"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Ci è stato chiesto talvolta, a proposito degli
accenni che siamo stati talvolta indotti a fare in diverse occasioni alla
dottrina indù dei cicli cosmici ed a quelle equivalenti che si ritrovano in
altre tradizioni, di darne, se non una esposizione completa, almeno un quadro
d'insieme, a grandi linee.
Per la verità, ci sembra questo un compito pressoché impossibile, non solo per
la intrinseca complessità dell'argomento, ma anche e soprattutto per le grandi
difficoltà che si incontrano ad esprimere questi concetti in una lingua europea,
in maniera tale, da renderli comprensibili alla mentalità occidentale attuale,
completamente disabituata ad un tal genere di considerazioni. Tutto ciò che si
può fare, a nostro avviso, è cercare di chiarire certi punti, con delle
osservazioni come quelle che seguono, alle quali non si può chiedere altro che
di fornire delle semplici indicazioni circa il senso della dottrina in
questione, piuttosto che darne una spiegazione esauriente.
Considereremo un ciclo, nell'accezione più ampia del termine, come la
rappresentazione del processo di sviluppo di uno stato qualsiasi della
manifestazione, oppure, se si tratta di cicli minori, di qualcuna delle modalità
più o meno limitate e particolari di tale stato. D'altronde, in virtù della
legge di corrispondenza che collega tutte le cose nell' Esistenza universale, vi
è sempre e necessariamente una certa analogia sia fra i diversi cicli dello
stesso ordine, sia tra i cicli principali e le loro suddivisioni secondarie. E'
quindi lecito, parlandone, impiegare in un unico modo di espressione, anche se
questo spesso dovrà essere inteso solo simbolicamente, l'essenza stessa di ogni
simbolismo fondandosi appunto sulle corrispondenze e sulle analogie che
realmente esistono nella natura delle cose. Alludiamo qui soprattutto alla forma
cronologica assunta dalla dottrina dei cicli: Poiché il
Kalpa rappresenta lo sviluppo totale di un mondo, vale a dire uno
stato o grado dell'esistenza universale, è evidente che si potrà parlare
letteralmente della durata di un Kalpa,
valutata in base ad una qualsiasi unità di misura del tempo, soltanto se si
tratterà di un Kalpa che si riferisce ad uno
stato in cui il tempo è una della condizioni determinanti, quale è propriamente
il nostro mondo. In ogni altro caso, tutte le considerazioni di durata e di
successione non potranno avere che un valore meramente simbolico e dovranno
essere trasposte analogicamente, la successione temporale diventando allora solo
una immagine della concatenazione, insieme logica e ontologica, di una serie
extra-temporale di cause ed effetti. Tuttavia, poiché il linguaggio umano non
può esprimere direttamente condizioni diverse da quelle proprie del nostro
stato, un simbolismo del genere è per ciò stesso sufficientemente giustificato e
dev'essere considerato perfettamente naturale e normale.
Non abbiamo intenzione, in questa sede, di occuparci dei cicli più ampi, come i
Kalpa; ci limiteremo a quelli che si svolgono
entro il nostro Kalpa, cioè ai
Manvantara e alle loro suddivisioni. A questo
livello, i cicli presentano un carattere sia cosmico che storico, poiché
riguardano particolarmente l'umanità terrestre, pur essendo nello stesso tempo
collegati a tutti gli avvenimenti che si producono nel nostro mondo al di fuori
di essa. In ciò non vi è nulla di sorprendente, perché il considerare la storia
dell'uomo come isolata in qualche modo da tutto il resto è un'idea
esclusivamente moderna, in netta opposizione con l'insegnamento di tutte le
tradizioni, che, al contrario, sono unanimi nell'affermare l'esistenza di una
correlazione necessaria e costante tra l'ordine cosmico e quello umano.
I Manvantara, o ere dei successivi
Manu, sono quattordici e formano due serie
settenarie, di cui la prima comprende i Manvantara
trascorsi e quello presente, la seconda i Manvantara
futuri. Queste due serie, di cui, come abbiamo visto, una si riferisce al
passato, con il presente che ne è la risultante immediata, e l'altra al futuro,
possono essere messe in corrispondenza con quelle dei sette
Swarga e dei sette Patala,
i quali rappresentano rispettivamente l'insieme degli stati superiori ed
inferiori allo stato umano, se ci si pone dal punto di vista della gerarchia dei
gradi dell' Esistenza ovvero della manifestazione universale, o l'insieme di
quelli anteriori e posteriori a questo stesso stato, nel caso invece che ci si
ponga dal punto di vista del concatenamento causale dei cicli, descritto
simbolicamente, come sempre, mediante l'analogia di una successione temporale.
Quest'ultima angolazione è evidentemente quella che qui più interessa: essa
infatti ci consente di vedere, all'interno del nostro
Kalpa, in virtù della relazione analogica sopra menzionata,
un'immagine ridotta di tutto l'insieme dei cicli della manifestazione universale
e, in questo senso, si potrebbe dire che la successione dei
Manvantara rappresenta in certo qual modo un
riflesso degli altri mondi nel nostro. D' altronde, si può ancora notare, a
conferma di ciò, che le parole Manu e
Loka sono entrambe designazioni simboliche del
numero 14; parlare a questo proposito di una semplice coincidenza equivarrebbe a
dar prova della completa ignoranza delle ragioni profonde, inerenti ad ogni
simbolismo tradizionale. Si può ravvisare ancora un'altra correlazione con i
Manvantara, quella relativa ai sette Dwipa o
regioni in cui si divide il nostro mondo. Infatti, sebbene questi siano
rappresentati, conformemente al senso proprio della parola che li designa, coma
altrettante isole e continenti distribuiti in un certo modo nello spazio,
bisogna guardarsi da un'interpretazione strettamente letterale, che li
identifichi senz'altro alle diverse zone della terra attualmente conosciuta;
essi, in effetti non emergono simultaneamente, bensì successivamente, il che
vuol dire che uno solo di essi si manifesta nel dominio sensibile nel corso di
un certo periodo. Se questo periodo è un Manvantara,
si deve concludere che ogni Dwipa dovrà apparire due volte nel
Kalpa, ossia una volta in ciascuna delle due serie
settenarie di cui dicemmo poc'anzi; e dal rapporto fra queste due serie, che si
corrispondono inversamente, come avviene in tutti i casi simili, e in
particolare per quelle degli Swarga e dei
Patala, si può dedurre che l'ordine d' apparizione
dei Dwipa dovrà ugualmente, nella seconda
serie, essere l'inverso di quello che è stato nella prima. Si tratta, in
definitiva, di differenti stati del mondo terrestre, piuttosto che di regioni
vere e proprie. Il Jambu-Dwipa rappresenta in
realtà l' intera superficie terrestre nel nostro stato attuale; e se di esso si
dice che si estende a sud del Meru, cioè della
montagna assiale intorno alla quale si compiono le rivoluzioni del nostro mondo,
è proprio perché, essendo il Meru
simbolicamente identico al Polo Nord, effettivamente, rispetto a questo, tutte
le terre sono situate a sud. Per dare maggiori spiegazioni sull'argomento,
bisognerebbe poter sviluppare il simbolismo delle direzioni dello spazio,
secondo cui sono ripartiti i Dwipa, come pure i rapporti di corrispondenza
esistenti tra questo simbolismo spaziale e il simbolismo temporale sul quale
poggia tutta la dottrina dei cicli; ma poiché non ci è possibile inoltrarci in
queste considerazioni che da sole richiederebbero un intero volume, dobbiamo
accontentarci di queste sommarie indicazioni, che, del resto, potranno
facilmente completare per proprio conto coloro che hanno già qualche conoscenza
in materia.
Queste considerazioni concernenti i sette Dwipa trovano poi conferma nei dati
concordanti di altre tradizioni, nelle quali si parla ugualmente di sette terre,
segnatamente nell'esoterismo islamico e nella Kabbala
ebraica: in quest'ultima, le sette terre, pur essendo raffigurate esteriormente
come altrettante ripartizioni della terra di Canaan, sono poste in relazione con
i regni dei sette re di Edom, i quali corrispondono manifestamente ai sette
Manu della prima serie. Queste terre, inoltre,
sono tutte comprese nella Terra dei Viventi, che rappresenta lo sviluppo
completo del nostro mondo, realizzato in modo permanente nel suo stato
principale. Si può rilevare qui la coesistenza di due punti di vista: quello
della successione, che si riferisce alla manifestazione in se stessa, e quello
della simultaneità, che si riferisce al suo principio, o a ciò che si potrebbe
chiamare il suo archetipo. In fondo, la corrispondenza di questi due punti di
vista equivale, in certo qual modo, a quella tra simbolismo temporale e
simbolismo spaziale, cui abbiamo già accennato parlando dei
Dwipa della tradizione indù.
Nell'esoterismo islamico le sette terre rappresentano, forse più esplicitamente,
altrettante tabaqat o categorie dell'esistenza
terrestre, che coesistono o si compenetrano a vicenda, di cui soltanto una può
essere attualmente colta dai sensi, mentre le altre sono allo stato latente e
soltanto eccezionalmente possono essere percepite, per di più in speciali
condizioni. Anche in questo caso, esse si manifestano esteriormente, una per
volta, nei diversi periodi che si succedono nel corso della intera durata di
questo mondo. D'altra parte, ognuna delle sette terre è retta da un
Qutb o Polo, che corrisponde chiaramente al
Manu del periodo durante il quale la rispettiva
terra si manifesta. Questi sette Aqtab sono
subordinati al Polo supremo, così come i diversi Manu
lo sono all' Adi-Manu o
Manu primordiale; ma, in ragione della coesistenza delle sette terre,
esercitano anche, sotto un certo aspetto, le loro funzioni in modo permanente e
simultaneo. Si noti, per inciso, che la designazione Polo è strettamente legata
al simbolismo polare del Meru menzionato poco sopra, il quale, nella tradizione
islamica, ha per esatto equivalente il monte Qaf. Aggiungiamo che i sette Poli
terrestri vengono considerati come il riflesso dei sette Poli celesti, che
presiedono rispettivamente ai sette cieli planetari; e questo fa naturalmente
pensare ad una corrispondenza con gli Swarga della dottrina indù, dimostrando la
perfetta concordanza che esiste, al riguardo, fra le due tradizioni.
Consideriamo ora le suddivisioni di un Manvantara,
cioè i quattro Yuga. Faremo anzitutto notare,
senza insistervi troppo, che tale divisione quaternaria di un ciclo è
suscettibile di molteplici applicazioni, e che in effetti la si ritrova in molti
cicli particolari: come esempio, possiamo citare le stagioni dell'anno, le
settimane del mese lunare, le quattro età della vita umana; ed anche qui vi è
corrispondenza con il simbolismo spaziale, riferito, in tal caso, principalmente
ai quattro punti cardinali. D'altro canto, si è spesso rilevata la manifesta
equivalenza dei quattro Yuga con le quattro età dell'oro, dell'argento, del rame
e del ferro, quali furono conosciute dell'antichità greco-latina: in entrambe le
rappresentazioni, ogni periodo è ugualmente caratterizzato da un processo di
degenerazione, rispetto al precedente. Questo processo,che si oppone nettamente
all'idea di quale la concepiscono i moderni, si spiega semplicemente con il
fatto che ogni svolgimento ciclico, vale a dire ogni processo di manifestazione,
in cui è implicito necessariamente un allontanamento graduale dal principio,
rappresenta realmente una discesa: è questo, del resto, il significato reale
della caduta nella tradizione giudaico-cristiana.
La progressiva degenerazione da uno Yuga all' altro si accompagna ad una
diminuzione della rispettiva durata, la quale è considerata incidere sulla
lunghezza della vita umana; ma quel che più importa, da questo punto di vista, è
il rapporto tra le rispettive durate dei diversi periodi. Se la durata
complessiva del Manvantara è rappresentata dal
numero 10, quella del Krita-Yuga o Satya-Yuga lo sarà dal 4, quella del
Treta-Yuga dal 3, quella del Dwapara-Yuga dal 2 e quella del Kali-Yuga dall'1.
Questi valori corrispondono altresì al numero delle zampe del toro simbolico di
Dharma che si raffigurano poggiate sulla terra durante gli stessi periodi.
La ripartizione del Manvantara si effettua
quindi secondo la formula 10= 4+3+2+1 che è l'inverso della Tetraktys
pitagorica: 1+2+3+4=10. Quest'ultima formula rappresenta ciò che nel linguaggio
dell'ermetismo occidentale viene denominato la circolatura del quadrato, e
l'altra il problema inverso della quadratura del cerchio, che esprime appunto la
relazione tra la fine e l'inizio del ciclo, cioè l'integrazione del suo sviluppo
totale. E' questo un simbolismo aritmetico e geometrico ad un tempo, che qui
possiamo soltanto indicare di sfuggita, per non allontanarci troppo
dall'argomento principale. Quanto alle cifre indicate in diversi testi, in
relazione alla durata del Manvantara e,
conseguentemente, a quella degli Yuga, bisogna evitare di considerarle
cronologicamente nel significato ordinario della parola, vale a dire come se
esprimessero numeri di anni, da prendersi alla lettera. E' questo d'altronde il
motivo per cui le apparenti variazioni tra i dati non implicano in fondo una
reale contraddizione. Per le ragioni che esporremo in seguito, la sola di queste
cifre da prendere in considerazione è 4.320, dovendosi escludere i vari zeri che
si fanno seguire a questo numero, e che verosimilmente sonno destinati
soprattutto a trarre in inganno coloro che volessero dedicarsi a certi calcoli.
Tale precauzione, a prima vista, può sembrare strana, ma poi si può facilmente
comprendere: se la effettiva durata del Manvantara
fosse nota e se, inoltre, fosse possibile determinare con esattezza il suo punto
di partenza, chiunque potrebbe senza difficoltà arrivare a dedurre la previsione
di particolari avvenimenti futuri; ora, nessuna tradizione ortodossa ha mai
incoraggiato studi che permettessero all'uomo di arrivare a conoscere
l'avvenire, in misura più o meno ampia, tale conoscenza presentando praticamente
molti più inconvenienti che vantaggi reali. E' questo, dunque, il motivo per cui
il punto di partenza e la durata del Manvantara
sono stati sempre più o meno accuratamente dissimulati, sia aggiungendo o
sottraendo un determinato numero di anni ai dati reali, sia moltiplicando o
dividendo la durata dei periodi ciclici in modo da mantenere soltanto le loro
esatte proporzioni; per di più, diremo che certe corrispondenze, per motivi
analoghi, talvolta sono state perfino invertite.
Se la durata del Manvantara è data dal numero
4.320, quelle dei quattro Yuga saranno date rispettivamente da 1.728, 1.296,
864, 432; ma per quale numero si dovranno moltiplicare queste cifre per ottenere
una durata in anni? Si può facilmente notare come tutti questi numeri ciclici
siano in rapporto diretto con la divisione geometrica del cerchio: così 4.320=
360*12; del resto, non vi è nulla di arbitrario o di meramente convenzionale in
questa divisione, poiché, a causa della corrispondenza tra l'aritmetica e la
geometria, è normale che tale divisione si effettui secondo multipli di 3, 9,
12, mentre la divisione decimale è quella che propriamente si addice alla linea
retta. Questa osservazione, sebbene fondamentale, non permetterebbe tuttavia di
andare molto lontano nella determinazione dei periodi ciclici, se non si sapesse
che la base principale di questi, nell'ordine cosmico, è il periodo astronomico
della precessione degli equinozi, la cui durata è di 25.920 anni, per cui lo
spostamento dei punti equinoziali è di un grado ogni 72 anni. Questo numero 72 è
precisamente un sottomultiplo di 4.320= 72*60, e 4.320 è a sua volta un
sottomultiplo di 25.920= 4.320*6; e il fatto che per la precessione degli
equinozi si trovino i numeri connessi alla divisione del cerchio costituisce una
prova ulteriore del carattere veramente naturale di questa divisione. Ma il
problema che ora si pone è il seguente: quale multiplo o sottomultiplo del
suddetto periodo astronomico corrisponde effettivamente alla durata del
Manvantara?
Il periodo che nelle diverse tradizioni appare con maggior frequenza non è tanto
quello della precessione degli equinozi quanto la sua metà: è questo in effetti
il periodo che corrisponde al grande anno dei Persiani e dei Greci, spesso
calcolato approssimativamente in 12.000 o 13.000 anni, e la cui esatta durata è
di 12.960 anni. Data l'importanza del tutto particolare attribuita a tale
periodo, si deve presumere che il Manvantara
debba comprendere un numero intero di grandi anni: quanti precisamente? A questo
proposito, al di fuori della tradizione indù, troviamo perlomeno un'indicazione
precisa, abbastanza plausibile da poter essere accettata, questa volta alla
lettera: presso i Caldei, la durata del regno di Xisuthros,
che è manifestamente identico a Vaivaswata, il
Manu dell'era attuale, era fissata in 64.800
anni, cioè esattamente cinque grandi anni. Per inciso, facciamo notare che il
numero 5, essendo quello dei bhutas o elementi
del mondo sensibile, deve avere necessariamente una speciale importanza dal
punto di vista cosmologico, il che tende a confermare la fondatezza di una tale
valutazione; si potrebbe anzi ravvisare una certa correlazione tra i cinque
bhutas e i cinque grandi anni successivi di cui si tratta, tanto più che nelle
antiche tradizioni dell'America centrale si trova una evidente connessione fra
gli elementi e particolari periodi ciclici; è questo però un problema che
richiederebbe una disamina più approfondita. Comunque sia, se è questa
effettivamente la durata del Manvantara, e se
si continua a prendere come base il numero 4.320, che è esattamente un terzo del
grande anno, è dunque per 15 che questo numero dovrà essere moltiplicato, per
avere la durata del Manvantara. I cinque grandi
anni saranno naturalmente ripartiti nei quattro Yuga in modo diseguale, ma
secondo rapporti semplici: il Krita-Yuga ne conterrà 2, il Treta-Yuga 1 e mezzo;
il Dwapara-Yuga 1 e il
Kali-Yuga mezzo; questi numeri sono precisamente la metà di quelli
che avevamo trovato, quando consideravamo la durata del
Manvantara rappresentata dal numero 10. Calcolati in anni ordinari, i
quattro Yuga avranno una durata rispettivamente di 25.920, 19.440, 12.960, e
6.480 (anni), per un totale di 64.800 anni. Come si vede, queste cifre si
mantengono in limiti perfettamente verosimili, potendo ben corrispondere alla
età reale della presente umanità terrestre.
Non andremo oltre con queste considerazioni, poiché, per quanto concerne il
punto di partenza del nostro Manvantara, e,
conseguentemente, l'esatto punto del suo corso, nel quale ci troviamo
attualmente, non è nostra intenzione arrischiarci a determinarli. Sappiamo già,
per i riferimenti che ci danno tutte le tradizioni, di essere ormai da tempo nel
Kali-Yuga; possiamo aggiungere, senza tema di
errori, che siamo anzi in una fase avanzata di esso, fase che viene descritta
nei Purana con particolari che rispondono in maniera davvero sorprendente ai
caratteri della epoca attuale; ma non sarebbe forse imprudente voler aggiungere
altre precisazioni, ed inoltre ciò non corrisponderebbe inevitabilmente ad una
di quelle predizioni tanto avversate, non, senza motivo, dalla dottrina
tradizionale?