CONTEMPLARE
NELLE NAVATE DEL MONDO
di Raimundo Panikkar
in: "L'utopia di Francesco si è fatta
... Chiara" Edizioni Cittadella
Dove altrimenti possiamo contemplare, se
la contemplazione non deve essere una fuga e una sconfitta? Una consolazione di
quelli che non potendo fare altro si rinchiudono per fare almeno qualcosa di
importante?
Consultando il dizionario, si vede che navata si può anche interpretare
«navetta» del mondo; siamo su una navetta ed e' per questo che il nostro compito
e' importante.
Grazie a Dio, abbiamo oggi tante macchine, gli elettrodomestici che ci aiutano a
vivere piu' comodamente. Ma e' piu' vita? Ho i miei dubbi, forse abbiamo perso
il senso della vita, il senso-direzione, il senso-sensualita', il
senso-contenuto, i sensi-direzioni, la dottrina. La contemplazione ci fa
scoprire il senso della vita: e' la vita. Punto e basta. Abbiamo ricoperto la
vita di tante cose e pensiamo che vivere e' pensare, e' godere, e' soffrire, e'
fare il bene. Tutti questi sono accidenti e tante volte anche incidenti della
vita nella vita. «Io sono venuto, dice Giovanni (10, 10), perche' abbiano vita e
vita infinita». Le traduzioni italiane dicono «vita eterna», e quasi nessuno lo
sa che cosa voglia dire «vita infinita»: Vita. La contemplazione ci fa scoprire
il senso della vita che e' semplicemente la vita. E la vita non e' pensare, non
e' agire, la vita non e' amare, la vita non e' soffrire, la vita non e' lodare,
la vita non e' sentire; tutte queste sono operazioni della vita, ma la vita e'
previa a tutte queste operazioni, e allora con la vita in se' vivente pensi,
soffri, cammini, parli e fai tante cose. Noi perdiamo il senso della vita ignuda
(e questa per me sarebbe la chiave ermeneutica per capire in termini moderni la
passione per la poverta' di Francesco e Chiara), la nudita' totale della vita
che quando non ha niente si trova dinanzi al rischio semplicemente di essere. E
come direbbe Divus Thomas: Vita viventibus est esse, la vita e’ l'essere per i
viventi.
Noi, che sappiamo tante case e abbiamo tante macchine al nostro servizio,
abbiamo dimenticato forse l’unica parola che e l’arte del vivere, non abbiamo
ancora imparato a vivere. Senza la vita non si puo' vivere ed e' la vita, questo
valore primordiale divino che noi abbiamo perso; percio' ci arrabbiamo e godiamo
per tante cose che facciamo o che non possiamo fare. Ma sembra che l’esperienza
ignuda della vita ci sia vietata. Siamo cosi indaffarati di tante buone cose che
facciamo che la realta piu' profonda, piu' fondamentale, ma anche piu'
elementare, come il respirare, segno di vita, di spiritualita', pare che ci
sfugga. La contemplazione ci fa scoprire la pienezza della vita.
In una lettera ad Agnese di Praga Chiara riproduce lo schema trinitario che da
Platone alle Upanishad, da Ugo di San Vittore a Thomas Merton, dai monaci
buddhisti dei primi secoli agli ultimi, hanno tutti, in una forma o un’altra,
seguito. Lei ci parla di questi tre passi, – processi – per cui si arriva alla
vera vita: intuere, considera, contempla; mira, medita e contempla, o
nobilissima regina; guarda, considera, contempla. Tre passi. In Chiara,
m’immagino, riverberava, risuonava quell’inno cosmico cosi straordinario della
liturgia latina della Trasfigurazione: quicumque Christum quaeritis oculos in
altum tollite, che ha ancora il coraggio di andare un po’ contro gli angeli
dell’ascensione: non guardate in alto, ma guardate intorno a voi. Tutti voi che
cercate Cristo – e il leit-motiv di Chiara – levate, innalzate gli occhi in
alto. Non ci sono navate, ci sono le stelle e ancora di piu': tutti voi che
cercate Cristo, spalancate gli occhi dappertutto e cercate in alto dappertutto,
in alto.
Lo schema e' lo stesso, da Platone in poi ci sono tre grandi momenti che noi
forse in questo processo di voler accelerare tutto abbiamo dimenticato. Primo:
guarda, ascolta, mira, senti, intuere: senza cura della vita dei sensi,
senza un rapporto piu che fraterno con tutto il mondo materiale, senza aver
superato l'alienazione che comincia dal nostro corpo e continua con il corpo
dell'altro fino a tutto il resto del mando materiale, non si puo' avere una vita
pienamente umana. Godere la sensualita' piena per ritrovare questa dimensione
tante volte menomata, meno apprezzata, caduta nell'oblio o nell'adorazione in
tutti gli estremi di tutto il mondo materiale, di tutta la vita dei sensi, di
tutta la bellezza. Chi non e' un innamorato della materia, chi non e' sensibile
alla bellezza che e' sempre dei sensi, non potra' poi ne' estrapolare, ne'
saltare, ne' fare qualsiasi altra cosa e tutto allora diventera' una specie o di
alienazione o di astrazione o di parole vuote. Mira, guarda, innamorati delle
cose belle, dei fiori, di tutto; mira, guarda, intuere, o nobilissima regina,
guarda intorno a te, non aver paura di niente. Senza l'intuizione, senza la cura
della vita dei sensi, senza la nostra identificazione con tutto il mondo
materiale, cominciando con il nostro corpo: io non ho un corpo, sono corpo. Sono
tante altre case, ma sono, siamo materia, terra. Il guaio dell'ecologia e'
cominciato qui. I maschi trattano le donne come un oggetto, tutti gli uomini
trattiamo la terra come un oggetto. E' un passo, ma soltanto il primo.
Considera la sensibilita', la bellezza. Avete mai pensato un po' a questo
passaggio straordinario: la difesa che fa Cristo di Maria di Magdala? Questo
atto che e' di una spiccata bellezza, femminilita' e sessualita': il profumo, i
capelli, i piedi, i baci. E la difesa di Cristo Gesu: «Lasciatela, ha compiuto
una bella opera». Sulla giustizia, sui poveri, sul profumo si poteva anche
discutere, ma sulla bellezza non si puo' discutere, lei e' stata sensibile alla
bellezza e facendo questo ha scoperto la vita. «Lasciatela, ha compiuto una
bella opera».
Intuere, guarda, ma seguita Chiara, considera. Pensa. La funzione della mente,
la responsabilita' dell'intelletto: pensare e' fare una specie di scorciatoia
dimenticando o disprezzando l'intelletto, la scienza, il sapere, l'altra faccia
della realta', evidentemente la realta sensuale, la realta' materiale, la
realta' temporale, ma senza vedere quest'altra faccia che non si vede con i
sensi, che non si sente con la sensualita' ma che sta la' e si scopre con la
mente e con l'intelletto. Guai a pensare che la scienza o il conoscere siano un
lusso o un ostacolo alla vera e piena vita. Avere un'apertura al secondo occhio,
l'occhio della mente, l'occhio dell'intelletto. Quello che e' invisibile alla
sensibilita', il primo occhio, si fa visibile alla meditatio, al considera.
Considerare e' una delle parole piu ambiziose che esistono, ma considerare vuol
dire l'atto straordinario di mettere le stelle insieme; considerare, quello che
non possono fare le mani, perche' non ci arrivo, lo fa la mente, mettere tutte
le stelle in una unita' armonica di un universo divino. Considerare, mettere le
stelle al loro posto, nella loro armonia; colui che considera, entra senza far
troppo rumore nella realta' totale e considerando, cioe meditando, entra in
armonia con essa, fa parte di essa e contribuisce al dinamismo di questa stessa
realta.
La responsabilita' dell'intelletto: nessuno ci puo' rinunciare, come non
possiamo rinunciare al corpo, non possiamo rinunciare alla mente
dell'intelletto, non possiamo rinunciare a tutti i problemi. E qui la modernita'
ha fatto un passo da gigante per abolire tutte queste scorciatoie, per arrivare
alla pienezza della vita, lasciando da parte altre dimensioni di questa stessa
realta'. Considera, medita, pensa. E il secondo occhio che ci fa scoprire la
faccia sempre invisibile della luna, ma che sappiamo che sta la'; che ci fa
scoprire la faccia ugualmente invisibile dell'eternita', che non e' altro che
l'altra faccia della temporalita'. L'eternita' non viene dopo, sarebbe troppo
na'if, o come diceva Simeone, il nuovo teologo: «Quelli che non hanno goduto
della vita eterna qui, possono dire good bye alla vita eterna, perche' dopo non
c'e'». Quelli che non sono capaci di scoprire la vita eterna nella temporalita',
evidentemente non la possono scoprire dopo, e' tutta un'altra cosa: senza questo
secondo occhio della meditazione, senza meditazione in una forma o un'altra, non
si puo' avere una vita umana.
Per me, una delle grandi scuole della meditazione e' stato parecchie volte il
metro' di New York, dopo le 10 di sera, o a volte anche alle 7 o alle 9. Tutta
una popolazione stanca morta della schiavitu' del lavoro, torna a casa con la
mente bianca; stanno la', non pensano a niente, vivono, stanno la', sanno quando
devono scendere, ma meditano senza saperlo. E' una scuola di meditazione
straordinaria, tu passi, non ti vedono, non guardano, non leggono, niente.
Stanno alcune ore religiosamente in piedi, meditando: lasciano che le cose
tornino a loro in una forma spontanea e naturale, non ci sono le forze, il
modello massimo della meditazione, ma puo' essere una scuola per cominciare a
penetrare. Senza una vita di meditazione non si puo' avere una vita umana piena.
Allora siamo peggio dei robots, bombardati di qua e di la', e le nostre reazioni
sono reazioni a quello che ci hanno dato prima. Non possiamo essere liberi se
non pensiamo per conto proprio e non possiamo pensare se non lasciamo al
pensiero quello spazio necessario per la digestione che e' la meditazione.
Mira, considera, contempla. Soltanto quando il primo occhio e il secondo occhio
sono aperti, il terzo occhio, come dicono i buddhisti, secondo l'espressione
letterale di Ugo di San Vittore per esempio, si apre il terzo occhio della
contemplazione.
Senza i due primi la visione e' sbagliata, ma senza il terzo non si vede chiaro,
non si ha la terza dimensione. Viviamo ancora come in un film, uno dello schermo
televisivo, se abbiamo soltanto i due occhi della mente e dei sensi; non abbiamo
scoperto la terza dimensione chi ci da' propriamente la prospettiva esatta. Il
reale e' di tre dimensioni; la vita e' di tre dimensioni. Senza il terzo «oculo»
le cose non si vedono nella loro realta', le cose non si scoprono nella loro
vita. E allora cadiamo vittime o di un sensualismo aberrante o di un
intellettualismo inumano. Quindi non e' che sia un lusso per alcuni la
contemplazione: e' assolutamente necessaria per reggere la vita umana, per poter
vedere le cose e per poter pensare la realta'. Un pensiero solo distrugge la
cosa pensata, un contatto meramente sensuale con la realta' la soffoca, ma
ugualmente una specializzazione della contemplazione che puo' fare a meno e del
pensiero e dei sensi diventa angelica nel sentire della spiritualita' cristiana,
cioe' non umana, e sbagliata, cioe', eretica.
Quello che si sente, quello che si pensa, quello che si contempla: il terzo
occhio. E cosa vede il terzo occhio?
La contemplazione e' quella che ci fa realmente vivere, e che si fa senza uno
sforzo immediato. Ha bisogno di una preparazione, evidentemente, bisogna passare
per il guarda, intuere, medita, ma la contemplazione non ha un oggetto fisso.
Questa sarebbe la meditazione. Si fanno le cose senza sforzo, perche il motore
e' la vita, o con altre parole, l'amore. Percio' quando si contempla non c'e
bisogno di un premio, di un qualcosa che venga dato dopo perche' hai fatto molto
bene, non c'e' bisogno di considerare la vita come una gara in cui alcuni ci
arrivano e altri no; non c'e' bisogno di un consumismo spirituale o di una
competitivita' ascetica che porta tante volte alle deformazioni della vita
intellettuale e della vita spirituale. La contemplazione e' quella che ci fa
entrare in contatto diretto con tutta la realta'. E' allora che il soggetto non
sparisce, non si divinizza. C'e' un'estasi costante perche' questa separazione
letale tra oggetto e soggetto non c'e' piu. Ama il tuo prossimo come te stesso,
non come un altro tizio al quale tu devi fare tutte le cose che vorresti per te.
Se tu non scopri questo te stesso, nell'altro, evidentemente non sei arrivato
alla contemplazione perche sei ancora nella dicotomia, nel dualismo di uno e
l'altro. Allora l'unica cosa che possiamo fare e' considerare i diritti
dell'altro e tante altre cose per ragioni pragmatiche, pratiche, politiche che
vanno molto bene, ma che entrano in una gara intellettuale, economica, politica
e spirituale. Il contemplativo non ha paura di perdere niente, non ha la
tentazione di fare il bene; come se dovesse giustificare la propria vita per il
molto bene che fa; e' un fuoco interno, e' la vita eterna, e' la vita infinita.
Questo e quel vedere l'invisibile che diceva Paolo, «capendo l'incomprensibile»,
il terzo occhio che si apre soltanto insieme agli altri due; cosi' si supera il
mondo delle cose, il mondo delle idee e non si fa di Dio il grande fantasma di
quasi tutta la filosofia e teologia occidentale. La contemplazione ci porta a
essere, ed essere – qui sono nella piu' grande tradizione sia orientale che
occidentale – e' un altro nome di Dio. E Dio, per ritornare all'esempio di
Chiara, si e' manifestato, rivelato nella faccia di Cristo. La contemplazione ti
fa essere, o come lei dice, ti porta alla divinizzazione. Colloca i tuoi occhi,
colloca la tua anima, colloca il tuo cuore, i tre momenti: i sensi, la mente, la
contemplazione. E allora trasformati interamente per mezzo della contemplazione.
Chiara si trasforma nell'immagine della divinita' di Lui. Tutti noi sappiamo,
almeno quelli che credono nella Trinita, che l'immagine e' esattamente uguale al
modello. Divinizzati. La contemplazione porta a essere. Essere e' un verbo,
essere e' Dio e dunque porta a quello che l'essere e', actus purus, come
dicevano gli Scolastici.
La contemplazione e' eminentemente attiva, eminentemente actuosa, eminentemente
agisce ma con una attivita che non e' frutto d'un pensiero, che non e' frutto di
un piacere che mi attrae, ma che e' frutto di una pienezza che viene da dentro
ed e' frutto dell'amore. Quindi la contemplazione non e' nemmeno la sintesi tra
la teoria e la pratica, e quella esperienza anteriore, previa alla dicotomia
prassi e teoria. La contemplazione non e' soltanto guardare il mondo delle idee,
non e' guardare con l'occhio interno, e' molto di piu': e' trasformazione,
«trasformati», dice Chiara, «divinizzati». In che cosa? In quello che tu puoi
trasformare, in quello che tu realmente, fondamentalmente, sei: essere, e
l'essere e atto e l'atto e attivita' e l'attivita' e l'agire di ciascuno di noi
la' dove noi siamo. E qui il circolo diventa un circolo vitale: la
contemplazione non e' contraria alla prassi, non e' in opposizione
teoria-pratica; la teoria, il pensiero porta alla chiarezza di idee, la tattica
porta a fare cose, la contemplazione porta a realizzare in me e attraverso di me
quello che si deve fare, perche l'essere e' atto. Quindi la contemplazione porta
alla trasformazione propria e di tutto cio' che e' intorno, percio' la
contemplazione ha intrinsecamente una dimensione politica, sociale, mondana
nelle navate del mondo.
La contemplazione non e' un racchiudersi per un'altra vita, e' un trasformarsi
per trasformare tutta la realta. La nostra trasformazione in Cristo, il Cristo
totale che non e' soltanto quello del crocifisso, ma e' quello della
risurrezione, dell'Eucarestia. La risurrezione non e' soltanto quella di Cristo
Gesu', ma e' la vocazione di ognuno di noi. Se non siamo capaci di mostrare la
nostra risurrezione non c'e' contemplazione, non c'e' trasformazione, siamo
ancora nella vita mezzo morti. La risurrezione e' nostra, e adesso, e'
precisamente questa gioia che e' frutto diretto della contemplazione, che ci da'
l'umilta' necessaria (non voglio il premio, il riguardo, l'ambizione, la vanita',
il sorriso dell'altro, il grande successo), per buttarci la' dove dobbiamo stare
e fare quello che trasformandoci noi, trasforma anche la realta'.
Dobbiamo essere sufficientemente svegli per renderci conto che dopo quarant'anni
la gente si e' resa canto che il sistema non andava e bisognava fare riforme; le
riforme non vanno piu'. La deformazione, cioe' la violenza, il distruggere per
distruggere, pensando che cosi' si iniziera' una cosa nuova, e anche naif, anche
immorale e poi non va. La trasformazione, la metamorfosi non puo' essere frutto
del pensare che tutto va pianificato, ma deve scaturire da un fondo molto piu'
profondo in ognuno di noi; allora siamo i sinergoi di questa avventura
straordinaria che e l'avventura di tutta la realta'. Soltanto un contemplativo
oggi ha la forza di intraprendere questa trasformazione radicale, politica,
economica, sociale, ecc., di cui il mondo ha bisogno oggi, dopo seimila anni di
esperienza storica, dopo seimila anni di patriarcalismo, guerre, sfruttamenti,
religioni al servizio dello status quo. Penso che e' arrivato il momento di
cominciare senza violenza ad avere la visione di cui gia' disse Paolo di Cristo:
«Una nuova creatura, in Cristo una nuova creazione, in Cristo una novita'
costante di tutte le cose». Ma soltanto un contemplativa puo' farlo, un
contemplativo che pero' e' passato per le due fasi dell'intelletto e della
sensualita'. Non e' sciamanismo, dove le cose si trasformano per magia. E tutta
un'altra cosa.
L'azione che scaturisce dalla contemplazione non e' un'azione premeditata, e'
un'altra cosa. La contemplazione e' la sincerita assoluta, e allora uno si rende
conto che prima di dire una parola (e ogni parola che non e' un sacramento e una
bugia), egli non deve essere l'autore di questa parola, ma deve averla
ascoltata: «tutto quello che il Padre dice, io dico». La rivoluzione, parola che
a me non piace, bisogna che sia radicale, è una cosa che comincia da noi, è
molto di più, è trasformazione. Quindi la contemplazione non è soltanto la
vocazione dell'uomo, è l'unica speranza anche di questa realtà sociologica,
umana, ecologica. Contemplare nelle navate del mondo vuoi dire precisamente due
cose: poter sostenere i pilastri, le colonne di questo mondo e, quando ce ne
fosse bisogno, come Sansone, farle crollare, senza aver paura.
C'è un termometro della contemplazione, gli altri sono effetti, ed è l'amore
evidentemente. Ogni volta che il Risorto è apparso ai discepoli ha detto due
cose: prima pace, che vuol dire silenzio, vuol dire non aspettare troppo, vuol
dire essere gioioso e contento con se stesso e con gli altri; vuol dire
irradiare un'armonia che se dentro c'è, si comunica.
E poi aggiunge: non aver paura.
Il termometro della contemplazione è quest'ultimo: non aver paura. Paura del
domani, paura di che sarà per mio figlio, paura del mondo che va a rotoli, paura
del mio lavoro... paura. Se hai paura di checchesia, la contemplazione è
sfuggita. E la paura non è frutto del pensiero, della volontà. Se noi abbiamo
paura dell'inferno, paura di non riuscire, paura di tante cose, no: pace e poi
non aver paura. E la contemplazione è la grande rivoluzione cristiana. E i
farisei e le prostitute, e i ricchi e gli epuloni e i poveri, tutti sono
chiamati alla contemplazione, non c'è discriminazione. Per arrivare a questa
terza tappa ognuno deve riempire fino in fondo, come una canna, la propria
sensibilità e intelligenza e poi lasciarsi fare. Qui Chiara torna a essere un
modello: il sapere accettare, il trasformare trasformandoci, trasformando quella
parte della realtà che ci è stata affidata. Contemplare dunque nelle navate del
mondo è la nostra gioia, e il nostro compito.
Da:
http://ospiti.peacelink.it/marino/testirel/pannikar.html
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