INCONTRO CON
RAIMON PANIKKAR
Nessuno possiede la
verità; il dialogo è dunque necessità di ciascuno: individuo, cultura, religione
che sia.
Agnese Galotti
Domenica 12 Maggio al Centro
Coscienza di Milano, si è tenuto l'incontro con Raimon Panikkar; parteciparvi è
stata un'esperienza per nulla scontata, sia perché c'era il rischio di non
riuscire ad entrare, data la massiccia partecipazione di pubblico, sia per la
piacevolissima sorpresa di trovarsi di fronte ad un personaggio davvero speciale
che, più che predicare il pluralismo culturale e religioso, semplicemente (si fa
per dire!) lo `incarna', in tutti i sensi, con una semplicità che non può che
essere frutto di una profonda trasformazione interiore, in atto da sempre e mai
conclusa.
Nato a Barcellona 83 anni fa, da madre spagnola e padre indiano, ha vissuto in
Europa, in America e per 25 anni in India. E' considerato uno dei massimi
esponenti di studi e relazioni interculturali.
Laureato in chimica, filosofia e teologia, ha insegnato fino al 1987 filosofia
della religione e storia delle religioni all'Università di Harvard e di Santa
Barbara in California, dedicandosi, nei suoi scritti, alla fecondazione
reciproca tra Oriente e Occidente, tra cristianesimo, buddismo e induismo.
Ordinato sacerdote nel 1946 ha studiato a fondo i testi sacri induisti. In dieci
anni "di ascetico lavoro" ha curato la traduzione dei Veda (edita da Rizzoli).
Sicuramente favorito dal clima naturalmente interculturale in cui è cresciuto,
Panikkar ha evidentemente sviluppato un'autentica attitudine al dialogo, a
lasciarsi attrarre dalle differenze, ad integrarle ed armonizzarle in sé grazie
ad un'apertura all'altro, autentica e curiosa, visibile anche in
quest'occasione, in cui, nonostante sia la terza volta in un giorno che parla in
pubblico, tocca il cuore e non è per nulla formale.
Parla un italiano vivacizzato dall'accento spagnolo, ha uno sguardo diretto e
trasparente, un aspetto - molto indiano - semplice ed elegante: comunica
vitalità e simpatia.
Due concetti gli sono particolarmente cari: quello di dialogo (dialogo
dialogico, lo chiama, per distinguerlo da quello competitivo ed arrogante) e di
metanoia (disponibilità alla trasformazione); il dialogo dialogico è
quello che mi toglie quella specie di ingenuità di pensare che ciò che è valido
per me sia valido per tutti, è scoprire che anch'io ho presupposti non
analizzati, e che ho bisogno dell'altro per poterli vedere.
E' la profonda e reale consapevolezza della relatività (che non è
relativismo!)
di ogni affermazione, vera in quanto in relazione a tutte le altre, che
porta a riconoscere la necessità di dialogo, il nostro "esserci" in relazione a
tutto il resto.
Da qui può nascere una vera trasformazione o conversione dell'atteggiamento
(questa è la metanoia), che può portare gli umani verso la pace e il
superamento dei conflitti. Ma non si tratta di mera operazione intellettuale:
"Se non apro il mio cuore, se non vedo che l'altro non è altro ma parte di me,
non potrò mai dialogare con lui".
Come fare - gli viene chiesto - quando l'altro rifiuta il dialogo e ci lascia
soli?
E' presuntuoso pensare che l'altro rifiuti il dialogo: forse ora, ma non per
sempre.
La possibilità è quella di aspettare, senza darsi per vinti né assolutizzare un
atteggiamento che è contingente; in spagnolo "espera" significa aspetta, ma
anche spera, abbi fiducia!
Smantellare i pregiudizi, spesso inconsci, che frapponiamo tra noi e l'altro, è
il vero lavoro che ci aspetta per sperimentare realmente il dialogo. In termini
evangelici è la famosa trave nel nostro occhio rispetto alla pagliuzza
nell'occhio altrui.
Grazie al suo appartenere pienamente a due culture, ("Non mi considero mezzo
spagnolo e mezzo indiano, mezzo cattolico e mezzo induista, ma tutto occidentale
e tutto orientale") a due parti del mondo oggi così scisse e separate, Panikkar
risulta un osservatore particolarmente acuto, capace di cogliere le ombre della
nostra civiltà occidentale e della nostra epoca e di mettere a fuoco le radici
della sua crisi e del suo malessere spirituale: la pretesa di possedere una
qualche verità certa, è l'equivoco, l'ingenuità che ci caratterizza.
Nella ricerca forsennata di una qualche sicurezza Panikkar individua una delle
peggiori malattie dell'Occidente, che ha radici storiche e filosofiche:
"L'ossessione psicologica per la certezza, affermata da un grande filosofo
quale fu Cartesio, ha portato all'ossessione patologica per la sicurezza"
che caratterizza in mille modi il nostro vivere quotidiano.
Grazie a Dio niente è sicuro e l'aggrapparsi a presunte certezze ci pone sulla
difensiva e finisce per renderci intolleranti, chiusi, incapaci di dialogo.
"Chi ha desiderio di sicurezza non può avere pace".
Tra gli ostacoli che impediscono un vero dialogo, non a caso, c'è la paura.
Ma a partire dal riconoscimento di tale paura si può lavorare al suo superamento
("il cuore puro").
Ed è la consapevolezza della propria vulnerabilità la principale componente del
dialogo: "Se sono convinto di avere ragione, di essere il più forte e penso di
avere tutte le risposte, che dialogo è? Mi chiuderò al dialogo, pensando che
l'altro non sia in grado di capirmi, e poi mi lamenterò della sua chiusura".
"La vulnerabilità, d'altra parte, non è una debolezza, ma una richiesta di
dialogo discreta e senza parole. È quello che mi consente di aprirmi, senza
essere una minaccia per l'altro".
Il dialogo è essenziale alla vita umana - noi non siamo monadi chiuse in un
narcisismo individualista - ma anche alla cultura e alla religione.
In questo la sua esperienza di filosofo e teologo, promotore da tantissimi anni
di un dialogo interreligioso e interculturale, è straordinariamente
significativa.
Oggi più che mai è indispensabile una mutua fecondazione di Oriente e Occidente:
un dialogo tutto da costruire, che mantenga, nello scambio, l'identità delle
religioni diverse.
"Io non sono favorevole ai `cocktail di religioni'. Condivido la critica al
relativismo, ma altra cosa è la relatività, cioè la consapevolezza che qualsiasi
affermazione io faccia ha un senso in relazione a un contesto. Il pluralismo è
l'ammissione della mia contingenza, per cui io non ho il monopolio della verità
né posso capirla tutta. Il pluralismo è la guarigione dall'assolutizzazione,
cioè dall'idolatria. E' il riconoscimento della relatività e della bellezza
straordinaria di tutte le tradizioni, per cui ciascuno deve seguire il proprio
cammino." Un accenno, infine, ad un concetto che richiede senz'altro
approfondimento ulteriore: l'Intuizione Cosmoteandrica.
Si tratta del centro dell'esperienza religiosa: una forma di esperienza della
trinità, che sostanzia tutta la realtà:
divina, umana e materiale, in una circolarità che toglie ogni prevaricazione di
un aspetto sull'altro.
Uscire dall'assolutismo è anche superare il monoteismo nel suo aspetto
caricaturale e nella sua rigidità, facendo esperienza della trinità (Dio, Uomo,
Cosmo).
Bibliografia: La nuova
innocenza, Nuova stampa 1993; Il dialogo interreligioso, Cittadella;
La pienezza dell'uomo: una cristofania (Milano 1999); I fondamenti
della democrazia (Roma 2000); Mito, fede ed ermeneutica (Milano
2000); L'incontro indispensabile: dialogo delle religioni (Milano 2001).
Di prossima pubblicazione: Pace e interculturalità (Jaca Book).
Da:
http://www.geagea.com/40indi/40_11.htm
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