origine storica di
ciascuna di esse e che si è venuta via via sfaldando nel processo di decadenza
proprio dei tempi ultimi. Oggi le varie etnie che costituiscono il normale
supporto di ogni Rivelazione hanno sviluppato gli aspetti peggiori dei loro
temperamenti a discapito della dimensione spirituale: così in Occidente
l’intellettualità è divenuta intellettualismo, la logica razionalismo o peggio
psicologismo, mentre in Oriente l’intuizione crea impulsività e il fatalismo
fanatismo. Si tratta allora di
favorire un’osmosi, in cui credenti d’Occidente e d’Oriente sappiano far
rifluire le onde benefiche delle loro qualificazioni complementari da questo
mare comune sulle coste che si fronteggiano; in tal modo l’occidentale ritornerà
a essere quell’uomo intelligente che fu, nel senso di riuscire a partecipare
nuovamente a ciò che ci fa simili a Dio nel riflesso del Suo Intelletto, e
l’orientale ritroverà nel senso innato dell’immanenza divina che gli è proprio
la forza per non farsi trascinare da avvenimenti che si stanno rivelando troppo
simili a quanto in Occidente è già avvenuto, in modo che dall’Oriente stesso
possa riprendere a venire la luce. Questo è l’insegnamento dello Shaykh Ahmad
Ibn Idrîss. E lo Shaykh al
‘Alawî al suo medico francese – il quale sosteneva che tutte le credenze si
equivalgono – rispondeva: Dopo aver liberato
il terreno da tutta la gramigna degli occultismi e degli spiritualismi ancora
dilaganti all’inizio del secolo, René Guénon si accinse a combattere tutti i
pregiudizi e i falsi idoli costituiti dalle teorie moderniste, evoluzioniste e
progressiste che ancor oggi impediscono ai più di saper ritrovare quella fede e
quell’accettazione della realtà spirituale contenuta in tutti i testi sacri dai
tempi delle origini dell’uomo. La sua opera fu
volta a far ritrovare a molti il cammino verso la Tradizione d’origine e a
qualcuno, come fu per lui stesso, l’adesione a quella Tradizione venuta a
concludere il ciclo delle rivelazioni, l’Islâm, che nei tempi ultimi potrà
ancora offrire la possibilità di un ricollegamento iniziatico. Tali concezioni e
tali accostamenti gli valsero le accuse di sincretista, apostata, esoterista,
inteso in forma magico-occultistica, fino a che, dopo i tentativi di
denigrazione e una specie di congiura del silenzio, si assiste ora al tentativo
di appropriarsi delle sue opere da parte dei suoi stessi detrattori, i quali,
non avendo potuto vincerlo, si sono decisi a tentare di annetterlo alle proprie
schiere. Queste forze, che René Guénon chiamava della “contro-tradizione”, sono
tanto più operanti oggi quando nessuno più crede non solo in Dio, ma nemmeno nel
diavolo, così che questi si trova libero di spaziare non più soltanto fuori
dalle strutture delle varie forme religiose, ma anche in seno a esse, dove, fra
l’altro, cerca di falsare la concezione dell’equivalenza metafisica di queste
ultime per proporre aberranti miscugli sincretistici, non soltanto ideologici,
ma perfino rituali, con l’ausilio di falsi maestri. Lo Shaykh al ‘Alawî non fu indenne da attacchi e critiche che si attirò per il proprio universalismo e per la particolare capacità che aveva di verificare la sacralità di altre forme religiose, senza pertanto mai staccarsi dall’ortodossia islamica, nonostante appunti gli fossero mossi anche a questo riguardo dall’ottusità farisaica dei soliti “dottori della legge”. Così, un giorno, quando gli fu rimproverato che il suo tasbîh, il rosario, ricordava la forma di una croce, lo Shaykh si alzò in piedi e allargando le braccia all’altezza delle spalle esclamò: “E noi, a quale forma vi sembriamo assomigliare?”.
1
“Le Symbolisme de la Croix”, édition Véga, Parigi 1932; trad. it. “Il
Simbolismo della Croce”, Rusconi, Milano 1973-1983-1989, oppure Luni
Editrice 1998; pag. 11-12 della prima edizione.
2
Dal punto di vista religioso il tawhîd, parola che deriva da
al-Wâhid, l’Unico, uno dei 99 nomi divini, e che indica l’atto di
affermare tale Unità, corrisponde al riconoscimento e alla testimonianza
dell’Unità divina; esso è espresso dalla prima parte della shahâdah
che attesta: “non vi è dio se non Iddio”. Metafisicamente possiamo designare
con tawhîd la “Conoscenza dell’Unità” o, come spesso ricorre nel
linguaggio del sufismo, la “realizzazione dell’Unità”, cioè di quell’Unità
che costituisce il patrimonio interiore ed essenziale di ogni tradizione,
non condizionato dalla molteplicità delle sue manifestazioni esteriori.
3
“A moslem Saint of the Twentieth Century”,di Martin Lings, Allen &
Unwin, Londra 1961; “Un santo sufi del ventesimo secolo: lo Shaykh Ahmad
al ‘Alawî”, tr. it., Edizioni Mediterranee, Roma 1994.
4
Ibidem.
5
“E crea per me un linguaggio di Verità, destinato agli uomini degli ultimi
tempi” Corano XXVI, 84.
6
“La Crise du Monde moderne”, Gallimard, Parigi 1946, cit., p. 10-11;
trd. it. “La Crisi del Mondo moderno”, edizioni Mediterranee, Roma
1972-1990, oppure Arktos, Carmagnola 1991.
Biografia e Opere René Guénon nasce a Blois il 15 novembre 1886, dove trascorre la sua giovinezza frequentando l'Istituto religioso Notre-Dame des Aydes e poi il collegio Augustin-Thierry. Nel 1904 supera il baccellierato di Filosofia e quello di Matematica elementare. Ad ottobre si trasferisce a Parigi, dove segue il corso di laurea in matematica presso il collegio Rollin. Due anni più tardi interrompe gli studi universitari, probabilmente a causa della sua saluta malferma. Nel 1909, all’età di 23 anni, pubblica i suoi primi articoli sulla rivista "La Gnose". La collaborazione durerà fino al 1912. Si interessa alle tradizioni taoista,indù e islamica. Nel 1912 entra nell’Islam e assume il nome di ‘Abd al-Wahîd Yahia ("Giovanni Servo del Dio Unico"). Nel 1913 collabora con la rivista cattolica "La France Antimaçonnique", firmandosi con lo pseudonimo La Sfinge. Nel 1915 ottiene la laurea in lettere e l’anno seguente il diploma di studi superiori in filosofia, con una tesi consacrata all'Examen des idées de Leibnitz sur la signification du calcul infinitésimal. Insegna filosofia a Saint-Germain-en-Laye. Nel 1917 si trasferisce a Setif, in Algeria, per continuare l'insegnamento. Nel 1918 viene incaricato di insegnare filosofia al collegio di Blois e nel 1919 si dimette dall'insegnamento per dedicarsi ai suoi studi. Nel 1921 pubblica il suo primo libro: "Introduzione generale allo studio delle dottrine indù", seguito da "Il Teosofismo, storia di una pseudo-religione", dove denuncia le imposture della Società Teosofica. Nel 1923 pubblica "L’errore dello spiritismo", in cui confuta con risolutezza lo spiritismo, a quei tempi molto in voga. Nel 1924 esce "Oriente e Occidente", in cui traccia le linee per un'intesa tra l'élite intellettuale occidentale e orientale. Riprende ad insegnare filosofia al Cours Saint-Louis. Nel 1925 inizia la collaborazione con la rivista cattolica "Regnabit", e con la rivista "Le Voile d'Isis". Pubblica "L’Uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta", e tiene una conferenza alla Sorbona su "La Metafisica orientale". Nel 1926 scrive "La crisi del mondo moderno", in risposta a "La difesa dell’Occidente" di Henri Massis, appena uscito. Pubblica anche "Il Re del mondo". Nel 1929 pubblica "Autorità spirituale e potere temporale" ed il breve studio "San Bernardo". Il 5 marzo 1930 si trasferisce definitivamente al Cairo, dove continuerà a scrivere e a collaborare con la rivista "Le Voile d'Isis". Nel 1931 viene pubblicato "Il simbolismo della Croce", dedicato allo Shaykh ‘Abd ar-Rahmân Elish el-Kebîr, ispiratore dell’opera. Nel 1932 compare "Gli stati molteplici dell’Essere", mirabile sintesi della Metafisica di cui Guénon fu portavoce. Nel 1934 sposa Fatimâ, figlia dello Sheykh Muhammad Ibrahim. Da questa unione avrà quattro figli. Collabora alla rivista italiana "Diorama filosofico". Nel 1935 la rivista "Le Voile d'Isis" cambia il nome in "Études Traditionnelles", sotto la guida intellettuale di Guénon. La rivista interrompe le pubblicazioni dal '40 al '45. Tra il 1945 e il 1946 pubblica "Il Regno della quantità e i segni dei tempi", "I principî del calcolo infinitesimale", "Considerazioni sull’iniziazione" e "La Grande Triade". Nel 1951, il 7 gennaio, muore al Cairo pronunciando il Nome di Allah. Le sue spoglie vengono tumulate, secondo il rito islamico, nel cimitero di Darassa.
Da: http://www.coreis.it/rene_guenon.htm
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