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Il tempo del perdono e la logica del nemico (Raimon Panikkar)
Non dico che funzionerà, ma ancora non
se ne è fatta una autentica prova. Nella pratica personale funziona. E ciò non
vuol dire affatto sottomettersi a un´altra civiltà o perdere la propria
identità. L´identità culturale la si perde così facilmente? Quando il
cristianesimo è stato potente? Quando era perseguitato. Quindi anche nelle
persecuzioni una civiltà matura, cresce, acquista una propria identità. Avere
paura del nemico non è la stessa cosa del non resistere al nemico. Il Vangelo lo
dice chiaramente. Di cosa ho paura, di perdere un´identità che è così debole che
non si sostiene da sola? Se ho così poca fiducia in me così come nella civiltà
occidentale, qualsiasi venticello mi farà pensare che saremo attaccati. Ogni
civiltà contiene tutto - l´amore e l´odio, una cosa e il suo opposto - e io devo
averne una visione particolareggiata. Qual´è, per essere concreti, lo Stato
musulmano più popoloso al mondo? L´Indonesia. E gli indonesiani non sono così
pericolosi! Il secondo: l´India. Poi il Pakistan. Io fin´ora non ho incontrato,
in queste popolazioni, nazionalismi e fondamentalismi così feroci. India e
Pakistan si sono combattute tante volte, ma per ragioni storiche e politiche
molto concrete. Voglio dire che non dobbiamo fare una caricatura delle altre
civiltà, in caso contrario non lamentiamoci se anche loro ne fanno una
simmetrica di noi e della nostra civiltà. La logica della ritorsione non
funziona come difesa contro il crimine o contro il disordine. Gli ultimi fatti
che lo dimostrano sono gli esiti delle guerre in Afganistan e Iraq. C´è una
strada da esplorare per non cadere negli scontri di civiltà ideologicizzati: è
quella della pace e del perdono. A mio parere c´è una relazione diretta tra pace
e perdono. Ho scritto tanti anni addietro che soltanto il perdono rompe la legge
del karma, dell´occhio per occhio e dente per dente. Il perdono ha una
dimensione che lo rende così grande e difficile: è un atto eminentemente
religioso. Il perdono se non esce dal cuore non è tale. Io posso non vendicarmi,
ma la ferita continua. Detto in termini teologici: il perdono è una decreazione.
Se la creazione è fare dal nulla una cosa, il perdono è fare che quella cosa
torni al nulla. E perciò non ho bisogno di vendetta, non ho bisogno di
restituzione, non ho bisogno di nulla. La grande difficoltà consiste in come sia
possibile tradurre ciò in termini politici. Non ho una soluzione, ma ho due
commenti. Il primo commento è che tutti i nostri grandi sforzi per chiedere la
restituzione di un danno subito (evitando il perdono) non hanno funzionato per
quaranta secoli. Mentre il perdono, realmente, ancora non lo abbiamo provato. Il
secondo commento è che il perdono ha un effetto catartico, purificatore così
importante che cambia l´altro. L´altro si rende conto che ha fatto una cosa che
non andava bene e che tu lo hai ripagato con un atto unilaterale di perdono: per
tutta la vita sarà felice e fedele, perché lo hai guarito, per sempre, con il
tuo perdono. Però bisogna essere chiari su un tema così delicato. Il perdono non
è azione-reazione. Ha bisogno di un tempo di maturazione, per perdonare è
necessario aspettare. Sapere aspettare costa, e noi viviamo in una civiltà che
vorrebbe fare tutto immediatamente. C´è un tempo per il perdono che non è la
reazione istantanea all´offesa. Sarebbe quasi una burla, o un´impunità. Il
perdono ha un tempo di maturazione, è una decisione che arriverà a suo tempo. Se
non c´è stata questa maturazione interiore, io non sarò disposto a perdonare,
perché ancora sento la ferita, né l´altro sarà pronto a riconoscerlo, perché si
sentirebbe impunito. Trovare questo equilibrio tra tempo e atto del perdonare è
importantissimo. Questo appartiene alla virtù reale della prudenza. è necessario
rilevare che gli scontri di civiltà, storicamente, hanno a che fare con il
problema della verità e del suo possesso esclusivo. Non si può negare, infatti,
che in nome della verità si siano fatti crimini spaventosi e trovate
giustificazioni orribili. Noi non siamo i padroni della Verità. Citando San
Tommaso: «chi ha trovato la Verità è posseduto dalla verità, non ne è il
padrone». La verità ci possiede. La verità è relazione, è sempre un essere con
l´altro, altrimenti non è verità. La verità assoluta è una contraddizione,
proprio perché la verità è relazione. Il grande pericolo, e qui non vorrei
scandalizzare nessuno, è il monoteismo. Il monoteismo pensa che Dio è la Verità,
perché il monoteismo pensa un Dio isolato, un Dio solo. Non è così in tutti i
monoteismi, la questione è molto complessa, ma vi è questo costante pericolo:
benché io non possieda la Verità, c´è un Dio che la possiede e questo Dio ce
l´ha rivelata. Non mi convince il monoteismo. Penso che il monoteismo non sia
cristiano, perché il cristianesimo crede nella Trinità. Ma anche per la mistica
dell´Islam ci sono tre realtà: l´amore, l´amante e l´amato. Per la Cabala sono
tre le cose increate da Dio: la Torà, la Legge e il popolo. La Trinità è molto
più estesa, anche nelle religioni cosiddette monoteiste, di quanto non si creda.
Pur riconoscendo che in nome della verità assoluta si sono fatti tantissimi
crimini, dico questo: quella non è la verità. Una verità che io immagino come
assoluta, togliendole quindi ogni relazionalità – che è l´essenza della verità -
per definizione non è verità, nemmeno quella che viene presentata come divina.
Quindi smascherare questa piaga dell´umanità è un progresso, che è necessario
operare in questo momento storico. Dove il contrario non è l´indifferenza, non è
affermare che la verità non esiste. La verità esiste, ma è relativa: a noi, ad
una mente, a qualsiasi cosa. A questo proposito devo dire subito ai puritani,
non per consolarli ma per chiarificare, che la relatività che io difendo e di
cui sono convinto, non è il relativismo, dove tutto è uguale. La relatività non
è relativismo: la verità è relativa. Ma per superare il relativismo non si deve
cadere nell´assolutismo. Il rimedio sarebbe peggio della malattia. Il
relativismo non va bene, ma la relatività implica di non perdere la misura
umana. Non si progetta su un punto omega infinito. è la nostra vita quella che
conta e la mia verità (per essere sincero direi la mia convinzione, e sono
convinto pienamente di tutto quello che dico) non la assolutizzo perché può
esserci un punto di vista diverso e un´angolatura differente. Quindi, pur
riconoscendo che, in nome della verità, si sono commessi grandi crimini, io
ancora difendo l´idea della verità come relazionalità e non come assolutismo.
L´uomo isolato, solo – e la solitudine dell´uomo contemporaneo è una malattia
dell´anima – non regge, non può respirare, non esiste. Ha bisogno dell´altro,
l´altro come portatore di un messaggio. Come dice la tradizione musulmana: «lo
sconosciuto può essere un angelo». Dobbiamo aiutarci reciprocamente e essere
consapevoli, proprio nel confronto tra culture e spiritualità diverse, che la
verità non è possesso personale, io non sono l´unico essere buono di questo
mondo, l´unico che capisce cos´è la verità. Abbiamo necessità di comprendere che
la verità, forse, «quando cade dal cielo sulla terra si rompe in cento pezzi, un
pezzetto a disposizione di ciascuno». http://www.margheritaonline.it/stampa/scheda.php?id_stampa=30346
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