"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
" Sono partito come cristiano, mi sono scoperto indù e
ritorno come buddhista, senza aver mai cessato d´essere cristiano" .
Sintetizzava così Raimon Panikkar, il celebre filosofo ispano-indiano esperto di
relazioni interculturali, le acquisizioni del suo soggiorno ventennale in India
qualche decennio fa.
L´IMPORTANZA DEL DIALOGO Questa espressione, oltre il senso della " dismisura"
del personaggio, descrive bene la grande avventura esistenziale e culturale
della sua vita: l´incontro profondo, interiore, disarmato e rischioso con altri
universi religiosi. " Ma - aggiunge Panikkar - mi ci sono voluti tre quarti
della vita per poter fare questa affermazione senza fratture interiori" . Non
meraviglia perciò che il dialogo fra diverse tradizioni religiose assuma un
ruolo così decisivo nel suo pensiero. " Richiede un atteggiamento di ricerca
profonda, la convinzione che stiamo camminando su un suolo sacro, che mettiamo a
repentaglio la nostra vita" e, allo stesso tempo, una fiducia così radicale
nell´altro da arrivare a credere in ciò che l´altro crede, senza ridurlo a
oggetto o giudicarlo preventivamente. Comprendere l´altro come egli comprende se
stesso è possibile solo se c´è una realtà più profonda nella quale i due
interlocutori comunicano. Per questo Panikkar può scrivere: " Quando dialoghi
con qualcuno guarda il tuo interlocutore come un´esperienza rivelativa, come
guarderesti - o ti piacerebbe guardare - i gigli del campo" .
LA TORRE DI BABELEQuesta esperienza esistenziale e di fede spinge Panikkar a
percepire che ogni cultura è un mondo e che l´importante è favorire la
comprensione fra mondi diversi. La tentazione della modernità occidentale,
invece, è quella di costruire la grande Torre di Babele in cui c´è posto per
tutti, a patto che stiano zitti e buoni nel posto che è stato loro assegnato.
Ecco perché il filosofo ispano-indiano non vuole sentir parlare di " villaggio
globale" ed è allergico alla globalizzazione neoliberista che sta perpetrando un
vero " culturicidio" . Il colonialismo occidentale cambia volto ma è duro a
morire. Il nostro mondo non ha bisogno di globalizzatori ma di " pontefici" ,
nel senso etimologico della parola, persone che gettino ponti di comprensione e
di fiducia fra una cultura e l´altra.
IL PLURALISMO NON È UN IDILLIO ROMANTICOIl rapporto fra culture diverse non è un
idillio romantico, ma fa subito emergere il problema del pluralismo. Come
possiamo cavarcela - scrive Panikkar - con culture, atteggiamenti, modi di
pensare reciprocamente incompatibili? Non si può né ridurli a un´unità fittizia,
né lasciarli isolati l´uno dall´altro; la competizione e la guerra sarebbero
alle porte. Non rimane che accettare positivamente le diversità, anche senza
comprenderle: permettere all´altro di dire la sua parola, di cantare la sua
canzone, evitando il conflitto dialettico e mantenendo un dialogo continuo e
fiducioso. Adottare un atteggiamento pluralistico significa " trasformare le
tensioni distruttrici in polarità creative" senza pretendere di capire tutto. Si
può partecipare allo stesso orizzonte senza produrre le stesse interpretazioni.
In fondo gli uomini hanno sempre saputo che la prassi e l´amore conducono più
lontano della pura razionalità. Le conseguenze pratiche del pluralismo vanno
davvero controcorrente rispetto all´ideologia del sistema dominante. La parola
d´ordine per Panikkar sarebbe " decentralizzare" , abbandonare il sogno
dell´unità monolitica e imperiale e coltivare la cultura, la lingua, l´economia
locali. Non per una specie di regressione romantica al passato, ma per la
necessità di non distruggere la concretezza della persona umana e dei molteplici
fili che la legano alla sua tribù, alla sua terra, alla sua cultura, al suo modo
di produrre. La malattia mortale della democrazia contemporanea è
l´individualismo, che disintegra la comunità e alla fine dissolve l´individuo,
divenuto numero insignificante, nell´anonimato della massa. L´aver preso sul
serio il pluralismo conduce Panikkar a una riflessione teorica decisiva:
esistono nella realtà dimensioni che non si possono ridurre alla coscienza, ecco
perché non possiamo venire a capo delle diversità col semplice pensiero. La
realtà è trinitaria; non c´è solo la coscienza umana, ma anche la dimensione
divina e quella cosmica. In Oriente gli asceti indù che viaggiano appoggiati al
loro tridente lo ricordano quasi in maniera plastica.
QUANDO IL PENSIERO NON BASTA Ci addentriamo qui nel cuore della concezione
panikkariana, che l´autore considera una intuizione mistica più che un percorso
filosofico. C´è nell´uomo e in ogni essere una dimensione di " più" e di "
meglio" , di infinito, che gli permette di superare il suo limitato se stesso.
Già Pascal ricordava che " l´uomo supera infinitamente l´uomo" e Panikkar
soggiunge che " nel toccare i suoi limiti la coscienza si apre e coglie che
´c´è´ qualcosa ´oltre´, ´qualcosa´ che sfugge ai suoi limiti, che trascende ogni
limitazione" . L´uomo si rende conto di essere interno a una realtà che lo
avvolge, che si esprime come presenza e come assenza, e in seno alla quale può
riposare. Secondo i contesti e le culture, è rappresentata come al di là del
mondo, dell´uomo, persino dell´essere. Quando l´uomo si mette in ascolto della
propria profondità scopre sia l´inconsistenza e la fragilità del suo ego, sia
l´esistenza di un " fondo senza fondo" che, per un verso, è il suo se stesso più
vero, per un altro è ciò che vi è di più profondo in ogni altro uomo e in tutto
il reale. Esperienza di una realtà che Agostino definiva " più intima di me a me
stesso, più alta di ogni cosa più alta" e le Upanishad, più poeticamente, come "
più piccola del cuore del seme di miglio, più grande della terra e dei monti" .
NÉ PRODOTTO NÉ PADRONE DELLA NATURA In ogni essere c´è anche una dimensione di
pensabilità che lo collega alla coscienza umana e che permette al mondo di
vivere umanizzato nell´uomo. E, infine, il reale ha una dimensione cosmica di
materie ed energia, di spazio-tempo, che non può essere trascurata. L´uomo non è
né il puro prodotto né il padrone della natura e il mondo è il suo corpo più
esteso, col quale condivide la vita e il destino. Se una civiltà non riesce ad
articolare in maniera armonica queste tre dimensioni della realtà scivola
rapidamente verso la propria autodistruzione. Per questo Panikkar è preoccupato
per il destino dell´Occidente, che ha investito tutte le proprie energie sulla
razionalità, dimenticando quell´orizzonte non pensato in cui crediamo senza
esserne coscienti, il mito, e soprattutto quella dimensione di ineffabilità che
non contraddice la ragione ma la supera, lo Spirito. " Il logos - scrive
Panikkar - accompagna tutto il cammino dell´uomo, ma non tutto è riconducibile
al logos" . Compito del mito è liberare l´uomo dall´impegno di dover pensare
ogni cosa e dunque dal delirio di onnipotenza, quello del logos indicare i
paletti di confine dove comincia l´irrazionalità, quello dello Spirito orientare
il cammino dell´essere umano" . Un Occidente ancora intrappolato nella
convinzione che il pensiero abbracci la totalità del reale e che gioca tutto
sulla riflessione, dovrebbe imparare dall´Oriente, che non fa suo questo
presupposto, l´arte del silenzio, dell´ascolto, la purità del cuore, la capacità
di immedesimarsi con ciò che si vuol conoscere. Insomma Panikkar è convinto che
nessuna cultura ce la faccia da sola a fronteggiare le sfide contemporanee e
auspica una fecondazione reciproca che le trasformi dall´interno. Ma senza usare
" preservativi" , aggiunge con un pizzico di malizia.
UNA NUOVA INNOCENZA Per arrivare a questa specie di nuova innocenza è necessario
adottare un nuovo stile di vita che spinga l´uomo a ricentrarsi. Un compito per
niente intimistico, che implica reinterpretare il divino, dopo tutta la stagione
dell´ateismo e del nichilismo, recuperare l´umano nella sua dimensione di
corporeità, sessualità e politica, così spesso trascurata dalla spiritualità
tradizionale, rifare l´esperienza della dimensione terrestre, completamente
appannata dalla dittatura della tecnologia. Sul piano concreto significa
liberarsi dall´ossessione di ciò che è sempre più grande in senso quantitativo (l´espansione
produttiva, le grandi metropoli, le ambizioni senza confini) e puntare al meglio
in senso qualitativo: le relazioni umane, l´amicizia, la convivialità, il
linguaggio locale; la comunità è essenziale per aiutare le persone a trovare la
propria identità e per non ridurle a ingranaggi del sistema tecnocratico.
Panikkar propone di adottare " uno stile di vita che non sposi l´ethos della
società dei consumi e della grande vorace macchina" . Non si tratta di
smantellare l´universo tecnologico per ritornare a un´età premoderna o di
combattere il sistema con un contropotere ancora più forte, ma di emanciparsi
dalla tecnologia " riscoprendo la vera gioia della vita, il centro
dell´esistenza, il valore di ciò che è personale e unico: l´amore, la bontà, la
bellezza e la verità, piuttosto che il giusto, l´utile, il puramente piacevole,
l´effettivo" . A leggere l´opera di Panikkar ci si accorge di trovarsi di fronte
a un pensatore che non si è baloccato con le idee, ma che ha sperimentato con la
sua stessa vita; per questo le sue intuizioni superano il secolo che le ha viste
nascere e sprigionano una luce capace di aprire sentieri all´inizio del nuovo
millennio.