Intervista
a Raimon Panikkar, lo studioso contemporaneo che ha riflettuto con maggior
rigore sul rapporto tra le culture
La prima condizione per un vero dialogo è quella di non sentirsi
autosufficienti, né individualmente né come popolo
Di Achille Rossi
Raimon Panikkar è lo studioso con- temporaneo che ha riflettuto con maggior
rigore sul rapporto tra le culture; ma più che elaborare una metodica del
dialogo interculturale, ha cercato di mostrare che il dialogo è un elemento
essenziale della realtà. Abbiamo posto a Panikkar alcune domande sul rapporto
con l´islam, nel momento in cui l´emozione per la strage dell´11 settembre
rischia di spingerci verso uno scontro di civiltà. Le masse islamiche mostrano
una crescente insofferenza nei confronti dell´Occidente. Come spiega questo
atteggiamento e a quali cause lo ricondur- rebbe? " Non soltanto le masse
islamiche, ma anche quelle indù, buddhiste e le masse in genere mostrano
insofferenza dinanzi al dominio di una sola cultura, di una sola nazione e
adesso di un solo stato. Perché tu parli esclusivamente di islamici?" . Perché
adesso sono sugli scudi dopo le ultime vicende. " Posta così la domanda è
tendenziosa: costringe a difendere o attaccare l´islam o l´Occidente, accettando
le regole del pericoloso gioco di contrapposizione che ha preso inizio nelle
ultime settimane. Tutte le masse, non solo quelle islamiche, provano tale
insofferenza. Esse avvertono lo scandalo di una società, quella occidentale
appunto, realmente potente e apparentemente felice, che è riuscita a costruire
un modo di vivere senza Dio: Dio è una ipotesi superflua. E queste masse si
rendono conto, probabilmente in maniera piuttosto incosciente, che questo
rappresenta uno scandalo nei confronti della loro fede, perché Dio non può
essere assente da nessun affare umano. Non voglio naturalmente difendere
l´integralismo, ma sottolineare soltanto il contraccolpo provocato in certe
culture dal successo di una civiltà totalmente atea" . In Occidente l´islam
viene qualificato come la religione dell´intolleranza e identificato con la
jihad, la guerra santa; alcuni addirittura ne traggono pretesto per proclamare
l´impossibilità di integrare gli islamici nella cultura occidentale. L´islam
corrisponde davvero a questa descrizione oppure siamo di fronte a una
caricatura? " Le caricature non sono completamente sbagliate. Io però potrei
fare la stessa caricatura nei confronti del cristianesimo: storicamente il
cristianesimo è stato più intollerante dell´islam. Questo è un fatto accettato
da tutti" . Però gli elementi dottrinali delle due religioni sono differenti:
l´islam predica la jihad, il cristianesimo il perdono del nemico. Queste
differenze, secondo lei, sono solo apparenti o esistono realmente? " Anche nel
Vangelo Gesù dice: non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Come queste
parole di Cristo, anche il termine jihad deve essere interpretato: può
significare crociata e può significare lotta interiore contro il male. Io non
sono un ulema per parlare con sufficiente autorità dell´islam, ma non posso
negare che la jihad sia stata interpretata come una giustificazione della guerra
santa" . Il fatto che nell´islam non ci sia una netta distinzione tra diritto e
religione, tra religione e politica, crea una difficoltà reale nei rapporti con
l´Occidente. È possibile essere pienamente fedeli all´islam e nello stesso tempo
adottare il principio della laicità dello stato? " Nell´islam la distinzione tra
sacro e profano non è stata sufficientemente sviluppata, perciò i musulmani si
trovano in questa situazione. L´islam non ha potuto operare tale distinzione,
perché negli ultimi secoli, a ragione o a torto, si è trovato sempre pressato
dall´Occidente. Per conto mio, mi sento abbastanza indiano per non condividere
né la visione monista né quella dualista della realtà: un potere ecclesiastico
sopra tutti i poteri è tanto negativo quanto l´autonomia etica o uno stato
completamente separato dalla sfera religiosa. Non si può frantumare la vita,
occorre trovare una forma che accetti le distinzioni senza cadere nella
separazione. Non è un caso che in duemila anni la cristianità abbia lasciato
nell´ombra la Trinità: la Trinità è pura relazionalità e dunque un ostacolo alla
giustificazione teologica del potere unico e assoluto della monarchia" . Quando
si parla di laicità dello stato non si vuol stabilire una frattura tra vita e
ispirazione religiosa. Si vuole soltanto sottolineare che lo stato non sposa una
religione ben precisa, consacrandola come religione dello stato. " Si è fatto
della religione una caricatura, fino a ridurla a un´altra ideologia e a
un´istituzione. A quel punto, evidentemente, lo stato non può sottoscriverla
perché anch´esso è un´istituzione. Qui comincia già la degenerazione del
religioso: la religione non è un´istituzione, ma una dimensione umana. Che poi
si sia istituzionalizzata è tutto un altro paio di maniche. Proprio per questo
nelle religioni non monoteiste, come ad esempio l´induismo e il buddhismo,
simili problemi non si pongono" . Secondo le tradizioni orientali, allora, come
si può coniugare la vita civile con la presenza di una pluralità di confessioni
religiose? " Senza nessuna difficoltà: le confessioni religiose sono e devono
rimanere confessioni religiose" . E questo è il principio della laicità dello
stato! " No, perché lo stato reclama autorità sopra tutte le manifestazioni
esterne dell´individuo" . Lo stato assoluto, non lo stato contemporaneo! " Se in
Francia tu metti in dubbio il processo di Norimberga commetti reato. In questo
senso, quindi, non si può parlare di laicità dello stato. Tutte le cose si
spiegano attraverso la loro evoluzione storica: dopo il cesaropapismo e le
teocrazie era ovvio, naturale e sano che arrivasse questa reazione della laicità
dello stato. Ma oggi, dopo due secoli, possiamo cominciare a pensare che questo
non sia un dogma incontrovertibile" . Come viene recepito l´islam in India, in
un differente contesto culturale? Anche lì non dovrebbero essere state sempre
rose e fiori. Quali difficoltà incontra nella società indiana? " I musulmani, a
differenza degli inglesi che vi si sono introdotti dolosamente, sono entrati in
India come conquistatori, quindi già con il piede sbagliato. La storia del
rapporto fra India e islam non è stata mai troppo pacifica, a cominciare
dall´instaura- zione del sultanato di Delhi fino all´enorme trauma della
divisione con il Pakistan, che è costato due milioni di vittime" . " Tuttavia le
relazioni umane fra indù e musulmani sono sempre state in genere molto buone. In
India non c´è una chiesa, ma ci sono il popolo e le tradizioni; e siccome tutto
resta a livello di relazioni interpersonali, la convivenza pacifica è molto più
semplice" . Quando si parla di fondamentalismo in Occidente si pensa subito agli
islamici, quindi agli uomini bomba palestinesi, ai terroristi algerini e adesso
ai talibani. In cosa consiste esattamente per lei, come storico delle religioni,
il fon- damentalismo: è un´espressione tipica dell´islam oppure una
degenerazione dell´atteggiamento religioso universale? " Fondamentalismo
significa avere alcuni fondamenti, punti fermi imprescindibili, senza i quali si
pensa che la vita non abbia senso. Bisogna vedere però a che livello uno ponga
questi fondamenti, quale importanza attribuisca loro. Tutti siamo dunque in
qualche modo fondamentalisti. Personalmente mi sento più minacciato e sono più
critico nei confronti del fondamentalismo cristiano che non di quello islamico"
. Perché? " Perché è più sottile, più intelligente, più pericoloso, ha più
denaro. Invece che di fondamentalismo però preferirei parlare di fanatismo, che
è l´assolutizzazione di una sola religione, di una sola cultura, di una sola
forma di vita. Proprio per questo chi non conosce altre religioni all´infuori
della propria ha la tendenza ad assolu- tizzare e a diventare fanatico. E quando
un popolo vive per lungo tempo in isolamento tende a considerare la propria
forma di vita come assoluta" . Lei è un sostenitore del dialogo fra le culture e
della fecondazione reciproca. Altri studiosi teorizzano invece lo scontro fra le
civiltà e gli avvenimenti di questi ultimi giorni sembrano dare ragione a loro.
Quale atteggiamento bisognerebbe assumere per realizzare un dialogo vero? " Gesù
non ha escluso nemmeno Giuda dall´ultimo banchetto. Perché allora non allestire
un banchetto a cui invitare anche gli islamici per dialogare? Per me il dialogo
non è una strategia diplomatica, ma appartiene semplicemente alla natura umana"
. Come evitare lo scontro di civiltà di cui parla Huntington? " Dialogo e
interculturalità costituiscono l´imperativo morale più importante della nostra
epoca. Ognuno deve cominciare a capire che l´altro, il quale è portatore di idee
per lui incomprensibili e inaccettabili, costituisce la rivelazione della sua
contingenza, della contingenza di tutti gli individui e di tutte le culture" .
Quali sono le condizioni per realizzare un fecondo dialogo interculturale? "
Innanzitutto non bisognerebbe sentirsi autosufficienti. Se io mi considerassi
autosufficiente, che sarebbe il primo passo verso l´assolutismo o
l´assolutizzazione delle mie idee, non avrei bisogno dell´altro: ti rispetto, ti
amo anche, dunque ti lascio percorrere indisturbato il tuo cammino. Questa è la
concezione del Dalai Lama, il quale ritiene che le religioni siano linee
parallele che procedono senza incontrarsi mai. Io penso invece che le religioni,
come dimostra la storia, si incrocino continuamente, non necessariamente in
maniera violenta; certamente però non sono linee parallele. L´esperienza deve
farmi capire che io non sono autosufficiente e che in qualche modo ho bisogno
dell´altro per completare o riconoscere meglio me stesso. In questo senso il
dialogo è necessario. Quindi, come prima condizione, non sentirsi
autosufficienti, né individualmente né come popolo. In secondo luogo, scoprire
se stesso nell´altro: scoprire nello straniero parte di me stesso. Se io
scoprissi nell´altro una parte di me, sarei più curioso di scoprire cosa pensa,
cosa sente, proverei una forte spinta a conoscerlo. E non si conosce se non si
ama e viceversa. Da tutto questo ovviamente nascerebbe il dialogo, la
conversazione, lo scambio. Vorrei ricordare ancora un altro atteggiamento
fondamentale: l´arte di saper ascoltare, che non è facile. Per capirti devo
capire ciò in cui credi, e se non credo in qualche modo a ciò in cui credi non
ti capisco veramente. Prendo un esempio dall´attualità di quest´ultimo periodo.
Se io pensassi che i sostenitori del libero mercato sono solo esseri cattivi,
egoisti, in malafede, non arriverei mai a comprenderli, a incontrarli. Anche in
ciò che apparentemente ci ripugna c´è qualcosa da capire, su cui dialogare, con
cui arricchirsi, a cui andare incontro" .
Da:
http://www.altrapagina.it/public/ingrandimento_articolo.php?ID_Articolo=393
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