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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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La visione cosmoteandrica di Raimon Panikkar e la cosmologia poetica di Arturo Onofri

di Magda Vigilante (magdavigi@alice.it)


 

Nel volume Tra Dio e il cosmo  Raimon Panikkar afferma che “a partire da Galileo, non c’è una cosmologia, una visione del mondo capace di «sos-tenere» le verità cristiane e nemmeno le scoperte scientifiche. Giustamente la scienza moderna rifiuta di avere una cosmologia. Ma quando non si ha altro, si proiettano le descrizioni scientifiche in una visione della realtà che è l’estrapolazione non scientifica del mondo scientifico[1]”.  Nell’età contemporanea manca quindi una visione che abbracci il mondo dell’uomo e della natura nella sua totalità, come era avvenuto per le epoche passate con artisti come Dante, Giotto, Michelangelo, Shakespeare e altri .

In realtà, nella prima metà del Novecento, il poeta Arturo Onofri aveva tentato di proporre nella sua opera poetica, in particolare nel ciclo lirico della Terrestrità del sole, una visione dell’universo come mito nel quale si realizzasse l’unità dell’uomo e del cosmo nella comune presenza dello Spirito in tutta la realtà, non solo umana . Anche Panikkar propone a livello filosofico-religioso un’interpretazione cosmoteandrica della realtà dove le dimensioni materiale, umana e divina “connotano in effetti tre aspetti reali che non sono autonomi, ma intimamente connessi e da cogliere sempre insieme nella loro stessa distinzione[2].”

E’ interessante notare i punti di contatto che presentano le due visioni del filosofo e del poeta, considerando che Onofri aveva dato una base filosofica o quanto meno teorica al suo ciclo poetico con il volume Nuovo Rinascimento come arte dell’io[3], mentre Panikkar per spiegare il suo pensiero spesso e volentieri ricorre ad immagini poetiche. Prima però è necessario spiegare, sia pur sommariamente, chi fosse Arturo Onofri, il cui nome è presente nelle antologie della poesia italiana del Novecento, ma non è certamente noto come quello di Ungaretti, Montale, Quasimodo e  di altri autori italiani novecenteschi.

Era nato a Roma nel 1885 e, durante la sua breve esistenza (morì a Roma il 25 dicembre 1928 a soli 43 anni), compì un complesso itinerario poetico che lo condusse, dopo la conoscenza del pensiero di Rudolf Steiner, a considerare la parola poetica come simbolo dello Spirito che pervade tutto l’universo dal livello inorganico fino a quello animale e umano .

 Tra le sue opere si segnalano, oltre al ciclo lirico della Terrestrità del sole in 6 volumi- Terrestrità del sole (1927) Vincere il drago! (1928) e,postumi, Simili a melodie rapprese in mondo (1929), Zolla ritorna cosmo (1930), Suoni del Gral (1932) e Aprirsi fiore (1935)- anche le raccolte poetiche Poemi tragici (1908) e Canti delle oasi (1909) dove accanto ai modelli dannunziani , pascoliani e crepuscolari è già presente la tensione verso il trascendente percepito nella natura secondo una visione cosmocentrica della realtà.

Dopo la pubblicazione dei volumi Orchestrine (1917) - nel quale sperimentò la nuova struttura stilistica del “frammento”, una breve prosa lirica in cui il poeta registra nella sua immediatezza le sensazioni suscitate in lui dalla realtà esterna- e Arioso (1921) che celebra la raggiunta serenità familiare in seguito al matrimonio con Bice Sinibaldi e alla nascita dei figli Fabrizio e Giorgio, Onofri si dedicherà completamente all’elaborazione teorica e, successivamente, alla scrittura di una poesia che attui il significato cosmico della vita degli uomini e dell’universo, proponendo all’umanità una nuova visione del mondo come mito.

 A tale proposito, Panikkar sostiene che l’uomo moderno ha perduto una visione dell’intero universo come una realtà vivente, visione che invece era propria dell’uomo antico, medievale e rinascimentale. Infatti allora l’umanità, pur distinguendosi dalla natura, non se ne sentiva separata, ma coabitava con tutte le forze naturali e divine dell’universo, anche se, in seguito, nel periodo rinascimentale, tenderà a considerare sempre più il mondo come un tutto umanizzato, un macranthropos, le cui funzioni corrispondevano  a quelle del corpo umano. Questa concezione condusse, dopo la scoperta copernicana, a sostituire l’uomo alla terra come centro cosmologico dell’universo.

Con l’affermazione della mentalità scientifica, l’uomo infatti scopre “le leggi dell’universo, le strutture oggettive del reale; distingue, misura e sperimenta”; egli “comincia a meravigliarsi della propria mente ed è sconvolto nel vedere che l’universo fisico sembra seguire le leggi  che la  sua  mente    scopre e  può formulare[4]”. Il divino è recepito all’interno dell’uomo, mentre la natura perde il suo valore religioso ed è dissacrata; esplorata scientificamente per mezzo della tecnologia non è più “colta” miticamente.

Quando l’uomo scopre non solo di poter riflettere sulle cose, ma anche su se stesso che pensa e sulla riflessione stessa, allora egli si sente divino e attribuisce una preminenza assoluta alla ragione come criterio unico della verità. Tale concezione susciterà nel sec. XIX due reazioni opposte: da un lato la rivalutazione della materia e della prassi con i filosofi Marx ed Engels, dall’altro  l’affermazione  dei “revival a-razionali e sovra-razionali di ogni tipo dal fideismo dal volontarismo e dal romanticismo fino al neotomismo, all’esistenzialismo e al misticismo[5]”.

Questi diversi stati della coscienza sono definiti da Panikkar “momenti kairologici e non cronologici, allo scopo di sottolineare il loro carattere qualitativo”[6]. Il tempo presenta infatti sia un carattere sequenziale, più formale (cronologico), sia un aspetto qualitativo, più orientato verso il contenuto (kairologico dalla parola greca kairos, il tempo giusto, opportuno).

Dopo aver analizzato i primi due momenti della coscienza che denomina come momento ecumenico o della mentalità primordiale, e momento economico, caratterizzato dalla mentalità scientifica e da un atteggiamento umanistico, Panikkar auspica l’avvento di un terzo momento o dell’innocenza. Tale stato” è “innocente” nel senso primigenio della parola: in-nocens, che non nuoce, che non fa male, né reca violenza alla realtà, non la “viola”. Questo rispetto della  realtà  implica  un atteggiamento

di amore e fiducia nei suoi confronti. L’uomo ritrova il suo posto nella realtà senza violenza, lasciandosi abbracciare da essa nel cui grembo si trova[7]”.

Per attuare questa nuova esperienza cosmoteandrica, è necessaria una radicale metanoia, un completo capovolgimento della mente, del cuore e dello spirito. Panikkar afferma che “il mutamento richiesto è radicale: non è tanto una nuova politica dell’uomo verso la natura, quanto una conversione che riconosca il loro comune destino”[8]. Più esplicitamente l’uomo moderno deve recuperare una visione unificante del reale in cui siano compresi la materia e lo spirito, il bene e il male, la scienza e il misticismo, l’anima e il corpo.

Infatti alla base della visione cosmoteandrica c’è l’assunto filosofico che “ la realtà mostra questa triplice dimensione di un elemento empirico (o fisico), di un fattore poetico (o psichico) e di un ingrediente metafisico. …Senza negare le differenze e riconoscendo anche un ordine gerarchico fra le tre dimensioni, l’intuizione cosmoteandrica sottolinea l’intrinseco rapporto fra di esse, cosicché questa triplice corrente, per così dire, permea l’intero regno di tutto ciò che è[9]”.  Dio, uomo e mondo appartengono tutti e tre al reale e non possono essere “colti” se non nella loro reciproca relazione.

L’uomo non può limitarsi ad una visione solo parziale della realtà, ma deve percepirla interamente. Per descrivere questo nuovo orientamento Panikkar utilizza una bellissima e poetica metafora: “[le] onde sono   in  verità     affascinanti,       le correnti del mare e la fauna marina meritano indubbiamente il nostro studio attento, ma ora è necessario volgere la nostra attenzione anche all’intero oceano[10] “ .

A sua volta Onofri, da poeta, considera l’arte e, in particolare la poesia, come “espressione della socialità cosmica”. La creazione poetica rende infatti manifesta la vita dello Spirito, dell’Io cosmico, “ essere unico che crea, anima e muove, infondendo sé stesso differentemente nella multanime vita delle creature[11] “. L’Io spirituale è il vero Io dell’uomo che vive in ognuno e di cui l’uomo” prende via via, coscienza sempre più ampia e più individuale, ma in una individuazione che tende a divenire socialità universale “[12].

Alla base di queste riflessioni c’è quel processo di identificazione da parte dell’uomo con il divino che è criticato da Panikkar in quanto Dio è sempre “oltre”, è l’infinito, “il di più” che trascende la condizione umana. Tuttavia Onofri riconosce alla vita dello Spirito risorto a se stesso, nel processo di autocoscienza umana, “la volontà di assurgere all’universalità…di contenere l’intero corpo cosmico con tutta l’immensa scala degli esseri in una triplice gerarchia: celeste umana e naturale [13] “.

La poesia per il vero artista diventa allora il simbolo dell’universalità nel quale si manifesta la comunione di tutti gli esseri nell’unico Essere. Da questa fondamentale funzione prende avvio una poesia essenzialmente religiosa nel senso che lega (da “religo”) l’Io-Uomo con tutto l’universo. Infatti per Onofri c’è identità completa tra l’Io spirituale e l’Io umano al punto che il primo è l’Essere del vero Uomo. Panikkar, invece, nella visione cosmotendrica, afferma che le tre dimensioni della realtà: materiale, mentale, divina “ non sono modalità diverse di un ‘unica sostanza,  ma, come nella Trinità, ogni dimensione è un polo della realtà [14]”.

Al di là di questa differenza, senza dubbio fondamentale, è comunque comune a tutti e due una cosmovisione che non si limita alla storia e all’uomo, ma comprende l’intero universo. In sintonia con tale visione, Onofri comporrà una poesia che acquista il significato di un “inno” continuo alla vita dello Spirito presente in tutti gli esseri. Realmente, allora, ogni componimento diventa una preghiera che il poeta eleva ininterrottamente nel breve giro di due anni, dal 1927 alla fine del 1928, anno della sua morte precoce.

I testi poetici del ciclo della Terrestrità del sole scorgono le intime correlazioni dell’universo che coinvolgono tutti i suoi aspetti anche quelli apparentemente diversi: “Come sapore d’alberi fronzuti, / nel gusto del palato io mi racconto / in alchemici svampi di smeraldo / le profonde sculture vegetali / che in acquea trasparenza hanno volume / da modularne sincopi e baleni  / d’una plasticità senza mai tregua. / Tu mi somigli, o massa dei chiarori,  / come l’oceano ondivago assomiglia / all’occhio innamorato d’ammirarlo, / come il tuo firmamento ai miei pensieri…[15]” .

Oppure già prefigurano il nuovo cosmo che sorgerà dalla consapevolezza del comune Io spirituale raggiunta da tutti gli uomini: …”Appassito, l’antico universo / ha dato per frutto la terra,  / ch’è un seme onde già si disserra / un cosmo d’amore più terso, /  come il chicco dell’albero morto / ridà virido un fusto risorto. // Sole e stelle fra poco (domani!) / saranno costrette a crollare / nel grembo fumante del mare, / nell’urlo dei vecchi vulcani, / mutandosi in luce nutriente / per l’Uomo-Universo nascente …[16] “.

O cantano la melodia che vibra in tutto l’universo: “ Strie di cielo, acque lievi, aria sonora, / s’abbracciano alla terra vereconda, / che si copre di foglie, e si colora / dei fiori d’ogni prato e d’ogni sponda. // Spazia, in quel color brivido, un’aurora / di sognate rinascite, e asseconda / la melodia d’ un angelo, che affiora / dalla notte dell’anima profonda… [17]”. “ Simili a melodie rapprese in mondo, / quand’erano sull’orlo di sfatarsi / nei superni silenzi, ardono pace / nel mezzogiorno torrido le ondate / ferme dei pini, sul brillio turchino / del mare che smiracola d’argento…[18]”.

Questa limitata scelta di versi non può certo mostrare se non sommariamente, la ricchezza d’immagini e i neologismi  di un linguaggio poetico che influenzerà la successiva poesia ermetica. Il ciclo della Terrestrità del sole non è però di facile lettura e, nel passato, ha suscitato le riserve di alcuni critici, i quali ritenevano che solo saltuariamente vi comparisse la vera poesia.

Tuttavia Onofri rivela notevoli concomitanze con la cosmovisione di Panikkar  non solo nella fase finale della sua poesia, ma anche in alcuni testi delle sue prime raccolte come nella poesia Per vivere, soltanto[19] dove riesce a comunicare con estrema semplicità e grande efficacia il fondamentale invito rivolto agli uomini moderni dal filosofo ispano-indiano a “lasciarsi vivere”, riconoscendo alla vita un primordiale valore divino:

O Terra, o Madre, fa ch’io più non riesca a pensare

ma ch’io viva soltanto: viva come, d’agosto,

i nidi delle rondini partite verso il mare:

i nidi dove al vento tremano ancora, nascoste,

 

tenere piume dei nati che per la prima volta

le madri spinsero al volo, alcuni giorni innanzi

la migrazione sul mare. O Madre, ascolta, ascolta:

fa che nell’anima mia tremino, soli, avanzi

 

di piume che s’impigliarono spiccando il primo volo.

Ma se non vuoi mutarmi in nido, tu fa che almeno

io sia come quel pazzo che a mezzogiorno, solo,

in mezzo alla strada ardente, dirige con una canna,

 

dimenando le braccia, l’orchestra delle cicale.

Ch’io dimentichi tutte ma tutte le parole,

ch’io senta i polmoni gonfiarsi del tuo fresco respiro

e ch’io non lo sappia lodare che in un lungo sospiro.

 

Fa ch’io mi creda un sèrpere di fiume, calmo, argenteo

le notti di luna piena; e il mio fluire lento

non abbia che silenzio, nella murmurea voce.

Fa ch’io sia soddisfatto come al mare una foce.

 

Ma se mi meditasti, o Terra, con grande fatica,

perch’io ricordi agli umili le fonti della vita

soave che tu ci desti: Madre possente e pudica,

fa di me quel che vuoi, poi ch’è tua la mia vita.

 

Il testo sembra tradurre in immagini altamente poetiche quanto afferma Panikkar, all’inizio del nuovo millennio, ossia che vivere non è pensare, godere, soffrire,  fare il bene, perché tutte queste sono operazioni della vita, la quale è precedente a tutte queste operazioni. L’uomo contemporaneo, che possiede tante cose e tante macchine al suo servizio, deve allora ritrovare il senso della nudità totale della vita che quando non ha niente si trova di fronte al rischio di semplicemente essere.


 

[1] Bari, Laterza, 2006, pp. 172-173.

[2] Ibidem, p. 108.

[3] Bari, Laterza, 1925

[4] Cfr. R. Panikkar, La realtà cosmoteandrica,Milano, Jaca Book, 2004., pp. 57-8

[5] Cfr. R. Pnikkar, La realtà cosmoteandrica, cit., p. 61.

[6] Ibidem, p. 43.

[7] Ibidem., p.74.

[8] Cfr. R. Panikkar,  La realtà cosmoteandrica  cit., p. 75.

[9] Ibidem, p. 111.

[10]Ibidem, p. 87.

[11] Cfr. A. Onofri,  Nuovo Rinascimento come arte dell’io, cit., p.163.

[12] Ibidem, p. 164.

[13] Ibidem, p. 161.

[14] Cfr. R. Panikkar, La realtà cosmoteandrica, cit., p. 112.

[15] Cfr. A. Onofri, Suoni del Gral, IV, a cura di Marco Albertazzi, Trento, La Finestra editrice, 1988, p. 89. 

[16] Cfr. Terrestrità del sole, I, a cura di Marco Albertazzi, , cit., 1998, p. 50.

[17] Cfr.  Aprirsi fiore, V,  cit., 1999, p. 30

[18] Cfr. Simili a melodie rapprese in mondo, V, cit., 1999, p. 31.

[19] Cfr. A. Onofri, Poesie edite e inedite (1900-1914), a cura di Anna Dolfi, Ravenna, Longo, 1982, pp.220-1.

 

 

 

 

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