"NON DEVO
DIFENDERE LA MIA VERITA' MA VIVERLA"
Intervista a p. Raimon Panikkar
Allevato in Spagna da madre cattolica e padre indu, Raimon Panikkar ha
dedicato tutta la vita al dialogo interreligioso. Ordinato sacerdote nel 1946,
nella diocesi di Varanasi, in India, è autore di circa 40 libri. Questa
intervista è ripresa da "Missione Oggi".
* Come è possibile combinare
un’eredità al contempo cristiana e induista?
Sono stato educato nel cattolicesimo da
mia mamma spagnola, ma non ho mai smesso di cercare di restare unito alla
tollerante e generosa religione di mio padre e dei miei antenati indu. Tuttavia
ciò non fa di me un "semi-casta" culturale o religioso. Cristo non era mezzo
uomo e mezzo Dio, ma interamente uomo e interamente Dio. Ugualmente io mi
considero al 100 per cento induista e indiano e al 100 per cento cattolico e
spagnolo. Com’è possibile? Vivendo la religione come un’esperienza piuttosto che
come un’ideologia.
* Come spiega il fascino che le
religioni e le filosofie dell’Asia esercitano sull’Occidente e la paura che
questo produce nelle Chiese occidentali?
Si potrebbe rovesciare la domanda e
chiedersi, invece, perché l’Occidente esercita una tale attrazione sull’Oriente.
La risposta alla sua domanda, in ogni modo, è che il cristianesimo contemporaneo
ha prestato un’attenzione insufficiente a molti elementi chiave della vita
umana, come la contemplazione, il silenzio e il benessere del corpo. C’è in
quest’attrazione un salutare schiaffo dello Spirito, che sta dicendo alle Chiese
in Occidente di svegliarsi. La scoperta dell’altro, la ricerca di una maggiore
pace dell’animo e la tranquillità del corpo, di gioia e serenità, sono fonti di
rinnovamento. Quella del cristianesimo è tutta una storia di arricchimento e
rinnovamento ottenuti da elementi che sono venuti dal di fuori di esso. Allora
perché questa paura? Se la Chiesa vuole vivere, non deve temere di assimilare
elementi provenienti da altre tradizioni religiose, la cui esistenza non può più
ignorare oggi. Ciò non toglie che si debba usare prudenza e io comprendo la voce
delle autorità cattoliche quando si leva contro la diffusa superficialità.
* Tuttavia, quale sarebbe lo
scopo di credere e dedicare la propria vita a qualcosa, se non si tratta di
difendere la propria verità? Il tipo di dialogo religioso che lei chiede, in cui
ciascuno entra, prima di tutto, non per difendere le proprie convinzioni ma per
condividere esperienze, non si riduce facilmente a un’amichevole chiacchierata?
Io difendo la mia verità. Sono pronto a
dedicarle la mia vita e a morire per essa. Dico semplicemente che non ho un
monopolio sulla verità e che più importante è il modo in cui tu ed io entriamo
in quella verità, come la percepiamo e la ascoltiamo. Tommaso d’Aquino diceva:
"Tu non possiedi la verità; è la verità che possiede te". Sì, noi siamo
posseduti dalla verità. È lei che mi fa vivere; ma anche gli altri vivono, in
virtù della loro verità. Io non m’impegno prima di tutto a difendere la mia
verità, ma a viverla. E il dialogo tra le religioni non è una strategia per far
trionfare la verità, ma un percorso per ricercarla e approfondirla insieme agli
altri.
Da:
http://www.saveriani.bs.it/Missionari_giornale/arretrati/2001_06/Panikkar.htm
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