"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
AHN:
Come condirettore del Parlamento delle Religioni, che bilancio traccerebbe del
dialogo interreligioso? RaimonPanikkar: In
primo luogo, ho il vantaggio di essere stupido e di
conseguenza di non fare bilanci. Tutto si può 'bilanciare' positivamente e
negativamente, sottolineando una cosa o un'altra.
Tutto il mondo è paese. Ma, tutto sommato, il
bilancio non è negativo.
Dal punto di vista sociologico, anzi, è molto positivo.
Finora abbiamo vissuto sempre più in compartimenti stagni. Si parla molto di
globalizzazione, ma non di un incontro umano di una
certa profondità.
La mia critica è che non si è ancora arrivati dove io avrei voluto che si
arrivasse: a un incontro, non solamente di cuore,
cordiale, ma umano in senso profondo, di menti e cuori allo stesso tempo. Non
per dire tutti le stesse cose, ma per comprendersi e
amarsi con un po' più di intelligenza e di profondità. Non si tratta di una
concordia esterna. Non andiamo a parlare solo perché l'altro non
dispone di armi atomiche e non intende distruggermi,
si tratta di qualcosa di più.
A mio modo di vedere, questo qualcosa di più non è uniformità, ma la possibilità
di godere dell'arcobaleno. Io non voglio che il verde
sia rosso né che il rosso sia giallo, ma voglio poter godere
della sinfonia di colori anziché di una melodia monocolore. Il fatto è
che, lo vogliamo o no, siamo ancora monoculturali, soprattutto l'Occidente. Non
si può essere multiculturali,
cioè essere al di sopra di coloro che hanno una sola cultura. Bisogna
essere interculturali, cioè aprirsi alla fecondità
mutua tra gli uni e gli altri. La metafora è duplice, spirituale e sessuale. Io
posso apprendere molto dall'altro, sempre che io permetta anche all'altro di
fecondarmi e apprendere da me. C'è una certa inculturazione
tra coloro che vogliono apprendere molto dagli altri,
per essere migliori di loro. Ma il movimento deve
prodursi in entrambe le direzioni perché ci sia una vera comunicazione. E di questo si stanno ponendo le basi. Perché, avendo
toccato il fondo, siamo arrivati a un punto in cui
appare chiaro che così non si può continuare. Questa è la mia opinione
paradossalmente ottimista. Non è uguale litigare prendendosi a pugni o farlo con
le bombe atomiche. Se non cambiamo, presto o tardi
arriveremo a questo. E poiché siamo disposti solo a porre cataplasmi,
palliativi e iniezioni di acqua fresca, non arriviamo
al fondo delle cose. Ma il mondo sì che ha toccato il fondo.
La riforma non serve, bisogna realizzare una trasformazione (metamorfosi, in
greco) e aiutare la gente a prendere coscienza del fatto che con i palliativi
non si va da nessuna parte. Se il rimedio deve essere efficace, ci deve
coinvolgere completamente. E, a volte, non siamo
disposti a correre il rischio. Predicare sì, sappiamo farlo d'avanzo. Ma essere
l'incarnazione di quello che predichiamo, cioè
lasciar da parte tutte le sicurezze, già è più difficile. Siamo ossessionati
dalla sicurezza ma, per valutare l'importanza delle idee, bisogna assumere i
rischi. 'Il signore delle Carte',
Cartesio, era ossessionato dalla ricerca della verità. Ma
oggi, dall'ossessione di Cartesio per la certezza, siamo passati alla patologia
della sicurezza, che ci rovina la vita. Bisogna correre il rischio
di essere vulnerabili. Puoi portare un pugnale
nascosto per uccidermi o avere qualsiasi altra intenzione occulta, ma se io sono
sospettoso dall'inizio non esiste più relazione umana. Senza
fiducia, non si può essere felici.
AHN: Si è riusciti a generare questa fiducia qui nel Forum, nel Parlamento
delle Religioni?
RP: C'è molta simpatia, c'è scambio di conoscenze.
Quando ho cominciato a difendere l'Islam, molta gente ha riconosciuto che
da questa religione non c'è da temere tanto. Si è rotto una specie di tabù e
molti fraintendimenti sono caduti. Gli stessi cattolici si sono resi conto che
non ogni cattolico deve essere inclusivista, si può
essere cattolici senza aver questo atteggiamento. Io
credo che si sia ottenuto abbastanza, ma mi piacerebbe passare dal sociologico
al metafisico.
AHN: Assenze significative come quella del
Dalai Lama crede che lancino un messaggio al
Parlamento delle Religioni?
RP: Non c'è male da cui non venga un bene. Il Dalai
Lama è un mio intimo amico. L'ho conosciuto nel 1959
in un piccolissimo paese accanto a Benares (una
delle sette città sacre della religione hindù,
presso il Gange), come piccolo monaco buddista. Quando venne
qui, 10 anni fa, tutti volevano conoscerlo, perché emana una grande luce,
e alla fine l'ho presentato io, che non sono nessuno…
AHN: Negli incontri delle e sulle donne del Parlamento, in cui c'è un grande
scambio di energie, si notano tutte le differenze rispetto agli incontri
maschili in cui si parla in modo solenne. Quanto è
necessario secondo lei il contributo femminile alla soluzione dei problemi di
questo mondo?
RP: Provengo, per parte di mio padre, da una società millenaria in cui comandano
le donne. E, per me, la cosa più
importante è che le donne non imitino gli uomini. Una donna indigena mi disse
molto tempo fa che provava compassione per gli uomini, che avevano lasciato alle
donne la cosa più importante che è la casa e la famiglia, mentre loro si
dedicavano solo al lavoro. Ma nella società attuale
questo non funziona, perché le donne hanno voluto imitare gli uomini e lavorano
anche loro.
È necessario sviluppare l'aspetto femminile di ogni
uomo. Gli uomini non posso monopolizzare la
mascolinità, tutti siamo maschi e tutti abbiamo la metà dei cromosomi femminili.
Non possiamo diventare uguali, dobbiamo confrontarci.
La complementarità deve essere pacifica e amorevole. Al momento, abbiamo una
società ad egemonia maschile. Ed ecco vediamo dove
stiamo andando. Non credo nella competizione tra donne e uomini, perché nelle
circostanze attuali sono le donne che perderanno. Questo non porta da nessuna
parte. C'è bisogno di un'altra cosa: la complementarità, l'amore…
Questo nuovo stile di vita necessita del contributo
femminile, ma non solo quello della donna. Ci sono donne maschiliste. C'è una
specie di razzismo sessuale (non di genere, che è un'invenzione linguistica).
Fortunatamente, le donne oggi si stanno ribellando.
Le donne che rappresentano la femminilità (quando la rappresentano senza
impiegare i mezzi dialettici maschili dello scontro) devono aiutarci a creare
una società più umana, più amorevole, più duttile, più flessibile. C'è un'arte
che gli uomini hanno smarrito, mentre per le donne è quasi innata: l'arte di
sedurre con semplicità. Non è vanità, è umanità.
Con la lotta non si ottiene niente. Si ottiene solo che gli altri si ripieghino
in se stessi, si induriscano e diano battaglia.
Allora si perdono. Io sono tanto maschile quanto femminile, senza essere
omosessuale né altro. C'è una dimensione femminile in tutti noi che bisogna
coltivare e risvegliare.
AHN: Melloni ha detto che la
società secolare sta adottando una dimensione sempre più trascendente,
che è sempre più credente. In che modo le società
occidentali possono avvicinarsi non più alla religione ma al sentimento
religioso?
RP: Non lo esprimerei in questo modo. Lo avranno riportato
così i giornali, ma io non leggo la stampa, non ascolto
la radio, non vedo la televisione e, naturalmente, non ho l'automobile. Vedo gli
amici, parlo con la gente e leggo libri e studi che gli autori hanno passato
molto tempo ad elaborare. Leggo solo "Le Monde Diplomatique"
che dà un'informazione meno immediata e più analitica. Oggi ho sfogliato "ElPaís" e, dopo due minuti, già non ne
potevo più. Leggendo solo di
assassinii, suicidi, attentati che visione possiamo
avere del mondo? È questo il mondo? Sì, anche, ma non è
totalmente né essenzialmente così. La visione che lentamente stiamo
facendo passare è basata solo sull'eccezionale e l'eccezionale non è categorico.
AHN: Nella sua "Lettera a un giovane" raccomandava
ai giovani di scegliere quello che amano non quello che si vuole loro imporre.
Direbbe loro lo stesso oggi?
RP: Sì, ma senza amarezza. Il massimo dono della vita è la vita, che abbiamo
già. Io non mi sento scoraggiato dall'ingiustizia che vedo, per quanto la
denunci e lotti contro di essa. Arriva però a
spaventarmi. PerchéSolzyenitzin
era il nemico numero uno dei sovietici? Solo perché era antisovietico, come la
maggior parte dei russi? Perché era violento?
No. Perché con i suoi romanzi faceva in modo che la gente
scoprisse che anche in un campo di concentramento si può essere umani.
Questo fa sì che perdano il potere di spaventarti, di minacciarci.
Se non ho paura, non cado nella paranoia della
sicurezza. La vita è rischio.
AHN: Cosa vede per il futuro? Come lo immagina?
Esiste?
RP: Il futuro è una proiezione mentale, non esiste. Quando
arriva, è già presente. Per questo ho inventato la parola "tempernità",
che non è tempo ora ed eternità dopo, ma l'unione del tempo e dell'eternità.